sabato 4 ottobre 2014

Sant' Anna Schaffer - Tema : La sofferenza - È stata proclamata beata nel 1999 e santa nel 2012 -


«Qualsiasi sia la forma, la sofferenza è per così dire inseparabile dall'esistenza terrena dell'uomo... La sofferenza umana ispira compassione, ispira anche il rispetto e, in un certo senso, intimidisce. Infatti, essa porta in sè la grandezza di un mistero specifico... Attraverso i secoli e le generazioni umane, si è constatato che nella sofferenza si cela una forza particolare che unisce interiormente l'uomo a Cristo, una grazia speciale. Ad essa molti santi devono la loro profonda conversione, come san Francesco d'Assisi, sant'Ignazio di Loyola, ecc. Il frutto di tale conversione non è soltanto il fatto che l'uomo scopre il senso salvifico della sofferenza, ma soprattutto il fatto che, nella sofferenza, egli diventa un uomo totalmente nuovo...» (Lettera apostolica Salvifici doloris, SD, Giovanni Paolo II, 11 febbraio 1984, nn. 3, 4, 26). La vita della beata Anna Schäffer illustra particolarmente la constatazione del Santo Padre.
Anna Schäffer nasce a Mindelstetten, paesetto della Bassa Baviera, nella diocesi di Ratisbona (Germania del Sud), il 18 febbraio 1882, in una famiglia numerosa; suo padre fa il falegname. I Schäffer sono buoni cristiani. Fedeli alle preghiere del mattino, di mezzogiorno e della sera, si recano tutte le domeniche e feste in chiesa per la Messa, ma ci vanno anche durante la settimana, quando possono. Anna è una bambina riservata, dolce e timida, portata per gli studi e abile nei lavori manuali. Nel 1896, suo padre muore, a quarant'anni, lasciando la famiglia in una grande povertà. Anna, che desidera farsi Suora, se possibile in una Congregazione missionaria, deve lavorare per costituirsi la dote (contributo finanziario indispensabile a quell'epoca, per entrare in convento). A quattordici anni, si impiega come «tuttofare», inizialmente a Ratisbona in casa di una farmacista, poi a Landshut, presso un consigliere della Pretura. Lì, riceve per la prima volta, una sera del giugno 1898, un messaggio del Cielo: un Santo le appare (è incapace di dirne il nome) e le dice: «Prima di arrivare a vent'anni, comincerai a soffrire molto. Recita il rosario». Essa parlerà più tardi dei pericoli per la sua purezza verginale, che è riuscita a sormontare, grazie al santo Rosario.
Nella sera del 4 febbraio 1901, la ragazza, impiegata nella casa forestale di Stammham, fa il bucato con una compagna, Wally Kreuzer. Il tubo della stufa che passa sopra al pentolone si è staccato dal muro; per riparare tale guasto, Anna sale su un muretto sporgente. Improvvisamente, perde l'equilibrio e cade con le due gambe, fino al ginocchio, nell'acqua bollente del bucato. Presa dal panico, Wally, invece di soccorrere la compagna, corre in cerca di aiuto. Un vetturino accorre e toglie la ragazza ferita dal pentolone; la sventurata viene condotta all'ospedale più vicino, a sette chilometri, su un carretto. Alle undici di sera, finalmente, un medico si occupa di lei e la opera per due ore. Le settimane seguenti saranno terribili: bisogna tagliare senza posa pezzi di carne andata in cancrena.

Più di trenta interventi chirurgici
Tre mesi dopo, l'assicurazione contro le malattie che copriva Anna, cessa il rimborso delle cure. La Signora Schäffer non può assumersi le spese di degenza; deve riportarsi a casa la povera figliola. Grazie all'intervento del Dottor Wäldin, un istituto per invalidi si incarica dell'ammalata; Anna sarà ricoverata dall'agosto 1901 al maggio 1902 nella clinica universitaria di Erlangen (vicino a Norimberga). Tuttavia, le cure non producono alcun risultato. Di ritorno a casa, Anna viene curata con competenza dal Dott. Wäldin. Con più di trenta interventi chirurgici, il medico proverà invano a praticare trapianti di pelle. Non potendo dar sollievo all'inferma, si rassegna finalmente ad avvolgerle le gambe in fasciature sterili. Le cure si limiteranno, per i vent'anni che rimangono da vivere ad Anna, al rinnovo settimanale di tali fasciature.
