Il
pellegrino che, recandosi a Cagliari, sale al colle di Buoncammino ed
entra nella chiesa dei frati cappuccini dedicata a S. Antonio di
Padova, ma più nota come la "Chiesa di Fra Ignazio",
arrivato alla cappella centrale, dell'Immacolata , non può fare a
meno di soffermarsi davanti a una tomba in pietra sarda, su cui sono
incise, con caratteri di bronzo, queste semplici parole: Servo di Dio
fra Nicola da Gésturi - cappuccino - 4.8.1882 - 8.6.1958.
Fra
Nicola da Gesturi: un nome diventato universalmente noto come il
"frate santo", non solo a Cagliari, dove visse
trentaquattro anni, ma in tutta la Sardegna, e che viene ricordato
insieme a quello di un altro noto cappuccino: Sant'Ignazio da Laconi
. E' quasi d'obbligo, infatti, parlando di fra Nicola da Gésturi ,
ricordare questo confratello che lo ha preceduto nella via della
santità e che, per certi versi, è diventato il suo modello. Molte
sono infatti le caratteristiche che avvicinano tra loro queste due
umili figure di cappuccini, sebbene siano vissuti in epoche tanto
diverse. Ambedue autentici figli della Sardegna, nati in un ambiente
rurale, in due piccoli villaggi poco distanti tra loro, nella
medesima regione del Sarcidano e nella medesima archidiocesi di
Oristano. Non basta: ambedue si fanno religiosi in età adulta, dopo
non poche esitazioni, nel medesimo Ordine cappuccino; per circa
quaranta anni vivono nello stesso convento, esercitando l'umile
ufficio di questuante di città. Ambedue, infine, chiudono la loro
esistenza terrena nel convento di S. Antonio in Cagliari, lasciando
vasta eco della loro santità. I loro corpi riposano ora nella
medesima chiesa, che per tanti anni fu tacita testimone delle loro
elevazioni, accomunati nella medesima sorte beata.
Un
noto scrittore sardo, Francesco Alziator, ha scritto: "La
santità in Sardegna è francescana ed i santi di questa nostra terra
che, non a torto, è stata detta l'isola del silenzio, hanno tra le
loro virtù, quella del silenzio".
E
veramente, tra i santi venerati in Sardegna, quelli canonizzati
ufficialmente dalla Chiesa sono francescani: Sant'Ignazio da Laconi,
cappuccino (1701-1781) ; San Salvatore da Horta, dei frati minori (m.
1567), il quale, sebbene nato in Portogallo, visse a lungo e mori in
Sardegna, dove tuttora gode di una grande devozione presso il popolo
sardo; ma è soprattutto a fra Nicola da Gésturi che l'Alziator si
riferisce, per la diretta conoscenza che di lui ha avuto per molti
anni, quando scrive che "santità del silenzio fu quella di fra
Nicola da Gésturi".
CAPITOLO I - Il contadino.
Non
dice gran chè neanche alla maggioranza dei Sardi il nome di Gésturi,
il piccolo e sperduto paese dove il 4 agosto 1882 vide la luce
Giovanni Angelo Salvatore Medda, il futuro fra Nicola. Ancora oggi a
malapena esso raggiunge millecinquecento abitanti, per la maggior
parte pastori e contadini, come pastori e contadini furono Giovanni
Medda Serra e Priama Cogoni Zedda, i genitori di fra Nicola. Essi
hanno cinque figli, tre maschi e due femmine, di cui Giovanni è il
quarto.
