sabato 9 agosto 2014

Beato don Michele Rua - Tema: Don Bosco - Salesiani - Educazione


In una mattina del 1847, san Giovanni Bosco distribuisce medaglie ai bambini accorsi sul suo passaggio. Un ragazzo d'una decina d'anni, dall'aria timida, gli si para davanti e tende la mano. «Ah, sei tu, Michele! Cosa vuoi? – Una medaglia... – Una medaglia? No. Ancor meglio. – E cosa allora? – Tieni, è per te!» E così dicendo, don Bosco tende la mano sinistra aperta, ma vuota, e, con l'altra, tenuta perpendicolarmente, fa il gesto di tagliarla in due, per offrirgliene la metà. «Andiamo! Prendi! Prendi, ti dico!» Prendere, ma cosa? La mano rimane vuota. Che cosa vuol dire, si chiede il ragazzo. Parecchi anni dopo, don Bosco chiarirà l'enigma: «Caro Michele, tu ed io, nella vita, divideremo sempre tutto: dolori, preoccupazioni, responsabilità, gioie ed il resto, tutto il resto, tutto ci sarà comune».
Michele Rua è nato a Torino il 9 giugno 1837, ultimo di nove figli. Suo padre, Giovanni Battista Rua, muore il 2 agosto 1845. Vedova, la Signora Rua conserva l'alloggio all'interno della Manifattura. Una domenica dell'autunno 1845, Michele spinge la porta del famoso patronato di don Bosco. Questi gli si avvicina, gli mette per qualche istante la mano sul capo e lo fissa stranamente. Michele è ben presto conquistato dalla bontà del giovane sacerdote, che, provvidenzialmente, lo accoglie al patronato due mesi dopo la morte del padre. Il patronato non è banale: poichè nessun proprietario ne vuol sapere di quei ragazzi troppo rumorosi, esso erra da un posto all'altro. Don Bosco è oggetto di molte critiche. Un giorno, il cappellano della Manifattura d'armi dice a Michele: «Ma come? Non sai che don Bosco è gravemente malato? – Non è possibile; l'ho incontrato ieri l'altro. – Ma sì, ti dico, è malato di un male da cui si guarisce solo difficilmente: è la testa che non funziona!» Un po' più tardi, il direttore della Manifattura insiste: «Povero don Bosco! Non sai che la testa gli gira?» Cinquant'anni più tardi, don Michele Rua confesserà: «Se mi avessero parlato così di mio padre, non ne sarei stato più rattristato».

Il 13 aprile 1846, il patronato si installa definitivamente al Valdocco, alla periferia di Torino. Di fronte allo sviluppo dell'opera, don Bosco inaugura un metodo che non cambierà più: far emergere dal gruppo capi in grado di istruirlo e di comandarlo. Un giorno del 1850, egli chiede a Michele: «Cosa pensi di fare l'anno venturo? – Farmi assumere alla Manifattura per aiutare la mamma che si è tanto sacrificata per noi. – Non ti piacerebbe continuare gli studi per diventare sacerdote; che ne diresti? – Direi di sì, subito. Ma la mamma... chissà? – Prova a parlargliene: mi dirai quel che ne pensa». La risposta di quella madre cristiana è chiara: «Vederti sacerdote, sarebbe la più grande gioia della mia vita... Di' a don Bosco che sono d'accordo per quest'anno, a titolo di prova». Il ragazzo corre dal sacerdote per annunciargli la buona notizia. Don Bosco mette la mano sulla spalla di Michele: nel suo sguardo brilla un'immensa speranza; negli occhi del fanciullo si legge una gioia ineffabile.
Accanimento sui geroglifici
Michele continua gli studi sotto il controllo di don Bosco. All'inizio, una certa indolenza gli nuoce, ma si riprende ben presto ed il successo è totale. Nel 1851, perde il fratello Luigi, poi, nel 1853, un altro fratello, Giovanni Battista. «La prossima volta, sarà il mio turno», dice a don Bosco. Ma il Santo gli profetizza cinquant'anni di vita. Le ore di libertà che gli lasciano gli studi le passa al patronato, eseguendo mille lavori oscuri che alleggeriscono le spalle del suo maestro. Diventa anche esperto nel condurgli nuovi ragazzi. Talvolta, don Bosco redige foglietti volanti per istruire le anime; vi passe molte ore di notte, correggendo il testo, aggiungendo note e segni convenzionali. La mattina, si diverte a metterne uno o due sotto gli occhi spaventati dei giovani studenti che non riescono a decifrare la sua scrittura quasi illeggibile. «Ecco lavoro per Rua, esclama allora don Bosco». Infatti, la sera, dopo aver finito i compiti e le lezioni, Michele si accanisce sui geroglifici del maestro, e con la sua impeccabile calligrafia restituisce un testo perfetto.
