INTRODUZIONE
Ci
sono dei peccati che vengono commessi soltanto da certe categorie di
persone, come il furto, l'omicidio; i peccati di lingua invece si
sogliono commettere da tutti. Trovare chi non pecchi di lingua è
cosa difficile, tanto che San Giacomo Apostolo dice: Chi non pecca
con la lingua, è perfetto. -
In
vista della grande utilità che potrà apportare a tutte le anime la
trattazione di un tale argomento, mi son proposto di scrivere qualche
cosa sull'uso della lingua, facendo vedere il male che arreca colui
il quale non sa frenarla ed il bene che compie chi ne fa buon uso.
IL
DONO DELLA LINGUA
La
libertà si apprezza di più quando si visita un carcere e si vedono
rinchiusi i detenuti nelle oscure celle; l'agilità delle membra e la
vista allora si stimano maggiormente, quando ci si trova davanti a un
paralitico o ad un cieco.
Entriamo
in un istituto di muti, i quali sogliono essere pure sordi.
Osserviamo questi esseri pieni di vita, che vorrebbero parlare e
manifestare i loro pensieri e non ci riescono; tentano di balbettare
qualche sillaba, ma è inutile; solamente con i segni delle mani e
con lo sguardo possono in qualche modo esprimersi. A tale vista, il
visitatore rientra naturalmente in se stesso e dice: Povere
creature!. Hanno la lingua, ma come se non l'avessero! Io invece
posso parlare! Signore, vi ringrazio! -
Realmente
dovremmo rendere continue grazie a Dio per averci dato la lingua,
questo piccolo muscolo con cui possiamo cantare le lodi al Creatore,
manifestare i nostri pensieri ed andare incontro ai bisogni del
prossimo.
Quanto
bene non può fare una lingua ben moderata e intenta ad aiutare il
prossimo spiritualmente e corporalmente! Al contrario, quanta rovina
non apporta una lingua viperina, che bestemmia, che calunnia, che
scandalizza! Giustamente la lingua può chiamarsi un'arma molto
pericolosa. Guai a non saperla usare!
Viene
qui a proposito una favola. Un ricco signore ordinò al suo servo di
preparargli un pranzo, con quanto di meglio potesse trovare. Il
servo, buon filosofo, pensò di provvedere un piatto di lingue.
Quando il padrone arrivò a tavola e vide quel cibo, se ne
meravigliò. - Non potevi trovare, disse al servo, cosa migliore di
questa?
-
No, padrone! La lingua è la cosa più buona del mondo, poiché con
essa si può fare un bene immenso a sé ed agli altri. -
Il
padrone, un poco bizzarro, gli soggiunse: Per il, pranzo di domani mi
preparerai la cosa più cattiva che potrai trovare! - Il servo
preparò un altro piatto di lingue. Allorché il ricco signore vide a
tavola il cibo del giorno precedente, ne domandò la spiegazione al
servo, il quale da buon pensatore, rispose: Questa è la cosa più
cattiva! Invero il male che può fare la lingua, non può farlo
nessuna altra cosa al mondo! - Il padrone rimase profondamente
meravigliato della sapienza del suo servo.
LA
BESTEMMIA
Gli
Angeli in Cielo sciolgono al Creatore inni di amore, di gloria e di
ringraziamento. Anche gli animali, le piante, gli astri e tutti gli
esseri che popolano l'universo, cantano le lodi del Signore.
L'uomo
è il re del creato; più di tutti gli altri esseri che lo
circondano, dovrebbe lodare e benedire Iddio, sciogliendo la sua
lingua in un cantico perenne. Invece è proprio la creatura umana,
dotata di ragione, che in certi momenti della sua esistenza si
rivolge al Creatore con rabbia e gli vomita con la lingua insulti
d'ogni sorta, bestemmiando.
È
la bestemmia una delle più gravi offese di Dio.
Il
nome di Dio.
Il
Signore è molto geloso dell'onore del suo nome. Difatti, dopo aver
detto: « Io sono il Signore Dio tuo! Non avrai altro Dio fuori di
me! », prima ancora di comandare di rispettare i genitori, di non
uccidere, di non rubare ... dice « Non nominare il nome di Dio
invano! ».
E
qui si noti come il Signore non faccia cenno della bestemmia, ma
comandi solamente ciò che può sembrare minimo: Non nominare il nome
di Dio inutilmente, senza un giusto motivo.
Se
davanti al Creatore costituisce già un reato il nominare il nome di
Dio inutilmente, quasi per capriccio, quale colpa non è mai il
disprezzare il suo santo nome, pronunziandolo con ira, attribuendo
qualità ingiuriose, insomma bestemmiandolo?
Un
giorno gli Apostoli chiesero a Gesù: Insegnaci a pregare! - Gesù
allora insegnò una breve preghiera, il Padre Nostro, che racchiude
quanto d'importante si ha da chiedere a Dio: il pane di ogni giorno,
il perdono dei peccati, l'aiuto nelle tentazioni, la liberazione dal
male, ecc. Ma prima di ogni altra cosa Gesù fa domandare a Dio il
rispetto al suo nome: « Padre Nostro, che sei nei cieli, sia
santificato il tuo nome! »
E
dopo di tutto questo, gli uomini continuano a bestemmiare, anzi non
c'è al mondo un nome tanto profanato quanto quello del Signore.
Il
nome dei Santi.
E’
anche bestemmia il profanare il nome dei Santi. Essi sono gli amici
di Dio. Chi nella rabbia pronunzia con disprezzo il loro nome, lo fa
in quanto Essi sono cari a Dio e perciò si offende Iddio stesso.
Dunque
si porti al nome dei Santi il rispetto che si porta al nome di Dio.
Espressioni
blasfeme.
Ci
sono delle bestemmie, che sogliono essere le più comuni, le quali
fanno rabbrividire le persone pie a sentirle pronunziare. Invece ci
sono delle bestemmie, alle quali si suole dare poca importanza, pur
essendo gravi violazioni del secondo Comandamento di Dio.
Tali
bestemmie sono le seguenti espressioni: Iddio non sente!... È
cieco!... Il Signore è ingiusto! ... Iddio fa le cose storte! ...
Egli non sa quello che fa! ... ecc. Coloro che hanno un poco di
timore di Dio, procurino di evitare queste e simili espressioni,
perché sono veri oltraggi alla Divina Maestà.
Non
nominare il nome di Dio invano.
Il
proferire il nome di Dio o dei Santi inutilmente, senza un qualche
motivo che lo giustifichi, è peccato veniale o leggero. Questo
avviene specialmente nelle esclamazioni di meraviglia: « Dio mio!
Gesù e Maria! » ecc.
Se
questi nomi sono proferiti come pia invocazione nel dolore, nella
gioia o nello spavento, in tal caso manca la colpa.
Ricordino
i fedeli il rispetto che la Santa Chiesa esige dai suoi Ministri a
tale riguardo. Quando durante le sacre funzioni il Sacerdote
pronunzia il nome di Gesù Cristo o dei Santi, deve fare un inchino
particolare di capo, quasi per dire: Se oso fare ciò, è unicamente
per pregarvi! A tal fine, mi umilio dinanzi a Voi, o Divina maestà,
abbassando il mio capo! -
Chi
bestemmia è un pazzo.
Chi
bestemmia, in quel momento agisce da pazzo. Infatti il pazzo parla
non conforme a ragione.
O
bestemmiatore, ascoltami! Non credi tu che c'è Dio? Ed allora sei
pazzo, se ti arrabbi contro di Lui! Credi invece che Dio esiste? E
come non tremi quando lo insulti? Sai tu chi e Dio? È quegli che in
un attimo, con un atto solo di volontà, ha creato l'universo con
milioni di mondi che danzano negli spazi infiniti dei cieli! Dio è
colui che tiene nella sua mano onnipotente la terra che tu calpesti
ed in un istante potrebbe ridurre nel nulla te e quanto ti circonda.
Che faresti se una formica lungo la via si ribellasse a te e
t'ingiuriasse? Alzeresti il piede e la stritoleresti. Tu, o
bestemmiatore, sei davanti a Dio meno di una formica. Se il Signore
non ti annienta nel momento in cui tu villanamente lo bestemmi, non è
già perché Egli non ti senta o non faccia caso del tuo insulto, ma
perché e infinitamente buono, padre di misericordia.
Il
cane dà lezione all'uomo.
Si
racconta che una sera di carnevale, ad ora tarda, ritornava in casa
un signore vestito in maschera. Il suo cane che trovavasi vicino alla
porta, non riconoscendolo sotto quell'abito, spiccò un salto e gli
diede un morso. Subito il padrone emise un grido. Appena il cane
riconobbe la voce, si fece indietro umiliato ed andò ad
accovacciarsi in un angolo della casa. Da quel momento non mangiò
più e non osò più avvicinare il padrone; in tale stato dopo non
molto se ne morì.
Mirabile
lezione che dà un cane! Ha morso per isbaglio il suo padrone e sente
tanto dispiacere da morirne. L'uomo, che non una volta, ma tante
volte bestemmia contro il Signore e fa questo non per isbaglio, bensì
volontariamente ... non prova spesso alcun dispiacere dell'offesa
fatta a Dio e continua a ridere, a mangiare ed a dormire come se
niente avesse fatto! Povero bestemmiatore, nei rapporti con il
Signore sei di gran lunga inferiore ad una bestia ... ad un cane!
La
bestemmia contro Maria Vergine.
Dopo
del Signore, la più bestemmiata è Maria Santissima. Qual male ha
fatto a te, o empio uomo, questa eccelsa Creatura che meritò di
divenire la Madre del Figlio di Dio? Essa soffrì a fianco di Gesù,
per scontare i peccati dell'umanità e perciò anche i tuoi! Sotto la
Croce, mentre il Redentore agonizzava, ti fu assegnata come Madre
spirituale. Certamente la Madonna, quale Madre Celeste, ti avrà
aiutato in tanti casi della vita e forse tu nei bisogni più urgenti
l'avrai pregata. Perché dunque non ti diporti da figlio amoroso con
Lei? Vuoi essere come quei figli cattivi che fanno piangere la madre?
Ascolta, o bestemmiatore!
Nei
dintorni di Napoli, presso un'osteria, giocavano alle bocce lungo la
strada alcuni operai bevitori. La strada era sormontata da un arco e
sotto di questo trovavasi una piccola nicchia con l'immagine della
Madonna col Bambino Gesù. Uno dei giocatori, perdendo, bestemmiava
come un indemoniato. I suoi occhi si posarono sull'immagine di Maria
Vergine ed invece di smettere di bestemmiare a tale vista, si rivolse
con parole ingiuriose contro la Madonna e le scaraventò la boccia di
legno che teneva in mano. La colpì in faccia. Maria Santissima
avrebbe potuto rispondere all'atto sacrilego con una punizione; però
da Madre pietosa rispose con un miracolo: l'immagine dipinta si
animò. Mosse gli occhi, vennero giù delle lacrime e la guancia
colpita dalla boccia cominciò a sanguinare. Quei giocatori
s'inginocchiarono e chiesero perdono delle bestemmie. A ricordo del
prodigio venne innalzato un maestoso tempio in quel luogo e fu
conservata la miracolosa immagine, sotto il titolo della « Madonna
dell'Arco ».
O
bestemmiatore, osi ingiuriare la tua genitrice? Sei un figlio
snaturato! Osi bestemmiare contro Maria Vergine? Sei uno scellerato!
Don
Bosco e il vetturino.
Per
taluni la bestemmia e un'abitudine; con tutto ciò, non cessa di
essere il gran male che è. L'abitudine si acquista poco per volta,
quasi insensibilmente; ma il toglierla riesce difficile, se non si è
animati da buona volontà. Ecco un episodio in proposito.
San
Giovanni Bosco ritornava a Torino in carrozza assieme ad altri
viaggiatori e si accorse che il cocchiere ogni volta che sferzava i
cavalli pronunziava una o più bestemmie. - Permettete, gli disse il
Santo, che io mi metta a sedere a cassetta al vostro fianco? -
Onoratissimo, Reverendo! -
Dopo
un poco ... giù una bestemmia. - Caro amico, vorrei da voi un
piacere ... - Ho capito, interruppe il vetturino; volete arrivare
presto a Torino? Bene! - E riprese a sferzare per bene i cavalli;
alle sferzate frammischiava bestemmie. - Non e questo che voglio,
disse Don Bosco; poco m'importa di arrivare a Torino un quarto d'ora
prima o dopo. Quello che io voglio e che voi non bestemmiate più! -
Oh! se è solamente per questo, state pur sicuro che non bestemmierò
più! - Ebbene, se lo farete, che cosa vorrete per premio? - Niente!
Io sono obbligato a non bestemmiare. -
Insistendo
il Santo, il vetturino chiese per premio una mancia di quattro soldi.
- Io ve ne darò venti! - concluse Don Bosco.
Subito
dopo, ecco una sferzata ai cavalli e una bestemmia. - Amico mio, e la
promessa? - Oh! il bestione che sono io; ho perduto la testa! - Non
vi rattristate per questo; vi darò ugualmente venti soldi; però
ogni volta che direte una bestemmia, i venti soldi diminuiranno di
quattro. - Va bene; ma state certo, Reverendo, che li guadagnerò
tutti. -
Dopo
un bel tratto di via i cavalli rallentarono il passo ed il cocchiere
sferzandoli pronunziò una bestemmia. – Sedici soldi, esclamò Don
Bosco; quattro in meno! - Il povero uomo si vergognò e disse:
Davvero che le abitudini cattive non si possono più togliere! -
Continuando il cammino, un'altra sferzata e due bestemmie. - Otto!
Siamo già a otto soldi! - Possibile, gridò stizzito, possibile che
siano così forti le abitudini? Io sono avvilito! Questo brutto vizio
mi ha fatto perdere dodici soldi! - Amico mio, non dovete addolorarvi
per così poco, ma piuttosto per il male che vi fate all'anima! - Oh!
sì, rispose; e vero; grande male faccio io; ma sabato voglio andare
a confessarmi. Siete di Torino voi, Reverendo? - Sì, mi trovo
nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco. - Bene; voglio
venire a confessarmi da voi. Scusate, il vostro nome? - Don Bosco. -
Va bene; ci rivedremo ancora. -
Viaggiando
sino a Torino, pronunziò ancora una bestemmia; perciò il Santo
doveva dargli soltanto quattro soldi; ma gliene fece accettare venti,
dicendo che lo sforzo di non bestemmiare l'aveva fatto.
