Dio porta avanti la
vita di questo meraviglioso mondo in un continuo avvicendamento: al
giorno segue la notte, all'autunno, l'inverno, all'inverno la
primavera; un giorno non è mai la monotona ripetizione di un altro;
ce ne sono di nuvolosi, di piovosi, di secchi, di agitati dal vento;
tutta questa varietà conferisce all'universo una grande bellezza.
La stessa cosa
avviene per l'uomo, che, secondo gli antichi, è un piccolo mondo;
perché non si trova mai nella stessa condizione, e la sua vita
scorre su questa terra come le acque che scrosciano e ondeggiano in
un continuo turbinio di movimenti; e ora lo alzano verso la speranza,
ora lo prostrano nella paura, ora lo spingono verso la destra della
consolazione, ora verso la sinistra dell'afflizione, e non si dà mai
un giorno solo, anzi nemmeno un'ora sola, che sia identica all'altra.
Voglio darti un
consiglio fondamentale: dobbiamo sforzarci di conservare una continua
ed inattaccabile uguaglianza di cuore in una simile varietà di
situazioni; e benché intorno a noi tutto muti in continuazione,
dobbiamo rimanere saldamente fermi per guardare, tendere e protendere
sempre al nostro Dio.
Qualunque rotta
prenda la nave, sia che faccia vela verso ponente o verso levante,
verso mezzogiorno o verso settentrione, qualunque sia il vento che la
spinge, l'ago della bussola sarà sempre rivolto alla bella stella e
al polo.
Anche se tutto
dovesse capovolgersi, non soltanto intorno a noi, ma anche dentro di
noi, nonostante tutto, per sempre e costantemente, la punta del
nostro cuore, il nostro spirito, la nostra volontà superiore, che è
la nostra bussola, deve guardare senza sosta e tendere stabilmente
verso l'amore di Dio suo Creatore, suo Salvatore, suo unico e supremo
bene. E questo indipendentemente dal fatto che la nostra anima sia
nella tristezza o nella gioia, nella dolcezza o nell'amarezza, in
pace o nel turbamento, nella luce o nelle tenebre, nella tentazione o
nella serenità, nel piacere o nel disgusto, nella aridità o nella
tenerezza, sia infine che il sole la bruci o che la rugiada la
rinfreschi!
Sia che tu viva o tu
muoia, dice l'apostolo, sei in Dio. Chi ci separerà dalla carità e
dall'amore di Dio? Niente mai potrà separarci da quest'amore: né la
tribolazione, né l'angoscia, né la morte, né la vita, né il
dolore presente, né il timore degli eventi futuri, né le arti dello
spirito maligno, né la grandezza delle consolazioni, né la
tenerezza, né l'aridità: nulla dovrà mai separarci da questa santa
carità fondata su Gesù Cristo.
Questo proposito così
saldo di non abbandonare Dio e il suo tenero amore, è il contrappeso
necessario perché le nostre anime si conservino nella santa
uguaglianza in mezzo all'intreccio delle varie spinte che la natura
di questa vita porta con sé.
Allo stesso modo che
le api sorprese dal vento in aperta campagna, afferrano dei sassetti
per potersi bilanciare nel volo e non essere facilmente travolte
dalla tempesta, la nostra anima, che ha con forza e decisione
abbracciato il prezioso amore di Dio, rimane salda in mezzo alla
varietà e alternarsi di consolazioni e afflizioni, tanto spirituali
che temporali, esteriori e interiori.
Ma oltre a questi
insegnamenti di carattere generale, abbiamo bisogno di qualche
indicazione specifica.
