giovedì 10 luglio 2014

Tema: Perdono - Male - Santa Claudine Thévenet


«Non c'è sciagura maggiore di quella di vivere e di morire senza conoscere Dio», si compiaceva di ripetere Santa Claudine Thévenet, lei, che aveva fatto assegnamento solo su Dio, come sottolineava Papa Giovanni Paolo II, in occasione della beatificazione di questa suora lionese: «Claudine, che ha fatto della sua vita religiosa un «inno di gloria» al Signore, seguendo le orme della Vergine Maria che venerava profondamente, ricorda ai cristiani che vale la pena di far assegnamento solo su Dio. A quelli ed a quelle che il Signore invita a consacrarsi più particolarmente al suo servizio, essa conferma che bisogna saper perdere la propria vita (ved. Matt. 16, 25), perchè altri possano amare e conoscere Dio; essa conferma anche, con il suo esempio, che il più bel successo nella vita è la santità» (4 ottobre 1981. In seguito, Claudine Thévenet è stata canonizzata il 21 marzo 1993).
La piccola violetta
Claudine Thévenet, nata a Lione il 30 marzo 1774, viene battezzata fin dal giorno dopo nella chiesa di San Nizier. Sarà chiamata Glady; è la seconda di una famiglia di sette figli. Trascorre i dodici primi anni della sua vita tranquillamente in famiglia, dove la fede cristiana è solidamente radicata. Dal padre, Filiberto Thévenet, commerciante, Claudine impara la carità verso i deboli e i poveri. Dalla madre, eredita il valore cristiano. Glady, che sarà chiamata anche «la piccola violetta», si rende utile in casa. A nove anni, i genitori la affidano alle Suore Benedettine dell'Abbazia di San Pietro, in Piazza «des Terreaux». Vi riceve una solida formazione intellettuale e spirituale, e qualche nozione di cucito, ricamo, ecc.; ma, soprattutto, le viene inculcato un grande amore per l'ordine e l'impegno in tutto. Claudine torna precipitosamente a casa, quando scoppia l'uragano rivoluzionario, nel 1789.
La città di Lione è terribilmente colpita dal Terrore. Per reazione, il 29 maggio 1793, scoppia, contro il governo di Parigi, un'insurrezione che, in capo a 24 ore di combattimenti, s'impadronisce della città. Per precauzione, il Signor Thévenet porta i figli più giovani da una delle sue sorelle a Belley. Da Parigi, vengono inviate truppe: il 9 agosto, la città di Lione è assediata. Il Signor Thévenet non può più tornare a casa.

I due fratelli maggiori di Claudine, Luigi Antonio (ventenne) e Francesco Maria (diciottenne), si schierano sotto il comando del generale de Précy, dalla parte degli assediati. Bombardata senza posa e vinta dalla carestia, Lione capitola in capo a due mesi. Claudine è sola con la madre, con cui condivide un triplice timore: incertezza relativamente al padre ed ai quattro figli più piccoli; la sorte dello zio materno, Luigi Guyot, rimasto nel territorio occupato dall'esercito rivoluzionario; e, ancora di più, il pericolo che corrono i due fratelli combattenti. Di fronte ad una situazione tanto penosa, essa ripone tutta la sua fiducia in Dio e cerca di mantenersi serena.
L'ultimo combattimento si svolge vicino alla dimora dei Thévenet. Dopo la battaglia, Glady si reca sul posto alla ricerca dei due fratelli. Si avvicina a ciascun cadavere, fissando i volti al lume di un lanternino, poichè si è fatta notte. I fratelli non ci sono. Combattuta fra la speranza e l'inquietudine, se ne torna a casa. Che dire alla povera mamma? Improvvisamente, eccoli! Scampati senza ferite all'assalto finale, si sono nascosti in una casa amica, poi, attraverso i tetti, hanno raggiunto la loro dimora per venire a calmare l'angoscia della madre e della sorella. Ahimè! la gioia è di breve durata. Denunciati, i due fratelli vengono arrestati ed imprigionati, in attesa di esser fucilati.
Il governo rivoluzionario di Parigi ha ordinato una repressione esemplare. Ogni giorno, centinaia di condannati vengono fucilati sulle terre incolte «des Brotteaux». Ovunque, regnano l'insicurezza e l'angoscia. La Signora Thévenet vede tuttavia il suo dolore lenito dal ritorno di Filiberto, suo marito. Questi si adopera con tutti i mezzi per tentar di far liberare i figli; ma essi non si illudono.
