mercoledì 28 maggio 2014

S. Giovanni della Croce: Notte Oscura - Libro I


Ove si tratta della notte dei sensi.

Strofa
In una notte oscura,
con ansie, dal mio amor tutta infiammata,
oh, sorte fortunata!,
uscii, né fui notata,
stando la mia casa al sonno abbandonata.

Spiegazione

1. In questa prima strofa l’anima racconta in che modo si è dovuta distaccare affettivamente da se stessa e da tutte le cose, cioè come abbia dovuto praticare una radicale rinuncia per morire a queste cose e a se stessa. Solo così è riuscita a vivere una vita d’amore con Dio, piena di dolcezze e delizie spirituali. Afferma, altresì, che tale distacco è stato una notte oscura, termine che qui si riferisce alla contemplazione purificante. Mediante questa, come dirò più avanti, si opera passivamente nell’anima la suddetta rinuncia a se stessa e a tutte le cose.
2. Se ha potuto operare il distacco – tiene a precisare –, lo ha fatto con la forza e la veemenza dell’amore che lo Sposo le ha concesso in questa contemplazione oscura. In tutto ciò riconosce la felice sorte, che le è toccata, di arrivare a Dio attraverso questa notte con così grande fortuna, che nessuno dei tre nemici, cioè il mondo, il demonio e la carne, che ostacolano sempre il cammino, ha potuto impedirle di avanzare. Difatti la notte della contemplazione purificante ha assopito e addormentato nella casa della sua sensibilità tutte le passioni e le tendenze che le erano contrarie. Per questo il verso dice: In una notte oscura.
CAPITOLO 1
Ove si comincia a parlare delle imperfezioni dei principianti.
1. L’anima comincia a entrare in questa notte oscura quando Dio la fa uscire dallo stato dei principianti, cioè di coloro che si servono ancora della meditazione nel cammino spirituale, e la trasferisce gradatamente in quello dei proficienti, cioè quella dei contemplativi. Superato questo stadio, la conduce allo stato dei perfetti, che è quello dell’unione con Dio. Al fine di chiarire e meglio comprendere che notte sia quella che l’anima deve attraversare e per quale motivo il Signore ve la ponga, è opportuno prima d’ogni cosa accennare ad alcune imperfezioni dei principianti. Lo farò molto rapidamente, ma non per questo ciò sarà inutile agli stessi principianti. Difatti, anche in questo modo, essi potranno comprendere lo stato di vita in cui giacciono, per poi sentirsi spinti a desiderare che Dio li faccia entrare in questa notte, dove l’anima si fortifica attraverso l’esercizio delle virtù e gusta le inestimabili delizie dell’amore di Dio. Se mi dilungherò un po’, non sarà più di quanto basti per poter trattare subito dopo della notte oscura.

2. Occorre quindi sapere che quando l’anima si decide a servire solo Dio, abitualmente viene da lui nutrita nello spirito e diventa l’oggetto delle sue compiacenze, come fa una madre amorosa verso il suo tenero bambino: lo scalda con il calore del suo seno, lo nutre con latte gustoso e con cibi delicati e dolci, lo porta in braccio e lo copre di carezze. Ma a mano a mano che cresce, la madre diminuisce le carezze, gli nasconde il suo amore tenero, lo distacca dal suo dolce seno, sul quale pone aloe amaro; facendo poi discendere il bambino dalle braccia, lo fa camminare sulle sue gambe, perché superi le limitazioni proprie dell’infanzia e acquisti le caratteristiche dell’uomo adulto. La grazia di Dio, come madre amorosa, si comporta allo stesso modo con l’anima dal momento in cui la rigenera con l’ardente desiderio di servire il Signore. Le fa trovare, senza alcuna fatica, la dolcezza e il sapore del latte spirituale in tutte le cose di Dio e gustare una gioia grande negli esercizi spirituali; in breve, il Signore le porge il suo petto amoroso come a un bambino piccolo (cfr. 1Pt 2,2-3).
3. Così l’anima prova grande gioia nel trascorrere lunghi periodi e addirittura notti intere in orazione; ha piacere di darsi alle penitenze, è contenta di digiunare, si consola nel frequentare i sacramenti e occuparsi delle cose divine. Ma nonostante si dedichi a queste pratiche con impegno e assiduamente, ne approfitti e se ne serva con la più grande cura, tuttavia, da un punto di vista spirituale, abitualmente si comporta con molta fiacchezza e imperfezione. Difatti è spinta a queste pratiche ed esercizi spirituali dalla consolazione e dal gusto che vi prova e, non essendo ancora temprata dagli esercizi di una dura lotta per acquistare la virtù, commette molte mancanze e imperfezioni in queste pie pratiche. In realtà, ogni anima agisce secondo il grado di perfezione che possiede. Ma poiché non ha avuto modo di acquisire delle abitudini forti, necessariamente si comporterà con la debolezza di un esile bambino. Bisogna esporre con più chiarezza questa verità e mostrare come siano imperfetti nella virtù i principianti che agiscono con la facilità e il gusto sopra descritti. A tale scopo parlerò dei sette vizi capitali, enumerando alcune delle molte imperfezioni che i principianti commettono in ciascuno di essi. In questo modo si potrà chiaramente constatare quanto si comportino da bambini. Si potranno, altresì, notare i vantaggi che apporta la notte oscura, di cui parlerò tra poco, perché libera e purifica l’anima da tutte queste imperfezioni.
CAPITOLO 2
Ove si parla di alcune imperfezioni spirituali proprie dei principianti relativamente alla superbia.
1. I principianti, proprio perché agli inizi, si sentono pieni di fervore e sono molto diligenti nelle cose spirituali e negli esercizi di pietà. Ora, anche se è vero che le cose sante di per sé inclinano all’umiltà, tuttavia lo stato imperfetto dei principianti provoca in essi un certo orgoglio segreto che li induce a qualche soddisfazione per le loro azioni e per se stessi. Di qui nasce in loro una certa vanità, talora molto grande, di parlare delle cose spirituali in presenza di altri e, a volte, di voler loro insegnare più che essere disposti a imparare. Inoltre, in cuor loro, condannano gli altri quando non vedono in essi quella forma di devozione che vorrebbero praticassero. Capita anche che glielo dicano apertamente, come il fariseo che si vantava ringraziando Dio per le proprie opere, ma disprezzava il pubblicano (cfr. Lc 18,11-12).
2. Tuttavia, molto spesso è il demonio che accresce nei principianti il fervore e il desiderio d’intraprendere queste e altre opere, perché aumentino in superbia e presunzione. Sa molto bene, infatti, che tutte queste opere e questi atti di virtù, che i principianti compiono, non solo non valgono nulla, ma si trasformano in vizi. Alcuni arrivano a tale distorsione da non volere che nessuno, all’infuori di loro, venga reputato buono. Così, all’occasione, li si vede parlare e agire per condannare e denigrare, osservando la pagliuzza nell’occhio del proprio fratello, mentre non si accorgono della trave che hanno nel proprio (Mt 7,3); filtrano il moscerino dell’altro e ingoiano il proprio cammello (Mt 23,24).
3. A volte addirittura, quando i loro maestri spirituali, cioè i confessori e i superiori, non approvano il loro spirito e modo di agire, poiché vogliono che il loro operato venga stimato e lodato, dichiarano di non essere compresi: non considerano quelli come uomini spirituali, perché non approvano il loro comportamento e non vi accondiscendono. Maturano così il desiderio di avere un’altra guida e cercano di trovarne una che si adatti ai loro gusti. Di solito, infatti, cercano qualche persona disposta a lodare e stimare il loro operato. Fuggono, invece, come la peste quelle persone che demoliscono tale operato per rimetterli nel giusto cammino. A volte addirittura le prendono in antipatia. Nella loro presunzione sono soliti fare molti propositi e mantenerne pochi. Sentono il desiderio che altri conoscano il loro genere di spiritualità e la loro devozione, e a tale scopo ostentano gesti, emettono sospiri, assumono strani atteggiamenti. Talora hanno rapimenti, in pubblico preferibilmente che in privato, aiutati in questo dal demonio. Si compiacciono quando questi fenomeni, che ardentemente desiderano avere, sono conosciuti da tutti.
4. Molti vogliono essere preferiti dal confessore e così nascono mille invidie e inquietudini. Si sentono imbarazzati a dire i propri peccati in maniera nuda e semplice per paura che il confessore li stimi meno, e cercano di colorarli perché non appaiano tanto brutti; in breve, s’industriano a scusarsi più che ad accusarsi. A volte cercano un altro confessore per accusare quanto hanno di grave, perché il confessore ordinario non pensi che hanno commesso qualcosa di male, ma conosca solo il bene. Così sono contenti di raccontargli solo le cose buone e spesso in termini esagerati o quanto meno con l’intenzione che le loro opere siano ritenute buone. Ma, come dirò più avanti, sarebbe più umile non parlare di tali opere, anzi desiderare che né il confessore né altri le stimino affatto.
5. Inoltre alcuni di questi principianti considerano poca cosa le loro mancanze, mentre altre volte si rattristano troppo quando le commettono. Pensano che dovrebbero essere già dei santi e se la prendono con se stessi o s’impazientiscono, il che è una vera e propria imperfezione. Chiedono a Dio con viva insistenza di liberarli dalle loro imperfezioni e dalle loro mancanze, ma, più che per amor suo, per poter stare in pace senza il fastidio che esse procurano. Non si accorgono che, se Dio li esaudisse, forse diventerebbero più superbi e presuntuosi. Odiano elogiare gli altri, mentre amano essere lodati e a volte persino lo pretendono; sono simili alle vergini stolte che, avendo le lampade spente, volevano l’olio delle altre (Mt 25,8).
6. Alcuni cadono in molte e più gravi imperfezioni o arrivano persino a commettere molti peccati. Per gli uni, il male è più o meno grande; altri non ne subiscono che i primi moti o poco più. Rari sono i principianti che al tempo dei primi fervori non cadono in simili imperfezioni. Quelli, invece, che in questo periodo seguono il cammino della perfezione agiscono in tutt’altra maniera e con uno spirito molto diverso. Difatti compiono progressi nell’umiltà e vi si consolidano molto, non solo considerando un nulla le loro opere, ma sentendosi altresì poco soddisfatti di se stessi. Ritengono migliori tutti gli altri e provano per essi una santa invidia, desiderosi di servire Dio come loro. Più il loro fervore è grande, più opere buone compiono provando in esse una viva gioia, dal momento che si tengono nell’umiltà; più riconoscono, altresì, l’onore e la gloria che spettano a Dio e quanto poco fanno per lui. Per questo motivo, più lavorano per la sua gloria, più si sentono insoddisfatti. È così intensa la carità e grande l’amore per il Signore che tutto ciò che fanno per lui è nulla in confronto a quanto vorrebbero fare. Tale sollecitudine d’amore li spinge, li preoccupa e li inebria talmente che non si accorgono se gli altri fanno o non fanno; e se vi pongono attenzione, sono convinti che tutti gli altri siano migliori di loro. Stimando poco se stessi, desiderano che anche gli altri non li stimino e non considerino, anzi disprezzino le loro opere. Ma c’è di più: ogni volta che qualcuno li loda o dimostra stima, non gli credono affatto e sembra ad essi davvero strano che si dica bene di loro.