1. Ripeto che la
devozione non consiste nella dolcezza, soavità, consolazione e
tenerezza sensibile del cuore, che ci porta alle lacrime e ai sospiri
e ci dà una certa gradevole e sensibile emozione in qualche
esercizio di pietà. No, cara Filotea, queste emozioni e la devozione
non sono nemmeno parenti! Ci sono molte anime che godono di queste
tenerezze e consolazioni e che, non per questo, cessano di essere
viziose, e di conseguenza non hanno un vero amore di Dio e, ancor
meno, una vera devozione. Saul, mentre perseguitava a morte il povero
Davide, fuggiasco davanti a lui nel deserto di Engaddi, un giorno
penetrò tutto solo in una caverna in cui era nascosto Davide con i
suoi; Davide in quell'occasione avrebbe potuto ucciderlo molto
facilmente, ma gli risparmiò la vita; non solo, ma non volle nemmeno
spaventarlo. Lo lasciò uscire e poi lo chiamò per dimostrargli in
tal modo la propria innocenza e fargli sapere che lo aveva avuto alla
sua mercè. E cosa non fece mai allora Saul per dimostrare che il suo
cuore era commosso di fronte a Davide? Lo chiamò figlio mio, si mise
a piangere ad alta voce, a lodarlo, ad esaltarne la bontà, a pregare
Dio per lui, a predirne la futura grandezza, a raccomandargli i
posteri. Come avrebbe potuto manifestare una maggiore dolcezza e
tenerezza di cuore? Ciononostante nulla era cambiato nella sua anima,
e continuò la persecuzione contro Davide, inesorabile come prima.
Ci sono persone che
assomigliano a Saul, che riflettendo sulla bontà di Dio e sulla
Passione del Salvatore, provano momenti di forte commozione e
sospirano, versano lacrime, pregano e rendono grazie con modi molto
sensibili. Si direbbe che sono presi da una fortissima devozione. Ma
quando si giunge alla prova, ci si accorge che assomigliano ai
temporali passeggeri di una estate molto calda, allorché cadono
sulla terra grossi goccioloni senza penetrare in profondità e sono
utili soltanto a far crescere funghi; infatti tutte quelle lacrime e
tutte quelle tenerezze cadono su un cuore vizioso e non lo penetrano,
per cui non gli sono di alcun giovamento. Nonostante tutte le
apparenze, quella brava gente non si priverà di una sola lira di
quanto possiede dopo averlo accumulato poco onestamente; non
rinuncerà a uno solo degli affetti perversi, a un briciolo dei
propri agi per il servizio del Salvatore sul quale ha pianto. I buoni
movimenti che ha provato, sono soltanto funghi spirituali che, non
solo non sono vera devozione, ma spesso sono soltanto astuzie del
maligno, il quale distrae le anime con queste piccole consolazioni; e
così le rende contente e soddisfatte di modo che non cercano la vera
e solida devozione, che consiste in una volontà costante, decisa,
pronta e operante di attuare ciò che sappiamo essere gradito a Dio.
Un bambino piangerà
teneramente se vede assestare un colpo di bisturi alla mamma per un
salasso; ma, se nello stesso tempo, sua madre, per la quale sta
piangendo, gli dovesse chiedere la mela o il cartoccio di confetti
che ha in mano, vedresti che non vuole cederle nulla. Molte delle
nostre devozioni sono simili: quando pensiamo al colpo di lancia che
trafisse il cuore di Gesù Cristo Crocifisso, piangiamo teneramente.
Filotea, è cosa ben fatta piangere sulla morte e sulla passione
dolorosa del nostro Padre e Redentore; ma perché non vogliano dargli
il nostro cuore, la mela che @abbiamo in mano e che egli ci chiede
con tanta insistenza, l'unico frutto d'amore che il Salvatore ci
chiede? Perché non vogliamo lasciargli i nostri piccoli affetti, i
nostri piccoli piaceri e le soddisfazioni? Egli vuole strapparcele
dalle mani e non ci riesce, perché sono i nostri confetti e noi ne
siamo molto più golosi che della sua grazia celeste.
Questi sono
sentimenti da bambini, teneri ma deboli, fantasiosi, ma senza
seguito.