«Perdona come noi perdoniamo!»
Giorno per giorno, la ragazza scruta il corteo dei condannati. La mattina del 5 gennaio 1794, esamina attentamente la triste sfilata abituale. Improvvisamente, le si stringe il cuore: Luigi e Francesco! Ha incrociato lo sguardo dei fratelli, incatenati insieme! Tutto, in lei, freme d'orrore. Ma deve andare fino in fondo, come la Santa Vergine che accompagnò il suo Figlio unigenito fino al Calvario. Si intrufola penosamente vicino ad essi. Luigi si arrischia a far segno al domestico che accompagna Claudine, dicendogli sottovoce: «Chinati e prendi nella mia scarpa una lettera per nostra madre». Poi dice alla sorella: «Prendi, Glady, perdona come noi perdoniamo!» Essa ricorda allora le prime parole di Gesù sulla croce: Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno! (Luca 23,34).
Poi, la fucilazione. Claudine trova il coraggio di insinuarsi accanto alle vittime. Un rumore sinistro attira la sua attenzione: si dà il colpo di grazia a sciabolate ai superstiti, fra cui essa riconosce Luigi e Francesco. È troppo per i suoi nervi: per tutta la vita, conserverà una predisposizione all'emicrania.
Ed ora bisogna tornare a casa. La mano, ancora gelata dall'emozione, stringe la preziosa lettera. Il messaggio di addio, commovente testimonianza di fede ardente e di perdono, è un conforto. Ciascuno dei due fratelli ha scritto la propria lettera e ciascuna lettera è firmata da entrambi. «Saremo più felici di voi: fra quattro o cinque ore, saremo al cospetto di Dio... Andiamo in seno a Dio, quel buon Padre che abbiamo offeso, ma speriamo tutto dalla sua misericordia». Si sono potuti confessare entrambi ad un vecchio sacerdote infermo, incarcerato e condannato con loro.
Una forza nuova
La lettura di questo «testamento» ravviva in Claudine la coscienza della sua responsabilità nei riguardi dei genitori. Li aiuta a sormontare la prova, preceduta da un'altra tragedia, la morte per fucilazione di Luigi Guyot, fratello della Signora Thévenet. La suprema raccomandazione dei due fratelli riecheggia senza posa negli orecchi di Glady: «Perdona come noi perdoniamo».Tornata la calma a Lione, la spia che aveva denunciato i due giovani non sarà tradotta in giustizia dai Thévenet.
Il loro nobile atteggiamento si ispira alla dottrina di Nostro Signore. «L'insegnamento di Cristo, ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, arriva fino a chiedere il perdono delle offese. Estende il comandamento dell'amore che è quello della legge nuova, a tutti i nemici (ved. Matt. 5, 43-44)» (CCC, 1933). Lo spirito del Vangelo è incompatibile con l'odio del nemico; ciò non impedisce di riconoscere ed odiare il male compiuto da esso.
Dopo aver insegnato verbalmente il perdono delle offese, Gesù ce ne ha dato un esempio perfetto: Giunti sul luogo detto Teschio, ivi crocifissero Gesù e i due malfattori, uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno» (Luca 23, 33-34). «Gesù chiede al Padre di perdonare con il suo cuore umano, commenta il cardinale Journet: dobbiamo chiedere al Padre di perdonare con i nostri cuori umani. Contro l'odio e lo scatenarsi degli istinti terreni, Egli fa appello alle magnanimità del cielo: dobbiamo continuare con Lui a far appello alle magnanimità celesti contro l'odio, le follie, i crimini terreni. Una forza nuova entra con Lui nel mondo, e non ne uscirà più, una forza più forte del male del mondo. L'antico regno della violenza si scontrerà con un altro, con un nuovo regno... Ormai, qualcosa è cambiato nel tempo» (Le sette parole di Cristo in Croce, ed. Le Seuil 1952). Il nuovo regno è quello dell'amore: «Il perdono sta a testimoniare che, nel nostro mondo, l'amore è più forte del peccato, dice il Catechismo. I martiri di ieri e di oggi rinnovano questa testimonianza di Gesù» (CCC, 2844).