7. Costoro, nella massima serenità e umiltà, desiderano vivamente che s’insegni loro tutto ciò che può essere utile. Si comportano molto diversamente dai principianti, di cui sopra, che vorrebbero insegnare a tutto il mondo; anzi, quando s’accorgono che qualcuno vuole insegnare loro qualcosa, prendono subito la parola come se sapessero già quel che si andrà a dire. Le persone umili, invece, non si sentono maestre di nessuno; vanno spedite per la loro strada e sono totalmente disposte a imboccarne un’altra se qualcuno glielo comanda, perché pensano di non riuscire mai in nulla. Sono contente quando vengono lodati gli altri e si rammaricano solo di non servire Dio come loro. Non desiderano parlare delle loro cose, perché le stimano poco, e hanno ritegno persino a dirle al loro direttore spirituale, convinte che non siano meritevoli d’essere riferite. Amano parlare delle loro mancanze e dei loro peccati più che sciorinare le loro virtù. Di conseguenza, cercano preferibilmente il direttore che stima meno le loro opere e il loro comportamento; tutto questo è indice di spirito semplice, puro e sincero, molto gradito a Dio. Infatti, poiché Dio ha infuso lo spirito di saggezza nelle anime umili, le muove e le spinge a tenere segreti i loro tesori e a manifestare le loro miserie. Alle persone umili, insieme con le altre virtù, Dio dà questa grazia che nega ai superbi.
8. Gli umili sono pronti a dare il sangue del loro cuore a colui che serve Dio e ad aiutare con tutte le forze chi lo serve. Quanto alle imperfezioni in cui si accorgono di cadere, sono motivo per essi di sopportarsi con umiltà, dolcezza di spirito e timore pieno di amore per Dio e di fiducia in lui. Ma le anime che all’inizio camminano in questa via di perfezione, come ho detto, sono molto poche; mi contenterei se non cadessero nei difetti contrari. Proprio per questo, come dirò in seguito, Dio introduce nella notte oscura coloro che vuole purificare da tutte queste imperfezioni per farli progredire.
CAPITOLO 3
Ove si parla di alcune imperfezioni in cui cadono alcuni principianti circa l’avarizia spirituale, che è il secondo vizio capitale.
1. A volte, molti di questi principianti cadono in una grande avarizia spirituale, perché non si contentano della vita spirituale che Dio dona loro. Sono molto scontenti e insoddisfatti perché non trovano la consolazione che si aspettavano dagli esercizi di pietà. Molti non si stancano mai di chiedere consigli o di apprendere regole di vita spirituale, di possedere o di leggere una grande quantità di libri che trattano di questo argomento. Spendono più tempo in questo che nel praticare la mortificazione o nel perfezionare la povertà di spirito come dovrebbero. Oltre a questo, si caricano d’immagini e di corone del rosario molto originali; ne lasciano alcune per prenderne altre; le cambiano e le ricambiano; le vogliono ora in un modo ora in un altro, affezionandosi più a questa croce che a quella, perché più originale. Inoltre si vedono altri principianti ricoperti di agnusdei, di reliquie o di “liste di santi”, come i fanciulli dei loro giocattoli. In tutto questo io condanno lo spirito di possesso, perché l’attaccamento che nutrono per la forma, la quantità e la rarità di tali oggetti è contrario alla povertà di spirito. Questa bada unicamente alla sostanza della devozione, contentandosi di ciò che basta ad alimentarla, mentre la quantità e la rarità degli oggetti porta alla noia. La vera devozione, infatti, deve partire dal cuore e guardare solo alla verità e alla sostanza di ciò che tali oggetti di devozione rappresentano. Tutto il resto non è che attaccamento e spirito di possesso dovuto a imperfezione, sicché per arrivare in qualche modo allo stato perfetto occorre liberarsi da simili tendenze sregolate.
2. Ho conosciuto una persona che per più di dieci anni si è servita di una croce fatta rozzamente con un ramo benedetto, fissata con un fil di ferro ripiegato all’intorno; non l’aveva mai lasciata e la portò sempre addosso finché non gliela tolsi. Ebbene, non era una persona di poco giudizio o di scarso buon senso. Ho conosciuto un’altra persona che pregava con una corona fatta di lische di pesce; certamente la sua devozione non era meno preziosa agli occhi di Dio. È fuori dubbio che queste due persone non riponevano la loro devozione nella forma o nel valore di tali oggetti. Coloro, quindi, che seguono rettamente questi principi non si attaccano a questi strumenti visibili, non se ne aggravano né si preoccupano di sapere più di quanto conviene sapere per poter agire; mirano solo ad approfondire il loro rapporto con Dio e a piacergli. Questo è il loro unico desiderio. Danno con generosità tutto ciò che possiedono e la loro gioia consiste nel privarsi dei beni, sia spirituali che temporali, per amore verso Dio e per carità verso il prossimo. Costoro, ripeto, mirano in realtà solo alla vera perfezione interiore, cioè a piacere a Dio e a rinunciare a se stessi, in tutto.
3. Ma l’anima non può purificarsi completamente nemmeno da queste imperfezioni, come anche dalle altre, finché Dio non la colloca nella purificazione passiva di quella notte oscura di cui parlerò tra poco. È necessario, però, che l’anima, da parte sua, faccia quanto le è possibile per perfezionarsi, al fine di meritare che il Signore la sottoponga a quella purificazione che la guarisce da tutte le imperfezioni da cui non era riuscita a liberarsi da sola. Malgrado il suo impegno, l’anima non può con le sue forze raggiungere quella purificazione che la dispone, sia pure minimamente, all’unione con Dio nella perfezione dell’amore. Occorre che Dio prenda l’iniziativa e la purifichi nel fuoco per lei oscuro, e questo in un modo di cui dirò in seguito.
CAPITOLO 4
Ove si parla di altre imperfezioni in cui abitualmente cadono i principianti relativamente alla lussuria, terzo vizio capitale.
1. Oltre alle imperfezioni causate da ciascun vizio capitale, di cui sto parlando, molti principianti cadono in parecchie altre. Per il momento non parlo di queste ultime per evitare lungaggini; preferisco, invece, trattare solo di alcune delle principali, che sono come l’origine e la causa delle altre. Qui tratto del vizio della lussuria, ma mio unico intento non è quello di parlare dei peccati relativi a questo vizio capitale, nei quali cadono le persone spirituali, bensì di occuparmi delle imperfezioni da purificare nella notte oscura. Ora, sono molte le imperfezioni dei principianti su questo punto: si potrebbero chiamare lussuria spirituale, non perché lo siano in realtà, ma perché derivano da cose spirituali. Molte volte, infatti, accade che durante gli stessi esercizi di pietà insorgano, anche se non si vogliono, moti di sensualità e atti disordinati. A volte ciò si verifica persino quando lo spirito è immerso in una profonda orazione o si sta celebrando il sacramento della penitenza o dell’eucaristia. Queste sensazioni, come ho detto, non dipendono da noi; derivano da una delle tre cause seguenti.
2. La prima è il piacere che spesso la natura prova nelle cose spirituali. Difatti, come lo spirito e il senso provano piacere in tali cose, così ciascuna delle due parti dell’uomo si porta verso la soddisfazione secondo la propria natura e le proprie caratteristiche. Lo spirito, o parte superiore dell’uomo, si porta a godere Dio e a gustarlo, mentre la sensualità, o parte inferiore, ricerca il piacere e la soddisfazione dei sensi, perché non è capace di possedere o gustare altri piaceri: si attacca al piacere che le è più adeguato, cioè quello disordinato dei sensi. Accade così che l’anima, pur essendo tutta immersa con lo spirito in una profonda orazione alla presenza di Dio, nei sensi provi passivamente agitazioni, fermenti e atti sensuali, non senza grande ripugnanza da parte sua. Ciò accade spesso durante la comunione: poiché l’anima prova gioia e soddisfazione a compiere quest’atto d’amore, perché il Signore le concede questo dono proprio a questo scopo, anche la sensualità vuole la sua parte, come ho detto, però a modo suo. Poiché le due parti, in fondo, costituiscono un unico soggetto, ordinariamente ciascuna di esse partecipa in modo proprio a ciò che l’altra riceve. Dice infatti il Filosofo a tale proposito: Tutto ciò che si riceve, viene ricevuto secondo il modo di colui che riceve. Così, agli inizi e anche quando l’anima è già avanzata, essendo imperfetta la sensualità, molto spesso riceve lo spirito di Dio secondo il grado d’imperfezione in cui si trova. Al contrario, quando la parte sensitiva ha subito la purificazione della notte oscura, di cui parlerò dopo, non ha più queste debolezze; non è più essa, infatti, a ricevere lo spirito divino, ma piuttosto è ricevuta nello spirito divino; così tutto ciò che possiede, lo possiede secondo le modalità di questo spirito divino.
3. La seconda causa, da cui provengono a volte queste agitazioni, è il demonio. Costui cerca d’importunare e turbare l’anima che è in preghiera o vi si prepara; suscita nella natura questi movimenti disordinati e reca all’anima, che vi presta attenzione, un grande danno. Difatti non solo per la paura che le insinua la rende svogliata nell’orazione, che è quanto egli vuole, dovendo l’anima lottare contro simili suggestioni, ma spinge alcune persone ad abbandonare completamente la preghiera. Tali anime credono che simili agitazioni si verifichino proprio durante la preghiera e non in altri momenti. Ciò è vero, perché il demonio le suscita più in questi momenti che in altri, proprio perché abbandonino questo pio esercizio. Ma non è tutto. Arriva persino a presentare loro molto vivamente immagini brutte e turpi, collegandole a volte con l’immagine di un oggetto spirituale o di persone che fanno loro del bene, per spaventarle e confonderle. Così le persone che cadono in questa tentazione non osano più guardare o pensare a nulla, perché subito s’imbattono nella difficoltà di cui sopra. Tutto ciò si verifica in modo particolare e frequentemente nelle persone malinconiche con una veemenza tale che esse suscitano compassione. La loro vita è triste; la sofferenza è tale quando soffrono di quest’umore che sono convinte di avere il demonio in corpo e di non essere capaci di liberarsene; ciò nonostante, alcune di esse riusciranno a respingerlo se si faranno coraggio. Quando queste prove capitano a tali persone a motivo della loro malinconia, esse di solito non se ne liberano finché non guariscono da quest’umore, inoltrandosi nella notte oscura che a poco a poco le purifica di tutti questi mali.
4. La terza causa, da cui solitamente procedono e muovono guerra questi moti disordinati, è in generale la paura di provare ancora queste sensazioni e rappresentazioni turpi. Difatti questa paura, che improvvisamente si desta nelle persone a motivo di ciò che vedono, dicono o pensano, fa sì che esse abbiano quelle sensazioni senza alcuna loro colpa.
5. Ci sono, poi, delle anime dal temperamento così sensibile e delicato che, appena provano qualche gusto di devozione o di preghiera, si vedono pure immediatamente invase dallo spirito di lussuria. La sensualità le stordisce e le inebria a tal punto che sono come sommerse nelle attrazioni e nei piaceri di questo vizio. Entrambe queste sensazioni perdurano contemporaneamente e in modo passivo; a volte si constata anche che si sono verificati dei gesti grossolani e sconsiderati. Questo perché, come ho detto, hanno un temperamento sensibile e delicato; quindi alla minima emozione si agitano gli umori e il sangue, e provocano tali sconvolgimenti. Del resto, la stessa cosa accade loro quando si accendono d’ira o hanno qualche turbamento o qualche pena.
