L'alba
appena schiarisce il cielo e rende ancora difficile il cammino quando
Gesù lascia Doco ancora dormente. Lo scalpiccio dei passi non è
certo udito da alcuno, perché è cauto e perché la gente dorme
ancora nelle case chiuse. Nessuno parla sinché sono fuori della
città, nella campagna che si ridesta lentamente nella parca luce
tutta fresca dopo il lavacro delle rugiade.
Allora
l'Iscariota dice: «Strada inutile, riposo negato. Era meglio non
venire sin qui». «Non ci hanno trattato male quei pochi che abbiamo
trovato! Hanno perso la notte per ascoltarci e per andare a prendere
i malati delle campagne. È stato proprio bene, anzi, di essere
venuti. Perché coloro che, per malattia o altra causa, non potevano
sperare di vedere il Signore a Gerusalemme, lo hanno visto qui e sono
stati consolati con la salute o con altre grazie. Gli altri, si sa,
sono andati già alla città... È uso di noi tutti andarvi, sol che
si possa, qualche giorno prima della festa», dice Giacomo di Alfeo
dolcemente, perché egli è sempre mite, tutto all'opposto di Giuda
di Keriot, che anche nelle ore buone è sempre violento e imperioso.
«Appunto
perché si va anche noi a Gerusalemme, era inutile venire qui. Ci
avrebbero sentiti e visti là...».
«Ma
non le donne e i malati», ribatte interrompendolo Bartolomeo, in
aiuto di Giacomo d'Alfeo.
Giuda
finge di non sentire e dice, come continuando il discorso: «Almeno
credo che noi si vada a Gerusalemme, benché ora non ne sono più
sicuro dopo il discorso fatto a quel pastore...».
«E
dove vuoi che si vada se non là?», chiede Pietro. «Mah! Non so. È
tutto così irreale ciò che facciamo da qualche mese, tutto così
contrario al prevedibile, al buon senso, alla giustizia anche,
che...».
«Ohe!
Ma io ti ho visto bere del latte a Doco, eppure tu parli da ebbro!
Dove le vedi le cose contrarie alla giustizia?», chiede Giacomo di
Zebedeo con occhi che promettono poco bene. E rincara: «Basta di
rimproveri al Giusto! Hai capito che basta? Non hai il diritto, tu,
di rimproverarlo. Nessuno ha questo diritto, perché Egli è
perfetto, e noi... Nessuno di noi lo è, e tu meno di tutti».
«Ma
sì! Se sei malato curati, ma non affliggerci con le tue querele. Se
sei lunatico, là è il Maestro. Fatti guarire e smettila!», dice
Tommaso che perde la pazienza.
Infatti
Gesù è dietro, insieme a Giuda d'Alfeo e Giovanni, e aiutano le
donne che, meno use al camminare in penombra, fanno fatica a
procedere per il sentiero non buono e anche più oscuro dei campi,
perché tagliato in un folto uliveto. E Gesù parla fitto con le
donne, estraniandosi da ciò che succede più avanti e che pure è
sentito da chi è con Lui, perché, se le parole giungono male, il
tono di esse denota che non sono parole piane, ma che già hanno
sapore di disputa.
I
due apostoli, il Taddeo e Giovanni, si guardano... ma non parlano.
Guardano Gesù e Maria. Ma Maria è tanto velata dal suo manto che
quasi non se ne vede il volto, e Gesù sembra non aver sentito. Però,
finito il suo discorso parlavano di Beniamino e del suo futuro, e
parlano della vedova Sara di Afec, che si è stabilita a Cafarnao ed
è madre amorosa non soltanto dell'infante di Giscala ma anche dei
piccoli figli della donna di Cafarnao che, passata a seconde nozze,
non amava più i figli del primo letto e che è morta poi «così
male che veramente si è vista la mano di Dio nella sua morte», dice
Salome- Gesù va avanti insieme con Giuda Taddeo e si unisce agli
apostoli dicendo nell'andarsene: «Resta pure, Giovanni, se vuoi
farlo. Io vado a rispondere all'inquieto e a metter pace».