Se il rifiuto di perdonare chiude il nostro cuore e lo rende impermeabile all'amore misericordioso del Padre, il perdono, al contrario, lo apre alla grazia. Così, lungi dal far nascere l'aggressività o l'amarezza in Claudine, la prova, sormontata eroicamente, la predispone ad una grande compassione per l'infelicità altrui. A poco a poco, si sviluppa in lei un doppio sentimento: il desiderio di comunicare la conoscenza intima della bontà di Cristo, e l'angoscia all'idea della grande sventura di coloro che non conoscono Dio.
L'oblio di Dio
I dieci anni che seguono la tragica morte dei fratelli vedono Glady dedicarsi ad una carità attiva e discreta. Si occupa della parrocchia di San Bruno e consacra buona parte del suo tempo ai poveri. Soffre profondamente nel vedere lo stato allarmante dell'educazione. «La gioventù non ha più costumi, scrive a quella stessa epoca un ispettore della pubblica istruzione. È immersa in un orribile libertinaggio. I bambini insultano le persone perbene ed i vecchi; non si può più insegnar loro nulla; sono indisciplinabili. Le ragazze, che non sanno lavorare, passano il tempo nelle balere con i soldati; bestemmiano ed hanno la bocca talmente piena di parolacce che avrebbero fatto arrossire i granatieri della mia epoca. Che diverrà la futura generazione, se non si pone prontamente rimedio a simili mali?» Così, la sorte di quelle migliaia di poveri ragazzi, che mancano dei beni di questo mondo, che, forse, diventeranno grandi senza sentir mai pronunciare il nome del Buon Dio, fa rabbrividire Claudine. È inoltre convinta che una delle cause principali dei mali della Rivoluzione sia l'oblio di Dio.
Essa ricorre in primo luogo e principalmente alla preghiera. Aderisce alla Confraternita del Sacro Cuore, in cui l'adorazione eucaristica è in auge. Poi, attira altre giovani che perseguono il suo stesso ideale. Talvolta, dopo aver reso visita a dei derelitti, esse si riuniscono e si scambiano le loro esperienze di apostolato.
Viene l'inverno del 1815. Un giovane sacerdote che passa davanti alla chiesa di San Nizier, scorge un'ombra sotto il portico; sente singhiozzi soffocati. Due ragazzine cenciose, tremanti e morte di fame, cercano di proteggersi contro il freddo pungente. Il prete capisce che le piccole sono state abbandonate. Le conduce dal parroco, che intravede subito la soluzione: «Andate a bussare al n. 6 della via Masson, dalla Signorina Claudine Thévenet. Ha un cuore di madre ed anima tutte le opere caritative della parrocchia». Claudine, commossa fino alle lacrime, riveste e cura le due piccole, poi si reca da una delle sue amiche, Maria Chirat. È presto fatto: le bambine saranno alloggiate da Maria, che sgombra per loro uno dei due piani della sua casa. Qualche giorno dopo, vi vengono accolte cinque altre ospiti. Il centro di accoglienza della Signorina Chirat diventa «la Provvidenza del Sacro Cuore» e Claudine vi fa funzioni di direttrice.
Ma le cose non si fermano lì. Don Coindre, consigliere spirituale di Claudine, suggerisce la creazione di una struttura stabile, con un regolamento preciso e idoneo. Il progetto da lui redatto si basa sulla Regola di Sant'Agostino e sulle Costituzioni di Sant'Ignazio di Loyola. Lo spirito interiore di quest'ultimo servirà di modello alle associate nella vita apostolica. Il 31 luglio 1816, in occasione della festa di Sant'Ignazio, viene istituita la «Pia Unione del Sacro Cuore di Gesù». Claudine viene eletta alla presidenza. Per un attimo, essa è invasa dallo sgomento, poi, dopo un istante di raccoglimento, imitando la Santissima Vergine Maria all'atto dell'Annunciazione, accetta l'elezione.
La piccola associazione irraggia in modo stupefacente ma discreto. Una seconda «Provvidenza» viene aperta, con un laboratorio per la fabbricazione di seterie. La «Pia Unione» si sviluppa: due anni dopo la fondazione, vi si sono aggregati sedici nuovi membri. Nel frattempo, la prima «Provvidenza del Sacro Cuore», alloggiata presso la Signorina Chirat, prospera essa pure; ben presto, Claudine e le sue compagne non possono più consacrarvisi; l'opera è allora affidata alle suore di San Giuseppe.