Don
Bosco il prossimo sabato aspettava il vetturino per la confessione e
lo vide comparire soltanto dopo quattro sabati. -
Reverendo,
non mi conoscete? Sono quel cocchiere ... Ho mantenuto la parola e
son venuto a confessarmi! Sapete che mi son prefisso di stare a pane
e acqua, ogni volta che avessi detto ancora una bestemmia? - Il Santo
lodò assai la sua buona volontà.
I
sassolini in tasca.
Un
Sacerdote predicava gli esercizi spirituali in un villaggio. Un
contadino andò un giorno a trovarlo e gli disse: Padre mio, ho
sentito le vostre prediche. Sono commosso davvero. Vorrei anch'io
confessarmi e comunicarmi, ma non posso farlo. - E perché? - Siccome
ho l'abitudine di bestemmiare, è inutile il confessarmi; finita la
Confessione, comincerei subito a bestemmiare. E poiché non voglio
ingannare il Signore, sto lontano dai Sacramenti. -
Il
Ministro di Dio gli soggiunse: Ma voi volete correggervi di questo
brutto vizio? - E sì, Padre! - Ebbene, allora ci riuscirete, purché
mettiate in pratica il mezzo che sto per suggerirvi. - Sono disposto
ad ubbidirvi, tranne che il mezzo sia molto difficile. - Non vi
preoccupate; il mezzo sarà semplicissimo! Siccome voi lavorate nella
campagna, ad ogni bestemmia che pronunziate, raccogliete un piccolo
sasso e lo mettete in tasca, dicendo: Benedetto Dio! Benedetto Gesù!
- Il contadino accettò la proposta. L'indomani pieno di buona
volontà, cominciò il lavoro campestre; però la cattiva abitudine
lo vinceva. Riprometteva a se stesso di non bestemmiare più e
diceva: Questo sassolino dev'essere l'ultimo! - Purtroppo l'ultimo
era molto lontano, poiché le bestemmie uscivano con frequenza.
Finito
il lavoro, il contadino trovò le saccocce piene di sassolini.
Ritornò a casa umiliato, dicendo: Chi l'avrebbe mai detto? Ero
risoluto di non bestemmiare, eppure ho mancato tante e tante volte!
Ma dovrò riuscire a tutti i costi! -
L'indomani
continuò la vigilanza sopra se stesso; ne uscivano bestemmie dalla
sua bocca, ma non con la frequenza del giorno precedente. Infatti la
sera, verificate le tasche, trovò meno sassolini del giorno innanzi.
Prese da ciò un grande coraggio e aumentò in lui la speranza della
correzione. Da un giorno all'altro diminuivano le bestemmie, tanto
che dopo circa quindici giorni il contadino non trovava la sera nelle
tasche neppure un sassolino.
Ritornò
a Dio con la santa Confessione e rimase tanto grato a quel Sacerdote
che gli aveva suggerito un rimedio così efficace.
«
Qui non si bestemmia! ».
Un
richiamo utile per il bestemmiatore è il tenere affissato sulla
parete della camera un cartoncino con la dicitura: « Qui non si
bestemmia! » Volere o no, gli occhi del bestemmiatore andranno a
posarvisi spesso e questo servirà a tenerlo sull'attenti per non
offendere il nome di Dio.
Fortunate
quelle figlie e quelle spose che riusciranno nella santa impresa!
Avranno salvata l'anima del bestemmiatore ed avranno attirato
sull'intera famiglia le celesti benedizioni!
Responsabilità
della bestemmia.
La
responsabilità di un peccato così grave, qual è la bestemmia,
oltre a cadere su colui che la pronuncia, può anche cadere su chi
gliene dà motivo. Ma perché si sia responsabili delle bestemmie
fatte dire ad alcuno, si richiede che si preveda la bestemmia e si
faccia qualche cosa d'ingiusto o di veramente colpevole. Perciò non
dànno conto a Dio le spose ed i figli delle bestemmie che vomita il
capo di casa, se questi le proferisce per ogni piccolo pretesto. Non
è responsabile la madre delle bestemmie del figlio, se questi le
pronunzia perché la genitrice giustamente gli nega il denaro, che
andrebbe sprecato in vizi.
Se
in famiglia trovasi un bestemmiatore, e squisita carità il vigilare
per tenergli lontani i motivi d'impazienza.
Papà
lo dice sempre.
Com'è
doloroso il constatare che certi bambini già imparano dalla bocca
paterna la bestemmia, prima ancora del Padre Nostro e dell'Ave Maria!
Qual conto tremendo non daranno a Dio tali genitori!
Trovavasi
S. Giovanni Bosco in una nobile famiglia, quando sentì un ragazzino,
che indispettito perché gli si era rovesciato il cavalluccio di
legno, pronunziava con dispetto il santo nome di Cristo. Lo chiamò
con dolcezza, l'invitò a recitare i Comandamenti della Legge di Dio
e appena giunse al secondo, l'interruppe dicendo: Sai cosa vuol dire
« Non nominare il nome di Dio invano »? Vuol dire che non dobbiamo
mai nominare Dio che ci vuole tanto bene, senza una ragione giusta e
senza devozione; altrimenti facciamo un peccato, cioè diamo
dispiacere a Dio; e questo specialmente quando profaniamo il suo nome
con collera, come tu hai fatto or ora! -
Il
ragazzino abbassò gli occhi e poi rispose: Papà lo dice sempre! - A
queste parole la madre impallidì; il babbo diventò di brace, ma,
con prontezza rivolto al figlio ed accarezzandolo: E’ vero, disse,
ho fatto male! Da ora innanzi non lo dirò più e voglio che questa
sia l'ultima volta anche per te. Sei d'accordo? -
Quella
forte umiliazione davanti a Don Bosco bastò a correggere quel nobile
signore.
L'ultima
bestemmia.
Nel
1860 un capitano della Guardia Nazionale di un paese vicino Napoli,
si vantava pubblicamente della sua empietà e scandalizzava tutto il
paese con le sue bestemmie. Un giorno voleva impedire una rissa e,
vedendosi respinto, pieno di rabbia gridò: Saprò ben io farmi
rispettare anche da Cristo! - Sventurato! Egli cadde morto mentre
pronunziava l'ultima bestemmia.
Una
sfida accettata.
Una
domenica alcuni scapestrati si divertivano nell'osteria, la quale era
vicina ad una Chiesa. Si celebrava la Messa solenne. Al momento della
Consacrazione le campane cominciarono a suonare a festa; quel suono
però fece arrabbiare uno di quegl'infelici, il quale si mise a
bestemmiare contro Dio e contro il Santissimo Sacramento. L'oste
cercò di quietarlo, ma l'altro come invaso dal demonio gridava: Il
vostro Dio non mi fa paura e non mi curo delle sue feste! M'impedisca
Iddio, se può, di bere questo bicchiere di vino! -
Mentre
così diceva ed avvicinava alle labbra il bicchiere, ecco
impallidire, vacillare e cadere a terra freddo cadavere.
Dal
gioco alla morte.
A
Volterra, in Toscana, il 22 dicembre del 1861, l'ultima domenica
dell'Avvento, quattro uomini erano riuniti a giocare presso un muro,
da cui sporgeva un grande masso. Uno di essi, avendo perduto alcune
lire, vomitava orrende bestemmie, specialmente contro Maria
Santissima. I compagni suoi, quasi stomacati, lo rimproverarono; ma
inutilmente, che anzi raddoppiando la rabbia, ne proferiva delle più
infernali.
All'improvviso
il masso si staccò e venne giù a schiacciare quel bestemmiatore,
lasciando illesi gli altri. A constatare il fatto accorsero molte
persone, che rimasero inorridite, quando, tratto fuori il cadavere,
lo videro con i capelli e la barba irti a guisa di setole.
Povero
uomo, dal gioco passò alla morte e per conseguenza al tremendo
giudizio di Dio! Quale scusa avrà potuto portare al divin tribunale
per le bestemmie proferite? ...
Perdette
la parola.
Il
seguente fatto avvenne nel 1891. In una bettola d'un villaggio
svizzero stavano alcuni bevitori a ridere e a scherzare. Tra costoro
c'era un certo Giovanni Bitter, il quale sfidò i compagni a chi
bestemmiasse di più.
Quale
sfida diabolica! Dire bestemmie tanto per dirle e spingere i compagni
a fare altrettanto! Ma Iddio, fortemente sdegnato contro chi aveva
fatto l'empia proposta, intervenne subito dando una salutare lezione.
Mentre Giovanni Bitter pronunziava bestemmie, d'un colpo quella sua
lingua infernale cessò di parlare; rimase perfettamente muto e per
tutta la vita. È da sperare che si sia ravveduto.
Come
riparare le bestemmie.
Quando
si sente bestemmiare per strada, non bisogna imitare quei tali che
pronunziano imprecazioni contro il bestemmiatore; sarebbe questo un
male; invece bisogna riparare l'offesa di Dio, dicendo con tutto il
cuore: « Sia lodato Gesù Cristo! » oppure: « Iddio sia Benedetto!
Benedetto il suo santo nome! ecc. » Potrebbe anche dirsi un Pater o
un'Ave Maria o un Gloria Patri. Se si è in compagnia, s'invitino i
presenti a rispondere alla preghiera riparatrice.
Quando
si sente bestemmiare nella propria famiglia, oltre a dire lì per lì
qualche breve preghiera o giaculatoria privatamente, si faccia anche
qualche riparazione in comune. Perciò sarebbe bene che la madre
radunasse i propri bambini innocenti e dicesse loro: Recitiamo una
preghiera a Gesù, affinché perdoni al papà le bestemmie che ha
detto quest'oggi! -
Al
Rosario che suol recitarsi in comune nella famiglia cristiana, si
aggiunga giornalmente qualche preghiera in riparazione delle
bestemmie.
Sarebbe
molto lodevole e molto utile che la madre di quella famiglia, ove
fosse il pessimo uso della bestemmia, di tanto in tanto facesse
celebrare qualche Santa Messa, per placare la Divina Maestà. Così
pure è cosa ottima fare elemosina ai poverelli con lo stesso scopo,
poiché la carità copre la moltitudine dei peccati.
LA
MENZOGNA
Oltre
alla bestemmia, c'e un altro peccato che si commette con la lingua e
che è direttamente contro Dio: la menzogna o bugia.
Iddio
è Verità; la menzogna è la negazione della verità; dunque chi
mentisce volontariamente, offende il Signore.
L'ottavo
Comandamento della Legge Divina proibisce inoltre espressamente di
dire falsa testimonianza. Purtroppo di questo Comandamento non sempre
e da tutti se ne ha la dóvuta stima; ne è prova la facilità con
cui si dicono le bugie.
Vediamo
ora quale male sia il negare la verità.
Principi
di morale.
Se
la bugia arreca un grave danno al prossimo, è peccato mortale; se
invece apporta un piccolo danno, è peccato veniale o leggero.
Le
bugie che non fanno male ad alcuno e si dicono soltanto per scusarsi
oppure si dicono per ischerzo, sono sempre un male ed ordinariamente
costituiscono un peccato veniale.
La
bugia non è lecita mai; neanche si può mentire per fare un bene a
qualcuno o per evitare un male al prossimo.
Questi
sono i principi di morale.
Come
comportarsi in certi casi.
Potrebbero
sorgere nell'animo di chi legge alcune difficoltà. - Dunque la
verità si deve dire sempre? E come comportarsi in certi casi
particolari della vita? -
Si
tenga presente questo principio di morale: la verità si può tacere,
ma non si può giammai dire il contrario di essa.
Quando
dalla manifestazione della verità potrebbe venire del male, allora
non soltanto si può, ma si deve tacere il vero. Così pure, quando
non si è tenuti a dire una cosa a chi indiscretamente la chiede, si
può rispondere: Non so questa cosa. - Mi spiego con qualche esempio.
Un
amico mi confida un segreto a condizione di non dirlo ad altri. Se
qualcuno mi chiedesse: Sapete voi la tale cosa? - avendola conosciuta
per segreto fidato, dovrei rispondere: No, non so proprio niente! -
In questo caso non dico bugia.
Un
tale vuole vendicarsi sulla proprietà di un suo nemico e si rivolge
a me per informazione. - Sapete dirmi se questa sia la proprietà di
Tizio? - Quantunque sappia essere quella la proprietà richiesta,
tuttavia posso rispondere senza dire menzogna: Non lo so! - perché
io non sono tenuto a manifestare questa cosa.
In
certi casi della vita, volendo evitare la bugia e nello stesso tempo
non volendo manifestare la verità, ci si può servire delle così
dette restrizioni mentali, cioè di certe espressioni prudenti, che
abbiano doppio senso o che non significhino né « sì » ne « no »,
come per esempio: « Che ne posso sapere io? Che cosa posso
risponderti? Chi può sapere come stia la faccenda? Son cose tanto
segrete queste! Non so proprio come contentarti ».
In
casi estremi si può anche rispondere negativamente, facendo uso
della restrizione mentale.
A
chi, per esempio, ti domanda denaro, che sai o temi non ti sarà
restituito, puoi rispondere: Non ho denaro disponibile! -
sottintendendo « per te ». – E’ in casa il padrone? - Si può
rispondere come egli ha ordinato: Non c'è – sottintendendo per
stare a vostra disposizione »; oppure, se il padrone nella mattinata
è uscito... lasciando di aggiungere che poi egli è ritornato.
Sant'Atanasio.
Un
esempio di restrizione mentale lo troviamo in un episodio della vita
di Sant'Atanasio, Vescovo di Alessandria e Dottore di Santa Chiesa.
Costui
era zelantissimo della gloria di Dio e perciò si attirò l'odio
degli Ariani, nemici della Religione. Fu da loro accusato
ingiustamente davanti ai giudici, ma il Signore fece risplendere la
sua innocenza. Gli Ariani stabilirono in seguito di uccidere il Santo
Vescovo; questi però si travestiva e si nascondeva e non lasciavasi
prendere. Fu costretto a stare nascosto per cinque anni dentro una
cisterna vuota e veniva sostentato da un amico, l'unico che era a
conoscenza del fatto. Riprese il lavoro a bene delle anime e
nuovamente venne cercato a morte; per salvarsi stette nascosto
quattro mesi nel sepolcro di suo padre.
Un
giorno questo Santo fu inseguito dai suoi nemici lungo il fiume Nilo.
Trovavasi egli sopra una barca, travestito, e si sforzava di non
farsi raggiungere dalla barca nemica. In una svolta del fiume, mentre
momentaneamente era stato perduto di vista, il Santo rivoltò la
barca dalla parte opposta e ritornò indietro, andando così incontro
ai suoi ricercatori. Costoro non conoscevano bene la fisionomia del
Santo e, vedendo quella barca, domandarono proprio a lui: Avete
visto, venendo giù per il fiume, il Vescovo Atanasio? Siamo in cerca
di lui. -
Il
Santo non era obbligato a dire: Sono io! - e si servì di una
restrizione mentale per liberarsi dalla morte. Infatti rispose: Ah!
voi cercate Atanasío? Non è lontano da voi; poco fa era lì con la
sua barca! -
Quei
cattivi, sicuri di poterlo avere presto tra le mani, andarono avanti
con la barca, mentre Sant'Atanasio, andando in senso a loro opposto,
poté mettersi in salvo.