Ma
Giovanni, fatti ancor pochi passi con le donne, visto che ormai il
sentiero si fa più aper- to e luminoso, raggiunge di corsa Gesù
proprio mentre dice: «Rassicurati, dunque, Giuda. Nulla faremo, come
nulla abbiamo mai fatto, di irreale. Anche ora non facciamo cosa
contro il pre- vedibile. Questo è il tempo in cui è prevedibile che
ogni vero israelita, non impedito da malattie o cause gravissime,
salga al Tempio. E noi al Tempio saliamo».
«Non
tutti però. Marziam ho sentito che non ci sarà. È forse malato?
Per qual motivo non viene? Ti pare di poterlo sostituire col
samaritano?». Il tono di Giuda è insopportabile... Pietro mormora:
«O prudenza, incatena la lingua a me che sono uomo!», e stringe
fortemente le labbra per non dire di più. I suoi occhi, un poco
bovini, hanno uno sguardo che com- muove, tanto sono visibili in essi
lo sforzo che fa l'uomo per frenare il suo sdegno e l'afflizione di
sentire Giuda parlare a quel modo.
La
presenza di Gesù tiene ferma ogni lingua. È solo Lui che parla,
dicendo con una calma veramente divina:
«Venite
avanti un poco. Che le donne non sentano. Ho da dirvi una cosa da
qualche giorno. Ve l'ho promessa nelle campagne di Tersa. Ma volevo
ci foste tutti a sentirla. Tutti voi. Non le donne. Lasciamole nella
loro umile pace... In quello che vi dirò sarà anche la ragione per
la quale Marziam non sarà con noi, e non tua madre, Giuda di Keriot,
e non le tue figlie, Filippo, e non le discepole di Betlemme di
Galilea con la fanciulla. Vi sono cose che non tutti possono
sopportare. Io, Maestro, so cosa è bene per i miei discepoli e
quanto essi possono o non possono sopportare. Neppur voi siete forti
per sopportare la prova. E grazia sarebbe per voi es- serne esclusi.
Ma voi dovrete continuarmi e dovete sapere quanto siete deboli per
essere in seguito misericordiosi con i deboli. Perciò voi non potete
essere esclusi da questa tremenda prova, che vi darà la misura di
ciò che siete, di ciò che siete restati dopo tre anni che siete con
Me e di ciò che siete divenuti dopo tre anni che siete con Me. Siete
dodici. Siete venuti a Me quasi contemporaneamente. Non sono i pochi
giorni che vanno dal mio incontro con Giacomo, Giovanni e Andrea, al
giorno nel quale anche tu sei stato accolto fra noi, Giuda di Keriot,
né a quello che tu, Giacomo fratello mio, e tu, Matteo, siete venuti
con Me, quelli che possano giu- stificare tanta differenza di
formazione fra voi. Eravate tutti, anche tu, dotto Bartolmai, anche
voi, fratelli miei, molto informi, assolutamente informi rispetto a
quanto è formazione nella mia dottrina. Anzi, la vostra formazione,
migliore a quella di altri fra voi nella dottrina del vecchio
Israele, vi era di ostacolo al formarvi in Me. Eppure, nessuno di voi
ha percorso tanta strada quale sarebbe stata sufficiente a portarvi
tutti ad un unico punto. Uno lo ha raggiunto, altri vi sono vicini,
altri più lontani, altri molto indietro, altri... sì, devo dire
anche questo, in luogo di venire avanti sono arretrati. Non vi
guardate! Non cercate fra voi chi è il primo e chi è l'ultimo.
Colui che, forse, si crede il primo ed è creduto primo, ha ancora da
saggiare se stesso. Colui che si crede ultimo sta per risplendere
nella sua formazione come una stella del cielo. Perciò, una volta di
più, vi dico: non giudicate. I fatti giudicheranno con la loro
evidenza. Per ora non potete capire. Ma presto, molto presto
ricorderete queste mie parole e le capirete».
«Quando?
Ci hai promesso di dirci, di spiegarci anche perché la purificazione
pasquale sarà diversa quest'anno, e non ce lo dici mai», si lamenta
Andrea.