Il progetto di vita religiosa di Anna Schäffer diventa quindi irrealizzabile. La ragazza non si rassegna facilmente alla sua sorte: grida la propria sofferenza e si aggrappa alla speranza di guarire. Tuttavia, la sua anima si innalza alla dura scuola della Croce. Il Parroco di Mindelstetten, don Rieger, che sarà il suo padre spirituale, testimonierà di non aver mai sentito un lamento uscire dalla sua bocca. Fra dolori incessanti, Anna è fortificata e consolata dal Dio vivente e particolarmente dalla Santa Eucaristia.
«Vari sono gli stati d'animo con cui gli uomini affrontano la sofferenza, scrive Papa Giovanni Paolo II. Si può tuttavia senz'altro affermare che ogni persona entra quasi sempre nella sofferenza con una protesta perfettamente umana e ponendosi la domanda: «Perchè?» Ciascuno si chiede quale sia il senso della sofferenza e cerca una risposta a tale domanda sul piano umano. Rivolge certamente questa domanda a Dio molte e molte volte e la rivolge anche a Cristo. Inoltre, la persona che soffre non può non notare che colui a cui chiede una spiegazione soffre lui medesimo e le vuol rispondere dalla Croce, dal più profondo della sua propria sofferenza. Eppure, ci vuole talvolta tempo, e addirittura molto tempo, perchè la risposta cominci ad esser avvertita interiormente... Cristo non spiega astrattamente le ragioni della sofferenza, ma dice prima di tutto: «Seguimi! Vieni! Partecipa con la tua sofferenza all'opera di salvezza del mondo che si compie per mezzo della mia sofferenza! Per mezzo della mia Croce!» A mano a mano che l'uomo assume la sua croce, unendosi spiritualmente alla Croce di Cristo, il senso salvifico della sofferenza gli si manifesta maggiormente» (SD, n. 26).
Dal 1910 al 1925, Anna Schäffer scrive i suoi pensieri, riempiendo dodici quaderni; inoltre, sono state conservate 183 lettere e messaggi. Il suo linguaggio è dei più semplici; tuttavia, l'originalità ed il carattere personale dei suoi scritti colpisce il lettore, che vi scopre un'anima fissata solidamente nella fede in Gesù Cristo morto e risuscitato, e nella Comunione vivente con tutti gli eletti di Dio. Tale fiducia indefettibile in Dio, la certezza del suo amore infinito che le si manifesta attraverso le sofferenze, irradiano su coloro che la avvicinano per affidarle le loro intenzioni o per chiederle incoraggiamenti o consigli. I visitatori, in un primo tempo poco numerosi, un po' alla volta si moltiplicano. Le persone più prevenute contro Anna sono comunque impressionate dalla sua pazienza e dalla sua bontà.
La «vendetta» di Anna
Suo fratello Michele, povero ragazzo dedito al bere, non è l'ultimo, quando ha bevuto, a prendere in giro «la Santa». Anna si «vendica» sforzandosi di convertirlo a forza di dolcezza. Tuttavia, il comportamento di Michele obbliga la Signora Schäffer a prendere in affitto un piccolo appartamento nel paese, per traslocarvi insieme alla figlia. A questa madre ammirevole, che assisterà Anna fino alla morte e le sopravviverà quattro anni, Anna scrive: «O mia cara mamma, che grazia averti accanto senza posa! Il nostro caro Salvatore manda ai suoi figli il soccorso al momento opportuno, quando glielo domandiamo con fiducia; ed è spesso quando una prova o un'afflizione ci schiaccia maggiormente che è più vicino a noi con il suo aiuto e la sua benedizione».
Si accede per una scala molto ripida alla stanza dell'ammalata, stanza che ha come solo ornamento un crocifisso, un «Ecce Homo» e immagini di santi. Anna non lascia quasi mai la stanza ed il letto (che chiama anche letto-croce). In certe rare occasioni la si conduce in chiesa in una poltrona. Non appena Papa san Pio X autorizza la Comunione quotidiana, don Rieger le porta ogni giorno l'Eucaristia, da cui essa trae forza.