Evitiamo
le bugie!
C'è
chi crede che il dire una menzogna sia quasi una sciocchezza, una
mancanzuccia trascurabile. Ho sentito una volta una persona ragionare
così: Per il momento dico una bugia; pazienza! Dopo morte farò un
giorno di Purgatorio! -
Questo
dimostra che non si conosce cosa significhi offesa di Dio e che cosa
sia il Purgatorio. Anche quando si tratta di dire una piccola bugia,
non si deve fare assolutamente ciò, perché si offende Iddio! Non
bisogna recare al nostro Creatore, che tanto ci ama, il minimo
dispiacere volontario.
Se
non si evitano le bugie perché si ha poco amore di Dio e perché si
e poco delicati di coscienza, almeno si evitino per non meritare il
castigo divino, in questa o nell'altra vita. Il bene anche minimo,
che si fa in vita, sarà ripagato dal Signore nel Paradiso. Il male,
anche minimo, quale sarebbe una piccola bugia innocua, sarà punito
immancabilmente da Dio. È proprio il Purgatorio ove si scontano le
piccole mancanze ed ove l'anima si purifica da ogni residuo di pena
temporanea. Stare in Purgatorio significa soffrire il fuoco e altre
pene terribili. Basta riflettere su qualche apparizione di oltre
tomba, per rimanere attoniti del rigore della Divina Giustizia nel
punire quelle che noi chiamiamo piccole mancanze.
La
lingua bruciata.
Il
Padre Nieremberg, Gesuita, mentre una notte pregava nella chiesa del
Collegio a Madrid, vide comparirsi la figura di un amico, morto di
recente. La grande devozione a Maria Santissima aveva meritato al
defunto la grazia di comparire per chiedere suffragi. Il Padre
Nieremberg gli chiese: Perché ti trovi in Purgatorio? - Devo
scontare le piccole colpe commesse con la lingua nei miei rapporti
col prossimo. Ecco la mia pena! - così dicendo, lasciò vedere la
lingua bruciata, perché un ferro infuocato continuamente la
torturava.
Anania
e Saffira.
La
terra è il luogo di misericordia; tuttavia meditiamo come Dio
punisca la menzogna in questa vita, per prendere la risoluzione di
non dirne giammai.
Al
tempo degli Apostoli si raccoglievano denari ed altri beni, per dare
aiuto ai bisognosi; c'erano di quelli che vendevano anche i beni
immobili, come le campagne, e ne portavano il ricavato agli Apostoli.
Un
uomo, di nome Anania, risolvette di vendere il suo campo e di portare
il denaro a San Pietro. Si accordò con sua moglie, di nome Saffira,
in questi termini: Noi porteremo al capo degli Apostoli non tutto il
denaro della vendita del campo, ma una parte soltanto e diremo invece
che il denaro è tutto il ricavato. -
Poveri
illusi! Credevano che la bugia restasse nota solamente a loro!
Quando
Anania depose il denaro ai piedi degli Apostoli, accompagnando
l'offerta con la bugia, sentì dirsi aspramente da San Pietro:
Anania, come mai Satana ti ha preso così il cuore, che tu cerchi di
mentire allo Spirito Santo col trattenerti una parte del prezzo del
campo? Se non lo vendevi, non restava tuo? E, vendendolo, non eri
padrone del denaro? Perché concepire un tale disegno? Tu non hai
detto una bugia agli uomini, ma a Dio! -
Anania,
ad udire queste parole, fu colpito da un malore improvviso e cadde
morto. Tutti i presenti si riempirono di un grande timore. I più
giovani si alzarono, avvolsero il cadavere e lo andarono a
seppellire.
La
moglie Saffira, che niente aveva saputo di quanto era accaduto al
marito, dopo circa tre ore entrò là, ove stavano gli Apostoli. San
Pietro le rivolse questa domanda: Dimmi, è vero che avete venduto il
campo per tale prezzo? - Quella rispose: Sì, per tale prezzo! -
Allora il Principe degli Apostoli, pieno di sdegno le disse: Ah,
dunque, vi siete accordati a tentare lo Spirito Santo? Ecco sono alla
porta i piedi di coloro che hanno sepolto tuo marito; ora vengono a
portare via anche te! -
In
quell'istante la donna morì, cadendo ai piedi di S. Pietro. Entrati
poi quei giovani e trovata la morta, la portarono a seppellire
accanto a suo marito.
Giacché
Iddio punì in tal modo una bugia che non nuoceva ad alcuno, vuol
dire che la bugia, anche innocua, non è quel piccolo male che si
crede.
I
Santi Giulio e Giuliano.
Riporto
ancora un episodio.
Al
tempo dell'imperatore Teodosio, due santi fratelli, Giulio e
Giuliano, si adoperavano in Lombardia per innalzare chiese ad onore
di Dio. Dai ricchi raccoglievano elemosine e dai poveri ottenevano
qualche mano d'opera, come portare pietre, tagliare legna e
trasportare il materiale.
Avvenne
un giorno che due contadini andavano col carro vuoto verso la chiesa
che si costruiva; avvicinandosi alla fabbrica, un contadino disse
all'altro: Cambiamo strada se no quei due Sacerdoti ci chiederanno di
trasportare pietre. - No, rispose l'altro; facciamo diversamente. Io
mi stenderò sul carro, come morto; se quelli vorranno essere
aiutati, tu dirai che mi è venuto un male improvviso in campagna e
che mi conduci morto a casa.
Fatto
l'accordo, uno si adagiò sotto un copertone come fosse morto e
l'altro guidava il carro. Ecco venire S. Giulio incontro al
conducente e dirgli: O figliuolo, Iddio vi ha mandato in buon punto!
Farete voi la carità di una condotta di pietre da un luogo vicino?
Iddio vi compenserà! -
Il
contadino, senza neanche fermare il carro, fingendosi molto
addolorato, rispose: Volentieri lo farei; ma non posso. Sto
conducendo un morto a casa; e qui avvolto nel copertone. - Il Santo
soggiunse: Se è come dite voi, andate in pace e Dio vi benedica. -
Fatto
un po' di cammino, il contadino cominciò a ridere per il buon esito
dello scherzo ed essendosi allontanato un buon tratto dal Santo,
pensò di far uscire il compagno da sotto il copertone: Su; gli
disse, vieni fuori! L'abbiamo fatta a quel Prete! - Il compagno
intanto non si alzava. - Eh, via, non è più tempo di fare il morto!
Alzati! - E l'altro stava fermo. Allora lo scosse fortemente e lo
scoprì. L'amico era morto davvero.
L'infelice
contadino inorridì a tale vista e cominciò a tremare da capo a
piedi per lo spavento.
Il
pastorello.
La
bugia dispiace non solo a Dio, ma pure agli uomini; i bugiardi perciò
sono guardati con occhio diffidente ed anche quando dicono il vero,
non sono creduti.
È
tanto significativo l'esempio di quel giovanetto, che venne lasciato
dal padre in custodia delle sue pecore. Gli aveva raccomandato il
genitore di chiamare i pastori vicini in aiuto, nel caso che fosse
venuto qualche lupo presso la mandria. Il giovanetto una volta per
burla gridò: Al lupo, al lupo! - Vedendo accorrere pastori e
contadini armati di bastoni, fece loro una grossa
risata e li licenziò dicendo essere stato uno scherzo.
Ma
un giorno il lupo venne realmente. Il pastorello uscì a gridare a
squarciagola: Al lupo, al lupo! - ma nessuno volle andare in aiuto.
Aveva un bel dire: Venite, che questa volta c'è il lupo davvero! -
Ognuno diceva: Non ci scherzerai più! -
Il
lupo intanto fece strage delle pecore e ne fu causa il giovanetto con
la sua bugia, perché: Se un uomo per bugiardo è conosciuto,
quand'anche dica il vero, non è creduto.
Il
cane e la gallina cotta.
L'essere
presi per bugiardi è cosa molto umiliante; il seguente fatto ne è
prova. Era circa mezzogiorno; una famiglia si disponeva a mettersi a
tavola. Per il pranzo si era preparato qualche cosa di buono, tra
l'altro una gallina. Intanto si sentì battere alla porta e si corse,
ad aprire. Era un amico. Si cercò subito di nascondere le vivande
per non invitare a pranzo il nuovo arrivato. Una signorina, che già
stava per mettere sulla tavola un tegame con la gallina, non essendo
stata in tempo a ritornare in cucina, nascose il tegame sotto una
sedia.
La
madre di famiglia fece all'ospite questo parlare: Ben volentieri vi
inviterei a pranzo, perché la vostra compagnia ci fa sempre piacere.
Mi dispiace però non aver quest'oggi niente da mettere a tavola; il
nostro pranzo è assai magro. -
Mentre
così parlavasi, il cane di casa fu attratto dall'odore della carne
ch'era nel tegame e riuscì ad addentare la gallina cotta. I presenti
si alzarono tosto per togliere la carne dalla bocca del cane, il
quale andava in giro per le stanze.
L'ospite,
che assisteva alla scena, sentì il bisogno di dire: Vi ringrazio
della cordialità usatami! Non mi aspettavo da voi questa finzione! -
È
più facile immaginare che descrivere la confusione di quella
famiglia a vedersi smascherata dalla bugia.
Richiama
i ladri.
Mentre
la menzogna umilia, la verità nobilita. S. Giovanni Canzio era
professore all'università di Cracovia. Lasciate le vanità del
mondo, intraprese la carriera ecclesiastica e divenne esemplarissimo
Sacerdote.
Assalito
una volta dai ladri, non fece alcuna resistenza e consegnò il denaro
che credeva di avere, dicendo: Eccovi tutto il denaro che porto
addosso; non ho altro! - I ladri si allontanarono soddisfatti. Il
Santo subito si ricordò che teneva cucite nel vestito alcune monete
d'oro. In realtà bugia non ne aveva detto, non essendosi ricordato
di avere ancora denaro; però nella sua estrema delicatezza credette
bene di informare di ciò i ladri. Corse dietro a loro e,
raggiuntili, disse candidamente: Credevo di non avere più alcuna
moneta ed invece ne ho trovate altre. Prendete anche queste! -
Quei
malandrini davanti a tanta sincerità rimasero molto meravigliati,
sino al punto di sentire il rimorso del furto fattogli prima e gli
restituirono il denaro.
Questo
fatto è più da ammirare che da imitare; però esso ci rivela come
gli stessi cattivi stimino la verità.
IL
GIURAMENTO
E’
giuramento il chiamare Dio, i Santi o le cose sante in testimonianza
di ciò che si afferma o si nega. Qualunque altra parola, frase o
gesto, che manifesti l'animo di giurare in tal modo davanti a Dio, è
un vero giuramento. E’ bene sapere quello che dice Gesù Cristo
riguardo a questo: « Voi avete udito che fu detto agli antichi: "
Non spergiurare, ma mantieni al Signore i tuoi giuramenti! " Io
invece dico a voi di non fare giuramenti, ne' per la terra, che e lo
sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, che è la città del
gran Re. Non giurare nemmeno per il tuo capo, mentre non puoi far
bianco o nero uno solo dei tuoi capelli. Ma il vostro linguaggio sia:
" Sì, sì; no, no! ". Ciò che si dice di più, viene dal
maligno ».
Da
queste parole di Gesù Cristo appare che il giuramento è da tenersi
lontano. Eppure, quanti giuramenti si pronunziano sul vero e sul
falso, nel commercio ed in famiglia!
Istruzione
morale.
La
Santa Chiesa dichiara essere lecito il giuramento negli affari di
grande importanza. Perciò si può giurare davanti al giudice,
davanti all'Autorità Ecclesiastica nelle deposizioni canoniche ed
anche negli affari privati di molto rilievo. Chi giura sulla verità
in cose di nessuna o poca importanza, commette un peccato leggero.
Chi giura sulla menzogna per cose importanti oppure per cose da poco,
è reo davanti a Dio di grave colpa.
Quanti
hanno erronea la coscienza su questo punto della morale, specialmente
quelli che credono essere un peccato leggero il giurare sopra una
piccola bugia!
Ecco
delle norme pratiche per essere in buona coscienza! Chi ha
l'abitudine di giurare, si sforzi di correggersi, anche per non dare
cattivo esempio agli altri. Chi giura sulla bugia distrattamente, non
avvertendo ciò che fa prima di giurare, oppure si accorge del
giuramento fatto solamente dopo averlo pronunziato, in questi casi
non commette peccato, perché manca un requisito essenziale per il
peccato, che è la conoscenza del male che si sta facendo. Il peccato
lo commette soltanto chi si accorge del giuramento falso o prima di
giurare o nel momento stesso in cui giura. Quando perciò ci si
confessa, si dica al Ministro di Dio: Padre, ho fatto dei giuramenti
falsi volontariamente, due, tre ... o cinque volte! -
Ciò
che non si pensa.
Un
male, al quale poco si pensa, è il domandare agli altri il
giuramento. Non ci si accontenta alle volte di quello che ci si
asserisce e per maggior sicurezza si dice: Se è vero quanto affermi,
giura! -
Chi
non vede che agendo in tal modo, si dà motivo a giurare inutilmente,
o peggio a giurare sulla bugia? Il dire « Se tu non giuri, io non ti
credo! » è mettere in pericolo di far giurare il falso, perché
quando si è messi alle strette, per non fare la figura di bugiardi,
si preferisce, purtroppo, giurare il falso.
Dunque,
è vera carità non chiedere mai il giuramento.
Mantenere
il giuramento.
Il
giuramento si deve mantenere. Quando si promette di fare o di dire
qualche cosa, si ha il dovere di mantenere la parola; se alla
promessa si aggiunge il giuramento, il dovere è doppio.
Se
si giura di fare o dire alcunché di male, non si ha l'obbligo di
mantenere il giuramento, anzi non si deve assolutamente adempire. Chi
dicesse: Giuro per Iddio di non andare più alla Messa nei giorni
festivi ... di vendicarmi del mio nemico! - chi così dicesse, non
deve mantenere il giuramento e non commette alcun peccato mancando di
parola; pecca però gravemente, perché pronunzia un giuramento
illecito.
LA
MALDICENZA
Il
parlare male del prossimo è un peccato molto comune; purtroppo non
ne sono esenti neppure le persone che praticano la santa Religione.