Una
famiglia né ricca né povera: qualche piccolo appezzamento di terra
e alcuni capi di bestiame assicurano ad essa una modesta ma dignitosa
esistenza. Il maggior sostentamento i Medda lo traggono dal lavoro
dei campi: un lavoro duro, continuo, che inizia al levare del sole e
termina al tramonto, inframmezzato da qualche piccola pausa per
consumare un modesto pasto a base di pane, formaggio o, per i più
poveri, con cipolle. Un lavoro, inoltre, che impegna tutta la
famiglia, uomini e donne, nessuno escluso; un lavoro, infine, che
comporta troppi rischi: una gelata improvvisa, un temporale fuori
stagione, ed in pochi minuti viene distrutto tutto il lavoro di un
intero anno, rendendo vani tanti sudori e tante fatiche.
Il
piccolo Giovanni si abitua ben presto a vedere il padre partire di
buon mattino e rientrare a sera inoltrata: tutto il giorno fuori casa
per curare il campo o accudire al bestiame. Eppure una ricchezza la
famiglia Medda la possiede ugualmente: la fede. Il padre, cristiano
tutto d'un pezzo, Ë conosciuto come un "galantuomo". Per
lui l'amore di Dio si traduce in opere di bene verso il prossimo,
specialmente verso i più poveri. "Di cuore buono ñ ha scritto
un biografo ñ amava e beneficava tutti".
In
quanto alla madre, ella era semplicemente una "santa donna",
e questa semplice espressione diceva tutto di lei. Non meraviglia
quindi il fatto che la famiglia Medda fosse guardata con invidia e
indicata da tutti come modello, per la concordia, l'unità e l'amore
che in essa regnava. Ed è in questo ambiente, rustico ma sano, che
il piccolo Giovanni trascorre i suoi primi anni; è qui che il suo
piccolo cuore comincia ad aprirsi al soffio della grazia divina come
un fiore ai primi tepori del sole primaverile.
Ben
presto la morte bussa alla famiglia Medda: muore prima il padre,
quando il piccolo Giovanni ha appena cinque anni, e poi la madre,
quando ha appena raggiunto i tredici anni. Viene allora affidato ad
un benestante del paese, suocero di sua sorella Rita, un certo
Peppino Pisano, in qualità di servo, senza stipendio alcuno,
accontentandosi soltanto dell'alloggio e del sostentamento. E, come
un tempo il padre, così anche Giovanni riempie ora le sue giornate
tra il lavoro dei campi e la custodia del bestiame. Alla morte del
Pisano, il piccolo Giovanni passa definitivamente alla casa della
sorella Rita, sempre in qualità di servo, facendosi notare subito
per la puntualità, l'onestà e la scrupolosità con cui adempiva
tutti i suoi doveri. Rimane qui fino al giorno in cui, abbandonando
il paese, segue la chiamata del Signore.
CAPITOLO II - Il cappuccino.
E'
in un'umida e imprecisata giornata del marzo 1911 che Giovanni Angelo
Salvatore Medda bussa al convento dei cappuccini di Cagliari e chiede
di esservi ricevuto come fratello laico. Il padre Martino da
Sampierdarena, commissario provinciale, lo riceve benevolmente, ma
soltanto come terziario. Vuole prima verificare personalmente la
serietà della vocazione di questo giovanotto di ventinove anni,
arrivato in convento dopo una vita dedicata completamente al lavoro
dei campi e, pare, dopo qualche esitazione.
Quando
Giovanni Medda cominciò a sentire la chiamata del Signore? Non è
facile rispondere, perché fra Nicola non ne parlò mai con nessuno,
ed anche i numerosi testimoni che lo conobbero personalmente non
hanno mai saputo dare una risposta adeguata a questa domanda. Una
cosa però è certa: la decisione di Giovanni Medda non fu
improvvisa, ma per lungo tempo meditata, ed anche sofferta. Segni
premonitori ce ne furono certamente, e tanti. La sua vita di
contadino vissuta con austerità e ritiratezza nell'umile condizione
di servo; il suo spirito di preghiera che lo portava in chiesa ogni
volta che i suoi doveri glielo permettevano, per trascorrere intere
ore davanti a Gesù Sacramentato, il suo amore per i più poveri, era
già la voce di Dio che insistentemente gli indicava una via più
alta e più perfetta. Il parroco di Gésturi, don Vincenzo Albano,
scrisse di lui al padre commissario provinciale che gli chiedeva una
testimonianza: "Ö Vi prego accettare la mia ampia dichiarazione
sulle ottime qualità dell'interessato che, non senza rincrescimento,
lo vedo sparire da questa parrocchia, dove è stato di continua
edificazione a tutti, non solo per la specchiata pietà, ma anche per
la illibatezza della vita e per l'austerità dei costumi. Mi conforta
il pensiero che, trapiantato nei giardini ubertosi di san Francesco,
darà frutti più abbondanti e squisiti di virtù e mi ricorderà
nelle sue ferventi orazioni per ottenermi misericordia dal Signore".