«È
di questo che vi ho voluto parlare. Perché tanto quelle parole che
questa sono un'unica cosa, avendo radice in un'unica cosa. Noi, ecco,
stiamo ascendendo a Gerusalemme per la Pasqua. E là si compiranno
tutte le cose dette dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo. In
verità, così come videro i profeti, come già è detto nell'ordine
dato agli ebrei di Egitto, come fu ordinato a Mosè nel deserto,
l'Agnello di Dio sta per essere immolato e il suo Sangue sta per ba-
gnare gli stipiti dei cuori, e l'angelo di Dio passerà senza
percuotere coloro che avranno su di loro, e con amore, il Sangue
dell'Agnello immolato, che sta per essere innalzato come il ser-
pente di prezioso metallo sulla barra trasversa, ad essere segno ai
feriti dal serpente infernale, per essere salute a coloro che lo
guarderanno con amore. Il Figlio dell'uomo, il vostro Maestro Gesù,
sta per essere dato nelle mani dei principi dei sacerdoti, degli
scribi e degli anziani, che lo condanneranno a morte e lo
consegneranno ai gentili perché venga schernito. E sarà
schiaffeggiato, percosso, sputacchiato, trascinato per le vie come un
cencio immondo, e poi i gentili, dopo averlo flagellato e coronato di
spine, lo condanneranno alla morte di croce propria dei malfattori,
volendo il popolo ebreo, radunato in Gerusalemme, la sua morte al
posto di quella di un ladrone, ed Egli sarà così ucciso. Ma, così
come è detto nei segni delle profezie, dopo tre giorni risorgerà.
Questa la prova che vi attende. Quella che mostrerà la vostra
formazione. In verità vi dico, a voi tutti che vi credete tanto
perfetti da sprezzare quelli che non sono d'Israe- le, e anche da
sprezzare molti dello stesso popolo nostro, in verità vi dico che
voi, mia parte eletta del gregge, preso il Pastore, sarete percossi
da paura e vi sbanderete fuggendo, quasi che i lupi, che mi
azzanneranno da ogni parte, fossero contro di voi rivolti. Ma, ve lo
dico: non temete. Non vi sarà torto un capello. Basterò Io a
saziare i lupi feroci...».
Gli
apostoli, man mano che Gesù parla, sembrano creature sotto un
grandinare di pietre. Si curvano persino, sempre più mano a mano che
Gesù parla. E quando Egli termina: «E quanto vi dico è ormai
imminente. Non è come le altre volte, che del tempo era davanti
all'ora. Adesso l'ora è venuta. Io vado per essere dato ai miei
nemici e immolato per la salute di tutti. E questo bocciolo di fiore
non avrà ancora perduto i suoi petali, dopo esser fiorito, che Io
sarò già morto», chi si ripara il volto con le mani e chi geme
come se venisse ferito. L'Iscariota è livido, letteralmente
livido...
Il
primo a riprendersi è Tommaso, che proclama: «Questo non ti
accadrà, perché noi ti difenderemo o moriremo insieme a Te, e così
dimostreremo che ti avevamo raggiunto nella tua perfezione e che
eravamo perfetti nell'amore di Te».
Gesù
lo guarda senza parlare. Bartolomeo, dopo un lungo silenzio
meditabondo, dice: «Hai detto che sarai dato... Ma chi, chi può
darti in mano ai tuoi nemici? Ciò non è detto nelle profezie. No.
Non è detto. Sarebbe troppo orribile se un tuo amico, un tuo
discepolo, un tuo seguace, anche l'ultimo di tutti, ti desse a quelli
che ti odiano. No! Chi ti ha udito con amore, anche una volta sola,
non può commettere questo delitto. Sono uomini, non belve, non
satana... No, mio Signore. E neppure quelli che ti odiano potranno...
Hanno paura del popolo, e il popolo sarà tutto intorno a Te!».
Gesù
guarda anche Natanaele e non parla. Pietro e lo Zelote parlano fitto
fitto fra loro. Giacomo di Zebedeo malmena, a parole, il fratello
perché lo vede calmo, e Giovanni risponde: «È perché da tre mesi
io so questo», e due lacrime gli scendono sul volto. I figli di
Alfeo parlano con Matteo, che scrolla il capo sconfortato.