Una folle impresa
Pur spiegando un ardente zelo per le opere apostoliche, Claudine vive ancora presso la madre. Quella madre colpita da tante sventure teme che un giorno il Signore le prenda Glady, chiamandola alla vita religiosa. Infatti, questa è conscia di una vocazione speciale di Dio. È un momento doloroso: con tatto, Claudine prepara sua madre alla separazione. Il 5 ottobre 1818, si insedia definitivamente alla «Provvidenza». Quella prima notte passata non sotto il tetto familiare è una delle più terribili vissute da Claudine: «Mi sembrava, dirà, di essermi impegnata in un'impresa folle e presuntuosa, che non aveva nessuna garanzia di successo, e che, al contrario, tutto sommato, non sarebbe sfociata in niente». La sostengono il grande amore per Dio e la fede intensa. Il Signore chiamerà a sè la Signora Thévenet due anni dopo, immergendo di nuovo Claudine nel dolore, ma rendendole nello stesso tempo una totale libertà d'azione.
Il laboratorio di fabbricazione della seta funziona bene e alleggerisce le necessità economiche della «Provvidenza». Tuttavia, lo sviluppo dell'opera esige il trasloco in un locale più ampio, sulla collina lionese di Fourvière, di fronte alla vecchia chiesa consacrata alla Santa Vergine. Ben presto, l'apostolato si espande: Claudine constata che le ragazze delle famiglie benestanti non sono più favorite sul piano religioso di quelle delle famiglie povere. Apre quindi un convitto per tali ragazze. Ma deve costruire un nuovo edificio e fare un grosso mutuo. Ora, la persona su cui contava per l'aiuto finanziario, si tira indietro all'ultimo momento. Nella preghiera, si mette totalmente nelle mani di Dio, che non può non soccorrerla. Infatti, a poco a poco, i debiti saranno pagati.
La piccola comunità non incontra sempre la benevolenza. Le malelingue criticano quest'impresa e cercano di mettere in ridicolo la Superiora. Quando passano per la strada, le bambine e le loro insegnanti sono esposte a frizzi di cattivo gusto che raggiungono talvolta l'insulto e la violenza. Claudine, che conosce il valore del perdono, raccomanda di «sopportare le ingiurie con pazienza e di rispondervi con parole dolci e gentili». È profondamente persuasa che «la sollecitudine della divina Provvidenza è concreta e immediata, che si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia» (CCC, 303). Gesù ha chiesto, infatti, un abbandono filiale alla provvidenza del Padre celeste: Non angustiatevi dunque dicendo: che cosa mageremo? che cosa berremo?... Il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutto questo.Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto ciò vi sarà dato in soprappiù (Matt. 6, 31-33).
Trarre il bene dal male
Ma se Dio Padre Onnipotente, Creatore del mondo, si cura di tutte le creature, perchè esiste il male? Il male non viene da Dio. In origine, l'uomo è stato creato buono ed invitato ad una comunione intima con Dio in virtù di una grazia meravigliosa. L'irraggiamento di tale grazia raggiungeva tutti gli aspetti della vita: finchè rimaneva nell'intimità divina, l'uomo non doveva nè morire, nè soffrire. Ma, tentato dal diavolo, ha disubbidito al comandamento di Dio ed ha così perduto lo stato di grazia. L'armonia in cui era posto è distrutta. La creazione visibile è diventata aliena e ostile all'uomo. La morte entra nella storia dell'umanità. Dopo questo primo peccato, il mondo è inondato da una vera «invasione» del peccato e del male. Ma dopo la caduta, l'uomo non è stato abbandonato da Dio. Cristo, con la morte sulla Croce e la Risurrezione, ha spezzato il potere del demonio ed ha liberato l'uomo. Ormai, questi può, attraverso la sofferenza e la morte, divenute mezzi di salvezza, giungere alla beatitudine celeste. «L'ineffabile grazia di Cristo ci ha dato beni migliori di quelli di cui l'invidia del demonio ci aveva privati», dice San Leone Magno. Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia (Rom. 5, 20).