Il 24 settembre 1853, don Bosco prende con sè Michele, e, il 3 ottobre, gli fa indossare l'abito talare assieme ad un altro discepolo, tale Roccheti. Parecchi compagni vengono ben presto ad aggiungersi ai due primi. Il 26 gennaio 1854, don Bosco li riunisce nella sua stanza e propone loro una specie di noviziato, dopo il quale potranno pronunciare i voti. Assumono allora il nome di Salesiani, in memoria di san Francesco di Sales, che aveva l'arte di convertire le anime con la bontà e la persuasione.
Questi primi Salesiani si mettono al servizio dei giovani: giornate estenuanti di patronato, corsi serali, lezioni, sorveglianza, prove teatrali, di ginnastica o di musica, ricreazioni movimentate, studi solitari, frequenza ai sacramenti. Hanno davanti a sè il luminoso esempio di don Bosco: «Traevo maggior profitto, affermerà più tardi Michele Rua, nell'osservare don Bosco, anche nelle sue azioni più umili, che a leggere e meditare un trattato di ascetismo».
Un anno più tardi, Michele pronuncia privatamente i primi voti annui. Le sue attività si moltiplicano: viene nominato professore di aritmetica, prefetto, sorvegliante nel refettorio, in cortile, nella cappella. Partecipando continuamente e da vicino alle conversazioni dei ragazzi, è attento a ciascuno di essi, si preoccupa di aiutare, incoraggiare, di elevare le giovani libertà in via di formazione. Insegna anche la religione, e la sera, dopo cena, don Bosco gli detta una Storia d'Italia destinata a sostituire nelle classi manuali tendenziosi. Tutto il lavoro che assume quotidianamente non gli impedisce di seguire, dal 1853 al 1860, i corsi di filosofia e poi di teologia presso il Seminario Magggiore. I suoi riassunti delle lezioni sono esatti e chiari. Nel 1858, don Rua accompagna don Bosco a Roma per la presentazione a Papa Pio IX delle Regole dei Salesiani. Il 18 dicembre 1859, la Congregazione Salesiana è fondata ufficialmente. Il Fondatore è riconosciuto quale Superiore Generale e don Michele Rua viene nominato direttore spirituale della Società.
Contagio di santità
Il 28 luglio 1860, don Rua viene ordinato sacerdote. Don Bosco gli dà certi avvertimenti per iscritto: «Dovrai lavorare e soffrire molto. Non vi sono rose senza spine, e tu sai che bisogna attraversare il Mar Rosso ed il deserto per raggiungere la Terra Promessa. Sopporta la prova con coraggio; anche in mezzo alle sofferenze, sentirai la consolazione e l'aiuto del Signore. Per compiere il tuo operato sulla terra, ascolta questi consigli: vita esemplare, somma prudenza, perseveranza nell'opera al servizio delle anime, docilità assoluta alle ispirazioni dall'Alto, guerra incessante all'inferno, fiducia instancabile in Dio». Alla riapertura di ottobre 1860, don Rua si vede affidare la direzione generale delle classi. Gli inizi della sua gestione sono caratterizzati dall'afflusso degli alunni, l'atmosfera soprannaturale che impregna le anime, il contagio di santità che afferra tutti. Un testimone dell'epoca scriverà, venticinque anni dopo: «Moltissimi nostri compagni non erano soltanto buoni, ma ottimi, veri modelli di pietà, di zelo, di dolcezza, di penitenza, esempi vivi e radiosi. Giovani che, per tutto l'oro del mondo, non avrebbero commesso un solo peccato mortale».
Tali risultati vengono ottenuti grazie alla frequenza ai sacramenti. Per don Bosco, la confessione settimanale, compiuta con un serio e fermo proposito di non peccare più, prepara la buona comunione: «Il punto culminante, se si vuol ottenere la moralità, è, incontestabilmente, la confessione frequente e la comunione frequente, fatte bene». Afferma anche: «La comunione frequente è la grande colonna che sostiene il mondo morale e materiale, affinchè esso non cada in rovina. Credetemi – non esagero – la comunione frequente è una colonna su cui si appoggia uno dei poli del mondo; l'altro polo si appoggia sulla devozione alla Santa Vergine». Don Rua testimonia: «Il nostro santo Fondatore non perdeva mai l'occasione di raccomandare la comunione frequente; era la base del suo sistema educativo. Coloro che non l'hanno capito sono sempre obbligati, in fin dei conti, ad arrivare ad una coercizione rigorosa».