Come
la bestemmia sta facilmente nella bocca degli uomini, così la
mormorazione sta specialmente nella bocca delle donne.
Il
parlare male è frutto di leggerezza, perché non si riflette a ciò
che si dice e non si misurano le funeste conseguenze di una parola
imprudente. Il Signore pare che abbia voluto mettere un riparo al
pericolo di parlare senza riflessione, collocando, per così dire,
due cancelli davanti alla lingua, cioè i denti e le labbra. Chi vuol
parlare a carico di altri, prima di mettere in attività la lingua
pensi se è il caso di aprire i due cancelli, oppure se è meglio
restare con la bocca chiusa.
Siccome
non si bada a ciò, ecco perché si semina tanto male parlando!
Quando non si sa parlare, meglio è tacere. Spesso ci si pente d'aver
parlato, difficilmente di aver taciuto. Chi parla male degli altri,
fa tre danni morali. Il primo lo reca all'anima propria, macchiandola
di peccato; il secondo danno lo fa a chi ascolta la mormorazione,
perché pecca chi ascolta volentieri il mormoratore; il terzo lo fa a
colui del quale sparla, togliendogli l'onore.
Il
buon nome.
Noi
abbiamo i beni di fortuna, che sono le ricchezze; chi ci ruba qualche
cosa, si chiama ladro.
Abbiamo
la vita del corpo, che vale più delle ricchezze; chi toglie la vita
al prossimo, si chiama assassino.
Abbiamo
la vita morale, cioè il buon nome, per cui possiamo stare in società
onoratamente; per mezzo del nostro buon nome possiamo fare bene a noi
ed agli altri. Il nome onorato è comunemente più apprezzato della
stessa vita del corpo; difatti chi ha perduto l'onore, spesso
preferisce aver perduto la vita.
Quando
un miserabile, con una calunnia o con una grave mormorazione, ha
tolto il buon nome e l'onore ad un individuo o ad un'intera famiglia,
come si dovrebbe chiamare? Ladro? ... Assassino? ... Peggio ancora!
Demonio in carne!
La
calunnia.
È
calunnia l'attribuire una colpa ad un innocente. Da non pochi si
crede essere calunnia soltanto l'incolpare innocentemente di atti di
disonestà; invece è pure calunnia dare del ladro o dell'assassino o
dell'irreligioso a chi non è tale, o attribuirgli altra mancanza.
Calunniare di colpe gravi, è grave peccato.
Frutti
nefasti.
La
calunnia è l'arma dei vili e dei malvagi. Quando ci si vuol
vendicare e non si può riuscire altrimenti, s'inventa un'accusa
contro la persona odiata e si diffonde spudoratamente; c'è chi non
vi crede, c'e chi dubita dell'accusa e c'è chi l'ammette senz'altro.
Ordinariamente la calunnia nasce da gelosia. Risplendendo infatti
qualcuno per bontà, per virtù o per merito, così da eccellere
sugli altri, suscita nei malvagi dapprima invidia e dopo forte
gelosia.
Allora
si tenta di oscurare la persona benemerita con incolparla di ciò che
non ha commesso; per lo più la calunnia ottiene il suo scopo, perché
il male suole essere più creduto del bene. Si vedono perciò
illustri personaggi, che hanno coperto alte cariche civili e
religiose, essere deposti all'improvviso; si vedono abili impiegati,
modello di onestà, essere allontanati dal loro ufficio, ove
onoratamente guadagnavano il pane, ed essere anche imprigionati; si
vedono ottime signorine, fiori di modestia cristiana, costrette a non
uscire di casa per non essere segnate a dito come scandalose; inoltre
tante altre signorine, che hanno perduto dei buoni partiti di
matrimonio, sono prese da rabbia o malinconia cronica e vanno a
finire al manicomio o troncano la vita col suicidio. Ecco quali sono
i frutti della calunnia! Quanti torrenti di lacrime e di sangue ha
fatto versare la maledetta lingua!... C'è però un Dio giustissimo,
il quale a suo tempo ripaga tutto e sa dare al calunniatore il
meritato castigo!
Castigo
del calunniatore.
S.
Elisabetta, regina di Portogallo, era molto caritatevole. Oltre a
fare l'elemosina personale, si serviva in modo particolare di un suo
paggio, di nome Don Pedro. Questi era di molta virtù e perciò
veniva stimato assai dalla regina. Un altro paggio ebbe di ciò
grande gelosia e determinò di calunniarlo, nella speranza di farlo
allontanare dalla corte.
Questo
malvagio si presentò un giorno al re Díonigi e gli disse: Maestà,
sappiatevi guardare! Il paggio Don Pedro ha delle mire segrete verso
la regina! - Colorì la calunnia così bene, che il re sospettò
fortemente della sposa.
Il
monarca non ebbe più pace e prese la risoluzione di disfarsi
completamente di Don Pedro. Passando un giorno vicino ad una fornace
di calce, egli chiamò le persone che avevano da alimentare il fuoco
e disse loro: Domani mattina vi manderò un paggio della corte e vi
chiederà: « Sono stati eseguiti gli ordini del re? » Subito lo
piglierete e lo getterete nella fornace ardente.
Ritornando
al palazzo, il re chiamò il paggio che credeva cattivo e gli comandò
di andare l'indomani di buon'ora a portare il messaggio ai lavoratori
della fornace. Don Pedro la mattina seguente si avviò per tempo al
luogo stabilito; Dio però vegliava sopra di lui e non permise che
avesse a fare una morte così tragica. Passando difatti il buon
paggio davanti a una chiesa e sentendo suonare il campanello della
Consacrazione, vi entrò ed ascoltò la Messa. Finita questa, subito
ne cominciò una seconda e poi una terza; volle ascoltare anche
queste, per fare un atto di ossequio a suo padre, il quale sul letto
di morte, dandogli l'ultima benedizione, gli aveva detto: Ti
raccomando caldamente di ascoltare sino alla fine tutte le Messe che
vedrai incominciare. -
Intanto
il re Dionigi, impaziente di sapere l'esito del suo disegno, chiamò
l'altro paggio, il calunniatore, e lo mandò a chiedere ai lavoratori
della fornace se avessero eseguiti i suoi ordini. Appena presentatosi
alle persone che avevano cura del fuoco, venne preso e gettato nelle
fiamme.
Dopo
non molto si presentò anche Don Pedro. - Avete eseguito, disse, gli
ordini del re? - Sì, tutto è stato fatto! -
Quando
il monarca Dionigi vide comparire Don Pedro, pieno di meraviglia, si
fece raccontare tutto e ammirò i disegni di Dio. Volle appurare
meglio il suo sospetto e si convinse che Don Pedro era stato
calunniato da quel paggio cattivo.
Il
fuoco della fornace fu per quel calunniatore il preludio del fuoco
eterno dell'inferno.
Riparazione.
Chi
ruba è tenuto a restituire; chi uccide, è tenuto a riparare i
danni; chi calunnia, deve fare di tutto per ridare al prossimo il
buon nome.
Chi
non vede però quanto sia difficile riparare la calunnia? Si deve
andare da chi ha sentito la falsa accusa e dire: Ciò che vi ho detto
della tale persona, non è vero! - Se la notizia della calunnia si è
diffusa, si deve pure diffondere la notizia che tutto è falso. Tutto
questo importa umiliazione e non sempre si è disposti a sobbarcarsi
a ciò. Eppure, se il calunniatore non ripara così, non può essere
perdonato dal confessore e perderà l'anima sua.
Quando
dalla calunnia sono venuti dei danni, come la perdita dell'impiego o
di altro, il calunniatore è tenuto in coscienza nei limiti del
possibile a risarcire tutto. Come riparare certi danni, quando, ad
esempio, si è gettata nella miseria una famiglia o si e troncato un
avvenire ad una giovane? ... Tuttavia, come colui che deve sciogliere
un grosso debito vi pensa e vi ripensa, così chi ha calunniato non
dovrebbe riposare se non avrà riparato il male fatto.
Una
buona lezione.
S.
Filippo Neri, volendo dare una solenne lezione ad una donna, la quale
facilmente parlava male del prossimo, e qualche volta calunniava, le
disse: Prendete una gallina, uccidetela e portatela qui. - La donna
ubbidì. Il Santo allora le ingiunse di andare per le vie di Roma e
di spargere ad ogni passo una penna di gallina, gettandola per aria.
Fatto
questo, la donna ritornò dal confessore, S. Filippo. - Padre, ho
fatto la penitenza delle mie mormorazioni e delle calunnie. Mi è
costato un po' d'umiliazione l'andare in giro seminando le penne, ma
almeno ho scontato i miei peccati. - San Filippo le rispose: Ancora
siete alla prima parte della penitenza; rimane la seconda. - E quale
sarebbe? - riprese la donna. - Ora dovete ritornare sulle stesse vie
che avete percorse e raccogliere le penne che avete sparse, senza
tralasciarne alcuna.
-
Padre, ma che cosa dite? Come è mai possibile fare ciò? C'era vento
quando spargevo le penne! A quest'ora il vento le avrà trasportate
chissà dove! - Ebbene, conchiuse il Santo, come non è possibile
raccogliere tutte le penne, così non è possibile riparare tutto il
male che voi avete fatto calunniando e mormorando! Le vostre parole a
carico degli altri sono volate da persona a persona come le penne
della gallina. Correggetevi una buona volta!
Giovò
la lezione? È da sperare!
In
treno.
Quando
ci si trova davanti a gente che calunnia o mormora, non si presti
facilmente fede.
Grazioso
è l'episodio capitato a Don Bosco, mentre viaggiava in treno da
Pistoia a Torino. Il vagone era gremito, di passeggeri. Uno di
costoro, tanto per occupare il tempo, abituato a calunniare, vedendo
là un Prete, senza neppure conoscerlo, cominciò a sparlare
precisamente contro Don Bosco. Il nome del Santo Prete di Torino era
in quel tempo in bocca a molti, poiché le sue opere a bene della
gioventù attiravano lo sguardo dei buoni e dei cattivi.
Dunque
il calunniatore prese a dire: C'è un Prete a Torino, chiamato Don
Bosco, il quale è un avaraccio di prima linea. Va in giro a chiedere
denaro per i giovani poveri ed abbandonati e poi se ne impossessa
lui. È il primo imbroglione Don Bosco! Gl'ignoranti credono a quanto
egli dice e gli portano i propri beni. È un vero ipocrita! - Il
Santo, a sentire questo bel panegirico sul proprio conto, volle
chiarire le cose, senza però farsi conoscere. - Scusi, signore, ma
lei conosce D. Bosco? - S'immagini! Sono di Torino e perciò l'ho
visto tante volte. - Eppure, riprese il Santo io faccio le mie
riserve su tante cose che lei dice. Per esempio, non credo che egli
possegga tanti denari. - Lei, Reverendo, vuole insegnare a me? Don
Bosco è un furbo; vuole arricchire la sua famiglia ed ha comprato
già vaste tenute a Castelnuovo. - Io non so se abbia là qualche
possedimento. - Sì, sì; i suoi fratelli sono divenuti ricchi
signori. - Perdoni; ma Don Bosco, ha un solo fratello... - Il fatto è
che il fratello di Don Bosco mentre prima era un povero contadino,
ora possiede carrozza e cavalli. - Ed io le dico, continuò il Santo,
che il fratello di Don Bosco è morto da più di venti anni. - Sia
come si vuole, lei non può negare ciò che io conosco benissimo.
-
Ebbene, se vuole togliersi la curiosità, vada a Castelnuovo e vedrà
che Don Bosco ha solo due nipoti che coltivano un piccolo podere e
nulla più. - Dunque lei mi vuol dare del bugiardo? - Dico solamente
che ciò che lei afferma non è secondo la verità. -
Intanto
il treno arrivò a Filezzano; salì su quella vettura il Barone Ceva,
il quale scorgendo Don Bosco tra la comitiva, sentì il dovere di
ossequiarlo. - Oh! Don Bosco, lei qui? Come sta?
I
presenti che avevano assistito con interesse al colloquio sopra il
Prete di Torino, vedendo essere colui Don Bosco in persona, dapprima
ebbero un sentimento di sorpresa e poi fecero una solenne risata
sulle spalle di quel calunniatore.
-
Ben gli sta! - diceva uno. - Chi poteva mai sognare, diceva un altro,
questo Prete essere D. Bosco? - Umiliato e confuso, il signor
maldicente chiese scusa al santo Sacerdote. Sorridendo Don Bosco gli
disse: Caro amico, io la perdono appieno! Come vede sono un povero
Prete; viaggio in terza classe come lei; non ho possedimenti.
Desidero darle un saggio consiglio: Non parli mai male di nessuno;
può darsi, come è capitato questa volta, che quello stesso con il
quale parla, sia proprio colui di cui lacera la fama. -
Dunque,
il meglio è parlare bene di tutti; se non possiamo parlare bene,
taciamo. Ci si salva così da tanti imbrogli.
LA
MORMORAZIONE
È
mormorazione il rendere pubblica ingiustamente una mancanza, che
altri realmente ha fatta.
Chi
mormora, commette peccato mortale o veniale, secondo la mancanza che
fa conoscere, grave o leggera, e secondo le circostanze che
accompagnano la mormorazione. Quando non si nomina la persona o si
racconta un male del prossimo senza che questo possa essere
individuato, allora non c'e mormorazione.
Tizio
va a trovare una famiglia.
Durante
la conversazione assiste ad una scena dolorosa: un figlio arrabbiato
ingiuria la propria madre e dopo le dà uno schiaffo. Tizio rimane
molto meravigliato, tanto più che stimava per buono quel figlio;
giunto a casa, racconta la scena dello schiaffo, nominando la persona
che ha commesso il fallo. In questo caso Tizio ha mormorato ed ha
commesso un peccato, perché ha fatto conoscere senza una grave
necessità una grave mancanza del prossimo, mancanza che era avvenuta
dentro l'ambito di una famiglia e perciò non doveva farsi conoscere
fuori.
La
colpa pubblica.
E’
lecito rivelare una mancanza del prossimo, se questa è vera ed è
pubblica.
La
pubblicità può essere di diritto e di fatto. È di diritto se c'è
stata la sentenza del giudice. Perciò si può dire: Il tale ha
rubato ... ha ferito una persona ... ha ucciso un uomo! - se il
giudice ha dato la sentenza di condanna.
-
La pubblicita è di fatto, se il fallo è stato commesso
pubblicamente e quindi è facile a divulgarsi. Adunque si può dire:
Il tale ha dato uno schiaffo a suo padre! - se il fatto è avvenuto
in mezzo alla strada. Quando una colpa del prossimo è conosciuta da
molti in una contrada, se si fa conoscere ad alcuni della stessa
contrada, i quali non ne sanno niente, in tal caso non c'è
mormorazione.