Era
una vita monastica quella che il giovane Giovani Medda viveva nel
secolo. perché allora tardò tanto ad abbracciare lo stato
religioso? Non erano certamente i beni materiali che lo trattenevano,
visto che egli si adattò benissimo alla condizione di servo, pur
potendo disporre di qualcosa di suo, frutto dell'eredità paterna.
Questo suo temporeggiare era piuttosto un atto di umiltà, non
sentendosi degno della chiamata divina; era, forse, un volere
conoscere meglio la volontà di Dio, prima di compiere il gran passo.
Fu una malattia che gli rivelò questa volontà divina: per un mese
fu tenuto a letto da una forma reumatico-articolare, fra atroci
sofferenze. Le malattie sono spesso occasione di riflessioni più
intime, sono una spinta che porta a decisioni più volte rimandate,
alla realizzazione di un sogno a lungo accarezzato. Giovanni Medda
guarì nel corpo e anche il suo spirito si sentì finalmente libero
da ogni resto di esitazione.
Il
padre commissario provinciale si accorse subito di avere davanti a sé
una vocazione ben maturata, fuori dal comune, e non ebbe nessun
dubbio ad ammetterlo al noviziato dopo appena sette mesi di
"probandato". Il 30 ottobre 1913 Giovanni Medda, insieme ad
altri sei postulanti, vestiva l'abito cappuccino nel convento di
Cagliari, prendendo il nome di fra Nicola da Gésturi. Maestro del
noviziato era il padre Fedele da Sassari, religioso austero con sé e
con gli altri, e severo fino alla pignoleria. Fu lui che "provò"
la vocazione del giovane novizio. Se rimaneva ancora qualche dubbio
sulla genuinità della vocazione di fra Nicola, questo fu prontamente
dissipato dalla vita fervorosa del contadino di Gésturi, che per
tutto l'anno di noviziato lo distinse da tutti gli altri.
Ma
il convento di Cagliari si prestava poco al raccoglimento, tanto
necessario alla vita dei novizi, per cui dopo otto mesi, il 13 giugno
1914, il noviziato fu trasferito a Sanluri, sempre sotto la direzione
del padre Fedele da Sassari. Anche qui fra Nicola, pur non compiendo
cose particolari o straordinarie, confermò "di essere chiamato
da Dio alla vita religiosa cappuccina e di essere atto a servirla".
così scriveva di lui il padre Fedele l'otto gennaio 1915. Non fu
dunque una meraviglia per nessuno quando, il primo novembre del 1914,
festa di Tutti i Santi, fra Nicola emise la professione semplice e il
16 febbraio del 1919 quella solenne, consacrandosi definitivamente e
completamente a Dio.
Non
fu facile, dopo il noviziato, trovare un lavoro adatto a fra Nicola.
