martedì 8 luglio 2014

Sono i dettagli che rendono bella la vita. In ogni tipo di lavoro - Febbraio 9, 2014 padre Aldo Trento, missionario in Paraguay




Erano le 23.30. mentre facevo il mio esame di coscienza inginocchiato davanti alla bella immagine del Crocifisso della mia stanza, mi sono venute in mente, ripensando alle molte ore in cui sono stato impegnato nel mio lavoro, alcune cose che avevo visto e che cercherò di sintetizzare in questo scritto.
Qualcuno dirà: padre Aldo, il tuo esame di coscienza è un pochino insolito rispetto a quello che normalmente troviamo nei manuali venduti nelle librerie cattoliche, nei quali si deve rispondere a domande precise, con riferimento ai dieci comandamenti. Apparentemente sì, tuttavia monsignor Luigi Giussani mi ha educato a capire che l’esame di coscienza non è rispondere a una lista di domande, ma è una verifica della fede, dentro la realtà quotidiana. Verifica significa riconoscere e vivere le implicazioni esistenziali della fede.
Papa Benedetto XVI ha affermato che nel cristianesimo l’intelligenza della fede deve diventare intelligenza della realtà. Per questo, l’esame di coscienza è per me, innanzitutto, il riconoscimento della presenza del Mistero dentro la realtà. Partendo da questa positività germoglia una gratitudine per il dono dell’esistenza e un grande dolore pieno di pace nel constatare le distrazioni che vivo durante il giorno, quando mi lascio trascinare non dall’obiettività della realtà ma dalle mie interpretazioni di essa, che si rendono visibili nella modalità con la quale vivo i dettagli della mia vita quotidiana.
E quando parlo di dettagli parlo di cose molto semplici: di come mi alzo al mattino, di come mi pettino o mi rado, se sono puntuale agli appuntamenti oppure no, se guardo le persone che incontro, se lavo o no la tazza del caffè che ho usato per colazione, se saluto ogni persona che incontro. Cioè, la vita è fatta di dettagli e sono quelli che la rendono bella. Pensiamo per esempio alla porta di una casa. La sua bellezza dipende dal materiale, se è fatta di legno massiccio o compensato, se ogni particolare che la compone è curato fino ai minimi dettagli, come per esempio la qualità della serratura, il fatto che si chiuda bene, che entrambe le ante siano “perfette”.
Un falegname, se è un uomo è un artista, cioè uno che ama quello che fa e che esprime la sua creatività. Se è un uomo, vive una grande passione per quello che fa, “parla” col legno, lo padroneggia, lo cura, gode della sua bellezza. Pertanto, quando sta lavorando, quando sta creando qualcosa, i suoi gesti diventano carezze, i suoi occhi brillano di commozione. Il successo di un mobile, di una porta, deriva dal fatto che anche il più inesperto riesce a riconoscerne la bellezza. E gli viene voglia di toccarla, di mostrarla agli amici.
Un falegname è talmente appassionato al legno che arriva a parlare con lui, come Michelangelo col suo Mosè. Quando visito la chiesa di Yaguarón e vedo le porte della sagrestia, i suoi cardini, i suoi disegni, (ognuno con colori naturali differenti in entrambe le ante), quando vedo il grande mobile che custodisce i paramenti e gli oggetti sacri necessari per la celebrazione della santa Messa, rimango attonito fino ad affermare: “Che bello è il cristianesimo! Che bella la sua liturgia!”. E vado con la mente al falegname, ai pittori che alcuni secoli fa realizzarono un’opera tanto bella curandone ogni particolare.