Quantunque
non sia peccato di mormorazione il parlare di una mancanza pubblica,
la carità tuttavia suggerisce di mettere un velo sulle colpe del
prossimo.
Se
non è mormorazione il palesare, una colpa già pubblica, potrebbe
però essere peccato il parlarne, se si facesse questo con un certo
qual gusto del male altrui, oppure per lo scandalo che può darsi
agli ascoltatori trattandosi di fatti disonesti, oppure per lo stesso
parlare inutile, avendo Gesù detto: « Di ogni parola oziosa che gli
uomini avranno detta, mi dovranno dare conto nel giorno del giudizio!
».
La
miglior cosa da farsi è questa: pensare più ai fatti propri che
agli altrui e pregare per le persone che conosciamo avere mancato.
Se
il tempo che s'impiega e rivedere le bucce del prossimo s'impiegasse
a pregare per esso, quanto bene si farebbe a se ed agli altri!
Chi
è senza peccato, getti la prima pietra!
A
Gesù Cristo fu presentata una donna colta in peccato. Degli uomini
avevano le pietre in mano ed erano pronti ad ucciderla; aspettavano
il cenno del Divino Maestro. - Chi di voi, esclamò Gesù, è senza
peccato, getti la prima pietra! - Ciò udendo, posarono le pietre e
si allontanarono, lasciando libera la misera peccatrice.
Quando
ci si trova in conversazione e si mettono in campo le mancanze del
prossimo, ancorché siano pubbliche, allora è il caso di dire: Chi
di noi presenti non ha mai mancato, cominci a parlare male del
prossimo! - Credo che facendo l'esame di coscienza, nessuno possa
aprire bocca. Purtroppo avviene, il contrario, cioè che i primi a
parlare delle colpe altrui, sogliono essere quelli che ne hanno fatto
delle più grosse.
I
gravi motivi.
-
Ma allora, si dirà, quando sarà bene parlar delle mancanze del
prossimo, siano esse pubbliche o no? - Soltanto allora, quando lo
richiede un grave motivo, quale sarebbe l'utilità del colpevole o il
bene di una terza persona.
Un
giovanotto ad ora tarda frequenta un luogo pericoloso. Si può, anzi
è vera carità, dire questo ai genitori affinché custodiscano il
figlio.
Quando
però per correggere il colpevole, basta manifestare la mancanza ad
uno, non si estenda a due, oppure a tre.
Un
uomo è preso a servizio da un ricco signore; questi però non sa che
il nuovo servitore ha la mania di rubare. Chi conosce ciò, fa bene
ad avvertire il padrone, affinché si sappia guardare.
Le
reticenze.
Un
genere di mormorazione tanto dannosa è il parlare con le reticenze,
adoperando cioè delle frasi a metà, delle parole tronche, a carico
degli altri. Così, ad esempio: Quella persona è tanto abile,
intelligente; ma ... ma ... non posso parlare! - Il tale, sì e un
bravo uomo; però ... eh! ... cose che succedono!... - Quella giovane
è stata sempre stimata per onestà; però ... ho sentito una cosa
che mi ha fatto pena!... - Chi non vede che questo modo di parlare
sia peggiore del manifestare la mancanza occulta? Quel « ma », quel
« non posso parlare », quella frase monca, rivela tutto e forse più
della realtà, in quanto si lascia campo ai presenti di fantasticare.
Certi
« ma » e certi « però » sono più micidiali delle pugnalate.
Eppure, con quanta leggerezza si pronunziano nelle conversazioni!
Contro
chi si mormora.
Ordinariamente
si mormora contro chi ci offende o ci dà qualche dispiacere; siccome
a farci questo sono per lo più le persone con cui viviamo, ecco
perché le mormorazioni sogliono farsi a carico dei parenti, degli
amici e dei vicini di casa.
La
moglie sparla del marito, del suo cattivo carattere e manifesta i
gravi dispiaceri che egli arreca in famiglia; i genitori, che
dovrebbero coprire i difetti dei figli, mettono alla luce nella
parentela durante le visite le mancanze dei propri figli; peggio
ancora, i figli mormorano dei genitori facendo conoscere agli altri i
maltrattamenti che casualmente ricevono; la nuora sparge ai quattro
venti i torti della suocera e viceversa; le miserie che avvengono in
una famiglia, si palesano a tutte le famiglie del parentado; i servi
mormorano dei padroni; i soldati degli ufficiali; quelli che
frequentano la Chiesa, parlano male dei Sacerdoti.
Insomma
la lingua abituata a mormorare, non risparmia nessuno, neppure le
persone più care e le più degne di rispetto.
Lo
sfogo del cuore.
È
da distinguere la mormorazione dallo sfogo del cuore. Ricevuta una
grave offesa, non è di tutti il saper nascondere la propria pena; e,
poiché il cuore gonfio trova uno sfogo nel manifestare il suo
dolore, non è male il confidare a tal fine l'offesa ricevuta. Perché
lo sfogo del cuore sia lecito, ci sono delle condizioni.
Prima
di tutto non si parli per odio, alternando forse imprecazioni ed
ingiurie contro l'offensore. Inoltre si confidi la pena non a
diverse, ma ad una sola persona, la quale sia timorata di Dio e sia
tale che possa mantenere nel cuore quanto ha udito.
Si
fa male perciò a sfogare il cuore col primo che capita e peggio
ancora a raccontare il torto ricevuto a diversi individui.
Chi
ascolta una di queste confidenze, compie realmente un atto di carità,
perché consola un cuore afflitto; però, se non si è prudenti nel
fare la parte di consolatore, si può commettere peccato. Chi riceve
infatti uno sfogo del cuore, oltre a mantenere il segreto (il che è
difficile trattandosi di donne!) deve anche dire la parola cristiana,
esortando al compatimento ed al perdono dell'offensore.
Quando
invece chi ascolta la confidenza si arrabbia contro l'offensore ed
esorta a ricambiare l'offesa, in questo caso è responsabile davanti
a Dio del suo peccato e di quello che fa commettere al prossimo. Come
è difficile esser prudenti nel parlare, quando l'animo e irritato o
in preda alla passione!
Gli
assenti.
La
mormorazione si fa contro chi non è presente; perciò il maldicente
è un vile, in quanto approfitta dell'assenza del suo avversario per
metterlo in cattiva luce. Se per caso la persona di cui si mormora
arrivasse nella comitiva, tosto il maldicente tacerebbe. È buona
regola il considerare come presenti le persone di cui si parla. -
Direi io la tale cosa a carico di quell'individuo, se egli fosse
presente? No, certamente! Dunque non devo dirla, neanche se egli è
assente!
Norma
pratica.
Ecco
una norma generale per non peccare mai di mormorazione: Degli altri
parlare in bene o tacere!
Hai
tu da dire qualche cosa a favore del prossimo? - Dilla pure! Quello
che tu vorresti dire contro gli altri non è bene?
Allora
taci! Invece comunemente si fa il contrario; cioè, trattandosi di
parlare male, si e pronti e se ne ha sempre la materia; se c'è da
parlare bene, facilmente si tace.
Lezione
meritata.
Un
Vescovo aveva invitato a tavola parecchi signori. Durante il pranzo
uno di costoro si diede a mormorare contro un suo conoscente; ne
diceva delle nere ed affermava che tutto era vero, poiché egli ne
era pienamente informato. Il Vescovo, non potendo più sopportare
quel maldicente, chiamò il servo e gli disse: Va' subito a chiamare
quel signore, di cui si mormora, per discolparsi, poiché si sta
parlando male di lui. Abita poco distante da qui. -
Il
mormoratore, ciò udendo, esclamò: Per carità, non si chiami! -- Si
deve chiamare, soggiunse il Prelato, perché egli ha diritto di
difendersi!
-
Si chiami allora quando non ci sarò io! - Niente affatto; ha da
venire mentre ci siete voi! - Il povero maldicente restò umiliato si
alzò da tavola ed andò via.
Norme
morali.
Chi
mormora pecca; più sono le persone davanti alle quali si mormora e
più grave è la colpa. Come pecca il maldicente, così manca chi
ascolta volentieri; chi sparla ha il demonio sulla lingua, chi
l'ascolta volentieri l'ha nell'orecchio. Quando la mormorazione si
può impedire, s'impedisca. I superiori ed i genitori hanno il dovere
di fare ciò coi dipendenti e coi figli.
Quando
non si può impedire la maldicenza, è consigliabile allontanarsi
dalla comitiva e lasciare così isolato il mormoratore. Non sempre
questo sarà possibile farsi; allora i presenti sono obbligati a non
dare motivo al maldicente di continuare, facendogli domande in
proposito; e procurino di fargli cambiare discorso, tenendo un
contegno serio, alieno, o guardando altrove o mostrando la faccia
triste, quasi per dire: Il tuo parlare, o mormoratore, non piace! -
Questo suggerimento lo dà lo Spirito Santo: « Mostra il tuo volto
triste al mormoratore ».
Se
chi parla si accorge che i presenti non l'ascoltano volentieri,
naturalmente è costretto a smettere.
La
riparazione.
Come
è tenuto a riparare chi ha messo in giro una calunnia, così deve
riparare chi ha mormorato. Tale dovere obbliga a rifare il prossimo
del danno eventualmente derivato dalla maldicenza ed a parlare più
che sia possibile in bene della persona di cui si e mormorato, in
modo particolare davanti a chi ha sentito la mormorazione.
L'esagerazione.
Un
difetto comune è il parlare a carico di altri esagerando le cose.
Uno si fa comparire dieci; da una bocca all'altra il dieci diventa
cento e mille; così si fanno le montature e le dicerie sulle
persone. Siamo nel caso delle bolle di sapone. Un poco di acqua con
sapone per mezzo dell'aria s'ingrandisce e prende la forma di una
grossa boccia colorata; basta toccarla ed ecco sparire la boccia.
Viene
a proposito la storiella che si narra sul conto dell'ammalato; se non
è vera, e almeno ben inventata.
Un
tale disse ad un amico che un ammalato, ricoverato nell'ospedale,
aveva vomitato un corvo. - Un corvo? ... Hai visto tu il corvo? -
Veramente non l'ho visto; però me l'ha detto il portiere
dell'ospedale, il quale è bene informato di questo. - Volendo andare
proprio a fondo di ciò, quel signore si rivolse,al portiere: È vero
che un infermo di questo ospedale ha vomitato un corvo? - Oh no; è
stato mezzo corvo! - E voi l'avete visto? - A dire il vero, no; me
l'ha detto l'infermiere di quel reparto, il quale senza dubbio l'avrà
visto. -
Dopo
di ciò, andò in cerca dell'infermiere: Ho sentito dire che un uomo
in questo ospedale ha vomitato mezzo corvo e che voi, essendo
infermiere, l'avete visto. - Oh! la cosa non è così! E’ stata
soltanto un'ala di corvo; e poi, non l'ho vista proprio io. A me ha
portato la notizia del fatto la suora che assisteva l'ammalato.
Certamente essa l'avrà vista. Si
presentò alla suora: È vero, Reverenda, che un infermo da voi
assistito ha vomitato un'ala di corvo? - Un'ala di corvo? - esclamò
la suora. - Proprio; e voi l'avete vista e dopo siete andata a
raccontare il fatto al tale infermiere! - Ecco come sta la cosa. Un
ammalato vomitò una sostanza nera, abbondante; a terra prese una
forma curiosa ed io dissi che sembrava un'ala di corvo. - Ora
comprendo, disse quel signore, come va la faccenda! -
Se
in tante cose impressionanti che si raccontano riguardo al prossimo
si andasse a fondo, si troverebbe che non c'è proprio nulla. La
storiella del corvo vomitato serva di norma a non esagerare nel
parlare e a non credere facilmente a quanto i maldicenti narrano, se
prima non si vede e non si tocca con mano.
La
sorella di Mosè.
Ogni
peccato merita la sua punizione. La mormorazione grave si sconterà
eternamente nell'inferno; quella leggera si dovrà scontare o in
Purgatorio o in questa vita. Ecco come Dio castiga la mormorazione su
questa terra.
Mosè
fu scelto dal Signore per fare da condottiero al popolo ebreo nel
passaggio dall'Egitto alla Palestina. A suo tempo egli prese moglie.
La sua sorella Maria non gradi la scelta della sposa e ne fece molta
mormorazione. Dio si dispiacque di tutto ciò e mandò un castigo
terribile alla maldicente. Costei improvvisamente fu colpita dalla
lebbra, malattia ributtante, per cui dovette restare sola con il viso
trasfigurato.
Se
il Signore volesse punire così tutti i mormoratori, il mondo
diverrebbe un immenso lebbrosario!
La
sussurrazione.
Chiunque
va a riferire all'interessato ciò che ha udito contro di lui, è un
sussurrone; ed il male che egli fa è più grave di quanto si possa
immaginare.
Quando
ci si sente dire alcunché contro, ma di presenza, allora si può
ragionare e chiarire ogni cosa. Se invece ci si riferisce: Il tale ha
parlato male di voi! - l'animo resta più colpito. Se la persona
offesa e iraconda e vendicativa, può andare a rissare con
l'offensore; molti delitti si registrano per questo motivo.
Se
non si arriva a tanto, si potrebbe accendere nel cuore dell'offeso un
odio che potrebbe durare forse per tutta la vita. Chi è vero
responsabile davanti a Dio di tanto male? Colui che va a raccontare
le cose udite.
Dice
lo Spirito Santo: « Hai udito una parola contro il tuo fratello?
Lasciala morire in te! ».
Il
sussurrone può portare la scusa che fa questo per amore dell'amico
offeso o per essere più stimato da lui; ma le scuse non valgono
davanti al male che può provenire da una sussurrazione.
Come
deve comportarsi chi riceve le relazioni del sussurrone? Prima di
tutto gli dica: Amico mio, faresti meglio un'altra volta a non
riferire ciò che hai udito sul conto altrui! -
In
secondo luogo non presti subito fede a tutto quello che gli viene
riferito; se sarà il caso, esamini con prudenza la partita per
rimediare a qualche eventuale inconveniente. Non si turbi inoltre per
quello che ascolta e reprima i naturali sentimenti di avversione.
Il
segreto.
Se
si conosce un segreto, si ha il dovere di custodirlo; chi lo rivela,
fa peccato. Se il segreto è di poca importanza, a romperlo si
commette peccato leggero; se si tratta di cosa rilevante, si pecca
gravemente. Quando si riceve un segreto e vi si aggiunge il
giuramento per meglio custodirlo, se dopo si rompe, si fa doppio
peccato: uno per il segreto rivelato e l'altro per il giuramento non
mantenuto. Cessa l'obbligo di mantenere il segreto, quando già e
stato divulgato da altri, perché in tale circostanza il segreto non
ha più ragione di esserci. Cessa anche allorché per grave motivo
sopraggiunto, si può presumere giustamente che colui il quale ha
confidato il segreto, non voglia obbligare al silenzio.