Che altro può fare di buono uno che, come lui, aveva lavorato la
terra? Proprio in quel periodo, nel convento di Sassari si era reso
vacante "l'ufficio" di cuciniere. I superiori pensarono a
fra Nicola. La scelta però si rivelò poco felice. Il lavoro di
cuoco mal si adattava al suo gusto e al suo temperamento. Non si
sentiva tagliato per stare l'intera giornata a rigirarsi attorno ai
fornelli, tra pentole e pignatte, per preparare ai frati il pur
modesto desinare. Eppure spesso tanti "umori" e Ö malumori
frateschi nascono proprio da un pranzo mal riuscito. Fra Nicola lo
sapeva benissimo, e per questo cercava di fare del suo meglio,
cercava nei limiti del possibile di contentare i gusti di tutti. Ma
il risultato era sempre uguale, nonostante la sua buona volontà. I
superiori capirono il disagio in cui si trovavano tutti: i frati e,
più di loro, fra Nicola, umiliato per non aver saputo contentare i
suoi confratelli. Fu mandato allora a Oristano. A fare cosa? Forse
per ritornare al lavoro della terra, visto che nel convento c'era un
vasto orto, dove uno come lui, pratico di orti e di campi, poteva
trovarsi a suo agio. Eppure, stranamente, non fu così. Non che fra
Nicola rifiutasse l'obbedienza, anzi!. Ma i superiori capirono subito
che quello non era il posto adatto.
Ancora
una volta l'umile fraticello dovette raccogliere le poche e povere
sue cose e trasferirsi a Sanluri, il nuovo convento dove l'obbedienza
dei superiori lo aveva destinato. Qui fra Nicola ritrovò l'ambiente
del noviziato e questo costituì una boccata d'aria purissima per il
suo spirito. La cella, la chiesa dove per mesi si era preparato con
ardore alla consacrazione totale al Signore, e che poi aveva raccolto
le sue parole "prometto per tutto il tempo della mia vita di
vivere in obbedienza, senza proprio e in castità", diventava
nuovamente per lui il rifugio abituale per le sue preghiere e le sue
elevazioni. Sono ormai trascorsi dieci anni dalla sua prima
professione: i frati hanno avuto modo di notare in fra Nicola un
religioso sempre pronto all'obbedienza e soprattutto dotato di una
grande umiltà che gli faceva ricercare sempre l'ultimo posto e
dedicarsi alle cose meno appariscenti agli occhi altrui. I superiori
pensarono che le doti straordinarie di cui egli era fornito potevano
meglio svilupparsi in un ambiente più adatto e più vasto: il 25
gennaio del 1924 lo mandarono al convento maggiore, di Buoncammino,
in Cagliari: qui egli visse per trentaquattro anni, fino al giorno
della sua beata morte.
CAPITOLO III - Per le vie di Cagliari.
Mai
scelta fu più felice, sia del convento come pure dell'ufficio da
assegnare a fra Nicola: questuante di città. "Questuare"
per un fratello laico cappuccino significa, in parole povere, andare
per l'elemosina. Significa stendere la mano per chiedere e ricevere
la "carità"; significa bussare a tutte le porte e ripetere
infinite volte le solite parole, quasi rituali, tipiche della
Sardegna: "a santu Franciscu", per S. Francesco; significa
ancora camminare per ore ed ore al rigido freddo d'inverno o sotto il
torrido caldo d'estate; significa infine incontrare ogni tipo di
persona: chi vede nel frate l'uomo di Dio e chi, invece, vede in lui
un buono a nulla e un fannullone; chi gli fa volentieri la "carità",
e chi lo ricopre di ingiurie e di male parole.