Andrea
si volge all'Iscariota: «Tu che hai tanti amici nel Tempio...».
«Giovanni conosce lo stesso Anna», ribatte Giuda e termina: «Ma
che ci vuoi fare? Che vuoi che possa parola d'uomo se così è
segnato?».
«Tu
credi proprio?», domandano insieme Tommaso e Andrea. «No. Io non
credo niente. Sono allarmi inutili. Dice bene Bartolomeo. Tutto il
popolo sarà intorno a Gesù. Già lo si vede da questi che si
incontrano. E sarà un trionfo. Vedrete che sarà così», dice Giuda
di Keriot. «Ma allora perché Egli...», dice Andrea accennando a
Gesù che si è fermato per attendere le donne.
«Perché
lo dice? Perché è impressionato... e perché ci vuole provare. Ma
non accadrà nulla. Del resto io andrò...».
«Oh!
sì. Va' a sentire!», supplica Andrea. Tacciono perché Gesù li
segue di nuovo, stando fra la Madre e Maria d'Alfeo. Maria ha un
pallido sorriso perché la cognata le mostra dei semi, presi non so
dove, e le dice che vuol seminarli a Nazaret dopo la Pasqua, proprio
presso la grotticella a Maria tanto cara: «Quando eri bambina io ti
ricordo sempre con questi fiori nelle manine. Li chiamavi i fiori
della tua venuta. Infatti, quando nascesti, il tuo orto ne era pieno,
e quella sera, quando tutta Nazaret corse a vedere la figlia di
Gioacchino, i ciuffi di queste stelline erano tutti un diamante per
l'acqua che era scesa dal cielo e per l'ultimo raggio di sole che da
ponente li colpiva, e posto che ti chiamavi "Stella", tutti
dicevano, guardando quelle tante piccole stelle brillanti: "I
fiori si sono ornati a far festa al fior di Gioacchino e le stelle
hanno lasciato il cielo per venir dalla Stella", e sorridevano
tutti, felici del presagio e della gioia di padre.
E
Giuseppe, il fratello del mio sposo, disse: "Stelle e stille. È
veramente Maria!". Chi glielo avrebbe detto allora che la sua
stella avresti dovuto divenire? Quando tornò da Gerusalemme eletto a
tuo sposo! Tutta Nazaret gli voleva far festa, perché era grande il
suo onore venuto dal Cielo e venuto dagli sponsali con te, figlia di
Gioacchino e Anna, e tutti lo volevano a festino. Ma egli con il suo
dolce ma fermo volere respinse ogni festa, stupendo tutti, perché
quale è quell'uomo, destinato a onorevoli nozze e con tal decreto
dell'Altissimo, che non festeggi la sua felicità d'anima e di carne
e sangue? Ma egli diceva: "A grande elezione grande
preparazione". E con continenza anche di parole e di cibo, che
ogni altra continenza era sempre stata in lui, passò quel tempo
lavorando e pregando, perché credo che ogni colpo di martello, ogni
segno di scalpello divenisse orazione, se orare si può col lavoro.
Il suo viso era come estatico. Io andavo a riordinare la casa,
imbiancare lenzuoli e ogni altro lasciati da tua madre e divenuti
gialli nel tempo, e lo guardavo mentre lavorava nell'orto e nella
casa a rifarli belli come mai fossero rimasti in abbandono, e gli
parlavo anche... ma era come assorto. Sorrideva. Ma non a me o ad
altri, ad un suo pensiero che non era, no, il pensiero di ogni uomo
prossimo a nozze. Quello è sorriso di letizia maliziosa e carnale...