La moltiplicazione del numero di Salesiani permette a don Bosco di fondare un Seminario Minore a Mirabello. Il 20 ottobre 1863, don Rua è nominato direttore del medesimo. Fra i preziosi consigli che gli dà don Bosco, si nota la preoccupazione di evitare al giovanissimo direttore di ventisei anni lo scoglio dell'attivismo e della mancanza di sollecitudine per le sofferenze fisiche o morali di coloro di cui sarà incaricato. La cronaca dei Salesiani indicherà: «Don Rua si comporta a Mirabello come qui don Bosco. Lo si vede continuamente circondato dagli alunni conquistati dalla sua gentilezza o dal desiderio di sentirlo parlare di mille soggetti interessanti. All'inizio dell'anno, ha raccomandato al personale di non dimostrarsi eccessivamente esigente, di non rimproverare gli alunni a proposito e a sproposito, di saper spesso chiudere gli occhi. Dopo la colazione, lo si vede sempre in mezzo ai giovani, a giocare o a cantare con loro».
Che si sappiano amati
Don Rua ha assimilato il modo di fare del suo Maestro, di cui Papa Giovanni Paolo II scriverà: «Dal punto di vista del metodo, don Bosco propone «l'affetto». Si tratta di un atteggiamento quotidiano, che non è semplice amore umano nè unicamente carità soprannaturale... L'affetto si traduce in un impegno dell'educatore in quanto persona totalmente dedita al bene degli alunni, che è presente in mezzo a loro, pronto ad affrontare sacrifici e difficoltà nel compimento della sua missione. Tutto questo richiede una vera disponibilità nei riguardi dei giovani, una profonda simpatia, una capacità di dialogo... Con una felice intuizione, don Bosco spiega: quel che importa è che «i giovani siano non soltanto amati, ma che si sappiano amati»» (Lettera per il centenario della morte del Santo, 31 gennaio 1988).
Tuttavia, per quanto generoso sia il gruppo degli educatori salesiani, esso non è perfetto. Viene commesso più di un errore; eppure, i successi della nuova fondazione non si fanno attendere. Ben presto, il Seminario Maggiore della diocesi trabocca di vocazioni provenienti dal Seminario Minore. Don Rua ne è conscio ed è assalito da una violenta tentazione di amor proprio. Fa di tutto per allontanarla, ma essa torna senza posa impetuosamente. Finalmente, si confida con il suo Maestro che gli scrive: «Per guarire questo male d'orgoglio, ti raccomando la medicina di san Bernardo. Ripeti spesso a te medesimo le famose domande: da dove vieni? Qual è il tuo compito quaggiù? Dove devi andare a finire? Questo richiamo delle verità essenziali meditato bene, oggi come ieri, produrrà Santi».
Nel 1865, don Rua deve lasciare la fondazione, per raggiungere a Torino don Bosco, ammalato e sovraccarico di lavoro. La grande casa del Valdocco, patronato al quale si è aggiunto un convitto, conta circa settecento alunni, ed il suo spirito è venuto meno. Con un tatto notevole, don Rua riassorbe pian pianino le cattive abitudini e restaura una buona disciplina nell'istituto. Ma nel luglio del 1868, l'incessante attività di don Rua vince le sue forze: una peritonite fulminante lo costringe a letto. I medici gli danno soltanto poche ore di vita. Vedendo su un tavolo l'Olio Santo per la somministrazione dell'Estrema Unzione, don Bosco afferma: «Ascoltami bene, don Rua, ti assicuro che non morirai, neanche se ti si buttasse pari pari dalla finestra». Infatti, pochi giorni dopo, malgrado i pronostici della scienza, l'ammalato è fuori pericolo.
Sollevare don Bosco
Dopo la convalescenza, don Rua riprende a suo carico la metà, se non di più, delle preoccupazioni di don Bosco. Nel 1869, quest'ultimo gli affida la formazione dei novizi. Ma tale incarico supplementare, che eserciterà per sei anni, non lo dispensa da molte altre incombenze. Affronta gli innumerevoli compiti grazie alla sua mente tanto ordinata quanto metodica, alla padronanza dei nervi, alla memoria prodigiosa, all'accanimento al lavoro, alla capacità che ha di farsi aiutare, ma soprattutto perchè ama don Bosco e lo vuol sollevare. Si adopera per rendere tutta la sua giornata una preghiera continua. Vuol trasformare in preghiera l'operato, le preoccupazioni, la stanchezza di ogni giorno. La sua azione si svolge sotto lo sguardo di Dio e di Maria.