Ecco
un esempio.
Luigi
ti dice: Ti confido un segreto. È stato rubato un cavallo in questa
fattoria. Il padrone sta lavorando per individuare il ladro! - Ti
prometto di non parlare.
Intanto
il padrone del cavallo ha dei sospetti sul conto tuo, ti denunzia
alla questura e così ti fa arrestare. Conoscendo tu il ladro, non
sei tenuto a mantenere il segreto ed andare tu in prigione. Perciò
tu puoi dire al giudice che il ladro è Pietro.
Ci
sono però dei casi in cui il segreto si deve mantenere anche a costo
di andare in carcere o di perdere la vita. Tale è il segreto della
Confessione Sacramentale.
Rispetto
ai segreti.
Ci
son di quelli che amano conoscere i segreti degli altri; sono costoro
i grandi curiosi, che poi sogliono essere i grandi ciarloni.
Non
è lecito carpire di nascosto i segreti del prossimo. Si pecca ad
aprire le lettere chiuse degli altri per leggerle; non pecca però
chi ha l'autorità di fare questo, come sarebbero i genitori per le
lettere segrete dei figli. Si pecca ancora ad aprire i cassetti
altrui per leggere gli scritti segreti, che ivi si conservano, tranne
il caso di chi abbia l'autorità di farlo. Chi ha conosciuto dei
segreti, o ascoltando dietro la porta, o aprendo ingiustamente o
rovistando nel cassetto altrui, è tenuto a mantenere il segreto per
obbligo di coscienza.
Il
segreto e le donne.
Si
sia molto prudenti nel confidare i segreti. Ordinariamente non si
confidino a chi si conosce essere ciarliero. Le donne sogliono essere
deboli a tale riguardo; le fanciulle in modo particolare. Si dice che
quando un segreto lo conoscono due o tre donne, cessa di essere
segreto, perché una lo confida a quell'amica, questa ad un'altra,
quest'altra ad un'altra ancora, e in breve il quartiere è pieno. Per
questo lato la donna è qualche volta paragonata al giornale. Tante
storielle si raccontano a proposito dei segreti delle comari. Ma io
non voglio qui riportare una storiella, bensì un fatto realmente
accaduto. Lo racconta il grande storico Cesare Cantù. Il conte di
Ormigli, francese, aveva una figlia molto spiritosa. Costei aveva il
vizio di cercare i fatti altrui e raccontarli; per questo era
chiamata la ciarliera. Molti disgusti aveva ella avuti, ma non si
correggeva.
Nel
1793, quando uomini crudeli governavano la Francia, il Conte fu
cercato a morte, sebbene innocente; ebbe però il tempo di fuggire e
nascondersi in casa di un amico.
La
figlia, molto curiosa, voleva sapere dove fosse suo padre; un giorno
vi riuscì stando ad origliare dietro la porta di una sala, dove un
amico del Conte parlava con l'intendente della casa.
Saputo
ciò, non seppe più tacere e disse il segreto ad una sua amica, a
patto che non parlasse con altri. L'amica confidò la cosa ad
un'altra; e così di bocca in bocca, il segreto arrivò all'orecchio
di uno spione, il quale riferì tutto a quelli del Governo. In
seguito a ciò, il Conte fu preso e gettato in prigione; dopo non
molto tempo gli fu tagliata la testa.
Il
rimorso di quella figlia ciarliera sarà stato grandissimo; ma con
tutto ciò non potè rimediare al male fatto.
L'IMPRECAZIONE
È
imprecazione il proferire qualche parola contro gli altri,
desiderando del male. È peccato grave l'imprecazione, oppure
leggero, secondo la gravità del male che si desidera e secondo la
malizia che si propone chi impreca.
Così
è colpa mortale il dire con tutto il cuore e per odio ad un nemico:
Ti colga la morte! Ti colpisca un fulmine! Che possa accecare! Che ti
capiti qualche disgrazia! Le stesse imprecazioni, mandate
distrattamente in un momento di collera, oppure pronunziate più con
le labbra che col cuore, costituiscono un peccato leggero. Perciò
sono piccole mancanze le imprecazioni che la madre suole proferire
contro il suo bambino, essendo essa disposta ad abbracciare il
figlioletto.
Non
si può imprecare, né contro il prossimo né contro se stessi.
Inutilità
dell'imprecazione.
Ad
augurare il male non se ne guadagna mai; anzi può darsi che ciò che
s'impreca ad altri, capiti all'imprecatore. Da qui il detto popolare:
« Chi desidera un male ad altri, il suo l'ha vicino ». Come colui
che tira una pietra contro un muro, può essere colpito perché essa
rimbalza, così può avvenire a chi lancia imprecazioni contro il
prossimo. D'ordinario Iddio non manda su questi e su quegli il male
che i cattivi augurano.
Egli
è giustissimo e sa dare a ciascuno quanto gli spetta, senza che gli
altri possano sollecitarlo.
L'imprecazione
ai figli.
Ci
sono delle imprecazioni che Iddio ascolta e sono quelle che i figli
cattivi provocano ai genitori. Comunemente tali imprecazioni sono
chiamate « maledizioni paterne o materne ».
I
genitori sono persone sacre riguardo ai figli ed hanno il diritto di
essere amati, onorati ed ubbiditi da loro. Iddio ha dato un comando
esplicito: « Onora il padre e la madre ». Dice ancora il Signore: «
Chi onora sua madre, è come colui che acquista tesori; chi onora suo
padre, troverà la felicità e vivrà a lungo. Onora tuo padre con le
opere e con le parole e usa con lui molta pazienza, affinché la sua
benedizione scenda su di te e resti sempre. La benedizione del padre
mantiene le case dei suoi figli; però la maledizione della madre
distrugge le case dei figli sin dalle fondamenta ».
Dunque,
quando i genitori maledicono i figli con tutto il cuore e fanno ciò
perché fortemente da loro irritati, segnano con le loro imprecazioni
la condanna dei figli. Chi scrive, può addurre degli esempi
contemporanei che fanno rabbrividire.
Disse
una madre al figlio ribelle: Che ti possano uccidere e che non si
sappia chi sia l'assassino!'
Quindici
giorni dopo, quel figlio fu trovato ucciso in campagna e non si poté
conoscere l'uccisore.
Un
giovanotto nella rabbia diede uno schiaffo a suo padre; questi gli
disse: Che ti abbia a cadere la mano con cui mi hai percosso! -
Andò
il figlio sotto le armi e prese parte in guerra a dei combattimenti.
Mentre infuriava la battaglia, una scheggia di granata gli portò via
la mano destra.
E’
ancora vivente questo infelice.
Una
madre si opponeva al matrimonio del figlio per gravi e giusti motivi;
il figlio avrebbe dovuto rimettersi al volere della genitrice.
Costei,
non vedendosi ubbidita, disse: Se vuoi per sposa quella donna,
pigliala pure; ma io ti maledico e che non abbia tu a godere nella
vita matrimoniale! - Il figlio sposò; subito fu colpito da grave
malattia incurabile e dopo un anno di vita coniugale moriva. Gridava
la madre dietro là bara del figlio: Signore, perdonatemi! Io ho
ammazzato mio figlio! -
Potrei
citare altri esempi, la cui verità mi è nota personalmente; li
taccio per misura di prudenza. Ne riporto però due antichi, che sono
narrati da due Santi, i quali furono testimoni dei fatti.
I
figli maledetti.
Narra
S. Agostino che in Cesarea di Cappadocia viveva una donna, rimasta
vedova con dieci figli, sette maschi e tre femmine. Costoro non
avevano per la madre il dovuto rispetto. Un giorno il maggiore dei
figli la ricolmò d'ingiurie ed anche la percosse; gli altri che
erano presenti, non difesero la madre e neanche rimproverarono il
fratello. Quella povera donna oltraggiata così e dolente di non
vedersi curata dagli altri figli, in cuor suo li maledisse.
L'indomani
andò in Chiesa presso il fonte battesimale ed inginocchiatasi pregò
così: O Dio, ho maledetto i miei figli! Fate che siano un esempio di
terrore e tutti e che vadano in giro per il mondo, colpiti dalla
vostra mano! - Il grido angoscioso della madre arrivò sino a Dio.
Dopo poco tempo tutti i dieci figli furono presi da un forte tremito
in tutte le membra. Il continuo tremito li umiliò talmente che non
osavano uscire di casa per la vergogna di essere segnati a dito dai
concittadini. In ultimo determinarono di andare lontano dalla città
nativa e si dispersero in diversi paesi; percorsero buona parte
dell'impero romano.
S.
Agostino ebbe opportunità di vedere uno di questi figli maledetti e
rimase molto meravigliato.
La
bara pesante.
S.
Francesco Regis quando predicava al popolo, spesso raccontava un
fatto avvenuto nella sua famiglia.
I
cattolici, comandati dal duca di Gioiosa, assediavano Villemur, città
della Francia. I nobili accorrevano volentieri in aiuto dei
cattolici, conoscendo il male che operavano i calvinisti. Il bisavolo
di San Francesco Regis aveva parecchi figli, i quali vollero prendere
parte alla nobile impresa.
Il
padre permise che andassero a combattere, ma non volle assolutamente
che partisse il figlio primogenito. Questi si ostinò a partire,
nonostante la proibizione del genitore. In un momento di angoscia il
padre gli disse sdegnato: Va', parti, poiché lo vuoi; ma sia per tua
disgrazia e che io non ti vegga mai più! -
Questo
giovane era da poco giunto sul campo di battaglia, quando s'iniziò
una lotta accanita; tra i primi fu ucciso, combattendo valorosamente.
Venne seppellito con gli altri caduti in un'aperta campagna. Finita
la guerra, una pastorella pasceva il gregge dove erano stati
seppelliti quei cadaveri; ad un tratto le apparve la sanguinosa
figura di un soldato, che le disse: Io sono uno della famiglia Regis,
la quale abita a Font Canvert; sono stato qui seppellito. Prego di
avvertire la mia famiglia, affinché ritiri il mio corpo e lo
seppellisca tra i miei antenati. -
La
pastorella avvertì subito i parenti, i quali andarono sul posto
indicato, trovarono il cadavere e lo estrassero per seppellirlo in
terra benedetta. Tutti i parenti accompagnarono la bara. Quando il
corteo funebre giunse davanti alla casa paterna, la bara divenne così
pesante, che coloro i quali la portavano furono costretti a deporla,
non potendo andare oltre. Ci fu molta meraviglia nel popolo che
accompagnava il convoglio e si gridò al miracolo.
Il
padre del morto, supponendo il motivo; disse: Infelice che sono! Mi
ricordo che prima ch'egli partisse per la guerra, io lo maledissi. Il
Signore esaudì le mie imprecazioni. Certamente Iddio ha voluto che
il cadavere di lui fosse ricondotto qui, per espiare in qualche modo
quella disobbedienza. O figlio mio, ti perdono di cuore! - Detto ciò,
i portatori del defunto vollero provare a sollevare la bara e la
trovarono normale.
Il
corteo funebre di poi continuò il percorso tranquillamente con
stupore generale.
Monito.
Dietro
questi esempi, i genitori si guardino dal mandare imprecazioni ai
figli! Il padre e la madre hanno il dovere di perdonare i figli
traviati, come ognuno ha il dovere di perdonare chi gli abbia fatto
del male.
Se
i genitori qualche volta avessero maledetto i figli, non cessino di
pregare Iddio per loro, per cancellare in qualche modo una eventuale
sentenza funesta.
Le
offese familiari.
Quando
una famiglia riceve un'offesa, o da parenti o da altri, si suol fare
in casa un gran parlare del fatto; ognuno dice la sua. Per lo più
sono imprecazioni o parolacce, che si lanciano contro gli offensori.
Dunque in famiglia si suscita un incendio. E’ dovere di tutti
spegnerlo. Ciascuno perciò vi cooperi, mostrandosi calmo nel parlare
e compatendo il colpevole.
Dopo
qualche tempo, l'offesa ricevuta si comincia a dimenticare; e questo
è un grande bene. Si stia però attenti da tutti a non riaccendere
il fuoco primitivo; il che si ottiene non richiamando più il
passato. Basta che un familiare in una conversazione accenni alle
offese passate, perché gli animi si eccitino e ricomincino le
ingiurie e le imprecazioni. Si abbia perciò l'avvertenza di non
rievocare mai i torti per non caricarsi la coscienza di nuove colpe.
LE
INGIURIE
Il
pronunciare ingiurie contro chi ci abbia offeso o fatto qualche cosa
di male, comunemente si stima cosa da poco, quasi trascurabile.
Invece non deve essere così! Il proferire un'ingiuria è sempre un
peccato; per lo più è leggero, ma può divenire grave, secondo le
circostanze e secondo l'offesa che si arreca al prossimo.
Sentiamo
l'insegnamento di Gesù Cristo: Chiunque si adira contro il suo
fratello, merita di essere giudicato. E chi dirà al suo fratello «
raca », sarà sottoposto al Sinedrio. E chi dirà « pazzo », sarà
condannato al fuoco della Geenna. -
Gesù
Cristo qui fa notare la malizia del peccato che si commette, quando
ci si adira contro il prossimo e quando lo si ingiuria.
Al
tempo in cui Egli era in questa vita terrena, gli Ebrei avevano tre
tribunali. Il primo, di ordine inferiore, e preso da Gesù come
esempio del divin giudizio per chiunque si arrabbia contro il
prossimo.
Il
secondo tribunale, affidato al Sinedrio, giudicava i reati più
importanti; e Gesù afferma che chiunque dice al prossimo « raca »
cioè stupido, ignorante ecc. merita d'essere giudicato con una certa
quale solennità, come si faceva allora dal Sinedrio. Il terzo
tribunale era il più solenne e si riservava le cause gravi:
infliggeva la pena di morte ai colpevoli, i quali perciò venivano
gettati nel fuoco che continuamente ardeva in una valle presso
Gerusalemme, chiamata Geenna.
Gesù
dichiara che chiunque dice al prossimo « pazzo » nel senso di
perfido, empio, scomunicato ecc. è meritevole del fuoco
dell'inferno.
Inferiori
ed uguali.