Ma
c'è anche un altro aspetto nella vita del cercatore cappuccino, ed è
questo: che la città, con tutti i suoi aspetti positivi e negativi,
può diventare il campo per un apostolato silenzioso, ma non per
questo meno efficace, dove ogni persona che si incontra diventa
un'anima da portare a Dio. Fu questa, in sintesi, la vita di fra
Nicola durante trentaquattro anni e, prima di lui, lo fu per
sant'Ignazio da Laconi, anche egli questuante per quaranta anni a
Cagliari. Come zona di questua furono affidati a fra Nicola gli
antichi e popolosi rioni di Castello e di Villanova e, più tardi,
anche i paesi vicini del Campidano di Cagliari. Ben presto i
cagliaritani si abituarono a vedere passare per le loro strade
quest'umile figura di frate, scendere e salire i tortuosi vicoli di
Castello, la bisaccia sulle spalle, il passo lento, occhi bassi, il
rosario tra le mani, le labbra permanentemente atteggiate a
preghiera. Non era certo la figura fisica di fra Nicola che poteva
attirare su di lui gli sguardi degli altri; di statura piuttosto
bassa, non c'era in lui niente di appariscente. Eppure il popolo
cominciava a vedere in lui qualcosa di "diverso" dagli
altri frati. Quella piccola figura di frate, curvo sotto il peso
della bisaccia, emanava un fascino straordinario e irresistibile, era
come una calamita che attirava tutti a sé. Egli era, poi, uno strano
cercatore: non chiedeva mai direttamente e passava sempre oltre,
quasi indifferente, come se attorno a lui non ci fosse nessuno.
Difficilmente sollevava lo sguardo da terra e, quelle rare volte che
lo faceva, lasciava intravedere due luminosi occhi celesti, specchio
purissimo della sua anima, e due labbra sempre sorridenti,
espressione vivissima della sua serenità interiore. Pochi furono
coloro, anche tra gli stessi confratelli, che riuscirono a vedere
questi occhi, e tutti poi testimoniarono di esserne rimasti
profondamente colpiti e di reputarsi dei "fortunati".
Man
mano che gli anni passavano, la figura di fra Nicola diventava sempre
più familiare a Cagliari e nei paesi vicini: tutti volevano
conoscerlo e vederlo. Era ormai diventata una necessità per tutti
fermarlo mentre egli passava, per confidargli una pena personale, una
difficoltà in famiglia. Era diventato l'amico e il confidente di
tutti, di piccoli e grandi, di ricchi e poveri, di ignoranti e dotti.
Scompariva allora ogni differenza o classe sociale: per fra Nicola
erano soltanto persone che avevano bisogno di una parola buona e
incoraggiante. E lui, nella sua umiltà e pazienza, ascoltava tutti,
e tutti rimandava consolati con una semplice parola, un gesto, una
promessa di preghiera. La sua era ormai diventata una "presenza"
indispensabile. Tantissimi sono ancora oggi coloro che attestano di
avere riacquistato la pace dell'anima, e trovata la soluzione ai loro
problemi e la fiducia nella vita, grazie ad una parola di fra Nicola.
E non poche furono le famiglie "scombinate" che ritrovarono
il giusto equilibrio per il suo interessamento e, spesso, per il suo
diretto intervento. La città di Cagliari era diventata il campo del
suo apostolato, dove egli poteva spargere a larghe mani i tesori
della sua carità materiale e spirituale. Giustamente qualcuno ha
scritto che fra Nicola "da frate cercatore era diventato il
frate cercato". E questo non solo per le strade, ma anche in
convento, dove "vi era sempre qualcuno che l'aspettava per avere
consigli, raccomandazioni, preghiere", ed egli "era sempre
pronto ad accogliere tutte le persone che venivano alla porta del
convento per avere una parola di conforto o chiedere una preghiera".
La sua carità non aveva confini o eccezioni: tutti egli accoglieva e
aiutava in egual misura. Gli unici privilegiati erano i poveri:
andava a trovarli personalmente in casa, lui che mai varcava la
soglia di nessuno, per nessun motivo.
CAPITOLO IV - Tra gli orrori di guerra.
