venerdì 28 marzo 2014

La storia: L’antenna ribelle


 
Tema: Vedere
C'era una volta, sui tetti rossi di un grande condominio, un'antenna della televisione che faceva con molta diligenza il suo dovere. Era un'antenna centralizzata e doveva quindi trasmettere le immagini sui televisori di tutti gli alloggi. Erano anni che si trovava lassù e ormai conosceva tutti. Ogni giorno mandava nei televisori del condominio le immagini che catturava nell'aria, quelle immagini che lei sola vedeva e sentiva. Era infatti circondata da un turbinio continuo di colori e suoni invisibili a tutti, ma non a lei. Li ordinava e li trasmetteva agli apparecchi televisivi. La sua giornata cominciava prestissimo. Il commendator Bepoli del secondo piano si svegliava alle sei e voleva vedere un telegiornale. Nico e Mario, i fratellini del terzo piano volevano i cartoni animati alle otto e li guardavano standosene beatamente a letto. Quanto li invidiava la buona antenna! Specialmente d'inverno, quando fischiava un vento gelido e i ghiaccioli l'appesantivano e doveva aggrapparsi con tutte le sue forze alle tegole per rimanere ben dritta e non rovinare le immagini. Poi venivano i telefilm e le telenovele che commuovevano tanto anche lei. «Matrimonio proibito» per le sorelle Bellotti del terzo piano, «Perla Nera» per l'abbondante signora Sirano del piano terra e «Dolore, lacrime e sconquassi» per il ragioniere in pensione Russo, che guardava le telenovele, ma non voleva farlo sapere a nessuno. Poi Beautiful e Karaoke per Lilli, la figlia ventenne dei signori Dolcetti del quinto piano. E così via, per tutto il giorno e buona parte della notte: partite, film, documentari, videoclip, varietà, e perfino «tribune politiche» (le più pericolose, perché rischiava sempre di addormentarsi). La più bella trasmissione della vita Ogni volta che c'era un televisore acceso, l'antenna entrava in un appartamento e non si limitava a mandare le immagini richieste, ma approfittava degli occhi elettronici del televisore per dare una sbirciatina all'interno. Molti lasciavano il televisore acceso mentre facevano altro e la nostra antenna imparò a conoscere le persone del suo palazzo, anche oltre i gusti televisivi di ciascuno. Così si accorse che c'erano tante cose che non andavano. «E se non ci penso io», si disse «non troveranno mai un rimedio. Non se ne accorgono neppure, questo è il vero guaio!». Prese la sua decisione. Raccolse tutte le forze, si concentrò fino a cigolare come una banderuola arrugginita, e realizzò la più bella trasmissione della sua vita. Invece di prendere le immagini all'esterno, cominciò a prenderle in un appartamento e a trasmetterle in un altro. Con un suo progetto. Cominciò dalle sorelle Bellotti. Invece della telenovela preferita videro improvvisamente sullo schermo del loro televisore una vecchietta, che fissava una fotografia, con infinita tristezza. «Sarà una nuova telenovela», disse la sorella maggiore. «Ma quella è la vecchietta del quarto piano!», esclamò la minore. «E’ una diva della tv?». «Ma no, quella è proprio la sua casa. Guarda le finestre». Si misero a guardare con attenzione. La vecchietta aveva gli occhi pieni di lacrime. Si asciugò gli occhi con un angolo del grembiule. Mangiò qualche cucchiaiata di minestrina, controvoglia, sempre guardando la fotografia appoggiata alla bottiglia dell'acqua. «Io non l'ho mai neanche salutata», disse la maggiore delle sorelle Bellotti. «Deve essere tremendamente sola», fece eco la minore. «Perché non la invitiamo a prendere il caffè?», disse la maggiore. «E due biscotti», aggiunse la minore. «Andiamoci subito», disse la maggiore. Le due sorelle si alzarono e per la prima volta in tanti anni dimenticarono la loro telenovela. In quattro si litiga meglio. Nico e Mario si stavano dedicando al loro sport preferito che consisteva nel litigare per tutto. Il televisore trasmetteva un documentario sugli animali, che improvvisamente si interruppe. «Guarda», disse Nico. «C'è una nuova pubblicità». Erano apparsi due ragazzini che giocavano nella loro stanza. «Ma... ma...», balbettò Mario. «Quelli sono i figli del portinaio!». «E quello è il gioco rotto che abbiamo buttato nella spazzatura ieri». «E quelli sono i miei giornalini vecchi». Nico e Mario rimasero in silenzio. «Giocano con quello che noi buttiamo via...», disse Nico. «Chiamiamoli a giocare con noi!», replicò Mario. «In quattro si litiga meglio che in due», concluse Nico. «Mamma, saremo in quattro a merenda», gridarono insieme e uscirono. La graziosa Lilli si pettinava e sospirava per Fiorello, il divo della tv che le faceva battere il cuore. Insieme a Ridge di Beautiful. Com'erano scintillanti loro, altro che quei brufolosi ragazzi del gruppo parrocchiale. Così noiosi. Meglio zitella che sposare uno di quelli. Ma ecco che la sua trasmissione preferita si interruppe e sui teleschermo apparve una stanzetta semplice ma ordinata. Con qualche cosa di familiare. Chino sul tavolo, un ragazzo con i capelli cespugliosi studiava su un grosso libro di giurisprudenza. Si intuiva chiaramente che cascava dal sonno, ma stringeva i pugni e leggeva e rileggeva. «Oh cielo!», fece Lilli. «Quello è il ragazzo del quinto piano, che fa il fattorino ai Grandi Magazzini... Di giorno... Mi saluta tutte le volte che lo incrocio sulle scale... e io non l'ho mai degnato di uno sguardo... Ma quanto sono stupida... Mamma», gridò all'improvviso «posso invitare un amico per il pranzo di Natale?». In tutti gli appartamenti del condominio succedeva la stessa cosa. Persone che vivevano nella stessa casa, che si incrociavano tante volte al giorno su scale, pianerottoli e ascensori, che magari vivevano nello stesso appartamento, improvvisamente «si vedevano» per la prima volta. E in alto sul tetto, l'antenna spossata, ma felice, gongolava, preparandosi a fare di nuovo il suo dovere e trasmettere la puntata di «Sentieri».

Riflessione 

Viviamo in una società dove si pensa unicamente a se stessi. Sempre presi dal lavoro e sempre indaffaranti a cercare di guadagnare più soldi possibile.
Ci lamentiamo spesso dell'indifferenza degli altri....ma noi, cosa facciamo?
Quante volte usciamo da casa e non ci accorgiamo delle persone che ci passano accanto? A volte basta un semplice sorriso o un "ciao" detto con il cuore. Ma non c'è bisogno di uscire fuori, basta guardare anche dentro casa, in famiglia o al lavoro... trascorriamo con tanti, diverse ore del giorno ma alla fine è come se non esistessero. Facciamo soffrire tante persone con questo nostro modo di comportarci. Allora... se non vogliamo essere anche noi visti come un bel soprammobile, sforziamoci ad andare oltre il nostro naso. Come possiamo dire di amare Dio se non vediamo la Sua immagine nel volto degli altri?

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