6. A volte queste persone spirituali, quando parlano di argomenti di devozione o compiono esercizi di pietà, si lasciano andare a una certa superbia e petulanza al pensiero dei presenti, con i quali si comportano con una sorta di vana compiacenza. Anche questo sentimento è frutto di lussuria spirituale, come la intendo qui, e di solito la volontà vi acconsente.
7. Alcune di queste persone nutrono per altre dell’affetto, facendolo passare per un fatto spirituale, ma molto spesso queste amicizie sono morbose e per niente spirituali. Si appura che è così quando il ricordo di quell’affetto, anziché riportare a Dio e accrescere l’amore per lui, produce solo rimorsi di coscienza. Difatti, se l’amicizia è puramente spirituale, crescendo essa, fa crescere anche l’amore per Dio; anzi, quanto più l’anima si ricorda di tale amicizia, tanto più si ricorda di quella con Dio e si porta ardentemente verso di lui. Crescendo nell’una, cresce anche nell’altra, perché lo spirito di Dio ha la proprietà di accrescere un bene con un altro bene a motivo della somiglianza e dell’affinità che esiste fra loro. Se, invece, quell’affetto umano nasce dal suddetto vizio della sensualità, produce effetti contrari: quanto più esso cresce, tanto più diminuisce l’amore per Dio insieme al ricordo di lui. Difatti, se cresce l’amore sensuale, immediatamente si vede l’anima raffreddarsi nell’amore per Dio, dimenticarsi di lui al ricordo dell’altro e provare rimorsi di coscienza. Al contrario, quando l’amore di Dio cresce in un’anima, questa si raffredda nell’amore sensuale e lo dimentica, perché sono due amori contrari: non solo l’uno non aiuta l’altro, ma quello che predomina spegne e soffoca l’altro rafforzando se stesso, come insegnano i filosofi. Per questo il Signore nel vangelo afferma che quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è spirito (Gv 3,6), cioè l’amore che nasce dalla sensualità termina nella sensualità, mentre quello che è dallo spirito termine nello spirito di Dio e lo fa crescere in noi. Tra i due amori vi è questa differenza che ci permette di riconoscerli.
8. Quando l’anima entra nella notte oscura, tiene sotto il controllo della ragione questi due amori. A questo punto, però, purifica e rafforza l’amore che è secondo Dio, mentre abbandona e sopprime l’altro. Ma all’inizio fa in modo che entrambi si perdano di vista, come dirò in seguito.
CAPITOLO 5
Ove si parla delle imperfezioni in cui cadono i principianti circa il vizio dell’ira.
1. Spinti dalla concupiscenza, molti principianti si portano alla ricerca dei gusti spirituali. Per questo motivo, molto spesso cadono in numerose imperfezioni lasciandosi andare al vizio dell’ira. Difatti, quando non assaporano più le soavità e le delizie delle cose spirituali, naturalmente si trovano disorientati e, a causa di questo dispiacere interno, si comportano sgarbatamente; si adirano molto facilmente per qualsiasi inezia e a volte si rendono persino insopportabili. Tali fenomeni si verificano spesso quando, durante l’orazione, hanno provato qualche raccoglimento sensibile molto piacevole. Nel momento in cui non provano più la sensazione piacevole, essi si ritrovano naturalmente nell’aridità e nella svogliatezza. Assomigliano al bambino che viene allontanato dal seno materno che stava gustando con piacere. Se in quest’effetto della natura i principianti non si lasciano trasportare dal disgusto, non c’è colpa, ma solo imperfezione che va purificata attraverso le aridità e le prove della notte oscura.
2. Vi sono, poi, persone spirituali che cadono in un’altra forma d’ira spirituale. Sono quelle che si armano di uno zelo spropositato contro i vizi altrui, censurandoli. A volte si sentono portati a rimproverarli bruscamente, e lo fanno anche, come se fossero maestri di virtù. Ora, questo modo di fare è contrario alla mansuetudine spirituale.
3. Ve ne sono altri, infine, che dinanzi alle loro imperfezioni si spazientiscono in modo contrario a ogni umiltà, arrabbiandosi con se stessi. Sono talmente impazienti che vorrebbero divenire santi in un giorno. Molti di costoro fanno numerosi progetti e prendono grandi decisioni. Ma non essendo umili e non diffidando di se stessi, quanto più propositi fanno, tanto più cadono e s’irritano. Non hanno la pazienza d’aspettare il momento in cui Dio vorrà esaudirli. Anche questo comportamento è contrario alla suddetta mansuetudine spirituale. Non vi può esser miglior rimedio a tale situazione che la purificazione della notte oscura. Ciò nonostante, vi sono alcune persone che mostrano tale pazienza o lentezza nel voler progredire, che Dio non vorrebbe ne avessero proprio tanta!
CAPITOLO 6
Ove si parla delle imperfezioni relative alla gola spirituale.
1. Circa il quarto vizio, che è la gola spirituale, c’è davvero molto da dire. Quasi nessuno dei principianti, per quanto virtuoso sia, evita di cadere in qualcuna delle numerose imperfezioni provocate da questo vizio, a motivo del gusto che, agli inizi, prova nelle pratiche di pietà. Molti di loro, ingolositi dal piacevole gusto che provano in tali esercizi, cercano più il sapore dello spirito che la purezza del cuore e la debita discrezione, virtù da Dio richieste e a lui accette lungo il cammino spirituale. Così, oltre all’imperfezione che commettono ricercando questi piaceri, la loro golosità li spinge a pretendere ancora di più, superando i limiti del giusto mezzo, dove risiede e si consolida la virtù. Attratti dal gusto che provano, alcuni si ammazzano a forza di penitenze e altri si debilitano con i digiuni, dandosi a pratiche superiori alle proprie forze, senza l’ordine e il consiglio di nessuno; addirittura sfuggono a chi dovrebbero obbedire in tale caso; alcuni, poi, non temono di fare il contrario di quanto è stato loro comandato.
2. Costoro sono molto imperfetti, sono persone irragionevoli. Lasciano da parte la sottomissione e l’obbedienza, che sono la penitenza della ragione e della volontà pur sapendo che questo è il sacrificio a Dio gradito più di qualsiasi altra cosa e della stessa penitenza corporale. Questa non è che una penitenza animale, verso la quale si è portati al pari degli animali, mossi dal piacere che si prova in questo esercizio. Ora, poiché gli eccessi sono cattivi e in questo modo di fare tali persone seguono la loro volontà, crescono nei vizi anziché nella virtù: acquistano quanto meno gola spirituale e superbia, perché non seguono la via dell’obbedienza in quello che fanno. D’altra parte, il demonio domina molti di costoro al punto di spingerli alla gola, eccitando i loro gusti e appetiti. Così questi poveri principianti, non potendo resistergli, cambiano, aggiungono o modificano ciò che viene loro comandato, perché l’obbedienza su questo punto è per loro molto dura. Alcuni di loro arrivano a un tale eccesso che, per il fatto di praticare per obbedienza certi esercizi di pietà, perdono la voglia e la devozione di farli: ma questo non perché sono loro comandati, bensì perché loro unico gusto e voglia è seguire le proprie inclinazioni. Forse sarebbe meglio per loro non praticare simili esercizi di pietà.
3. Vedrete molti di costoro insistere con i maestri spirituali per ottenere ciò che a loro piace, e metà lo ottengono quasi per forza. In caso contrario, si rattristano come bambini, si mostrano svogliati e credono di non servire Dio quando non li si lascia fare quello che vorrebbero. Infatti, essendo attaccati ai loro gusti e alla loro volontà, che considerano loro dio, quando queste cose vengono loro tolte affinché aderiscano alla volontà divina, si rattristano, si abbattono e si scoraggiano. Credono di servire Dio e di farlo contento, se loro sono contenti e soddisfatti.
4. Vi sono poi altri che, a motivo del vizio della gola, conoscono così poco la loro bassezza e miseria e trascurano talmente l’amoroso timore e il rispetto che devono alla maestà divina, che non esitano a insistere molto con i loro confessori per avere il permesso di comunicarsi spesso. Il peggio è che molto sovente osano comunicarsi senza il permesso e il consiglio del ministro di Cristo e dispensatore dei suoi doni. Seguendo solo il proprio giudizio, cercano di nascondergli la verità. A tale scopo, per potersi comunicare, si confessano alla meglio, desiderando più il comunicarsi che comunicarsi con una coscienza pura e ben disposta. Al contrario, sarà più giusto e lodevole avere una disposizione diversa e pregare il confessore di non farli accostare alla comunione tanto spesso; sebbene, tra questi due estremi, la cosa migliore sia la rassegnazione umile, tuttavia la cosa che genera più mali e attira castighi su di loro è la temerarietà.
5. Quando si comunicano, tutta la preoccupazione consiste nel cercare qualche sensazione e qualche gusto più che nell’adorare e lodare umilmente Dio presente in loro. E si attaccano tanto a quest’idea che, se non vi trovano qualche gusto o consolazione sensibile, pensano di non aver fatto nulla. Questo è un modo molto umano di giudicare Dio. Non comprendono che il vantaggio più piccolo che procuri il santissimo sacramento è proprio il diletto dei sensi, mentre il più grande, quello invisibile, è la grazia divina. Ciò spiega perché Dio, molto spesso, nega gusti e favori sensibili, proprio perché non li considerano con gli occhi della fede. Essi, invece, vogliono sentire e gustare Dio come se fosse comprensibile e accessibile, non solo su questo punto, ma anche negli altri esercizi di devozione. Tutto questo denota una grande imperfezione e una fede impura, contraria alla natura di Dio.
6. Tali persone si comportano allo stesso modo nella preghiera. Pensano che questa consista esclusivamente nel provare gusto e devozione sensibile. E cercano di provarne, come si dice, a forza di braccia, stancandosi e rompendosi la testa. Se poi non vi riescono, si abbattono profondamente, pensando di non aver combinato nulla. A motivo di questa loro pretesa perdono la vera devozione e lo spirito di preghiera, che consiste nel perseverarvi con pazienza e umiltà, diffidando di se stessi, per piacere solo a Dio. Così, quando qualche volta non sentono piacere in tale o tal altro esercizio di pietà, provano dispiacere e ripugnanza a ripeterlo e a volte finiscono per abbandonarlo. Come ho detto, somigliano ai bambini che non si muovono e non agiscono secondo la ragione, ma secondo i loro gusti. Essi spendono tutte le loro energie nel cercare la gioia e le consolazioni spirituali. Non si stancano mai di leggere libri e di passare da una meditazione all’altra, e vanno a caccia della soddisfazione del proprio piacere nelle cose di Dio. Ma il Signore, molto giustamente, con discrezione e amore, nega queste cose, proprio perché non cresca questa loro golosità e la loro avidità spirituale non li induca in mali senza fine. Essi hanno estremo bisogno d’entrare nella notte oscura, di cui parlerò tra poco, per purificarsi da queste fanciullaggini.
7. Quelli che si sentono così inclini alla ricerca dei loro gusti, cadono in un’altra imperfezione ancora più grande: si tratta d’un’eccessiva debolezza e tiepidezza nel seguire l’aspro sentiero della croce. Difatti l’anima che cerca le dolcezze, naturalmente rifiuta tutta l’amarezza della rinuncia personale.