Tuttavia, a poco a poco, lo zelo di don Rua per l'osservanza e la disciplina finiscono coll'alienargli i cuori dei ragazzi. Si fa temere più che amare. Un assioma è in voga nella casa: «Meglio un «no» di don Bosco che un «sì» di don Rua». Don Bosco gli toglie allora la responsabilità di Prefetto della disciplina e lo prende con sè a orario completo, affinchè vegli sugli interessi generali della Congregazione e lo accompagni nei suoi viaggi in Europa. Tutto è ormai in comune fra di loro, talvolta perfino il carisma di compiere miracoli. Infatti, un giorno, una madre di famiglia sconsolata conduce a don Bosco suo figlio, condannato dai medici, e che sembra non aver più che pochi giorni di vita. Il Santo, oberato di impegni, chiede a don Rua di dar lui al piccino la benedizione di Nostra Signora Ausiliatrice. Il bambino guarisce immediatamente.
Ma, per quanto i due sacerdoti siano intimi, ciascuno conserva la propria personalità. Nella gestione degli affari, discussioni vivaci li oppongono talvolta: don Bosco si dimostra assolutamente concentrato sull'opera del giorno, audace al massimo; don Rua, previdente, calcolatore, cerca di ridurre al massimo il margine di imprevisto.
Nel 1884, lo stato di salute di don Bosco fa nascere vive apprensioni. Papa Leone XIII gli fa chiedere discretamente di provvedere alla propria successione. Il 24 settembre 1885, il fondatore nomina don Rua a succedergli. Ieri, uomo della disciplina dalla proverbiale severità esteriore, il nuovo Superiore diventa più accogliente, la sua voce assume intonazioni di dolcezza, un sorriso buono gli rischiara il volto. Il 31 gennaio 1888, don Bosco esala l'ultimo respiro. Don Rua scrive: «La nostra anima può consolarsi soltanto pensando che Dio, infinitamente buono, non fa nulla che non sia giusto e saggio». La sera di quello stesso giorno, quando tutti hanno lasciato la chiesetta in cui è stato esposto il defunto seduto su una poltrona, don Rua rimane per due ore in preghiera davanti a lui. Quando si rialza, la sua anima è piena di una nuova forza, per assumere il difficile compito che lo attende. Qualche tempo dopo, ricevuto in udienza da Leone XIII, gli dice: «Sento ancora don Bosco ripetere, poche ore prima di morire: «Il Papa, il Papa, i Salesiani militano in favore della difesa dell'autorità del Papa, dovunque e sempre»». Durante il colloquio, il Santo Padre consiglia a don Rua di sospendere l'estensione della Congregazione, per consolidare quel che già esiste. Per due anni, la cessazione imposta permette la consolidazione sperata e l'estinzione dei debiti più urgenti. Ma, a partire dalla fine del 1889, le fondazioni riprendono e si moltiplicano attraverso il mondo.
La finalità dei patronati
Ardente apostolo della devozione al Sacro Cuore di Gesù, don Rua scrive ai Salesiani: «Tale devozione è tutto quel che c'è di più salesiano, poichè è al Sacro Cuore del nostro Maestro che andremo ad attingere, nella nostra qualità di educatori, l'amore purissimo della gioventù, la dolcezza e l'indulgenza che devono accompagnare le nostre parole e le nostre azioni, la pazienza nelle contrarietà e le tribolazioni connesse con il nostro compito, lo spirito di sacrificio e lo zelo delle anime». Nelle circolari ai Salesiani, don Rua raccomanda soprattutto i Patronati, insistendo perchè conservino la loro finalità originaria: «La musica, il teatro, lo sport sono mezzi e nient'altro, scrive. Dove sono utili, e soltanto lì, ci se ne può servire; ma sempre con prudenza, per attirare la gioventù e assicurarne la perseveranza. Il fine, è l'insegnamento della religione e la formazione delle anime». Per la perseveranza dei giovani che escono dai convitti salesiani, promuove le associazioni di ex alunni. Infine, è sollecito nel mantenere un ambiente favorevole allo sbocciare ed al crescere delle vocazioni che germogliano negli istituti della Congregazione, qualsiasi esse siano.