Lui... pareva sorridesse agli invisibili angeli di Dio, e con essi
parlasse e si consigliasse... Oh! che io ne sono certa che essi lo
istruissero sul come trattare te! Perché dopo, altro stupore di
tutta Nazaret, e quasi sdegno del mio Alfeo, procrastinò le nozze a
quanto più potè, e non si capì mai come d'improvviso si decidesse
prima del tempo fissato. E anche quando ti si seppe madre, come stupì
Nazaret della sua gioia assorta!... Ma anche il mio Giacomo è un
poco così. E sempre più lo diventa. Ora che lo osservo bene non so
perché, ma da quando venimmo ad Efraim mi pare tutto nuovo lo vedo
così... proprio come Giuseppe. Guardalo anche ora, Maria, or che si
volge di nuovo a guardarci. Non ha l'a spetto assorto, tanto abituale
in Giuseppe, tuo sposo? Sorride di quel sorriso che non so dire se
mesto o lontano. Guarda e ha lo sguardo lungo, oltre noi, che aveva
Giuseppe tante volte. Ti ricordi come lo stuzzicava Alfeo? Diceva:
"Fratello, vedi ancor le piramidi?". Ed egli scoteva il
capo senza parlare, paziente e segreto sui suoi pensieri. Poco
ciarliero sempre. Ma da quando tornasti da Ebron! Neppur più veniva
solo alla fontana, come prima faceva e come tutti fanno. O con te o
al suo lavoro. E men che il sabato alla sinagoga o quando si recava
per affari altrove, nessuno può dire di aver visto Giuseppe a zonzo
in quei mesi. Poi partiste... Che affanno non saper più nulla di voi
dopo la strage! Alfeo si spinse sino a Betlemme... "Partiti",
dissero. Ma come credere se vi odiavano a morte nella città dove
ancora rosseggiava il sangue innocente e fumavano le rovine e vi si
faceva accusa che per voi quel sangue era scorso? Andò a Ebron e poi
al Tempio, perché Zaccaria aveva il suo turno. Elisabetta non gli
dette che lacrime, Zaccaria parole di conforto. L'una e l'altro, in
affanno per Giovanni, temendo nuove ferocie, l'avevano nascosto e
trepidavano per lui. Di voi nulla sapevano, e Zaccaria disse ad
Alfeo: "Se sono morti, il loro sangue è su me, perché io li
persuasi a rimanere a Betlemme". La mia Maria! Il mio Gesù
visto così bello alla Pasqua che seguì la sua nascita! E non
saperne nulla. Per tanto! Ma perché mai una notizia?...».
«Perché
bene era tacere. Là dove eravamo, molte erano le Marie e i Giuseppe,
e bene era passar per una coppia qualunque di sposi», risponde
quieta Maria e sospira: «Ed erano, nella loro tristezza, giorni
ancor felici. Il male era così lontano ancora! Se tanto mancava alle
nostre persone umane, lo spirito si saziava della gioia di averti,
Figlio mio!». «Anche ora ce l'hai, Maria, il Figlio tuo. Manca
Giuseppe, è vero! Ma Gesù è qui e col suo completo amore di
adulto», osserva Maria d'Alfeo.
Maria
alza il capo a guardare il suo Gesù. E lo strazio è nel suo sguardo
anche se la bocca sorride lievemente. Ma non aggiunge parola.
Gli
apostoli si sono fermati ad attenderli e si riuniscono tutti, anche
Giacomo e Giovanni che erano indietro a tutti con la madre loro. E
mentre riposano dal cammino fatto e alcuni mangiano un poco di pane,
la madre di Giacomo e Giovanni si avvicina a Gesù e si prostra
davanti a Lui che non si è neppur seduto, frettoloso di riprendere
il cammino.
Gesù
la interroga, perché è palese in lei il desiderio di chiedere
qualcosa: «Che vuoi, donna? Parla».
«Concedimi
una grazia, prima che Tu te ne vada così come dici». «E quale?».
«Quella di ordinare che questi miei due figlioli, che per Te tutto
hanno lasciato, seggano uno alla tua destra e l'altro alla tua
sinistra quando Tu sarai seduto, nella tua gloria, nel tuo Regno».
Gesù
guarda la donna e poi guarda i due apostoli e dice: «Voi avete
suggerito questo pensiero a vostra madre, interpretando molto male le
mie promesse di ieri. Il centuplo per ciò che avete lasciato non lo
avrete in un regno della Terra. Anche voi dunque divenite avidi e
stolti? Ma non voi. È già il crepuscolo mefitico delle tenebre che
avanza e l'aria inquinata di Gerusalemme che si avvicina e vi
corrompe e accieca... Io vi dico che voi non sapete ciò che
chiedete! Potete voi forse bere il calice che berrò Io?».