La devozione non
consiste in queste tenerezze e in questi affetti sensibili, che a
volte provengono dalla natura talmente debole e impressionabile da
assorbire tutte le impressioni che le si vogliono dare. Altre volte
vengono dal maligno che per impacciarci nel cammino provoca la nostra
immaginazione alla tensione che ci porta a quei risultati inutili.
2. Queste emozioni e
dolcezze affettuose, qualche volta possono anche risultare utili
perché provocano nell'anima il desiderio della devozione, danno
conforto allo spirito, aggiungono alla presenza della devozione una
santa gioia e una serena allegria che rende le nostre azioni
spigliate e piacevoli anche esteriormente.
Questo gusto per le
cose divine faceva esclamare a Davide: 0 Signore, quanto dolci sono
le tue parole al mio palato, sono più dolci del miele alla mia
bocca. La più piccola consolazione che ci viene dalla devozione, in
ogni modo, vale più di tutte le gioie del mondo.
Il seno e il latte,
ossia i favori dello sposo divino, per l'anima, sono migliori del
vino più pregiato, ossia dei piaceri della terra: chi li ha
assaporati considera tutte le altre consolazioni fiele e assenzio.
Chi mastica erba
scitica (=monocotiledone) ne riceve una tale dolcezza che non prova
più né fame né sete; allo stesso modo coloro ai quali Dio ha
concesso la manna celeste delle soavità e delle consolazioni
interiori, non possono più desiderare né ricevere le consolazioni
del mondo; o almeno non possono trovarvi piacere o impegnarvi i loro
affetti.
Sono piccoli assaggi
delle dolcezze immortali che Dio concede alle anime che lo cercano;
sono zuccherini che egli porge ai suoi figli più piccoli per
invogliarli; sono bevande toniche che offre loro per sostenerli, e
qualche volta sono anticipi delle eterne ricompense.
Si dice che
Alessandro Magno, veleggiando in alto mare, scoprì per la prima
volta l'Arabia felice guidato dai profumi che il vento gli aveva
portato; questo diede coraggio sia a lui che ai suoi compagni. Allo
stesso modo anche noi, nel mare di questa vita terrena, riceviamo
dolcezze e soavità che ci fanno pregustare le delizie di quella
Patria celeste alla quale tendiamo ed aspiriamo. ed aspiriamo.
3. Ma, mi dirai, dato
che ci sono consolazioni sensibili buone che vengono da Dio, e ce ne
sono anche di inutili, pericolose e persino dannose, che provengono
dalla natura o anche dal nemico, come potrò distinguere le une dalle
altre e riconoscere le cattive e le inutili in mezzo alle buone? E’
dottrina comune, cara Filotea, circa gli affetti e le passioni della
nostra anima, che le possiamo riconoscere dai loro frutti. 1 nostri
cuori sono alberi, gli affetti e le passioni i rami, le opere e le
azioni i frutti. E’ buono il cuore che ha buoni affetti e sono
buoni gli affetti e le passioni che producono in noi buoni frutti e
sante azioni.
Se le dolcezze, le
tenerezze e le consolazioni ci rendono più umili, pazienti,
trattabili, caritatevoli e comprensivi nei confronti del prossimo,
più pronti a mortificare le nostre concupiscenza e le cattive
inclinazioni, più costanti nei nostri esercizi, più docili e
disponibili nei confronti di coloro ai quali dobbiamo obbedire, più
semplici nella nostra vita, in tal caso possiamo essere certi,
Filotea, che vengono da Dio; ma se le dolcezze sono tali solo per
noi, ci rendono strani, aspri, puntigliosi, impazienti, cocciuti,
orgogliosi, presuntuosi, duri nei confronti del prossimo e, già
pensando di essere dei santarelli, rifiutiamo di sottometterci alla
direzione e alla correzione, si tratta, fuor di dubbio, di
consolazioni false e dannose: un buon albero produce esclusivamente
buoni frutti.