Lo zelo per la gioventù lo conduce ad audacie che non gli si conoscevano. Per finanziare le opere, ricorda alle persone che vivono nell'abbondanza il dovere che hanno di aiutare i più poveri, ed il beneficio spirituale e temporale dell'elemosina. Dal 1889 al 1909, ogni anno in primavera, parte per un viaggio di circa tre mesi. Percorre in tal modo più di 100.000 km. per visitare ogni singola comunità. Eppure quei viaggi gli costano molto: non si abitua alle traversate marittime, non sopporta facilmente le notti in treno e si adatta con difficoltà all'alimentazione ed alle usanze dei vari paesi. Con l'età, aumentano gli acciacchi: ha le gambe piene di varici o coperte di piaghe, ha le palpebre sempre infiammate e lacrimose.
Sono anni segnati anche da gravi sofferenze. Nel 1895, un sacerdote salesiano viene assassinato da un alunno mezzo pazzo. Cinque mesi dopo, Monsignor Lasagna, una delle massime speranze della Società salesiana, il suo segretario e quattro suore di Maria Ausiliatrice, sono vittime di un incidente ferroviario. Quattro anni più tardi, un'inondazione distrugge, in Argentina, le realizzazioni materiali di dieci anni di opere missionarie. In Francia, in occasione della promulgazione della legge detta delle Associazioni (2 giugno 1901), il governo esige la chiusura e l'alienazione degli istituti salesiani. Nel 1907, uno scandalo legato al buon costume viene inventato di sana pianta in un convitto e solleva una violenta tempesta contro i Salesiani in tutta l'Italia. Mai don Rua si è mostrato triste come in quel momento. In certe ore, lo si sorprende a prendersi la testa fra le mani, sprofondato a lungo nei pensieri e nella preghiera. Non resistendo più, fa voto di compiere un pellegrinaggio in Terra Santa, se sarà totalmente ripristinato l'onore della sua famiglia religiosa. Essendo stato esaudito, realizzerà il voto nel 1908.
Ma il cuore sensibilissimo di don Rua, che supplicava un giorno: «Non datemi mai cattive notizie la sera, altrimenti non riesco a chiuder occhio in tutta la notte», conosce anche grandi gioie, durante quegli anni. La sua famiglia religiosa si moltiplica prodigiosamente: avendo ricevuto da don Bosco 700 religiosi da dirigere in 64 case disseminate in 6 paesi, ne lascerà 4000 al suo successore, in 341 case sparse in 30 nazioni. Tre dei suoi religiosi saranno scelti dal Papa come vescovi, di cui due per le missioni. Il 24 luglio 1907, don Bosco viene dichiarato Venerabile: è la prima tappa ufficiale verso la canonizzazione. Una delle ultime grandi gioie di don Rua sarà, verso la fine del 1908, il compimento della chiesa consacrata a santa Maria Liberatrice, a Roma, chiesa che il Papa gli aveva chiesto di costruire. Il popolo, disorientato dall'anticlericalismo allora al potere, viene rinsaldato nella fede, e si accalca nel nuovo santuario.
«Salvare la propria anima, è tutto, è tutto!»
Nell'autunno del 1909, don Rua, spossato, deve mettersi a letto. Nell'aprile seguente, le sofferenze sono tali che gli sfugge un gemito: «Per morire, è necessario soffrire ancora di più?» Il 6 aprile 1910, mormora per l'ultima volta una giaculatoria imparata da don Bosco quand'era ancora bambino: «Santa Vergine, mia tenera Madre, fa' che la mia anima sia salva!» poi aggiunge: «Sì, salvare la propria anima, salvare la propria anima, è tutto, è tutto!» Verso le ore 9.30, senza gemere, senza muoversi, esala l'ultimo respiro.
Don Rua, beatificato da Papa Paolo VI, il 29 ottobre 1972, è uno dei bei frutti di santità suscitati da don Bosco. «Nella Chiesa e nel mondo, la visione educatrice integrale che vediamo incarnata in Giovanni Bosco è una pedagogia realistica della santità, scrive Papa Giovanni Paolo II. Urge ritrovare la nozione reale della santità quale componente della vita di tutti i credenti». Il segreto di don Bosco, il maestro della spiritualità della gioventù, fu quello «di non deludere le aspirazioni profonde dei giovani (bisogno di vita, d'amore, di effusione, di gioia, di libertà, d'avvenire), ma bisogna anche portarli, a poco a poco, ed in modo realistico, a sperimentare che è soltanto nella «vita di grazia», vale a dire nell'amicizia di Cristo, che si realizzano pienamente gli ideali più autentici» (31 gennaio 1988).
Chiediamo al beato don Rua di insegnarci a vivere nell'amicizia di Cristo attraverso le azioni più comuni della vita quotidiana.
Dom Antoine Marie osb

"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)"

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