«Noi
lo possiamo, Signore». «Come potete dirlo se ancor non avete
compreso di quale amaritudine sarà il mio calice? Non sarà
solamente l'amarezza che vi descrissi ieri, la mia di Uomo di tutti i
dolori. Vi saranno torture che, anche se Io ve le descrivessi, voi
non sareste in condizioni di capire... Eppure, sì, poiché per
quanto ancor come due bambini che non conoscono il valore di ciò che
chiedono poiché voi siete due spiriti giusti e amanti di Me, voi
certo berrete al mio calice. Però sedere alla mia destra o alla mia
sinistra non sta a Me di concedervelo. Essa è cosa concessa a quelli
ai quali è stato preparato dal Padre mio».
Gli
altri apostoli, mentre ancora Gesù parla, sono acerbi nel criticare
la richiesta dei figli di Zebedeo e della loro madre. Pietro dice a
Giovanni: «Tu poi! Non ti riconosco più per quel che eri!». E
l'Iscariota, con il suo sorriso da demonio: «Veramente i primi sono
gli ultimi! Tempo di sorprese e di cognizioni...», e ride verde.
«Abbiamo
forse seguito per gli onori il Maestro nostro?», rimprovera Filippo.
Tommaso, invece che ai due, si volge a Salome dicendo: «Perché far
mortificare i tuoi figli? Se non loro, tu dovevi riflettere e
impedire questo». «È vero. Nostra madre non lo avrebbe fatto»,
dice il Taddeo. Bartolomeo non parla, ma il suo volto è tutto una
disapprovazione. Simone Zelote dice, a calmare lo sdegno: «Tutti
possiamo errare...». Matteo, Andrea e Giacomo di Alfeo non parlano,
anzi visibilmente soffrono dell'incidente che incrina la bella
perfezione di Giovanni.
Gesù
fa un gesto per imporre silenzio e dice: «E che? Da un errore ne
verranno molti? Voi, che rimproverate indignati, non vi accorgete di
peccare voi pure? Lasciate stare questi vostri fratelli. Il mio
rimprovero è sufficiente. Il loro avvilimento è palese, il loro
pentimento umile e sincero. Dovete amarvi fra voi, sorreggervi a
vicenda. Perché, in verità, nessuno di voi è perfetto ancora. Voi
non dovete imitare il mondo e gli uomini di esso. Nel mondo, voi lo
sapete, i principi delle nazioni le signoreggiano e i loro grandi
esercitano su di esse il potere in nome dei principi. Ma tra voi così
non deve essere. Non deve essere in voi smania di signoreggiare sugli
uomini, né sui compagni. Anzi, chi tra voi vorrà diventare maggiore
si faccia vostro ministro e chi vuol essere primo si faccia servo di
tutti. Così come ha fatto il Maestro vostro. Son forse venuto per
opprimere e signoreggiare? Per essere servito? No, in verità, no. Io
sono venuto per servire. E così, come il Figlio dell'uomo non è
venuto ad essere servito, ma per servire e per dare la vita sua in
redenzione di molti, così voi dovrete saper fare, se vorrete essere
come Io sono e dove Io sono. Ora andate. E siate in pace fra voi come
Io lo sono con voi».
Mi
dice Gesù: «Segna molto il punto: «"...voi certo berrete al
mio calice". Nelle traduzioni si legge: "il mio calice".
Ho detto "al mio", non "il mio". Nessun uomo
avrebbe potuto bere il mio calice. Io solo, Redentore, l'ho dovuto
bere tutto il mio calice. Ai miei discepoli, ai miei imitatori e
amanti, certo è concesso bere a quel calice dove Io bevvi, per
quella stilla, quel sorso, o quei sorsi, che la predilezione di Dio
concede loro di bere. Ma mai nessuno lo berrà tutto il calice come
Io lo bevvi. Dunque è giusto dire "al mio calice" e non
"il mio calice"».
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