4. Allorché
riceviamo dolcezze e consolazioni,
a) dobbiamo umiliarci
profondamente davanti a Dio; stiamo bene attenti a non dire, provando
quelle dolcezze: come sono santa! Filotea, quelli sono doni che non
ci rendono migliori, perché, come ho già detto, la devozione non
consiste in questo. Diciamo invece: Com'è buono il Signore con
quelli che sperano in lui, con l'anima che lo cerca! Chi ha dello
zucchero in bocca non può dire che sia la sua bocca ad essere dolce,
ma deve dire che è lo zucchero che è dolce; la dolcezza spirituale
che ci viene data è senz'altro ottima e ottimo anche Dio che ce la
dà, ma non se ne conclude che sia buono anche chi la riceve!
b) Riconosciamo di
essere ancora bambini bisognosi di latte e che, se ci vengono date
queste zollette di zucchero, è perché abbiamo ancora lo spirito
tenero e delicato, che ha bisogno di allettamenti e di lusinghe per
essere attirato all'amore di Dio.
c) Tenendo presente
tutto ciò, in linea di massima, prendiamo l'abitudine di ricevere
con umiltà quelle grazie e quei favori, stimandoli molto grandi, non
tanto perché lo sono in se stessi, ma ancor più perché vengono
dalla mano di Dio, che li pone nel nostro cuore. Proprio come una
madre che, per dimostrare affetto al figlio, gli mette in bocca con
la propria mano, una dopo l'altra, le zollette di zucchero e le
caramelle; se il bambino è sensibile apprezza molto di più la
dolcezza, la grazia e la carezza della mamma, che lo zucchero delle
caramelle. Vedi, Filotea, possedere delle dolcezze è molto, ma la
dolcezza più grande è sapere che è Dio con la sua mano amorevole e
materna a depositarcele in bocca, nel cuore, nell'anima, nello
spirito.
d)
Dopo averle ricevute con
molta umiltà, serviamocene attentamente secondo l'intenzione di
Colui che ce le ha date. Perché Dio ci ha dato queste dolcezze? Per
renderci amabili con tutti e pieni di amore verso di Lui. La mamma dà
una caramella al bambino per averne un bacio! E allora baciamo questo
Salvatore che ci fa dono di tante dolcezze. Baciare il Salvatore, lo
sai bene, vuol dire obbedirgli, osservare i suoi comandamenti, fare
la sua volontà, seguire i suoi desideri; in breve: abbracciamolo
teneramente con obbedienza e fedeltà.
Quando riceviamo
consolazioni spirituali, dobbiamo essere ancora più attenti ad agire
bene e ad umiliarci. e)
Ogni tanto, poi, bisogna
saper rinunciare a queste dolcezze, tenerezze e consolazioni; bisogna
staccarne il cuore e protestare che, pur accettandole con umiltà ed
amandole, perché è Dio che ce ne fa dono per attirarci al suo
amore, tuttavia non sono quelle che noi cerchiamo, ma soltanto Dio e
il suo santo amore. Non cerchiamo le consolazioni, ma il Consolatore;
non le dolcezze, ma il nostro dolce Salvatore; non le che è la
Soavità del cielo e della sentimento dobbiamo Prepararci a santo
amore di Dio, anche se in non dovessimo mai incontrare alcuna
consolazione. Noi vogliamo dire sul Calvario quello che diciamo sul
Tabor: Signore, è bello stare qui con te, sia che io ti veda sulla
Croce, come nella tua Gloria.
f) Infine, se ti
dovesse capitare di trovarti in molte consolazioni, tenerezze,
lacrime e dolcezze, o qualche altro favore divino da esse dipendente,
ti consiglio di riferirne fedelmente alla tua guida spirituale, per
sapere come devi comportarti e regolarti, perché sta scritto: Hai
trovato il miele? Mangiane soltanto per star bene!
S.
Francesco di Sales: La Filotea
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