Così Sant'Agostino ha potuto affermare: «Dio Onnipotente, essendo supremamente buono, non permetterebbe mai che un qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e buono da trarre dal male stesso il bene» (ved. CCC, 311). Ma non per questo il male diventa un bene. Sta di fatto che «dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, causata dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, ha tratto il maggiore dei beni: la glorificazione di Cristo e la nostra Redenzione» (CCC, 312). Le vie misteriose imboccate dalla Provvidenza non ci saranno pienamente note che in Cielo, quando vedremo Dio a faccia a faccia, ma abbiamo fin d'ora la certezza che ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio (Rom. 8, 28). La testimonianza dei santi non cessa di confermare questa verità. «Tutto viene dall'amore, dice Santa Caterina da Siena, tutto è ordinato alla salvezza dell'uomo, Dio non fa niente se non a questo fine» (ved. CCC, 313).
«Non far sopportare nulla a nessuno»
Senza volerlo, Claudine Thévenet ha fondato una Congregazione. La disposizione interiore che desidera suscitare nelle sue religiose è quella di «compiere tutte le loro azioni allo scopo di far cosa grata a Dio, e con un principio di fede». Essa e le sue compagne vestono un nuovo abito ed assumono un nuovo nome: Claudine si chiamerà ormai Madre Maria Sant'Ignazio. Nel 1822, don Coindre viene trasferito a Monistrol, nella diocesi di Le Puy. Dietro sua richiesta, Madre Maria Sant'Ignazio vi manda alcune suore, ed il vescovo di Le Puy approva ed istituisce la loro Congregazione con la denominazione di «Congregazione del Sacro Cuore».
Numerose sofferenze colpiranno ancora Madre Maria Sant'Ignazio: la morte di don Coindre nel 1826; la morte prematura di due giovani suore su cui contava molto; una grave malattia che la conduce in pericolo di vita; la minaccia di fusione della sua Congregazione con quella delle Dame del Sacro Cuore di Santa Maddalena Sofia Barat; la rivoluzione del 1830 che porta a combattimenti drammatici sulla collina di Fourvière e fin nella sua Casa, ecc. Tutte queste prove sono batoste per la Fondatrice, che rimane tuttavia energica e serena, e che non cessa di ripetere alla sue religiose: «Che la carità sia come la pupilla dei vostri occhi», ed anche: «Siate disposte a sopportare tutto dagli altri e a non far sopportare nulla a nessuno».
Nel febbraio del 1836, don Pousset è nominato cappellano delle suore. Ben presto, Madre Sant'Ignazio, che conta su di lui per aiutarla ad ottenere da Roma l'approvazione della sua Congregazione, è delusa. Il sacerdote non può sopportare la spiritualità di Sant'Ignazio, cui si ispirano le suore. Inoltre, malgrado le sue qualità di oratore, di zelo, di ordine e di buon gusto per la liturgia, oltrepassa i propri diritti. In coscienza, la Madre Superiora si vede costretta a resistergli, umilmente ma fermamente. Non può lasciare che il sacerdote si eriga a superiore assoluto e trasformi a modo suo lo stile di vita e lo spirito che Dio ha voluto per la Congregazione. Si producono numerose scenate penose. Col passare degli anni, la salute di Madre Maria Sant'Ignazio declina.
«Quant'è buono il buon Dio!»
Il 29 gennaio 1937, riceve gli ultimi sacramenti in presenza di tutta la comunità. Don Pousset rivolge allora alla moribonda, in pubblico, un biasimo sferzante: «Avete ricevuto grazie sufficienti per convertire un intero regno: che ne avete fatto? Siete un ostacolo al progresso della vostra Congregazione. Cosa risponderete a Dio, che vi chiederà conto di tutto?» Madre Maria Sant'Ignazio conserva un viso calmo. Confesserà però ad alcune delle sue religiose che sentendo tali parole, per poco non era scoppiata in singhiozzi. Ma il suo cuore misericordioso sa accordare un ultimo perdono. Quel giorno stesso, colpita da paralisi, entra in agonia, incapace di articolare una sola parola, salvo queste: «Quant'è buono il buon Dio!» Due giorni dopo, rende l'anima a Dio.
Il grano messo nella terra, umiliato, conformato a Cristo, ha portato molti frutti. La famiglia religiosa di Santa Claudine Thévenet, diventata «Congregazione delle religiose di Gesù Maria», conta oggi più di duemila sorelle e case nei cinque continenti.
Santa Maria Sant'Ignazio aiutaci ad imitare il tuo esempio di umiltà, di perdono e di abbandono a Dio. Affidiamo alla tua intercessione tutti gli amici dell'Abbazia San Giuseppe di Clairval, vivi e defunti.
Dom Antoine Marie osb

"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)"

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