L'ingiuriare
gl'inferiori non è dunque lecito. Le padrone che ingiuriano le
serve, i maestri che danno titoli poco onorifici agli scolari, i capi
d'arte che insultano gli operai, fanno di certo male; costoro alle
volte possono pensare di avere il diritto di fare ciò a motivo della
superiorità; in realtà si sbagliano. Nessun uomo ha il diritto
d'insultare un altro uomo!... Anzi, chi è superiore ad altri per
ricchezza, per istruzione o per dignità, deve sapere meglio
rispettare gl'inferiori e mostrarsi superiore nel ben trattare. Basta
già al dipendente l'umiliazione di stare soggetto; non gli si
aggiunga anche l'ingiuria che degrada ed avvilisce.
Le
ingiurie tra gli uguali sono sempre un male, ma non rivestono un
carattere particolare di malizia. Tra fratelli e sorelle le parole
ingiuriose sogliono essere frequenti e non soltanto nella
fanciullezza, ma anche nella gioventù e nell'età avanzata. È vero
che d'ordinario fra loro passa tutto, ma è proprio doloroso tra i
membri della stessa famiglia adoperare parole oltraggiose. Così pure
tra marito e moglie le ingiurie non sono rare. Cerchino di
correggersi a vicenda, sia per non mancare di carità e per dignità
personale, sia per non dare cattivo esempio a chi ascolta e
specialmente ai figli.
Superiori
e genitori.
Le
ingiurie pronunziate contro i superiori sono un male maggiore. Una
parola ingiuriosa diretta ad un inferiore o ad un eguale, è una
colpa davanti a Dio; la stessa parola ingiuriosa, rivolta ad un
superiore, è una colpa maggiore, essendoci lo spregio dell'autorità.
Ingiuriare
il padre e la madre con piena avvertenza ed offendendoli gravemente,
costituisce un grave peccato. Ci pensino bene i figli, i quali sono
facili all'ira! Ordinariamente i genitori sono trattati con poco
rispetto, quando raggiungono la vecchiaia; in tale età divengono più
nervosi, un poco capricciosi e loquaci. Proprio allora si vede se i
figli amano i genitori, se li sanno cioè compatire. Come è doloroso
invece vedere i figli, che trattano aspramente i genitori vecchi!
Augurano loro la morte, per non interessarsene più e li chiamano
sciocchi, rimbambiti, buoni a niente.
Riparazione.
Finché
c'è la possibilità, si deve riparare il male fatto. Il proferire
ingiurie è un furto che si fa all'onore altrui e bisogna perciò
ridare al prossimo quello che gli si è tolto. I superiori ed i
genitori, offesi con ingiurie, si riparino col chiedere loro scusa, o
almeno col trattarli con maggiore rispetto, raddoppiando per loro le
cure amorose.
La
miglior vendetta è il perdono.
Ritornando
alle ingiurie in genere, si procuri di sopportare con pazienza
cristiana le parole offensive, che fossero state dette. Si ricordi
che è ineducato chi ingiuria. Se una parola offensiva si sa
dissimulare o si ricambia con un sorriso di compatimento cristiano,
allora l'offensore resta vinto dalla bontà; ma se ad ingiuria si
risponde con ingiuria, facilmente si può venire alle mani e forse
capiteranno dei delitti.
Quando
una parola ingiuriosa non la meritiamo, stiamo tranquilli, come Gesù
Cristo quando era chiamato bestemmiatore ed indemoniato.
La
vendetta dell'anima cristiana è il perdono e il pregare per
l'offensore. Quando perciò qualcuno manca verso di noi coprendoci di
ingiurie, per lui preghiamo come Gesù pregò sulla croce per i suoi
carnefici; se possiamo fargli un favore, generosamente cogliamone
l'occasione. Non c'è mezzo migliore per rendere amico il nemico, che
ricambiare col bene il male ricevuto. Questa è la vera pratica della
Religione e la vera virtù!
Abbiamo
fatto dei peccati? Questo è uno dei migliori mezzi per scontarli ed
averli perdonati da Dio.
Lode
e disprezzo.
Una
mancanza di lingua che facilmente si commette, è il lodare se
stessi; è questo un frutto della superbia personale.
Insegna
la buona educazione che non conviene parlare di sé e delle proprie
cose, a fine di ricevere lode. Per lo più chi agisce così, invece
di lode riceve disprezzo da parte degli ascoltatori, poiché, come
dice il proverbio: Chi si loda s'imbroda!
Qualche
volta la carità suggerisce di parlare di sé o per incoraggiare gli
altri o per provare con l'esperienza personale qualche argomento; in
tal modo si compie un'opera buona. Quando ci lodano gli altri,
procuriamo di non montare in superbia, anzi umiliamoci internamente,
pensando che forse non meritiamo la lode. Conviene inoltre non dare
alle volte tanta importanza alle lodi ricevute, perché ci sono di
quelli che incensano e lodano a profusione, unicamente per adulare,
con l'intento di farsi ben volere o di ottenere qualche favore.
Chi
ha il difetto di lodare se stesso, suole avere anche quello di
disprezzare gli altri. Chi disprezza il prossimo, dimostra di essere
dominato dalla superbia e di non avere buon cuore.
Perché
tu disprezzi quel tale o il suo modo di fare? Per mostrarti a lui
superiore. Pensa però che colui il quale tu giudichi a te inferiore
in una cosa, può esserti superiore in un'altra! Del resto ognuno ha
ricevuto dal Creatore i propri doni: chi ne ha di più e chi di meno.
Per il fatto che uno ha meno abilità di te, non merita il tuo
disprezzo.
Persone
e luoghi pericolosi.
«
La bocca parla, dice Gesù, dall'abbondanza del cuore! » Quando il
cuore è buono, puro e delicato, anche il parlare è modesto ed
edificante. Quando al contrario un cuore è ingolfato nei vizi,
dedito all'impurità e pieno di fango morale, facilmente la bocca
manifesta il marciume interno con il discorso vergognoso. Non si può
trovare paragone più adatto per tale gente che quello dei maiali.
Questi animali si nutrono di sporcizia, vivono nel luridume ed
insudiciano il terreno che calpestano e tutto ciò che toccano.
Ordinariamente
tengono i cattivi discorsi i giovani di ambo i sessi, perché sono
nella età del risveglio delle passioni; però tra gli sboccati si
trovano anche uomini maturi e donne sposate.
Chi
ha la cattiva abitudine di parlare scandalosamente, per lo più non
ha rispetto né a luogo né a persone; perciò dovunque e davanti a
chiunque vomita il veleno del suo cuore.
Ci
sono dei luoghi ove particolarmente si tengono i cattivi discorsi;
questi sono i laboratori, le sartorie e le scuole pubbliche. È
difficile trovare un laboratorio, oppure una scuola, ove non ci sia
qualcuno di questi infelici, che semini l'immoralità e lo scandalo
col parlare. Ci pensino seriamente i genitori, i quali vogliono
custodire i figli come candidi gigli! L'incauta gioventù va a scuola
per imparare; dall'insegnante apprende la scienza, dal cattivo
compagno impara la malizia morale. Si va al laboratorio per
apprendere un'arte e guadagnare il pane, e purtroppo
contemporaneamente s'impara il vizio e si perde l'anima.
Rimedio.
Uno
dei rimedi principali in fatto di moralità è il fuggire le
occasioni. E come poter evitare il contagio dei cattivi compagni,
dovendo frequentare la scuola o il laboratorio? Con la buona volontà!
Riguardo alla scuola, si cerchi la compagnia dei buoni nel tempo
della ricreazione; in una massa di giovani i buoni non sogliono
mancare. Se il cattivo parlare è tra i banchi dell'aula scolastica,
si avvisi di ciò l'insegnante, affinché riprenda il colpevole e, se
sarà il caso, lo isoli. Riguardo al laboratorio, è dovere dei buoni
avvisare il capo d'arte o la maestra di sartoria, affinché
rimproverino chi parla scandalosamente. Se ciò non bastasse, il capo
d'arte ha l'obbligo di licenziare chi tiene cattivi discorsi, perché
egli davanti ai parenti ha assunto il dovere di custodire la moralità
degli allievi. Nel caso che il capo d'arte non volesse provvedere,
gli allievi hanno il dovere di avvisare i propri genitori del
pericolo in cui versano e devono far di tutto per trovare un altro
laboratorio. Il primo obbligo di coscienza in proposito l'hanno i
genitori.
Santo
coraggio!
Si
danno dei casi in cui non ci si può allontanare dal luogo ove si
parla scandalosamente; questo può avvenire specialmente allorché si
viaggia in treno o in auto.
Quale
dev'essere il contegno dei buoni? Se si possono staccare dalla
comitiva e cambiare posto, devono farlo; se ciò non fosse possibile,
tengano un contegno serio che serva quasi di richiamo ai presenti e
procurino di non seguire il discorso scandaloso, volgendo la mente ad
altro.
Però
la cosa più utile a farsi è rimproverare senza alcun timore e con
forza colui che parla vergognosamente. Lo sboccato col parlare
offende il pudore di tutti i presenti, perciò ciascuno dei presenti
ha il diritto di alzare la voce e di mettere a tacere il
disseminatore d'immoralità. Chi scrive queste pagine si è trovato
in simili circostanze e reclamando i propri diritti e quelli dei
presenti ha chiuso la bocca a qualche spudorato. Ci vuol coraggio in
certe circostanze! Se ne guadagna davanti a Dio e anche davanti agli
uomini.
Discorsi
in casa propria.
Il
padre e la madre non soltanto siano essi delicati nel parlare, ma
vigilino affinché nessuno tenga discorsi cattivi alla presenza dei,
figli, siano essi grandi o piccoli.
I
genitori sarebbero disposti a qualunque sacrificio per difendere i
figliuoli da mano assassina; per salvare il loro corpo, si
sentirebbero in dovere di affrontare anche la morte. Quando una bocca
infernale si permette di fare discorsi vergognosi alla presenza dei
figli, come possono i genitori restare impassibili, o peggio ancora,
ridere scioccamente? Non pensano essi che il discorso cattivo è più
funesto di un pugnale, poiché va a ferire l'anima?
I
genitori perché non interrompono chi così parla, anzi perché non
lo rimproverano? Temono forse di mancare di urbanità richiamando un
amico o un parente? E non manca questi invece con la sua spudorata
sfacciataggine? Vergognarsi i genitori di richiamare?! Si vergogni
piuttosto chi parla male! Nelle conversazioni indecenti i maliziosi
ridono, ma i figliuoli innocenti guardano subito papà e mamma, per
vedere come si comportano. Guai ai genitori grossolani!
Discorsi
in casa altrui.
Quando
il discorso cattivo si tiene in casa di parenti o di amici, se gli
ospiti non riescono ad impedirlo, dopo aver fatto notare l'offesa
ricevuta con quel parlare, si alzino dignitosamente e vadano via da
quella casa. Si potrà obiettare che con tale modo di agire si perde
l'amicizia e si possono rompere i buoni rapporti con certi parenti.
Questo non sempre avviene, perché se chi ha parlato male rientrerà
in se stesso, potrà sentire il dovere di chiedere scusa. Ma se così
non fosse, sarebbe meglio perdere un'amicizia o rompere le relazioni
con qualche parente, anziché rovinare l'anima propria. Per salvare
l'anima dobbiamo essere disposti a tutto, anche a spargere il sangue,
come hanno fatto milioni di martiri.
Una
parola ai genitori.
Voi,
o genitori, comprendete l'importanza dell'educazione dei vostri
figli; vi sobbarcate a molti sacrifici pur di vederli crescere
moralmente sani. Tuttavia la vostra opera amorosa può essere
guastata, anzi completamente distrutta, quando i vostri figliuoli
avessero la disgrazia di contrarre amicizia con chi suol fare
discorsi cattivi.
Ho
accennato, o genitori, al pericolo della scuola e del laboratorio,
come pure al pericolo delle conversazioni libere, che possono aver
luogo nelle visite familiari. Dovete però custodire sempre i
figliuoli, specialmente nell'età critica, che va dai tredici o
quattordici anni ai diciotto o venti anni, ed in genere dura finché
sposano.
Dunque
sorvegliate i figli maschi durante il passeggio; informatevi che
giovani siano quelli che frequentano. Un cattivo suggerimento che
ricevano da un falso amico, potrebbe essere il principio della rovina
morale di quei figli, che tante cure vi sono costati.
Sorvegliate
in modo particolare le figliuole giovanette, anche in casa. Il
pericolo maggiore per le signorine è la curiosità di sapere ciò
che loro non appartiene. Tra le amiche e le cugine, con cui in casa
stessa si sollazzano, guai se trovasi una maliziosa!
Perciò
trovatevi presenti alle loro conversazioni. Non permettete che le
figliuole si appartino con le amiche e le cugine a chiacchierare... a
ridere ... ed a scherzare! Mentre in quel crocchio pare che ci sia
allegria, nel cuore delle figliuole vostre chissà quali germi di
corruzione vengono sparsi! Sospettate di questo parlare cattivo,
quando le ragazze si allontanano dalla vostra vista e quando al
vostro improvviso comparire parlano sotto voce, oppure troncano
subito il discorso.
Guai
a chi fa discorsi scandalosi! Gesù Cristo nella sua vita si mostrava
calmo e paziente; le sue parole erano piene di soavità sino a
chiamare « amico » Giuda nell'atto stesso in cui baciandolo lo
tradiva. Rarissime volte il suo parlare era terribile, e questo
avveniva quando si rivolgeva a coloro che gli rubavano le anime.
Diceva perciò ai Farisei ostinati nel male: « Razza di vipere ...
sepolcri imbiancati ... guai a voi, perché non entrate nel regno dei
cieli e non permettete che vi entrino gli altri! » Adoperò anche
parole tremende verso gli scandalosi: « Guai al mondo per gli
scandali; guai però a colui per colpa del quale avvengono gli
scandali! Sarebbe meglio che venisse attaccata al collo dello
scandaloso una macina da mulino e venisse precipitato nel profondo
del mare! »
Questo
linguaggio terribile in Gesù si spiega benissimo. Egli venne in
terra a farsi uomo e morì sulla Croce per salvare le anime, per
strapparle cioè alla schiavitù di Satana e condurle in Paradiso.
Gli
scandalosi sono quelli che col loro cattivo esempio e con i discorsi
immorali rovinano le anime e rendono perciò inutile il sangue sparso
da Gesù per esse.
Responsabilità.
Se
nel giorno del giudizio sarà domandato conto anche di una parola
oziosa, quale conto non dovranno dare al Divin Giudice coloro che
parlano scandalosamente?