8. I principianti cadono in molte altre imperfezioni che derivano da questo non saper rinunciare. Ma il Signore li cura in tempo con tentazioni, aridità e prove che fanno parte della notte oscura. Per non dilungarmi, non ne parlo qui. Mi limito solo a dire che la sobrietà e la temperanza spirituale presentano un carattere assai diverso di mortificazione, timore e sottomissione in tutto. Dobbiamo constatare che la perfezione e il valore dei nostri atti non dipendono dalla quantità e dal piacere che vi proviamo, ma dal saper rinnegare noi stessi mentre li pratichiamo. I principianti, perciò, devono fare tutto il possibile, per quanto sta in loro, finché Dio li purificherà di fatto, introducendoli nella notte oscura. Ma poiché sto tardando a parlarne, mi affretto dunque a finir di trattare delle imperfezioni.
CAPITOLO 7
Ove si parla delle imperfezioni che provengono dall’invidia e dall’accidia spirituale.
1. Anche per quanto riguarda gli altri due vizi, che sono l’invidia e l’accidia spirituale, i principianti cadono in molte imperfezioni. Quanto all’invidia, di solito porta molti di loro a essere gelosi del bene spirituale altrui; provano una pena visibile quando vedono gli altri più avanti nel cammino spirituale e non vorrebbero che venissero lodati, perché le loro virtù li rattristano; a volte non possono sopportare questo fatto, al punto che oppongono il contrario, confutando come possono le lodi: crepano, come si dice, d’invidia. Si affliggono perché non vengono lodati come quelli e vorrebbero essere preferiti in tutto. Ma questi sentimenti sono estremamente contrari alla carità che, come dice san Paolo, si compiace della verità (1Cor 13,6); e se prova qualche invidia, si tratta d’invidia santa. Anzi, chi possiede la carità si rammarica di non avere le virtù degli altri. È contento che gli altri le abbiano ed è felice che gli altri siano superiori a lui, perché servono Dio molto meglio.
2. Anche per quel che riguarda l’accidia spirituale, abitualmente i principianti si annoiano negli esercizi spirituali più elevati, anzi li evitano, perché li trovano contrari alle consolazioni sensibili. Poiché nelle cose spirituali sono molto attratti dalle dolcezze, quando non ve le trovano si annoiano a morte. Se talvolta non sentono nella preghiera la soddisfazione richiesta dal loro gusto – occorre pure che alla fine Dio li privi della soddisfazione e li metta alla prova –, non vorrebbero più ritornarvi; altre volte l’abbandonano o vi vanno di malavoglia. Così, cedendo all’accidia, non imboccano il cammino della perfezione, che consiste nella rinuncia alla propria volontà e nel piacere a Dio, e seguono invece quello della gioia e della soddisfazione della loro volontà. In questo modo cercano la soddisfazione personale più che la volontà di Dio.
3. Molti di loro desiderano che Dio voglia ciò che essi vogliono; si rattristano per essere obbligati a volere ciò che vuole Dio, provando ripugnanza a conformare la loro volontà a quella di Dio. Molte volte arrivano a pensare che ciò a cui non sono portati e in cui non provano gusto non sia volontà di Dio; al contrario, quando si sentono soddisfatti, credono che lo sia anche Dio. Riducono Dio alla propria misura, anziché conformarsi a lui. Invece il Signore nel vangelo insegna proprio il contrario, quando afferma che chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25).
4. I principianti mostrano persino intolleranza quando viene comandato qualcosa che dispiace a loro. Lasciandosi guidare dal piacere e dalle delizie dello spirito, sono molto fiacchi di fronte allo sforzo e alla fatica richieste dalla perfezione. Sono simili a coloro che si nutrono di cose elevate, ma rifuggono con tristezza da ogni asperità; si scandalizzano della croce, nella quale si trovano tutte le delizie spirituali. Al contrario, le realtà, quelle più spirituali, procurano loro solo disgusto, perché pretendono di camminare a modo loro nelle vie dello spirito e di seguire i capricci della loro volontà. Per tutti questi motivi provano una profonda tristezza e una grande ripugnanza ad imboccare la via angusta che conduce alla vita, di cui parla Cristo (Mt 7.14).
5. Basti per ora aver parlato di queste tra le molte imperfezioni in cui cadono i principianti nel primo stadio. Ciò dimostra quanto sia necessario che Dio li collochi nello stato dei proficienti. Tale passaggio si realizza quando vengono introdotti nella notte oscura, di cui parlerò tra poco. Nel corso di questa purificazione il Signore li distacca da tutti i gusti e le delizie, per poi immergerli nell’aridità pura e nelle tenebre interiori. In questo modo li purifica da tutte le loro imperfezioni e infantilismi, perché acquistino la virtù per vie molto diverse. Infatti, anche se i principianti si dedicheranno a una dura mortificazione di sé in tutte le loro azioni e passioni, non vi riusciranno né in parte né in tutto finché Dio non realizzerà tale trasformazione passivamente e purificherà l’anima nella suddetta notte oscura. Ma perché possa dire qualcosa di utile su di essa, voglia Dio concedermi la sua divina luce. Questa mi è proprio necessaria per parlare di una notte così oscura e per trattare di un argomento così difficile a spiegare e a far comprendere. Ecco, dunque, il verso: In una notte oscura.
CAPITOLO 8
Ove si comincia a spiegare questa notte oscura.
1. Questa notte, o contemplazione, produce due forme di tenebre o purificazione nelle persone spirituali, secondo le due parti dell’uomo, cioè la sensitiva e la spirituale. Così la prima notte o purificazione sarà sensitiva, se purifica l’anima nella sua parte sensitiva, rendendola più conforme a quella spirituale. La seconda notte o purificazione sarà spirituale, se purifica e spoglia l’anima nella sua parte spirituale, preparandola e disponendola all’unione d’amore con Dio. La notte dei sensi è abbastanza comune, e molti ne fanno esperienza, tra cui i principianti; di essa parlerò subito. Quella spirituale è riservata a pochissime persone, cioè a coloro che sono già esercitati e avanzati nella virtù; di questi mi occuperò in un secondo momento.
2. La prima notte o purificazione è amara e terribile per i sensi, come dirò subito. La seconda non ha confronto, perché è orrenda e spaventosa per lo spirito, come dirò più avanti. Per procedere con ordine tratterò in primo luogo della notte dei sensi, che corrisponde alla prima purificazione. Dirò qualcosa di essa molto velocemente, perché è quella più comune e se n’è già scritto molto. Mi soffermerò a parlare in modo particolare della notte spirituale, perché se ne tratta poco, sia nelle conferenze che nei libri, e meno ancora se ne fa esperienza.
3. Il modo di comportarsi dei principianti nel cammino verso Dio è imperfetto e molto condizionato dall’amor proprio e dai gusti sensibili, come ho detto sopra. Per questo motivo Dio vuole farli progredire gradatamente, liberarli da questo modo imperfetto di amare e condurli a un livello più alto d’amore. Allora li svincola da questo basso esercizio dei sensi e dei ragionamenti, attraverso cui cercano Dio in una maniera così meschina e piena d’inconvenienti; li colloca nell’esercizio dello spirito, dove potranno comunicare con Dio molto più fruttuosamente e diverranno più liberi dalle loro imperfezioni. Già essi si sono esercitati un po’ nel cammino della virtù; hanno perseverato nella meditazione e nell’orazione; il sapore e le delizie che hanno gustato in queste pie pratiche li hanno distaccati dalle cose del mondo; hanno trovato una certa forza spirituale in Dio per tenere a freno le loro sregolate inclinazioni verso le creature. Per questo motivo saranno in grado di sopportare per Dio qualche peso o qualche aridità senza voler tornare indietro, ai tempi più piacevoli. Quanto più gusto e gioia provano in questi esercizi spirituali, tanto più credono di essere illuminati dal sole delle grazie divine. Ma il Signore li priva di questa luce, chiude la porta delle sue delizie e dissecca le sorgenti delle acque spirituali di cui essi gustavano in lui la dolcezza ogni volta e per tutto il tempo che lo desideravano. Poiché erano deboli e fiacchi, per loro non c’erano porte chiuse, come dice san Giovanni nell’Apocalisse (3,8). Il Signore li lascia, dunque, in tenebre così profonde che essi non sanno dove andare con l’aiuto dell’immaginazione e del ragionamento. Sono incapaci di meditare come prima; i loro sensi interiori sono come annegati in queste tenebre; sono in preda a una tale aridità che non solo non ricavano frutto e gusto dalle cose spirituali e dai buoni esercizi nei quali erano soliti trovare delizie e gioie, ma, al contrario, in queste stesse pratiche non trovano che disgusto e amarezza. Il motivo, ripeto, sta nel fatto che sono un po’ cresciuti, e allora Dio, per fortificarli e farli uscire dal loro infantilismo, li stacca dal petto delle sue consolazioni; non li tiene più in braccio e insegna loro a camminare da soli. In tutto questo essi avvertono una grande novità, che è opposta al loro modo precedente di trattare con Dio.
4. Questo cambiamento di solito si verifica nelle persone ritirate dal mondo, più che in altre, e poco dopo il loro ingresso nella vita spirituale, perché sono più libere dalle occasioni di tornare indietro e più disponibili anche a riformare alla svelta le inclinazioni per i beni di questo mondo. Ciò è quanto si richiede per cominciare a entrare in questa beata notte dei sensi. Di solito non passa molto tempo dall’inizio, senza che entrino in questa notte dei sensi; ora, la maggior parte di esse vi entrano, perché le si vede attraversare queste aridità.
5. Su questa forma di purificazione sensitiva, che è assai comune, potrei citare numerose affermazioni della sacra Scrittura, molto frequenti soprattutto nei Salmi e nei profeti. Ma non intendo dilungarmi su questo, perché a chi non sapesse trovarle lì può bastare l’esperienza comune che se ne ha.
CAPITOLO 9
Ove si parla dei segni dai quali si riconosce che la persona spirituale è in questa notte o purificazione dei sensi.
1. Quest’aridità molte volte può derivare non dalla notte o purificazione dei sensi, bensì dai peccati, imperfezioni, debolezze, tiepidezze, oppure da qualche cattivo umore o indisposizione fisica. Per questo motivo indicherò qui alcuni segni per discernere se quest’aridità ha come origine la purificazione dei sensi oppure qualcuno dei su elencati difetti. A tale proposito tre sono i segni principali.
2. Il primo è l’assenza di gusto e consolazione nelle cose di Dio e in qualsiasi cosa creata. Infatti, allorché Dio introduce l’anima in questa notte oscura per condurla all’aridità e purificarla dall’appetito sensitivo, non le permette di provare consolazioni in cosa alcuna. Da ciò si riconosce abbastanza bene che tale aridità e disgusto non provengono da colpe o imperfezioni commesse recentemente; se così fosse, la natura dovrebbe sentire qualche inclinazione o attrazione per qualcosa di diverso da Dio. Difatti, quando la volontà si lascia andare a qualche imperfezione, si sente subito inclinata, più o meno fortemente, verso questa medesima imperfezione, secondo il piacere o l’affetto riversati su di essa. Ma poiché la ripugnanza per le cose del cielo e per quelle terrene potrebbe derivare da qualche indisposizione fisica o dal temperamento malinconico, che spesso non lascia provare piacere in nulla, occorre un secondo segno o una seconda condizione.