Ad Anna non piace far parlare di sè. Le sue giornate trascorrono nella preghiera, nel lavoro manuale e nella scrittura. «Ho tre chiavi del paradiso, dice: la più grande è di ferro grezzo ed è molto pesante: è la mia sofferenza. La seconda è l'ago da cucito, e la terza è la penna. Con queste varie chiavi, mi sforzo ogni giorno di aprire la porta del Cielo; ciascuna di esse deve esser ornata di tre piccole croci, che sono la preghiera, il sacrificio e la dimenticanza di me stessa». Spesso, i bambini del paese vengono a far visita ad Anna. Si sentono attirati da lei; l'ammalata parla loro del Salvatore, della Santa Vergine, dei Santi. Spiega loro come si vada in Cielo. Nell'insieme, la gente di Mindelstetten si comporta con simpatia nei suoi riguardi; le si vuol bene, si ha pietà di lei e si cerca di farle piacere. Nei giorni di festa, una rappresentanza del paese viene a farle visita; talvolta, tutta la banda le offre una serenata passando sotto alle sue finestre.
È la carità verso il prossimo, sofferente anch'esso, che fa uscire Anna dal suo silenzio abituale. Non appena vede una persona provata, trova mille parole allegre e amichevoli per riconfortarla e sembra, essa medesima, la più felice delle creature. Conserva preziosamente tutte le intenzioni di preghiera che le vengono affidate e le presenta instancabilmente a Dio. Tutti gli scritti di Anna manifestano una profonda sottomissione alla divina Provvidenza ed un'accettazione gioiosa delle croci. Molto spesso, le sue lettere portano una piccola miniatura disegnata a penna, di due o tre colori, che rappresenta la Croce, un calice circondato di spine, o anche qualche altra scena della Passione. «Cara Fanny, scrive il 14 dicembre 1918 ad un'amica, dobbiamo considerare le nostre sofferenze come se fossero le nostre più care amiche, che ci vogliono accompagnare senza posa, notte e giorno, per ricordarci di volgere lo sguardo verso l'alto, verso la santa Croce di Cristo».
Giobbe non è colpevole
Da sempre, gli uomini hanno cercato il senso della sofferenza. «Nel libro di Giobbe, la questione ha trovato la sua più viva espressione, sottolinea Papa Giovanni Paolo II. Si conosce la storia di quell'uomo giusto che, senza colpa personale, è messo alla prova da molteplici sofferenze... Nella sua terribile situazione, vede arrivare tre vecchi amici che cercano di convincerlo che, poichè è colpito da varie e terribili sofferenze, deve aver commesso qualche colpa grave... Tuttavia, Giobbe contesta la verità del principio che identifica la sofferenza con la punizione del peccato... Alla fine, Dio stesso rimprovera agli amici di Giobbe le loro accuse e riconosce che Giobbe non è colpevole. La sua sofferenza è quella di un innocente, deve essere accettata come un mistero che l'intelligenza dell'uomo non è in grado di penetrare a fondo... Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione quando è legata alla colpa, non è vero, al contrario, che tutte le sofferenze siano una conseguenza della colpa ed abbiano un carattere punitivo...»
«Per essere in grado di percepire la vera risposta al «perchè» della sofferenza, dobbiamo rivolgere lo sguardo verso la rivelazione dell'amore divino... Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perchè chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Giov. 3, 16)... L'uomo muore quando perde la vita eterna... Il Figlio unigenito è stato dato all'umanità per proteggere l'uomo prima di tutto contro tale male definitivo e contro la sofferenza definitiva...
«Cristo soffre volontariamente, e soffre pur essendo innocente... La sofferenza umana ha raggiunto il sommo nella passione di Cristo. E, simultaneamente, essa ha rivestito una dimensione nuova ed è entrata in un ordine nuovo: è stata legata all'amore, all'amore che crea il bene, facendolo scaturire perfino dal male, facendolo scaturire per mezzo della sofferenza, come il bene supremo della Redenzione del mondo è scaturito dalla Croce di Cristo... È nella Croce di Cristo che dobbiamo porre nuovamente la domanda del senso della sofferenza e trovare fino in fondo la risposta a tale domanda» (SD, nn. 10, 11, 13, 14, 18).
Come passa in fretta il tempo!