Erano
ormai gli anni tristi della guerra. Cagliari era diventata la città
più martoriata d'Italia, a causa dei frequenti e massicci
bombardamenti che l'avevano ridotta a un cumulo di macerie. Senza
numero i morti e i feriti. Quelli che potevano, lasciavano la città
per rifugiarsi nei paesi dell'interno, meno esposti agli orrori della
guerra. Anche le autorità civili e religiose si erano trasferite
altrove. I frati del convento di Cagliari, insieme ai fratini del
Seminario Serafico, furono mandati in altri conventi. Rimasero a
Cagliari soltanto quattro frati: il superiore e tre fratelli, tra i
quali fra Nicola, che per nessun motivo aveva voluto lasciare la
città. Nel convento fu tolta la clausura ed esso divenne il rifugio
di tutti coloro che erano rimasti senza parenti e senza casa. Fra
Nicola era sempre vicino a tutti, come un angelo consolatore. così
descrive quei tristi giorni un testimone oculare: "Nei giorni
dell'ira, quando Cagliari divenne deserto cimitero di insepolti, fra
Nicola non abbandonò il suo convento Ö Egli continuò la sua
missione e da mendicante divenne donatore: lui poverissimo, si mutò
nell'ospite che offre. Come nelle ore più drammatiche del passato,
nelle quali i conventi erano asilo, refettorio, ospedale, scuola,
così il convento cagliaritano dei cappuccini tornò alla sua
missione secolare, e fra Nicola da Gèsturi divenne il più valido
aiuto dei pochi confratelli rimasti per nutrire e dare asilo al
prossimo. Ma non fu quella la sola opera degli anni della guerra: la
miserabile folla di cenciosi e degli affamati, la turba equivoca e
lurida, rifugiata nelle decine e decine di grotte sparse per tutta la
città, lo ebbe soccorritore e apostolo. Fu allora che egli ci parve
ancora più santo. Egli si prodigò oltre ogni possibilità e pareva
che quel deserto senza testimoni gli ispirasse nuovo zelo".
Appena
terminava un bombardamento, fra Nicola usciva dal convento e si
recava nei luoghi più colpiti. La sua esile figura si vedeva
apparire dappertutto "Ö nelle caserme, nelle vie fatte macerie
e sudiciume, nelle chiese colpite e deserte, nelle infermerie da
campo". Dove c'era un morto da seppellire, un ferito da
soccorrere, una lacrima da asciugare, lý fra Nicola appariva,
silenzioso come una visione, e la sua presenza era sempre "un
segno, un aiuto". Se quelle furono per Cagliari pagine scritte
colle lacrime e col sangue di tanti innocenti, furono anche pagine
luminose di carità e di abnegazione da parte di fra Nicola, che si
prodigò indefessamente per alleviare nella popolazione gli orrori e
i lutti causati dalla guerra.
CAPITOLO V - "Frate Silenzio"
Una
caratteristica che il popolo aveva subito notato in fra Nicola era il
suo continuo silenzio. Rare infatti erano le parole che egli
pronunciava nei suoi lunghi giri in città. "Ö Fra Nicola amava
il silenzio, parlando solo per necessità" si legge nel processo
informativo diocesano. Ecco una testimonianza: "Per fra Nicola
da Gesturi la santità fu silenzio. I suoi silenzi erano di una
natura singolare, da trasferirsi fuori del mondo di ogni giorno. Il
silenzio teneva per lui luogo del ringraziamento quando gli si dava;
il silenzio era rimprovero per chi, potendo, non dava; il silenzio
era risposta alle domande inutili o a quelle che non potevano avere
risposta. Solo ricordando la volontà di Dio, egli rompeva il
silenzio". I confratelli che hanno vissuto a lungo con lui
ricordano questa caratteristica di fra Nicola. Di lui in particolare
ebbe a testimoniare il padre Federico da Baselga, che per cinque anni
fu commissario provinciale in Sardegna: "Di fra Nicola ricordo
sempre il misterioso silenzio". Silenzio fuori e, soprattutto,
dentro il convento. E' proprio su questo silenzio che qualcuno si Ë
chiesto: "perché tanto silenzio nella vita di fra Nicola? Era
il suo temperamento che lo portava ad essere così avaro di parole,
com'è caratteristica di tanti Sardi, gelosi dei propri pensieri e
sentimenti, quasi "complessati" di fronte al peso delle
parole? No! perché il suo era un silenzio particolare: un modo di
esprimersi liberato dal superfluo, un modo di badare alle cose
essenziali senza distrazioni, senza quei "fiori" letterari
che sono spesso la maschera con cui si cerca di nascondere o di
riempire il vuoto interiore. In fra Nicola il silenzio Ë un punto di
arrivo, non di partenza: Ë una virtù grandissima, non una
mancanza".