3. Il secondo segno che conferma la presenza della purificazione dei sensi consiste nei ricordarsi abitualmente di Dio con una sollecitudine e un’attenzione che dà pena; ci si preoccupa di non servire Dio, anzi di regredire, perché non si prova più gusto nelle cose divine. Ciò dimostra che il disgusto e l’aridità non provengono da fiacchezza e tiepidezza. Difatti è proprio della tiepidezza non preoccuparsi molto né avere sollecitudine per le cose di Dio. C’è, quindi, molta differenza tra l’aridità e la tiepidezza. È proprio della tiepidezza generare una grande fiacchezza e svogliatezza nella volontà e nell’intelligenza, così da non preoccuparsi delle cose di Dio. Al contrario, l’aridità purificatrice per sua natura comporta una sollecitudine costante e un’attenzione sofferta, per paura di non servire Dio. Questa, sebbene a volte sia aggravata da malinconia o da altro umore cattivo – e accade spesso –, non per questo cessa di avere il suo effetto purificante nella volontà, poiché l’anima è privata di ogni consolazione e desidera solo servire Dio. Quando, invece, l’aridità è solo frutto di umore cattivo, si prova disgusto e spossatezza fisica; in altri termini, l’anima non prova questi desideri di servire Dio che le offre l’aridità purificatrice. Quando questa si verifica, la parte sensitiva è molto abbattuta, fiacca e avvilita a causa del poco piacere che trova nell’agire, mentre lo spirito è pronto e forte (cfr. Mt 26,41).
4. Quest’aridità è dovuta al fatto che Dio trasferisce allo spirito i beni e la forza dei sensi, e poiché i sensi e la natura non sono capaci di tali beni spirituali, restano privi di nutrimento, nell’aridità e nel vuoto. La parte sensitiva, infatti, non è capace di accedere a ciò che è puro spirito. Così, quando lo spirito gode, la carne è scontenta e non ha voglia di agire. Quanto allo spirito, che si va nutrendo, si fortifica, diventa più vigile e attento di prima a non offendere Dio. A causa della novità di tale cambiamento, non sente subito all’inizio le gioie e le delizie spirituali, ma solo aridità e ripugnanza. Il suo palato è tuttora abituato ai gusti sensibili, ragion per cui fa ancora riferimento ad essi. D’altra parte, il suo palato spirituale non è ancora abituato a simili grazie e non è purificato per ricevere cibi così fini. Fin quando non si sarà gradualmente preparato attraverso questa notte arida e oscura, non potrà sentire i gusti e i beni spirituali. Proverà solo aridità e ripugnanza, venendogli a mancare il piacere che prima gustava con tanta facilità.
5. Difatti coloro che Dio comincia a introdurre in queste solitudini desolare sono simili ai figli d’Israele. Da quando li condusse nel deserto, Dio offrì loro un pane capace di procurare ogni delizia, come si legge nella Scrittura, e che si adattava al gusto di chi l’inghiottiva (Sap 16,20-21). Ciò nonostante, gli ebrei rimpiangevano più il gusto e il sapore delle carni e delle cipolle d’Egitto, a cui il loro palato era da tempo assuefatto, che non la delicata dolcezza di questo cibo angelico. Pur abbondando di cibi celesti, piangevano sospirando quelle carni (Nm 11,4-6). Fino a tanto arriva la bassezza dei nostri appetiti: ci fa rimpiangere le nostre miserie e provare avversione per i beni straordinari del cielo!
6. Ma, ripeto, quando queste aridità dipendono dalla purificazione che sta subendo l’appetito sensitivo, anche se lo spirito all’inizio non gusta il sapore per i motivi suddetti, sente però la forza e lo slancio ad agire che gli offre la sostanza di questo cibo interiore. Tale alimento segna l’inizio della contemplazione oscura e arida per i sensi, contemplazione nascosta e segreta anche per colui che la possiede. Di solito l’anima che prova questa aridità e vuoto dei sensi, è attratta dal desiderio di stare sola e in pace, senza dover pensare a qualcosa di particolare né averne voglia. Se le anime che si trovano in questa situazione sapessero rimanere nella calma, tralasciare qualsiasi opera interiore ed esteriore, senza preoccuparsi di fare qualcosa, allora nell’oblio e nell’intimo riposo gusterebbero subito quel cibo interiore. Esso è tanto delicato che, pur avendo la voglia e l’attenzione a sentirlo, di solito non si percepisce, perché, ripeto, esso agisce nel riposo più assoluto e nell’oblio totale dell’anima. È come l’aria che sfugge di mano quando la si vuole afferrare.
7. Al riguardo possiamo capire ciò che la sposa dice allo Sposo nel Cantico: Distogli da me i tuoi occhi; il loro sguardo mi rapisce (Ct 6,4). Infatti Dio mette l’anima in uno stato tale e la guida per vie così insolite che, se essa volesse servirsi delle sue facoltà, disturberebbe l’opera di Dio anziché aiutarla; in breve, avviene il contrario di quanto accadeva prima. Questo perché l’anima è ormai nello stato di contemplazione; è uscita dalla fase discorsiva per entrare nello stato dei proficienti. Ormai è Dio che agisce in lei e imbriglia le sue potenze interiori, togliendo ogni appoggio all’intelletto, ogni gusto alla volontà e ogni ragionamento alla memoria. In questa fase, ciò che l’anima può fare di suo non serve, come ho già detto, anzi disturba la pace interiore e l’opera che Dio compie nello spirito per mezzo dell’aridità nei sensi. Ora, poiché quest’intervento divino è spirituale e delicato, l’opera si svolge nella calma e nella delicatezza; è un’opera segreta, soddisfacente, pacifica e affatto estranea a tutti i piaceri anteriori, che erano palpabili e sensibili. Tale è la pace che Dio annunzia all’anima, come dice Davide (Sal 84,9), per renderla spirituale. Da qui nasce il terzo segno.
8. Il terzo segno per riconoscere la purificazione dei sensi è l’incapacità, da parte dell’anima, di meditare o di discorrere servendosi dell’immaginazione, come faceva prima, per quanti sforzi compia. Ora Dio comincia a comunicarsi all’anima non per mezzo dei sensi, come in precedenza; non per mezzo dell’attività discorsiva che compone e ordina le cognizioni; ma per mezzo dello spirito puro, nel quale non si sviluppa il ragionamento. Le si comunica in un atto di semplice contemplazione, a cui non possono giungere i sensi interni ed esterni della parte inferiore. Per questo motivo l’immaginazione e la fantasia non possono trovare in essi un punto d’appoggio per qualche considerazione, né fare affidamento su di essi in quel momento o in avvenire.
9. A proposito del terzo segno occorre ricordare che l’impedimento in cui vengono a trovarsi le potenze e il conseguente loro disgusto non proviene da qualche cattivo umore. Se, infatti, la causa fosse questa, e quell’umore svanisse, in quanto è per sua natura mutevole, l’anima impegnandosi potrebbe ricuperare il potere di prima e le potenze ritroverebbero il loro appoggio. Ma non è così nella purificazione dell’appetito sensitivo, perché, appena ha inizio, aumenta sempre più l’impossibilità di discorrere con le potenze. È vero che in alcuni principianti non si verifica una notte continua al punto tale d’impedire loro di gustare talvolta qualche dolcezza o consolazione sensibile. Data la loro debolezza, forse non conveniva operare un distacco netto nella loro vita. Ciò nonostante, essi penetrano sempre più nella notte, lasciando poi da parte l’opera della purificazione sensitiva se sono chiamati ad altezze sublimi. Quanto a quelli che non seguono questo cammino di contemplazione, al contrario degli altri, si ha un modo di procedere molto diverso. Questa notte di aridità, di solito, non è continua nei loro sensi; a volte si verifica, altre volte no; talvolta alcuni non possono discorrere, altri possono farlo. Solo Dio, infatti, li introduce in questa notte per provarli, umiliarli, correggere il loro appetito e impedire che acquistino una golosità viziosa nelle cose spirituali, ma questo non per elevarli alla vita dello spirito, cioè alla contemplazione. Difatti non tutti quelli che deliberatamente si consacrano alla vita spirituale vengono da Dio elevati alla contemplazione: forse nemmeno la metà. Perché questo? Solo Dio lo sa. Ne segue che costoro non riescono a staccarsi mai completamente dalle considerazioni e dai ragionamenti; riescono, come ho detto, a farlo solo per qualche tempo e di tanto in tanto.
CAPITOLO 10
Ove si descrive come ci si deve comportare nella notte oscura.
1. Quando si verificano le aridità di questa notte dei sensi, nella quale Dio opera il cambiamento di cui ho parlato prima, egli sottrae l’anima alla vita dei sensi per elevarla a quella dello spirito, cioè la fa passare dalla meditazione alla contemplazione, dove essa non può più agire con le sue facoltà e discorrere sulle cose di Dio. Proprio a questo punto le persone spirituali soffrono grandi pene, non tanto per le aridità che subiscono, quanto per la paura di vedersi smarrire in questo cammino. Pensano che tutto il bene spirituale sia finito e che Dio le abbia abbandonate, perché non trovano né aiuto né consolazione alcuna negli esercizi di pietà. Allora si affaticano e cercano, com’erano solite, di fissare con un certo piacere le loro potenze su qualche oggetto discorsivo. Se non fanno così e non si sentono portate ad agire, credono di non fare nulla. Tutto ciò procura all’anima un profondo disgusto e una grande ripugnanza interiore, mentre essa voleva restare nella calma, nella tranquillità e nel riposo delle potenze. Così, dunque, da una parte essa si affatica, dall’altra non trae nessun bene. Volendo servirsi del proprio spirito, perde questo spirito di tranquillità e di pace che aveva. Somiglia a colui che abbandona il già fatto per rifarlo daccapo; a colui che esce dalla città per poi rientrarvi; o a colui che lascia la preda catturata per inseguirla di nuovo. Tale comportamento è assolutamente inutile perché, ripeto, l’anima non approderà a nulla ritornando al suo primo metodo.
2. Se in tale situazione queste anime non trovano un padre spirituale che le comprenda, tornano indietro, abbandonando o rallentando il cammino, o perlomeno si creano ostacoli a procedere, a causa dei molteplici sforzi che fanno per seguire il cammino della meditazione e del ragionamento. Si affaticano e si tormentano fino all’eccesso, convinte che ciò accade a motivo delle loro negligenze e dei loro peccati. Ora, tutto ciò è inutile, perché ormai Dio le guida per un altro cammino, quello della contemplazione, totalmente diverso dal precedente: quest’ultimo, infatti, è quello della meditazione e del ragionamento, mentre il nuovo si sviluppa senza l’immaginazione e il ragionamento.
3. Coloro che si trovano in questa situazione, si consolino perseverando nella pazienza, senza affliggersi. Confidino in Dio, che non abbandona coloro che lo cercano con cuore semplice e sincero. Egli non mancherà di dare loro l’aiuto necessario per il cammino, fino a elevarli alla pura e chiara luce dell’amore, che comunicherà loro nella notte oscura dello spirito, se meriteranno che Dio ve li faccia entrare.
4. Il comportamento che l’anima deve tenere in questa notte dei sensi è quello di non preoccuparsi affatto del ragionamento e della meditazione, perché non è più il tempo per queste cose. Cerchi piuttosto di restare nella pace e nella calma, anche se ha la sensazione netta di non fare niente, di perdere tempo, e a motivo della sua tiepidezza non ha voglia di pensare a nulla. Sarà già molto se conserverà la pazienza e persevererà nell’orazione, pur non facendo altro. L’unica cosa da fare è lasciare l’anima libera, sgombra e al riparo da tutte le conoscenze e i pensieri, non preoccupandosi di cosa dovrà pensare o meditare. Si limiterà soltanto a un’attenzione piena d’amore e di pace in Dio, evitando ogni preoccupazione, desiderio ardente o semplice voglia di gustarlo o di sentirlo. Tutte queste pretese, infatti, turbano e distraggono l’anima dalla pacifica quiete e dal dolce riposo della contemplazione che le viene concesso.