L’amara sorpresa

Quando rientro a casa, entro nella nuova sagrestia e vedo la porta rovinata, la maniglia “nuova” (fatta secondo il criterio oggigiorno dominante nel lavoro dell’“usa e getta”) che si muove come la coda di un cane, mi afferrano un malessere e un’angoscia grandi. Si vede, si tocca con mano la mancanza di amore in tutti quelli che, in un modo o nell’altro, sono stati responsabili della costruzione di quella porta. Senza Cristo, anche un gioiello diventa sterco; con Cristo, invece, uno sterco diventa qualcosa di prezioso. Pane al pane e vino al vino! Neanche gli imbianchini fanno eccezione, perché quello che fa la differenza nel modo di trattare la realtà è la coscienza o meno che questa è il corpo di Cristo, proprio come afferma san Paolo.
Innanzitutto, un imbianchino che ha nel suo Dna i criteri della fede, prepara bene l’ambiente prima di dipingere. Sposta i mobili, li avvolge accuratamente con tele cerate, con pagine di giornale o altri materiali simili; poi copre i pavimenti per assicurarsi che non si rovinino con le gocce di pittura, e infine nasconde bene i bordi delle piastrelle, le intelaiature delle finestre, i battiscopa, eccetera con del nastro adesivo di carta. Solo quando tutto è pronto, prende il pennello e dà inizio all’opera, badando a non sprecare nemmeno una goccia di vernice. Una volta terminato il suo lavoro, lo “consegna” al proprietario, lasciando una pulizia impeccabile nella stanza e in generale in ogni ambiente dove è passato.
Poche volte ho visto un imbianchino con questo atteggiamento, con questa attenzione. Però quando ho avuto la fortuna di vederlo mi sono meravigliato. Qui in Paraguay è una continua lotta. Per questo sto loro addosso, spiegando e ripetendo ogni giorno le stesse cose, senza stancarmi. Col tempo, insistendo, arriva il momento in cui l’imbianchino cambia modo di lavorare, cambia atteggiamento. Ma non sempre è così. Molto spesso le risposte ai miei richiami sono di questo tipo: «Padre, non si preoccupi se mentre dipingo la parete sporco il pavimento, dopo si pulisce». Come a dire: «Una volta finito il lavoro arrangiati».
Alcuni giorni fa sono andato a verificare il lavoro che era stato fatto in un bagno nuovo. Che amara sorpresa! L’imbianchino aveva sporcato con il colore le piastrelle delle pareti. E non solo quello! Il muratore che aveva piastrellato il pavimento, aveva lasciato tra l’una e l’altra mattonella fessure differenti: o troppo vicine tra loro o troppo separate. E per finire un’ultima sorpresa: controllando i bagni nuovi di una casa, trovo che l’idraulico aveva messo lo scarico della doccia, grande come quello di una vasca da bagno e la griglia della base del lavello dieci volte più grande di quello della doccia. Inoltre, senza alcuna pendenza, così ogni volta l’acqua allaga il bagno quando ci si lava. Che cosa fare?
Si vede da come usi il bagno. Continuo ancora a verificare ogni cosa col Rosario in mano e nella mente faccio memoria del famoso “Cristo della pazienza”, molto caro nel mio paese. Qualcuno si domanderà del perché mi devo preoccupare io di tutte queste cose. Romano Guardini risponderebbe così: «Nell’esperienza di un grande amore (…) tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito». L’amore è una gran cosa ma è fatto di dettagli. San Benedetto educò i barbari convertiti a vivere il quotidiano in forma eroica e l’eroico nella vita quotidiana. Il Vangelo dice di Gesù: «Bene omnia fecit» (Ha fatto bene ogni cosa). Partendo da queste cose, Benedetto creò le civiltà europee e i padri gesuiti quella delle Riduzioni.
Si tratta di imparare cosa significano le implicazioni esistenziali della fede o, come affermava papa Benedetto XVI, «l’intelligenza della fede deve diventare intelligenza della realtà». Vuol dire che non sono le prediche, le chiacchiere, i discorsi che educano, ma l’esempio. Io per primo devo prendere in mano la scopa e insegnare a usarla in modo corretto per pulire il pavimento, con l’allegria di un uomo innamorato di Cristo. Ci sono persone che vengono qui e che conoscono tutto di Cristo. Ma se uno entra nella loro stanza, sviene… O Cristo ha a che vedere con tutto, perfino col modo di usare il bagno, oppure non mi interessa per niente.


Febbraio 9, 2014 padre Aldo Trento, missionario in Paraguay



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