Certo,
fra Nicola era parco di parole, ma era proprio attraverso il silenzio
che egli operava il bene a favore del prossimo e sempre "Ö la
sua stessa presenza era un silenzio ammonitore". Era dietro
questo silenzio che fra Nicola nascondeva gelosamente le più eroiche
virtù: la sua obbedienza sempre pronta, la sua umiltà
profondissima, soprattutto la sua povertà assoluta, come ancora oggi
testimonia la sua cella conservata intatta nel convento di Cagliari,
meta di numerosi visitatori che inorridiscono dinanzi a tanta
povertà: un tavolaccio per letto, la spalliera di una sedia per
cuscino La povertà fu una delle grandi virtù di fra Nicola, che lo
spingeva ad usare abiti e sandali rozzi e già usati da altri, a
conservare gelosamente i biglietti del tram, che qualche volta era
obbligato a prendere, per renderne esatto conto al superiore, ad
usare piccoli pezzi di carta, già scartati da altri, per scrivervi
sopra i pensieri o qualche preghiera. Era nel silenzio più assoluto
che fra Nicola trascorreva interminabili ore del giorno e della notte
assorto in preghiera, davanti a Gesù Sacramentato o nella cappella
dell'Immacolata, suo abituale rifugio dopo il rientro dalla questua.
Questo
silenzio fra Nicola lo ruppe il primo giugno 1958 quando, stremato di
forze, poco dopo le nove, si presentò al padre guardiano (nel
linguaggio dei frati cappuccini significa "superiore") e
gli disse con tutta franchezza e semplicità: "Padre guardiano,
non ne posso più!", chiedendogli di essere esonerato
dall'incarico della questua. Il padre guardiano capì subito che fra
Nicola si avviava ormai verso la fine e lo fece accogliere
nell'infermeria del convento. I fatti gli diedero ragione. Il giorno
dopo - 2 giugno ñ lo stato di salute di fra Nicola si aggravò a tal
punto che il medico chiamato d'urgenza, avendogli riscontrato
un'ernia crurale strozzata, ne ordinò l'immediato ricovero nella
vicina Clinica Lay, dove il mattino del giorno dopo fu operato
d'urgenza. Fu tutto inutile. Lo stesso fra Nicola, consapevole della
gravità del male, nel pomeriggio dello stesso giorno chiese
l'Unzione degli infermi e il Viatico, rispondendo egli stesso alle
preghiere e recitando il "confiteor".
Trascorsero
così altri quattro giorni di ansie per i confratelli, che lo
vegliavano amorevolmente, e di atroci dolori per fra Nicola, il quale
ripeteva spesso: "Preghiamo, preghiamo", intensificando il
suo spirito di preghiera, di sottomissione alla volontà di Dio e di
accettazione della croce.
Il
giorno sette, perduta ormai ogni speranza di salvarlo, i superiori
disposero il suo trasferimento dalla Clinica all'infermeria del
convento. E qui "Ö confortato da quasi tutti i religiosi del
convento, che in lacrime recitavano le preghiere degli agonizzanti,
tenendo stretto tra le mani il Crocifisso, spirava serenamente nel
bacio del Signore. Erano le ore 0.15 esatte dell'otto giugno".