5. Anche se le viene lo scrupolo di perdere tempo e pensa che sarebbe bene fare qualcos’altro, poiché nell’orazione non può fare né pensare nulla, abbia pazienza e rimanga tranquilla, perché non si va all’orazione per cercarvi un piacere personale o la libertà di spirito. Se l’anima vuole fare qualcosa di sua iniziativa con le facoltà interiori, non farà che disturbare e perdere i beni che Dio sta imprimendo in lei attraverso la pace e la quiete dello spirito. È come se un pittore volesse dipingere o disegnare un volto: se la persona muove continuamente la testa per fare qualcosa, il pittore non può concludere nulla perché viene disturbato nel suo lavoro. Allo stesso modo, quando l’anima vuole stare nella pace e nella quiete interiore, qualsiasi azione, affetto o attenzione che essa volesse coltivare non farebbe che distrarla, metterla in agitazione e procurarle aridità e vuoto dei sensi. Quanto più vorrà appoggiarsi agli affetti e alle conoscenze, tanto più ne sentirà la mancanza che non può essere colmata attraverso questi mezzi.
6. Pertanto quest’anima non deve preoccuparsi se le vengono meno le operazioni delle potenze. Al contrario dev’essere lieta che cessino, perché così, non disturbando più la contemplazione infusa in cui viene introdotta, Dio può accordarle maggiore abbondanza di pace. Egli le darà la possibilità di ardere e di infiammarsi nello spirito d’amore che questa contemplazione oscura e segreta comporta e le comunica. La contemplazione, infatti, non è altro che infusione segreta, piena di pace e d’amore per Dio che, all’occasione, infiamma l’anima d’amore, come essa fa intendere nel verso seguente: con ansie, dal mio amor tutta infiammata.
CAPITOLO 11
Ove vengono spiegati i tre versi della strofa.
1. Questo incendio d’amore, di solito, non si sente agli inizi, perché non è ancora cominciato a causa dell’impurità della natura, oppure perché l’anima, non comprendendolo, non lo accoglie in sé pacificamente. A volte, invece, con o senza questi ostacoli, l’anima comincia a provare improvvisamente un certo desiderio di Dio pieno si spasimo; quanto più questo desiderio aumenta, tanto più l’anima si sente trasportata verso Dio e infiammata d’amore per lui, senza sapere né comprendere né come né donde le vengano quest’amore e quest’affetto. A volte sente solo crescere in sé tanto questa fiamma e quest’incendio da desiderare Dio con un amore pieno di spasimo. Ciò è appunto quanto Davide, che pure attraversò questa notte, riferisce di sé nei seguenti termini: Il mio cuore era infiammato, nell’amore della contemplazione, i miei reni erano alterati (Sal 72,21-22 Volg.), cioè i miei gusti e i miei affetti sensibili sono stati trasformati, sono passati dalla vita sensitiva a quella spirituale, attraverso l’aridità e la rinuncia a tutti i gusti, di cui sto parlando. E io, aggiunge Davide, ero ridotto un niente e non capivo (ibid.); perché l’anima, senza sapere dove va, si vede annientata in tutte le cose di lassù e di quaggiù, ove era solita trovare le sue consolazioni. Essa constata soltanto di essere infiammata d’amore, senza sapere come né perché si sia prodotto tale cambiamento. E poiché a volte l’incendio d’amore assume proporzioni inverosimili, gli spasimi per Dio si fanno talmente intensi nell’anima da sembrare che questa sete ardente inaridisca tutte le ossa, indebolisca la natura, tolga all’anima il suo calore e la sua forza per l’acutezza della sete d’amore che l’anima sente tanto potentemente. Tale è la sete che Davide provava; dice infatti: L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente (Sal 41,3). È come se dicesse: la sete della mia anima è molto ardente. Questa sete, essendo vivissima, si può ben dire che fa morire. Ma dobbiamo ricordare che la veemenza di questa sete non è continua, bensì intermittente, anche se l’anima abitualmente prova sempre un po’ dei suoi ardori.
2. Occorre ricordare, come ho già detto in apertura, che ordinariamente quest’amore non si avverte all’inizio. Al contrario, l’anima prova l’aridità e il vuoto di cui sto parlando. E allora, invece di quest’amore, che pure va accendendosi e che l’anima consegue in mezzo alle aridità e al vuoto delle sue potenze, c’è una costante attenzione e sollecitudine di piacere a Dio, mista al dolore e al timore di non servirlo abbastanza. Ora, è sacrificio non poco gradito a Dio vedere un cuore affranto e sollecito per l’amor suo (Sal 50,19). Questa sollecitudine e attenzione si sviluppano nell’anima in seguito alla segreta contemplazione, finché, con il tempo, accendono nello spirito quest’amore divino, dopo che sono stati alquanto purificati i sensi, cioè le forze e gli affetti naturali della parte sensitiva, per mezzo dell’aridità che si viene a produrre. Ma nel frattempo l’anima assomiglia al malato che è tenuto sotto cura: tutto è sofferenza in quest’oscura e arida purificazione dei sensi, per guarire da molte imperfezioni, esercitarsi nella pratica delle virtù ed essere, così, degni dell’amore divino, come si dice nel verso seguente: oh, sorte fortunata!
3. In un primo momento Dio introduce l’anima nella notte dei sensi al fine di purificare i sensi della parte inferiore, adattarli, assoggettarli e unirli allo spirito, immergendoli nelle tenebre e mettendo fine ai loro ragionamenti. In seguito poi, per purificare lo spirito e unirlo a sé, come dirò più avanti, Dio lo introduce nella notte spirituale. In questo modo l’anima, anche se non le sembra, ottiene così tanti vantaggi che ritiene sorte fortunata essere sfuggita ai lacci e alla presa dei sensi della parte inferiore attraverso questa notte, come recita il verso presente, oh, sorte fortunata! Al riguardo occorre sottolineare i vantaggi che l’anima ottiene in questa notte e a causa dei quali stima sorte fortunata l’averla attraversata. Ora, tutti questi vantaggi si trovano racchiusi nel verso seguente: uscii, né fui notata.
4. Uscii qui si riferisce all’anima che si libera dall’asservimento in cui la teneva la parte sensitiva, costringendola a cercare Dio attraverso mezzi così deboli, limitati e pericolosi come quelli della parte inferiore. Ad ogni passo, infatti, cadeva in mille imperfezioni o ignoranze, come si è notato sopra parlando dei sette vizi capitali. Ma essa se ne libera, quando questa notte spegne tutte le soddisfazioni spirituali e terrene, immerge nelle tenebre tutti i suoi ragionamenti e le procura molti altri beni, arricchendola di virtù, come dirò subito. Sarà piacevole e molto consolante, per chi cammina su questa strada, constatare che ciò che sembrava all’anima così duro, amaro e contrario ai suoi gusti spirituali, sia divenuto la sorgente di tanti beni. Ora, torno a ripetere, l’anima ottiene questi beni quando, con il favore della notte, si allontana effettivamente ed effettivamente da tutte le cose create e si eleva verso i beni eterni. Ciò costituisce una felice e fortunata sorte per l’anima: prima di tutto perché è una grande vittoria aver spento le passione e gli affetti che la inclinavano alle cose create; in secondo luogo, perché sono pochissimi coloro che soffrono e perseverano nel passare per questa porta stretta e seguire la via angusta che conduce alla vita (Mt 7,14), come dice il Signore. La porta stretta è la notte dei sensi, dei quali l’anima si spoglia e si libera per entrare in essa, appoggiandosi alla fede, che è estranea a ogni senso, per poi percorrere la via angusta, o l’altra notte, che è quella dello spirito. Successivamente, attraverso questa seconda notte, l’anima avanza verso Dio, sostenuta solo dalla fede, che è il mezzo con cui si unisce a Dio. Poiché questo cammino è molto stretto, oscuro e terribile – non c’è paragone tra questa notte dei sensi e l’oscurità e le angosce della seconda, come dirò a suo tempo – sono molto pochi quelli che lo percorrono, ma i suoi vantaggi sono incomparabilmente superiori a quelli della prima notte. Comincio dunque a parlare dei vantaggi della notte dei sensi, il più brevemente possibile, per poi passare alla notte dello spirito.
Capitolo 12
Ove si parla dei vantaggi procurati all’anima da questa notte.
1. La notte o purificazione degli appetiti è vantaggiosa per l’anima a motivo dei grandi beni e profitti che le procura, anche se, come ho detto, a lei sembri che glieli tolga. Come Abramo fece gran festa quando svezzò il figlio Isacco (Gn 21,8), così in cielo ci si rallegra quando Dio toglie un’anima dalle fasce, non la tiene più in braccio, ma la fa camminare sui suoi piedi. E ci si rallegra anche perché, togliendole il latte e il nutrimento delicato e dolce dei bambini, le dà a mangiare il pane con la crosta e fa sì che vi prenda gusto. In quest’aridità e notte dei sensi comincia a essere offerto il cibo dei forti allo spirito libero e distaccato da ogni consolazione sensibile. Questo pane è la contemplazione infusa, di cui ho parlato.
2. Il primo e principale vantaggio, procurato all’anima da quest’arida e oscura notte di contemplazione, è la conoscenza di sé e della propria miseria. È vero che tutte le grazie da Dio concesse all’anima abitualmente sono accompagnate da questa conoscenza; ma è altrettanto vero che l’aridità e il vuoto delle potenze comparati all’abbondanza di cui esse godevano in passato, insieme alla difficoltà che l’anima prova nel compiere il bene, le fanno scoprire in sé una grettezza e una miseria che non riusciva a vedere al tempo della sua prosperità. Nel libro dell’Esodo (cfr. 33,5) si può trovare un’ottima esemplificazione di tale situazione. Vi si legge che, volendo Dio umiliare i figli d’Israele e insegnar loro a conoscere se stessi, ordinò che deponessero l’abito e gli ornamenti festivi, che ordinariamente indossavano nel deserto, dicendo loro: “D’ora in poi deponete gli ornamenti festivi e indossate abiti comuni da lavoro, perché conosciate il trattamento che meritate”. Tale espressione vuol dire questo: il vestito che indossate è un abito di festa e d’allegria; per voi è occasione di non ritenervi tanto umili quanto invece siete; toglietevi dunque queste vesti, perché d’ora in poi, vedendovi ricoperti di abiti dimessi, sappiate che non meritate di più e chi siete in realtà. Questo esempio mostra all’anima la realtà della propria miseria che prima ignorava, cioè quando era in festa e trovava in Dio molta gioia, consolazione e sostegno; si sentiva più soddisfatta e contenta; le sembrava di servirlo in qualcosa. Sebbene non nutrisse in sé espressamente questi sentimenti, tuttavia era portata, attraverso la soddisfazione che provava, alla gioia. Al contrario, ora che ha indossato l’abito da lavoro ed è nell’aridità e nell’abbandono e le luci di una volta si sono spente, possiede molto più verosimilmente questa virtù così eccellente e tanto necessaria della conoscenza di sé e si ritiene ormai un niente e non prova alcuna soddisfazione di sé: vede che da sola non fa e non può fare nulla. Ora, Dio stima di più la scarsa soddisfazione di sé e la desolazione in cui l’anima si trova per l’incapacità di servirlo, che non tutte le sue opere e tutte le gioie che sentiva prima, per quanto elevate fossero. In queste cose, infatti, vi era il pericolo di molte imperfezioni e di molta ignoranza. Al presente, invece, da quest’aridità, che è come un abito per l’anima, derivano non solo i beni di cui si è parlato, ma altresì i vantaggi di cui sto per trattare e molti altri che passerò sotto silenzio. Tutti questi beni nascono dalla conoscenza di sé come da loro fonte originaria.