Da molto tempo, Anna era terziaria di San Francesco. A partire dal 4 ottobre 1910 (festa di san Francesco d'Assisi), essa porta per qualche tempo le stimmate della Passione, ma prega Dio di far in modo che tali ferite mistiche non siano apparenti; cosa che le viene accordata. Non sembra che abbia letto molto la Sacra Scrittura, ma, figlia della Chiesa cattolica, ha fatto propria la sua dottrina e la sua liturgia, che rivive per tutto l'anno, grazie ai ricordi d'infanzia. «Pregare per la santa Chiesa ed i suoi pastori, è per me la cosa più importante», afferma. Intende la sua vita di ammalata come una partecipazione alla Croce di Cristo. «Nelle ore di sofferenza e nelle numerose notti insonni, ho la più bella occasione per mettermi in ispirito davanti al tabernacolo e per offrire al Sacro Cuore di Gesù espiazione e riparazione. Oh, come il tempo passa in fretta allora per me! Sacro Cuore di Gesù, celato nel Santissimo Sacramento, ti ringrazio per la mia croce e per le mie sofferenze, in unione con le azioni di grazia di Maria, Madre dei Dolori».
«Il Redentore ha sofferto al posto dell'uomo e per l'uomo... Ciascuno è chiamato a partecipare personalmente alla sofferenza attraverso la quale la Redenzione si è compiuta... Operando la Redenzione attraverso la sofferenza, Cristo ha elevato nello stesso tempo la sofferenza umana al punto di darle valore di Redenzione. Qualsiasi uomo può dunque, nella sofferenza, partecipare alla sofferenza redentrice di Cristo... Colui che soffre in unione con Cristo... completa con la sua sofferenza quello che manca ai patimenti di Cristo (Col. 1, 24)... La sofferenza di Cristo ha creato il bene della Redenzione del mondo. Tale bene in se stesso è inesauribile ed infinito. Nessun uomo vi può aggiungere qualcosa. Ma, nello stesso tempo, nel mistero della Chiesa che è il suo corpo, Cristo, in un certo senso, ha aperto la propria sofferenza redentrice a tutta la sofferenza dell'uomo... Infatti, la Redenzione vive e si sviluppa come il corpo di Cristo – la Chiesa – e, in tale dimensione, ogni umana sofferenza, in virtù dell'unione nell'amore con Cristo, completa la sofferenza di Cristo. La completa come la Chiesa completa l'opera redentrice di Cristo» (SD, nn. 20, 24).
Nostro Signore Gesù Cristo, la Santa Vergine ed i Santi parlano spesso ad Anna, durante i suoi sogni notturni, e tali messaggi celesti sono per lei una frescura e come un saggio del Paradiso. Ma queste consolazioni non le danno mai un'impassibilità sovrumana. Fino alla fine, accetta con riconoscenza lo scarso sollievo che le dà la medicina. Nel corso di tutti i venticinque anni del suo «martirio», si compie un progresso nell'accettazione interiore delle prove. Scopre, a poco a poco, il segreto della pace interiore, che esprime così, nel suo linguaggio molto semplice: «Oh, quanta letizia e quanto amore sono celati nella croce e nella sofferenza!... Non rimango un quarto d'ora senza soffrire, e da molto tempo non so più cosa voglia dire esser senza dolore... Spesso, soffro talmente, che posso appena dire qualche parola; in quegli istanti, penso che il mio Padre Celeste deve amarmi particolarmente». Secondo quel che dice san Paolo: Sono pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione (2 Cor. 7, 4), essa soffre con una gioia misteriosa, non percettibile.
Una fonte di gioia
«Sormontare il senso dell'inutilità della sofferenza... diventa fonte di gioia. Non soltanto la sofferenza rode la persona interiormente, ma sembra anche fare di essa un peso per gli altri. La persona si sente condannata a ricevere l'aiuto e l'assistenza degli altri e, nello stesso tempo, appare a se stessa come inutile. La scoperta del senso salvifico della sofferenza in unione con Cristo trasforma questo sentimento deprimente... Nella prospettiva spirituale dell'opera della Redenzione, l'uomo che soffre è utile, come Cristo, per la salvezza dei fratelli e delle sorelle... Coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo conservano nelle loro sofferenze una particella del tutto particolare del tesoro infinito della Redenzione del mondo, e possono condividere tale tesoro con gli altri» (SD, n. 27).