La
notizia della sua morte si sparse in un baleno e, al mattino, tutti i
giornali locali ne davano notizia in prima pagina, a grandi lettere.
"Ë morto un santo" fu il commento unanime di tutti. Fin
dal primo mattino una folla immensa si riversò nel convento e nella
chiesa, chiedendo di vedere la salma di fra Nicola. Nei giorni
seguenti, durante i quali la salma rimase in chiesa, esposta alla
venerazione del popolo, la ressa di gente fu tanta che si dovette
chiamare la forza pubblica per disciplinare l'incalzante afflusso:
tutti volevano vedere e salutare per l'ultima volta l'umile
cappuccino che per tanti anni avevano visto passare per le loro
strade. Non mancò nessuno: dalle massime autorità civili e
religiose, al più umile operaio e ai bambini delle scuole. I
funerali si svolsero " il giorno dieci alle 17, partendo dalla
nostra chiesa. Popolo, autorità, clero e Ordini religiosi
parteciparono in numero rilevante. Si calcolò che circa sessantamila
persone furono presenti. La bara fu portata a spalla dai religiosi e
da laici, procedendo lentamente tra una pioggia incessante di fiori.
Per più ore il traffico cittadino, dove passava il corteo, dovette
essere interrotto. Non fu un funerale, ma un solenne e generale
trionfo". Sulla sua tomba, nel cimitero di Bonaria, furono
tracciate queste semplici parole: "Fra Nicola ñ Cappuccino ñ
1882-1958 ".
CAPITOLO VI - Ritorno al convento.
Per
ventidue anni la tomba di fra Nicola fu "meta di ininterrotto
pellegrinaggio di gente di ogni classe sociale che lo invocava nei
suoi bisogni e lo ringraziava dei benefici ricevuti. La tomba era
sempre ornata di fiori freschi". Non poche furono le grazie e i
prodigi con cui il Signore si degnò, anche dopo la sua morte, di
confermare la santità di fra Nicola.
Il
2 giugno 1980 le sue spoglie mortali furono traslate dal cimitero di
Bonaria al convento di Sant'Antonio, tra due fitte ali di popolo. La
ricognizione della salma durò tre giorni, alla presenza
dell'Arcivescovo di Cagliari Mons. Giuseppe Bonfiglioli, del Ministro
Provinciale Padre Marco Locche e dei Consiglieri, nonché del
Postulatore Generale Padre Bernardino da Siena, del Vice-postulatore
della causa di Beatificazione Padre Clemente Pilloni, di medici e di
tecnici oltre altri Confratelli. Il giorno 6 giugno 1980, la salma
veniva definitivamente tumulata in una tomba di pietra, nella
cappella dell'Immacolata, dove fra Nicola amava ritirarsi a pregare e
meditare ai piedi della Madonna.
CAPITOLO VII - Verso gli altari.
Il
10 ottobre 1966 monsignor Paolo Botto, arcivescovo di Cagliari, aprì
solennemente il Processo diocesano di Canonizzazione, che il
cardinale Sebastiano Baggio chiuse il 20 dicembre 1971. Nel febbraio
1978 iniziò il Processo Cognizionale presso la Sacra Congregazione
delle Cause dei Santi, che si chiuse l'otto giugno 1982. Nel marzo
del 1986 ebbe inizio il Processo su un asserito miracolo, attribuito
a fra Nicola.
Il
25 giugno 1996 fra Nicola fu dichiarato "Venerabile" da
Giovanni Paolo II. Sempre il Papa, il 21 dicembre 1998, riconobbe il
miracolo attribuito al servo di Dio. La beatificazione era ormai
sicura. Mancava solo la data. Ma arriva anche quella.
Fra
Nicola da Gesturi viene dichiarato Beato il 3 ottobre 1999, in una
Cerimonia solenne in Piazza San Pietro, celebrata dal Papa Giovanni
Paolo II.
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