3. Anzitutto, sorgono nell’anima maggior rispetto e affabilità nei suoi rapporti con Dio, condizioni richieste quando ci si avvicina all’Altissimo. Ora, qui l’anima trova ciò che non faceva quando godeva a iosa dei gusti spirituali e delle consolazioni. Questo favore dei gusti le suggeriva nei confronti di Dio più audacia di quanto non convenisse, meno rispetto e poca soggezione verso il Signore. Ciò è quanto accadde a Mosè quando si accorse che Dio gli parlava. Travolto dalla gioia e dal suo ardente desiderio, non pensava ad altro che ad avvicinarsi a Dio, se questi non gli avesse ordinato di fermarsi e di togliersi i calzari. Questo dice il rispetto, la discrezione e la povertà di spirito con cui si deve trattare con Dio. Così, dopo aver obbedito, Mosè divenne tanto prudente e discreto che, come dice la Scrittura, non solo non osava avvicinarsi, ma nemmeno guardare (Es 3,2-6; At 7,32); infatti, solo dopo aver tolto i calzari, cioè aver mortificato gli appetiti e i gusti, conobbe profondamente la sua miseria di fronte a Dio, cosa necessaria per ascoltare la parola di Dio. Tale è altresì la disposizione interiore che Dio concesse a Giobbe per parlare con lui. Non quando godeva le delizie e la gloria che era solito avere da Dio, di cui lo stesso Giobbe ci parla (Gb 1,1-8), ma quando fu posto tutto nudo sul letamaio, abbandonato e persino tormentato dai suoi amici, colmo di angoscia e di amarezza, ricoperto di vermi, sulla nuda terra (Gb 29-30), solo allora colui che solleva l’indigente dalla polvere (Sal 112,7), il Dio altissimo, si degnò di scendere e parlare con lui faccia a faccia, mostrandogli le profondità incommensurabili della sua sapienza, come non aveva mai fatto nel tempo della sua prosperità (Gb 38-42).
4. È opportuno ricordare qui anche un altro prezioso vantaggio che proviene da questa notte o aridità della parte sensitiva, perché è arrivato il momento di parlarne. In questa notte si verifica ciò che dice il profeta: Brillerà fra le tenebre la tua luce (Is 58,10). Dio illumina l’anima, e questa non solo conosce la sua grettezza e la sua miseria, come ho detto, ma altresì la grandezza e l’eccellenza di Dio. Spenti infatti gli appetiti, i gusti e gli attaccamenti sensibili, l’intelletto ha acquistato la purezza e la libertà necessaria per comprendere la verità. I gusti sensibili e gli appetiti, anche per cose spirituali, offuscano e ingombrano lo spirito; mentre, al contrario, l’angustia e l’aridità dei sensi illuminano e vivificano l’intelletto, come dice Isaia: solo il terrore fa capire il discorso (Is 28,19). Quando l’anima è distaccata e libera come le occorre per rendersi disponibile all’influsso divino, passa attraverso la notte oscura e arida della contemplazione, e Dio, come ho detto, nella sua divina saggezza la istruisce soprannaturalmente, cosa che non faceva quando l’anima gustava le gioie e le soddisfazioni di una volta.
5. Ciò è quanto ci fa capire chiaramente lo stesso lo profeta Isaia quando riferisce: A chi vuole insegnare la scienza? A chi vuole spiegare il discorso? Ai bambini divezzati, appena staccati dal seno? (Is 28,9). Queste parole ci fanno comprendere che la disposizione necessaria per ricevere le comunicazioni divine non è il primo latte della soavità spirituale, né il sostegno dei saporosi discorsi delle facoltà sensitive, già gustati dall’anima, ma la mancanza dell’uno e il distacco dall’altro. Per ascoltare Dio, infatti, l’anima deve stare all’erta e distaccata da ogni affetto e dai sensi, come dice il profeta: Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza (Ab 2,1), cioè staccato dagli appetiti, a spiare e non a discorrere con i sensi per vedere che cosa mi dirà, cioè per sapere che messaggio mi viene da Dio. Dobbiamo, quindi, sapere che da questa notte arida deriva anzitutto conoscenza di sé e questa a sua volta è il fondamento della conoscenza di Dio. Per questo sant’Agostino prega così: Fa’, o Signore, che io mi conosca e ti conosca! E i filosofi aggiungono che un termine si conosce meglio confrontandolo con il suo contrario.
6. Per meglio provare l’efficacia della notte dei sensi che, attraverso le aridità e il distacco attira sull’anima la luce divina, riporto un testo di Davide. Il salmista fa chiaramente capire il valore di questa notte in vista della conoscenza profonda di Dio con le seguenti parole: Come terra deserta, arida, senz’acqua, così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria (Sal 62,3). È sorprendente: Davide ci fa capire che le delizie spirituali e le abbondanti soavità che aveva provato non gli erano servite per conoscere la gloria di Dio; era invece riuscito nell’intento passando per le aridità e l’abbandono della parte sensitiva, rappresentata qui dalla terra arida e deserta. Inoltre egli dice che neanche i concetti e i discorsi celesti, di cui si era frequentemente servito, erano stati per lui una via per conoscere e contemplare la gloria di Dio. Al contrario, un mezzo adatto a tale scopo erano stati l’incapacità di fissare il suo pensiero in Dio, come pure l’impotenza a procedere con il ragionamento e le considerazioni dell’immaginazione, qui significata dalla terra senza una strada. Pertanto il mezzo che abbiamo per conoscere Dio e noi stessi è la notte oscura con le sue aridità e il suo deserto. Ma la pienezza e l’abbondanza di tale conoscenza si avranno solamente nella notte dello spirito: questa prima conoscenza non è che l’inizio dell’altra.
7. Dall’aridità o deserto della notte dei sensi l’anima ricava anche l’umiltà di spirito, virtù contraria al primo vizio capitale, cioè la superbia spirituale, di cui si è parlato in precedenza. Quest’umiltà, che proviene dalla conoscenza di sé, purifica l’anima da tutte le imperfezioni d’orgoglio in cui cadeva al tempo della sua prosperità. Vedendosi, infatti, tanto arida e miserabile, non pensa, come faceva prima, nemmeno con moto istintivo, di essere migliore degli altri o di superarli in qualcosa; al contrario, riconosce che gli altri le sono superiori.
8. Questa considerazione genera bell’anima l’amore del prossimo, perché stima gli altri e non li giudica come era solita fare prima, quando era piena di fervore e gli altri no. Ora considera solo la propria miseria e la tiene davanti agli occhi, tanto che questo pensiero non le consente di guardare i difetti altrui. Ciò è quanto Davide, attraversando questa notte oscura, afferma stupendamente in questi termini: Sono rimasto quieto, in silenzio; tacevo privo di bene, la sua fortuna ha esasperato il mio dolore (Sal 38,3). Si esprime così, perché gli sembra che i beni della sua anima siano talmente finiti che non solo non può dirne nulla e non trova il modo di parlarne, ma la conoscenza della propria miseria lo rende muto di dolore soprattutto se guarda alla virtù degli altri.
9. Durante questa notte le anime diventano anche sottomesse e obbedienti nel cammino spirituale. Vedendosi così piene di miseria, non solo ascoltano quanto viene loro insegnato, ma desiderano altresì che chiunque dia loro consigli e avvisi su quanto devono fare. Perdono quella presunzione affettiva che a volte avevano nella prosperità. Infine, andando avanti, si spogliano di tutte le imperfezioni che ho ricordato qui e che derivano dal primo vizio, cioè dalla superbia spirituale.
CAPITOLO 13
1. In questa notte arida e oscura l’anima si libera anche dalle imperfezioni che provengono dall’avarizia spirituale. Essa bramava ora questo ora quell’altro bene spirituale; non si sentiva mai soddisfatta di alcuni esercizi di pietà, a motivo del desiderio delle dolcezze e delle soddisfazioni che trovava in essi. Ora, invece, in questa notte arida e oscura è completamente trasformata. Non trovandovi più le gioie e i piaceri di prima, ma piuttosto disgusto e fatica, pratica le sue devozioni con tanta calma che potrebbe forse peccare per difetto, laddove in passato peccava per eccesso. Ciò nonostante, l’anima che è introdotta in questa notte riceve abitualmente da Dio umiltà e spirito di prontezza, perché compia solo per amore e senza consolazioni quanto Dio le comanda. Così essa si distacca da molte imperfezioni, nelle quali in passato trovava le sue compiacenze.
2. Va aggiunto, altresì, che le aridità e il disgusto della parte sensitiva, che l’anima prova nelle pratiche di pietà, la liberano da quelle impurità di cui si parlava a proposito della lussuria spirituale; dicevo, infatti, che queste miserie comunemente derivano dalle compiacenze che dallo spirito si riversano sui sensi.
3. Delle imperfezioni relative alla gola spirituale, quarto vizio capitale, di cui l’anima si purifica in questa notte, se n’è parlato a suo tempo, anche se non sono state elencate tutte perché innumerevoli. Non ne parlerò, dunque, qui, perché vorrei concludere con questa notte per passare all’altra, circa la quale ho da esporre importanti insegnamenti e una dottrina profonda. Per farsi un’idea degli innumerevoli vantaggi che, oltre a quelli già elencati, l’anima ottiene in questa notte contro il vizio della gola spirituali, basti dire che si libera da tutte le imperfezioni che ho elencato e da molti altri gravi danni e vizi detestabili di cui non ho detto nulla. In tali imperfezioni sono cadute molte persone, di cui ho avuto esperienza, perché non hanno corretto il vizio della gola spirituale. Infatti Dio, in quest’arida e oscura notte in cui introduce l’anima, tiene a freno la sua concupiscenza e i suoi appetiti, di modo che essa non può cibarsi di alcun gusto o piacere sensibile per cose celesti o terrene. Così l’anima prosegue in questo cammino in modo da rimanere sottomessa, trasformata e mortificata nella concupiscenza e negli appetiti. Le sue passioni e la sua concupiscenza hanno perso la loro forza, mentre la loro attività, non essendo più alimentata dai piaceri precedenti, è ormai senza vigore, come quando i condotti delle mammelle s’inaridiscono perché non si spreme più il latte. Una volta soggiogate le passioni, l’anima, oltre ai vantaggi suddetti, ne acquista altri meravigliosi grazie a questa sobrietà spirituale. In verità, sedate le passioni e spenta la concupiscenza, l’anima vive nella pace e nella tranquillità spirituale, perché dove non regnano più le passioni e la concupiscenza non c’è più turbamento, ma solo la pace e le consolazioni divine.
4. Da ciò deriva un secondo vantaggio, ed è il sentimento abituale della presenza di Dio, accompagnato dal timore di tornare indietro, come ho detto, nel cammino spirituale. Il presente vantaggio è molto prezioso e certamente non il più piccolo in mezzo a quest’aridità e purificazione dei sensi, perché l’anima si purifica e si libera dalle imperfezioni che le si attaccano per mezzo delle passioni e degli affetti, che per loro natura la indeboliscono e la offuscano.
