giovedì 30 gennaio 2014

LA NUZIALE E DOLCE VESTE DELLA CARITÀ Santa Caterina da Genova



Caterina dei Fieschi nacque a Genova nel 1447 e a sedici anni andò sposa, contro la sua volontà, al nobile ghibellino Giuliano Adorno. Dopo alcuni anni di pena a causa di quest'unione infelice e dopo altri ,di dissipazione e di vita mondana, l'esistenza della giovane donna fu radicalmente trasformata da un'illuminazione improvvisa. L'austerità, la preghiera e l'assistenza ai malati furono da allora le occupazioni di Caterina. Il marito stesso fu conquistato all'ideale di vita della giovane sposa e si fece suo collaboratore nelle opere di misericordia. La santa morì nel 1510. Contemplativa e mistica di eccezionale profondità, santa Caterina da Genova ci lascia nel suo «Dialogo» e nel «Trattato del Purgatorio» una solida e sicura dottrina spirituale e consolanti rivelazioni sull'aldilà.

Gesù, chi ti ha fatto venire dal cielo in terra? L'amore! Chi ti ha fatto patire tanti e così terribili tormenti fino alla morte? L'amore! Chi ti ha fatto lasciare te stesso in cibo all'anima tua diletta? L'amore! Chi ti ha mosso che ci hai mandato e continuamente ci mandi, per nostra fortezza e guida, lo Spirito Santo? L'amore! Molte altre cose si possono dire di te. Tu sei sembrato tanto vile e abbietto in questo mondo, e tanto ti umiliasti, dinanzi al popolo, solo per amore che, non solo non fosti riconosciuto come Dio, ma quasi non fosti ritenuto neppure uomo. Un servo, pur quanto si voglia fedele e affezionato, non sopporterebbe tanto per il suo padrone, anche se gli fosse promesso il paradiso: ciò perché senza il tuo amore interiore, che tu doni all'uomo, non si può con pazienza sopportare tormento alcuno nella anima e neppure nel corpo. Ma tu, Signore, portasti dal cielo questa soave manna e questo dolce cibo, il quale ha in sé tal vigore, che fa sopportare ogni supplizio, e tanto noi abbiamo visto per esperienza, prima di te, dolce Maestro nostro, Signore e guida, e poi nei tuoi santi.
O quante cose essi hanno fatte e sopportate con grande pazienza, per questo tuo amore, infuso nel loro cuore, del quale restavano tanto accesi e uniti con te, che qualsivoglia tormento non li poteva separare da te: anzi in questi tormenti si accendeva in loro uno zelo che cresceva tanto quanto crescevano i tormenti. Per questo motivo essi non potevano essere superati da quanti martirii i tiranni crudelissimi potessero immaginare. Costoro guardavano solo di fuori la debolezza della carne: non vedevano quel soave e forte amore, né lo zelo che Dio infondeva nel loro cuore, e che è tanto vivo e forte che se uno vi si attacca bene non può mai perire.
Non si trova via né più breve, né migliore, né più sicura per la nostra salvezza di questa nuziale e dolce veste della carità, la quale dà tanta fiducia e tanto vigore all'anima, che essa si presenta a Dio senza alcun timore. Ma, per contrario, se si trova nuda di carità al tempo della morte, resta tanto abbietta e vile che se ne andrebbe in ogni altro luogo, quanto si voglia tristo e cattivo, per non comparire alla divina presenza. Infatti, poiché Dio è semplice e puro, non può ricevere in sé altra cosa, che non sia puro e semplice amore. Essendo Dio un mare d'amore, nel quale restano annegati e inabissati tutti i Santi, è impossibile che una qualsiasi minima imperfezione vi possa entrare, e perciò l'anima nuda di carità, quando è separata dal corpo in questo mondo però, piuttosto che presentarsi a quella nettezza e semplicità (di Dio) si getta nell'inferno. O amore puro, ogni minima macchia di difetto è per te grande inferno e ancora più aspro di quello dei dannati per l'impeto e la veemenza tua. Questo non crederà, né potrà intendere se non chi sarà in te esperto ed esercitato.
* Dialogo, III parte, in Opere di Santa Caterina da Genova



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