Invero
il male che fa il cattivo discorso è immenso, sia che lo ascoltino
quelli che già sono istruiti nel male, sia e peggio, che lo
ascoltino anime innocenti. Il discorso scandaloso penetra nelle
orecchie e passa alla mente; la fantasia ne altera le scene e
facilmente il cuore ne resta commosso. Dapprima il male consiste nei
cattivi pensieri e nella forte curiosità di conoscere il profondo
dei misteri d'iniquità; in seguito seguiranno le opere malvagie. Chi
ha ricevuto scandalo, facilmente lo darà agli altri, facendosi
maestro d'immoralità. E chi può mai misurare la strage delle anime,
che può provenire da un cattivo discorso? ...
Come
riparare.
Chi
avesse avuto la grande sventura di fare dei discorsi immorali, se
vuol salvar la anima sua, faccia quanto segue: 1. Pianga, a lacrime
di sangue, il male fatto agli altri. 2. Prometta a Dio di voler
piuttosto morire che ricadere nel brutto vizio. 3. Preghi e si
sacrifichi per le anime scandalizzate coi suoi discorsi, affinché si
ritirino dalla via del peccato. 4. Lavori per portare anime a Dio e
così rimediare in qualche modo alla rovina operata in altre anime.
Guai
a chi mi scandalizzò!
Un
giovane di nobile famiglia era ornato di tante e sì rare virtù, che
formava l'ammirazione di tutti. Contrasse un brutto giorno amicizia
con un tale, il quale era solito fare discorsi scandalosi. Nel male
si fa un passo per volta, quasi senza avvedersene; quando si aprono
gli occhi, ci si trova già nell'abisso, da dove è difficile uscire.
Il
giovane, prima buono, per il pessimo parlare dell'amico cominciò ad
appressare alle sue labbra il calice del cattivo piacere e non seppe
dire basta. Parenti ed amici non valsero a rimetterlo sulla buona
strada. È proprio così: ottiene più un cattivo compagno che cento
persone dabbene.
Passati
degli anni, si ammalò ed arrivò in punto di morte. Un pio Sacerdote
lo invitò a pensare all'anima sua. Il misero giovane, dapprima
indispettito a vedere il Ministro di Dio e poi arrabbiato per il suo
invito a pentirsi del male fatto, raccogliendo quanta forza aveva in
petto esclamò: I miei peccati sono enormi! Iddio non mi perdona ed
io mi dannerò! Ma guai... guai a quel tale che mi scandalizzò col
suo parlare! Lui mi mise sulla via dell'abisso! - Dicendo così, si
abbatté sul petto e spirò l'anima disperata.
Piombato
nell'inferno, che cosa avrà fatto l'infelice giovane? Avrà
maledetto il momento in cui incontrò il compagno scandaloso ed avrà
invocata su di lui la tremenda giustizia divina.
La
piccola Adele.
Guai
a chi dà scandalo! Bisognerebbe scriverlo dappertutto: sui muri
delle vie, nei salotti, in tutti i ritrovi. Si dovrebbe scrivere, è
doloroso il dirlo, anche sulle pareti della casa, affinché serva di
monito ai genitori ed ai figli.
Non
è frequente, ma capita che il discorso scandaloso si faccia dal
fratello maggiore al fratello minore, o dalla sorella più grande
alla sorellina. Chi non vede come in tal caso il male sia davvero
enorme? Il seguente episodio prova la triste verità.
Augusto
Premi, fervente cattolico, trovavasi sopra un bastimento pronto a
partire da Civitavecchia per la Francia. Egli vide salire una
giovane. sui 22 anni vestita a nero, la quale prese posto in un
angolo della nave. Povera giovane! Mandò un lungo sospiro dal
profondo del cuore e rimase immobile in atteggiamento di grande
dolore.
Augusto
credette bene di avvicinarsi alla afflitta donna, per dirle una
parola di conforto. - Non voglio essere indiscreto, o signorina, ma
pare che il vostro cuore soffra assai! Fatevi coraggio, perché il
dolore ci avvicina a Dio. Aprite il vostro spirito alla speranza! -
Per me, rispose la donna, non c'è speranza!. - Che dite mai? Sono
senza speranza soltanto i dannati dell'inferno! -
A
queste parole la giovane trasalì. - Ah! I dannati dell'inferno! Io
ne fui la causa. Non fossi mai nata! -
Augusto
tentò di scoprire la storia di quel dolore e vi riuscì. - Sentite,
riprese la donna, avevo una sorellina di nome Adele, leggiadra,
affettuosa e di una semplicità senza pari. Che anima candida! Sino
ai 15 anni era innocente e pura come un Angelo. Io ero indegnissima
di averla per sorella; certi romanzacci, prestatimi da una falsa
amica, mi avevano già corrotto il cuore. Un giorno, ahi! che giorno
funesto! io feci le parti del demonio verso la sorella. La
scandalizzai con un cattivo discorso e poi commettemmo assieme un
peccato. Quella fu la prima e l'ultima caduta della mia sventurata
Adele. Io non ci pensai più; ella continuò a vivere bene come in
passato. A 17 anni si ammalò gravemente. Il Sacerdote la confessò e
le diede il Santo Viatico. Io le stavo vicino struggendomi in pianto
a vederla morire. Quand'ecco essa chiamò: Ermelina, vieni qua! - Che
cosa vuoi? - Ricordi, sorella, ricordi quel peccato di due anni fa? -
Purtroppo, lo ricordo! Ma tu non ci pensare, Adele mia; ti sei già
confessata e il Signore ti ha perdonato! - No, quel peccato è ancora
qui, nel cuore ... l'ho nascosto sempre in confessione per vergogna!
-
Afferrai
la mano gelida della moribonda e la strinsi con affetto. Adele puntò
su di me gli occhi irati e disse con estrema angoscia: Io muoio,
Ermelinda! ... Mi dannerò! La colpa è tua! ... Ah! quel discorso!
Ah, quell'azione! Ma guai a te! - La mia Adele morì senza potersi
più confessare. Da quel giorno, assieme al dolore della perdita
della sorella, c'è un terribile rimorso nell'anima mia. Finché avrò
vita, sarò inconsolabile! -
Quando
Augusto Premi ebbe sentito tutto, si associò al dolore della giovane
e la esortò a confidare nella grande misericordia di Dio.
Volesse
il cielo che questo fosse l'unico caso di scandalo familiare!
Le
parolacce.
Un
Sacerdote salesiano chiese a San Giovanni Bosco un buon pensiero, per
commentarlo ai suoi giovani. Il Santo si fece serio e dopo disse: Di'
ai tuoi giovani che Don Bosco ha sentito molte cose in vita sua e
molte ne ha dimenticate. All'età di sette anni però ebbe la
disgrazia di sentire da un cattivo compagno una parolaccia; non ha
potuto più dimenticarla; è avanzato negli anni e ancora la sente
risuonare nell'orecchio! - Questa dolorosa espressione del grande
educatore della gioventù insegna che bisogna tenere un parlare
castigato con tutti, ma specialmente con i ragazzi, e che si devono
evitare le parole scandalose o di doppio senso, comunemente chiamate
parolacce o volgari o crasse.
Il
proferire parolacce, ancorché si faccia distrattamente e senza
malizia, è indizio di poco buona educazione e costituisce sempre un
male, per la cattiva impressione che lascia nei presenti.
Chi
ne avesse l'abitudine, faccia di tutto per correggersi. I genitori ed
i superiori siano molto rigorosi nel riprendere i figli ed i
dipendenti, allorché sentono pronunziare simili parole, fosse anche
come semplice esclamazione.
Presa
l'abitudine delle cattive parole, facilmente si passerà al cattivo
discorso.
Le
canzoni indecenti.
Non
è fuori posto un accenno alle canzoni indecenti, che tanto sono in
voga in questi tempi. Il canto ha origine dal cuore ed è fatto per
toccare il cuore. Il canto sacro e religioso suscita buoni
sentimenti, solleva lo spirito a Dio e può considerarsi come una
preghiera.
Il
canto profano può essere di argomento vario e secondo i sentimenti
che suscita, si dice buono o lecito o illecito. È buono, se ha per
scopo di rallegrare l'animo e non contiene nulla di malizioso. È
lecito, se l'argomento non è proprio cattivo, però non è tale che
possa suscitare di per se stesso buoni sentimenti. Simile canto,
quale sarebbe la canzone amorosa in genere, se si fa senza malizia,
non è peccato; se però certe anime delicate ne ricevessero male,
dovrebbero astenersi dal farlo. Il canto profano è illecito quando
le parole che l'accompagnano sono scandalose o a doppio senso, oppure
la musica di esso suscita sentimenti bassi, eccitanti le passioni. Di
queste canzoni indecenti ce n'è un gran numero e sono molto diffuse,
specialmente per mezzo della radio. Si abbia perciò la delicatezza
di non cantarle e di non farle cantare ai dipendenti.
RESPONSABILITA’
I
cattivi consigli.
Il
dare dei buoni consigli è dovere di tutti; non tutti però li danno.
Quanto è facile nel popolo il dare consigli poco buoni e poi non
sentirne alcun rimorso! Eppure chi dà un cattivo consiglio
volontariamente, pecca.
Ecco
su che cosa si possono aggirare tali consigli: Vi hanno offeso?
Vendicatevi, facendo all'offensore un male maggiore! Non salutatelo
più ed odiatelo a morte! ... Avete due figli solamente? Vi bastano!
Se il Signore vuol mandarvene ancora, fateli sparire! ... Voi siete
troppo delicato nel commercio e perciò non arricchite mai! Vendete
vino? Aggiungete dell'acqua! Dovete pesare la merce? Spostate la
bilancia! Avete trovato qualche oggetto e ne conoscete il padrone?
Non dite niente a nessuno; trattenetelo voi!
I
tuoi genitori non ti vogliono far sposare con quel giovane? Ebbene,
prendi la fuga con lui! - Chi dà questi e simili consigli, si rende
responsabile del male che altri farà e, negli esempi or ora citati,
carica la coscienza di peccati mortali, essendo questi consigli
veramente cattivi. Chi avesse dato consigli peccaminosi, ha il dovere
di riparare il male fatto, sempre nei limiti della responsabilità.
Parlare
contro la Religione.
Non
solo gli anticlericali e gli atei praticanti sparlano della
Religione, ma qualche volta anche coloro che si dicono cattolici. La
nostra Santa Religione ha degli argomenti così sublimi,. che per
parlarne con discreta competenza si richiedono anni ed anni di
studio. Eppure un semplice calzolaio, un contadino che appena conosce
i primi elementi della Dottrina cristiana, uno studentello, oppure un
professore che è profondo in un ramo di scienza, ma e quasi digiuno
d'istruzione religiosa ... tutti costoro intavolano discussioni in
fatto di Religione e criticano e commentano e danno sentenze ... da
fare compassione.
Quando
non si sono fatti studi appositi e seri sulla Religione e si pretende
di parlarne con competenza, si è come nel caso del ragioniere che
vuol fare da medico, del contadino che si atteggia a farmacista o del
contadino che vuol commentare il codice civile o penale. Di nessun
ramo di scienza si può parlare con discreta competenza, senza prima
averlo seriamente studiato; in caso contrario, non si fa altro che
dire spropositi e bestialità. La Religione Cattolica, che supera in
eccellenza e sublimità qualunque scienza umana, contenendo dommi di
fede, insegnatici da Gesù Cristo, richiede uno studio superiore. I
più grandi geni dell'umanità, intelligenze rare, quali S. Tommaso e
S. Agostino, ce ne hanno dato l'esempio.
-
Ma allora, si dirà, da un semplice fedele non si può parlare mai di
Religione nelle famiglie o nelle private conversazioni? - Se ne può
parlare; questo però si faccia con prudenza e con grande rispetto.
Per parlare con più esattezza, ci si serva delle argomentazioni che
si sono udite nelle prediche, oppure di quelle che si siano apprese
in qualche libro d'istruzione religiosa.
Se
alla nostra presenza qualcuno parla male della Religione, noi abbiamo
il dovere di difenderla, senza timore. Chi si vergogna di fare ciò,
dimostra di vergognarsi del Signore. Dice Gesù Cristo: « Chi si
vergogna di me davanti agli uomini, io mi vergognerò di lui davanti
al Padre mio! » Dunque, ci si faccia coraggio e si metta a tacere la
lingua irreligiosa.
Facendo
questo però, si sia calmi, non si offenda l'irreligioso, ma si
cerchi di persuaderlo in belle maniere. È tanto bene in simili
circostanze alzare la mente a Dio e chiedere l'assistenza dello
Spirito Santo, affinché Egli ispiri di dire quanto è necessario in
difesa della Religione. A tal proposito Gesù afferma: « Quando vi
troverete davanti ai presidi e ai tribunali, non preoccupatevi di
quello che dovrete rispondere; vi sarà dato in quel momento ciò che
dovrete dire, perché non sarete voi a parlare, ma sarà lo Spirito
del Padre vostro Celeste che parlerà in voi! » Queste divine parole
hanno avuto avveramento; si son viste perciò delle fanciulle
confondere grandi sapienti e degli umili contadini confutare certi
professoroni. Un empio lo troviamo nelle Vergini: S. Agnese, S. Lucia
e S. Agata.
Qualche
difficoltà.
Quando
in una discussione religiosa ci si presenta una questione difficile,
alla quale non si sa rispondere, si dica: Per il momento non posso
dare una risposta esatta; m'informerò dai Sacerdoti, i quali sono i
competenti in materia, e poi risponderò! -
Questa
norma è tanto utile nella vita pratica. Chi non ha però una vera
cultura religiosa, procuri di non essere il primo ad intavolare tali
discussioni, perché potrebbe fare più male che bene.
Invito
ai fedeli.
Il
parlar male della Religione è frutto d'ignoranza religiosa; ne
parlano più male coloro che stanno più lontano dalla Chiesa.
Costoro non si potranno mai istruire in proposito, sia perché non
vanno ad ascoltare le
prediche,
sia perché si annoiano a leggere libri religiosi.
Sia
perciò cura dei fedeli l'istruire quelli che non frequentano la
Chiesa. Tale istruzione può farsi con facilità e con frutto
prestando attenzione alle prediche che si ascoltano e raccontando in
famiglia o nelle conversazioni amichevoli quello che si è sentito in
Chiesa. Chi ne ha la capacità, legga qualche libro d'istruzione
religiosa popolare e lo spieghi in famiglia poco per volta. Il tempo
adatto per fare ciò, è il giorno festivo, oppure la sera quando la
famiglia suole essere raccolta e c'è tanta comodità di conversare.
Conclusione.
Come
si e visto, numerosi e gravi sono i peccati che hanno origine dalla
lingua. Chi sente il rimorso di aver fatto cattivo uso di essa,
procuri di riparare in qualche modo al male operato, servendosene
d'ora innanzi in bene del prossimo. Chi ha buona volontà, può
operare con la lingua un bene immenso.
Un trattato perfetto. Cioe' pura verita'.
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