Tre anni e mezzo prima della morte, Anna deve interrompere i lavori di cucito, che le offrivano uno svago ed un'occasione di rendersi utile. Inoltre, è diventato assolutamente impossibile trasportarla nella vicina chiesa parrocchiale perchè assista alla Messa; tale rinuncia è molto dolorosa per lei. Scrive: «La mia vita si spegne a poco a poco nella sofferenza... l'Eternità si avvicina senza posa; ben presto, vivrò di Dio, che è la Vita stessa. Il Cielo non ha prezzo, e mi rallegro ad ogni istante della chiamata del Signore verso la patria infinitamente bella» (16 marzo 1922). Il 5 ottobre 1925, dopo aver ricevuto la Santa Comunione ed essersi fatta il segno della croce, mormorando: «Signore Gesù, ti amo», Anna Schäffer si spegne serenamente, a 43 anni. Il suo corpo riposa nel cimitero di Mindelstetten, in attesa della «risurrezione della carne» (ved. Catechismo della Chiesa Cattolica, 988-1019). «Cristo ha vinto definitivamente il mondo con la sua Risurrezione; tuttavia, poichè la sua Risurrezione è legata alla sua passione ed alla sua morte, ha vinto in pari tempo questo mondo con la sua sofferenza. Sì, la sofferenza è stata inserita in modo particolare nella vittoria sul mondo, manifestata nella Risurrezione. Cristo conserva nel corpo risuscitato le tracce delle ferite causate dal supplizio della croce, sulle mani, sui piedi e nel costato. Con la Risurrezione, manifesta la forza vittoriosa della sofferenza» (SD, n. 25).
Come il buon Samaritano
La forza della sofferenza è data agli uomini anche per suscitare la «civiltà dell'amore»: «La prima e la seconda dichiarazione di Cristo a proposito del giudizio finale (Matt. 25, 34-45) indicano senza equivoco possibile quanto sia essenziale, nella prospettiva della vita eterna cui ogni uomo è chiamato, il fatto di fermarsi, come il buon Samaritano, accanto alla sofferenza del prossimo, di aver pietà di essa, e infine di darle sollievo. Nel programma messianico di Cristo, che è il programma del Regno di Dio, la sofferenza è presente nel mondo per liberare l'amore, per far nascere opere d'amore nei riguardi del prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana in «civiltà dell'amore». In tale amore, il senso salvifico della sofferenza si realizza a fondo e raggiunge la dimensione definitiva» (SD, n. 29).
Il Papa conclude così la sua esortazione apostolica: «Noi chiediamo a tutti voi che soffrite, di aiutarci. Proprio a voi che siete deboli, chiediamo di diventare una fonte di forza per la Chiesa e per l'umanità. Nella lotta terribile fra le forze del bene e quelle del male di cui il mondo contemporaneo ci offre lo spettacolo, che la vostra sofferenza unita alla Croce di Cristo sia vittoriosa!» (SD, n. 31). La beata Anna Schäffer è stata vittoriosa grazie alla Croce di Gesù. Prima ancora del giudizio ufficiale della Chiesa, un popolo numeroso di Baviera, poi di tutta l'Europa, si è recato sulla sua tomba per implorare il suo aiuto. Nel 1998, sono state inventariate presso la parrocchia di Mindelstetten 551 grazie ottenute attraverso la sua intercessione. Dal 1929 in poi, sono state segnalate più di 15000 grazie, attribuite alla sua preghiera.
In occasione della beatificazione, il 7 marzo 1999, il Papa diceva: «Se volgiamo lo sguardo verso la beata Anna Schäffer, leggiamo nella sua vita un commento vivo di quel che san Paolo ha scritto ai Romani: La speranza non delude, perchè l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rom. 5, 5). Certo, la lotta per abbandonarsi alla volontà di Dio non le è stata risparmiata. Ma le è stato dato di capire sempre meglio che, appunto, la debolezza e la sofferenza sono le pagine su cui Dio scrive il Vangelo... Il suo letto di ammalata è diventato la culla di un apostolato esteso al mondo intero».
Nelle lettere, tanto quanto nel lavoro manuale, la beata Anna Schäffer rappresenta preferibilmente il Cuore di Gesù, simbolo dell'Amore divino. Le raccomandiamo tutti coloro che soffrono, affinchè essa li aiuti ad unirsi al Cuore di Cristo, in attesa della gloriosa eternità.
Dom Antoine Marie osb

"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)"

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