5. In questa notte c’è un altro vantaggio molto grande, ed è che l’anima si esercita contemporaneamente nella pratica di più virtù. Si esercita nella pazienza e nella longanimità, a motivo dell’abbandono e dell’aridità, quando occorre perseverare nelle pratiche di pietà senza cercare gusto o consolazione. Si esercita, altresì, nella carità verso Dio, perché non è mossa dal gusto piacevolmente attraente che trova nelle opere, ma solo da Dio. Allo stesso modo pratica anche la virtù della fortezza, perché nelle difficoltà e nei disgusti che contrastano la sua attività, prende forza dalla sua debolezza e diviene più energica. In breve, tutte le virtù teologali, cardinali e morali agiscono sia sul corpo che sullo spirito durante quest’aridità.
6. Questa notte, dunque, produce nell’anima i vantaggi che ho detto, cioè il diletto della pace, il ricordo abituale e attento di Dio, il candore e la purezza dell’anima e la pratica delle virtù. Ciò è quanto Davide ha sperimentato personalmente, trovandosi in questa notte. Ne parla nei termini seguenti: Io rifiuto ogni conforto; mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito. E subito aggiunge: Un canto nella notte mi ritorna nel cuore; rifletto e il mio spirito si va interrogando su tutte le affezioni (Sal 76,3-4.7).
7. Per quanto riguarda le imperfezioni degli altri tre vizi spirituali di cui ho parlato, e che sono l’ira, l’invidia e l’accidia, in quest’aridità dell’appetito l’anima se ne purifica e acquisisce le virtù contrarie. Difatti, temperata e umiliata da queste aridità e difficoltà e da altre tentazioni e fatiche di questa notte in cui talvolta Dio la esercita, diventa mite con Dio e con se stessa e anche con il prossimo; così non si agita per le proprie mancanze, né per quelle altrui si irrita contro il prossimo, né si disgusta o si lamenta inopportunamente con Dio perché non la rende buona in fretta.
8. Contro ogni reale invidia, pratica la carità verso gli altri. E se prova qualche invidia, non si tratta di invidia viziosa come la precedente, quando soffriva perché altri le erano preferiti o erano più virtuosi di lei. Ora, invece, si dà per vinta, vedendosi tanto miserabile; e l’invidia che prova, se la prova, è virtuosa, perché desidera imitarli, e questa virtù è profonda.
9. Quanto all’accidia e al tedio che l’anima prova nelle cose spirituali, non sono viziosi come prima. Difatti, in passato, questi sentimenti provenivano dai gusti spirituali che a volte provava e che desiderava avere quando li provava; mentre ora questo tedio non procede dal gusto imperfetto, perché Dio le ha tolto tale gusto in rapporto a tutte le cose create in questa purificazione dei sensi.
10. Oltre a questi vantaggi appena elencati, ve ne sono innumerevoli altri che l’anima acquista attraverso quest’arida contemplazione. Difatti, in mezzo alle aridità e angustie, molte volte, quando meno se l’aspetta, Dio comunica all’anima soavità spirituale, amore purissimo e conoscenze spirituali, a volte molto elevate, ognuna delle quali è più vantaggiosa e preziosa di quelle gustate prima. Ma occorre dire che l’anima agli inizi non la pensa così, perché la comunicazione spirituale a lei accordata è elevata per natura, ragion per cui i sensi non possono percepirla.
11. In conclusione, a questo punto, più l’anima si purifica dagli affetti e dai desideri sensitivi, più acquista libertà di spirito, nella quale si sviluppano i dodici frutti dello Spirito Santo. In questo stato si libera straordinariamente dalle mani dei suoi tre nemici, che sono il mondo, il demonio e la carne; infatti, scomparendo il sapore e il gusto sensibile per le cose, né il demonio né il mondo né la sensualità hanno armi o forze contro lo spirito.
12. Queste aridità, dunque, fanno avanzare l’anima nella via del puro amore per Dio. Difatti essa non è più spinta ad agire perché influenzata dal gusto o dal sapore che provava nelle sue azioni, come forse faceva prima, ma solo per far piacere a Dio. Non è più arrogante né ammette soddisfazioni sul piano personale, come forse era abituata all’epoca della prosperità. Al contrario, è divenuta timorosa e sospettosa di sé e non cerca più soddisfazione in se stessa; insomma, vive nel santo timore di Dio, che conserva e accresce le virtù. L’aridità, inoltre, spegne anche le concupiscenze e gli slanci della natura, come ho detto; in questo stato, infatti, se Dio a volte non le concedesse qualche gioia, difficilmente l’anima potrebbe procurarsi con tutta la sua diligenza una gioia o un piacere sensibile nelle sue opere o pratiche di pietà, come ho già detto.
13. In questa notte arida cresce l’attenzione per Dio e l’ardente desiderio di servirlo. Inaridendosi la fonte della sensualità, che nutriva l’accattivante cupidigia, all’anima resta soltanto, nel distacco assoluto, un ardente desiderio di servire Dio. Tale sentimento è molto gradito a Dio, perché, come dice Davide, uno spirito contrito è sacrificio a Dio (Sal 50,19).
14. Poiché l’anima capisce che in quest’arida purificazione, che ha attraversato, ha ottenuto tanti e così preziosi vantaggi, come ho detto, non stupisce molto che nella strofa che sto spiegando esclami: Oh, sorte fortunata! Uscii, né fui notata, cioè mi liberai dai lacci e dalla soggezione in cui mi tenevano i miei appetiti sensibili e i miei affetti, senza essere notata, senza che i tre suddetti nemici me lo potessero impedire. Infatti sono gli appetiti e i vani piaceri che con i loro legami imprigionano l’anima e le impediscono di uscire da sé e di attingere nella libertà l’amore di Dio; ma privati dei legami, di cui sopra, essi non possono combattere l’anima.
15. Perciò, quando, attraverso una continua mortificazione, si sedano le quattro passioni dell’anima, che sono la gioia, il dolore, la speranza e il timore; quando si addormentano gli appetiti naturali della sensualità attraverso un’aridità costante, allora i sensi e le potenze interne si stabiliscono in un’armonia perfetta, perché cessano le loro operazioni discorsive che, come ho detto, costituiscono tutto il mondo interiore della parte sensitiva, che qui l’anima chiama sua casa: allora essa può dire: stando la mia casa al sonno abbandonata.
CAPITOLO 14
1. Quando la casa della sensualità è ormai acquietata, cioè mortificata, le sue passioni sedate, gli appetiti sopiti e addormentati, per mezzo della beata notte della purificazione dei sensi, allora l’anima è uscita. In realtà, essa comincia a percorrere la via dello spirito, che è quella dei proficienti o di coloro che sono già avanzati. Tale cammino si chiama anche via illuminativi o della contemplazione infusa. È qui dove Dio nutre l’anima di se stesso e la ristora, senza che essa vi contribuisca con i suoi ragionamenti o collaborazione alcuna. Questa è, come ho detto, la notte o purificazione dei sensi, una notte che non è attraversata da un gran numero di persone. Infatti sono pochi quelli che ordinariamente l’attraversano, per poi entrare nell’altra notte più terribile dello spirito fino a raggiungere l’unione d’amore con Dio. Di solito è accompagnata da terribili tribolazioni e tentazioni nei sensi. È una prova che dura a lungo, in alcuni più, in altri meno. Alcuni sono assaliti dall’angelo di Satana (2Cor 12,7), un vero e proprio spirito di fornicazione, che frusta i loro sensi con odiose e possenti tentazioni, oppure tormenta il loro spirito con brutti pensieri e la loro immaginazione con rappresentazioni molto vive nella fantasia, infliggendo loro maggior dolore della stessa morte.
2. A volte coloro che attraversano questa notte sono tentati dallo spirito di bestemmia: tutti i loro pensieri e concetti sono attraversati da esecrande parole blasfeme. Anzi molte volte vengono suggerite all’immaginazione con tanta forza da indurli quasi a pronunciarle, procurando loro grande tormento.
3. Altre volte essi vengono assaliti da un altro detestabile spirito che Isaia chiama spiritus vertiginis, spirito di smarrimento (Is 19,14). Tale spirito mira non tanto a farli peccare, quanto a metterli alla prova. Questo spirito offusca talmente i loro sensi da riempirli di mille scrupoli e perplessità tanto intricate per il loro animo che non si sentono soddisfatti di niente né sono capaci, secondo il loro giudizio, di seguire il consiglio e i suggerimenti di altri. Ciò costituisce uno dei più gravi tormenti e orrori di questa notte, molto simile a quanto avverrà nella notte dello spirito.
4. Di solito Dio invia simili tempeste e prove in questa notte e purificazione sensitiva a coloro che, come dico, deve introdurre più tardi nell’altra notte, anche se non tutti vi arrivano. Quando sono provati e tartassati in questo modo, essi si esercitano, si preparano e adattano i loro sensi e le loro facoltà all’unione con la Sapienza, ove saranno accolti in quella notte. Se l’anima non è tentata, esercitata e messa alla prova con pene e sofferenze, non può affinare i suoi sensi per accogliere la sapienza. Per questo l’Ecclesiastico dice: Chi non è stato tentato, che sa mai? Chi non ha subito prove, conosce poco (Sir 34,11 e 10). Di questa verità rende testimonianza anche Geremia quando afferma: Tu mi hai castigato e io ho imparato (Ger 31,18). Ora, la correzione più sicura per introdurre l’anima nella sapienza divina è data dalle prove interiori di cui sto parlando. Sono proprio quelle più dure a purificare i sensi da tutte le soddisfazioni e consolazioni a cui erano attaccati per naturale debolezza. Se a questo punto l’anima è veramente umiliata, lo è in vista dell’esaltazione cui è destinata.
5. Non si può dire con esattezza quanto tempo l’anima trascorra in questo digiuno e penitenza dei sensi, perché non tutti subiscono le stesse tentazioni né alla stessa maniera. Ciò dipende dalla volontà di Dio. Questi, in base alle maggiore o minore imperfezione che dev’essere purificata in ciascun’anima, come pure in base al grado d’amore unitivo al quale intende elevarla, la umilierà più o meno intensamente o più o meno a lungo. Nondimeno, la purificazione di coloro che sono più forti e più capaci di sopportare la sofferenza è più intensa e più rapida. Al contrario, i più deboli sono molto meno provati e tentati, ma restano più a lungo in questa notte. Di solito il Signore concede loro qualche consolazione sensibile, perché non tornino indietro. In questo modo essi arrivano tardi alla purezza perfetta in questa vita, anzi alcuni non vi arrivano affatto, perché non sono completamente immersi in questa notte né sono fuori di essa. Sebbene non procedano oltre, tuttavia, perché si mantengano nell’umiltà e nella conoscenza di sé, Dio li esercita per qualche tempo o per qualche giorno in quelle tentazioni e aridità; di tanto in tanto li sostiene con alcune consolazioni, perché non perdano coraggio e non tornino a cercare i piaceri del mondo. Con altre anime ancora più deboli Dio si comporta ora mostrandosi e ora nascondendosi per esercitarle nel suo amore, perché senza tali assenze non imparerebbero mai ad avvicinarsi a lui.
6. Quanto alle anime che devono arrivare al beato e sublime stato dell’unione d’amore, per quanto presto Dio ve le conduca, di solito restano molto a lungo nelle aridità e nelle prove, come dimostra l’esperienza. Ma ora è il momento di cominciare a parlare della seconda notte.


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