mercoledì 25 febbraio 2015

VIA CRUCIS AL COLOSSEO AD – 2000 - Meditazioni e preghiere di Giovanni Paolo II -



La preghiera iniziale
«Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24).
Sera del Venerdì Santo.
Da venti secoli la Chiesa si riunisce in questa sera, per ricordare e rivivere gli eventi dell'ultima tappa del cammino terreno del Figlio di Dio. Oggi, come ogni anno, la Chiesa che è in Roma si raccoglie al Colosseo, per seguire le orme di Gesù, il quale «portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota» (Gv 19, 17). Ci troviamo qui, nella convinzione che la via crucis del Figlio di Dio non fu un semplice avvicinarsi al luogo del supplizio. Crediamo che ogni passo del Condannato, ogni suo gesto e ogni sua parola, ed anche quanto hanno vissuto e compiuto coloro che hanno preso parte a questo dramma, ci parlano incessantemente. Anche nel suo patire e morire Cristo ci svela la verità su Dio e sull'uomo. In quest'anno giubilare vogliamo riflettere con particolare intensità sul contenuto di quell'evento, affinché esso parli con una forza nuova alle nostre menti e ai nostri cuori, e diventi fonte della grazia di un'autentica partecipazione.
Partecipare significa avere una parte. Che cosa vuol dire avere una parte nella croce di Cristo?
Vuol dire sperimentare nello Spirito Santo l'amore che la croce di Cristo nasconde in sé. Vuol dire riconoscere, alla luce di questo amore, la propria croce. Vuol dire riprenderla sulle proprie spalle e, sempre in virtù di questo amore, camminare... Camminare attraverso la vita, imitando colui che «si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio» (Eb 12, 2).
* * *
Preghiamo.
Signore Gesù Cristo, colma i nostri cuori con la luce del tuo Spirito, affinché, seguendo te nel tuo ultimo cammino, conosciamo il prezzo della nostra redenzione e diventiamo degni di partecipare ai frutti della tua passione, morte e resurrezione. Tu vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

PRIMA STAZIONE
Gesù è condannato a morte



Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Tu sei il re dei Giudei?» (Gv 18, 33). «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18, 36). Pilato soggiunse: «Dunque tu sei re?».
Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Pilato replicò: «Che cos'è la verità?». A questo punto, il procuratore romano ritenne chiuso l'interrogatorio. Andò dai Giudei e annunziò loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa» (cfr Gv 18, 37-38). Il dramma di Pilato si nasconde nella domanda: «Che cos'è la verità?». Non era una domanda filosofica riguardante la natura della verità, ma una domanda esistenziale riguardante il proprio rapporto con la verità. Era il tentativo di sfuggire alla voce della coscienza, che ingiungeva di riconoscere la verità e di seguirla. L'uomo che non si lascia guidare dalla verità, si rende disponibile persino ad emettere una sentenza di condanna nei riguardi di un innocente.
Gli accusatori intuiscono questa debolezza di Pilato e perciò non cedono. Con determinazione reclamano la morte di croce. Le mezze misure, a cui Pilato ricorre, non lo aiutano. Non è sufficiente la crudele pena della flagellazione, inflitta all'Accusato. Quando il Procuratore presenta alla folla Gesù flagellato e coronato di spine, sembra cercare una parola che, a suo avviso, dovrebbe piegare l'intransigenza della piazza. Indicando Gesù, dice: «Ecce homo! Ecco l'uomo!». Ma la risposta è: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Pilato cerca allora di discutere: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa» (cfr Gv 19, 5-7). È sempre più convinto che l'Imputato sia innocente, ma questo non gli basta per emettere una sentenza assolutoria. Gli accusatori ricorrono all'ultimo argomento: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare» (Gv 19, 12). La minaccia è chiara. Intuendo il pericolo, Pilato cede definitivamente ed emette la sentenza. Ma non senza il gesto ostentato di lavarsi le mani: «Non sono responsabile (...) di questo sangue; vedetevela voi!» (Mt 27, 24). In questo modo è stato condannato a morte di croce Gesù, Figlio del Dio vivente, Redentore del mondo. Lungo i secoli la negazione della verità ha generato sofferenza e morte.
Sono gli innocenti a pagare il prezzo dell'ipocrisia umana. Le mezze misure non sono sufficienti. Né basta lavarsi le mani. La responsabilità per il sangue del giusto rimane. Fu per questo che Cristo pregò con tanto fervore per i suoi discepoli di tutti i tempi: Padre, «consacrali nella verità. La tua parola è verità» (Gv 17, 17).
* * *
Cristo, che accetti una condanna ingiusta, concedi a noi e a tutti gli uomini del nostro tempo la grazia di essere fedeli alla verità e non permettere che su di noi e su quanti verranno dopo di noi cada il peso della responsabilità per la sofferenza degli innocenti. A te, Gesù, giusto Giudice, l'onore e la gloria nei secoli senza fine. Amen.

SECONDA STAZIONE
Gesù è caricato della croce

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
La croce. Strumento di morte infame. Non era lecito condannare a morte di croce un cittadino romano: era troppo umiliante. Il momento in cui Gesù di Nazaret si caricò della croce per portarla sul Calvario segnò una svolta nella storia della croce. Segno di una morte infame, riservata alla categoria più bassa degli uomini, la croce diventa una chiave. D'ora in poi, con l'aiuto di questa chiave, l'uomo aprirà la porta delle profondità del mistero di Dio. Per opera di Cristo che accetta la croce, strumento della propria spoliazione, gli uomini sapranno che Dio è amore. Amore sconfinato: «Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16). Questa verità su Dio si è rivelata mediante la croce. Non poteva rivelarsi in altro modo? Forse sì. Dio tuttavia ha scelto la croce. Il Padre ha scelto la croce per il Figlio suo, e il Figlio l'ha presa sulle spalle, l'ha portata sul monte Calvario e su di essa ha offerto la sua vita. «Nella croce c'è la sofferenza, nella croce c'è la salvezza, nella croce c'è una lezione d'amore. Dio, chi una volta ti ha capito, null'altro desidera, null'altro cerca». (Canto quaresimale polacco). La Croce è segno di un amore senza limiti!
* * *
Cristo, che accetti la croce dalle mani degli uomini, per fare di essa il segno dell'amore salvifico di Dio per l'uomo, concedi a noi e a tutti gli uomini del nostro tempo la grazia della fede in questo infinito amore, affinché, trasmettendo al nuovo millennio il segno della croce, siamo autentici testimoni della redenzione. A te, Gesù, sacerdote e vittima, la lode e la gloria nei secoli. Amen.

TERZA STAZIONE
Gesù cade per la prima volta

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Dio pose su di lui i peccati di noi tutti» (cfr Is 53, 6). «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti» (Is 53, 6). Gesù cade sotto la croce. Ciò avverrà per tre volte sul cammino relativamente breve della «via dolorosa». Cade per lo sfinimento. Il corpo insanguinato dalla flagellazione, il capo coronato di spine. Tutto questo fa sì che gli manchino le forze. Cade, dunque, e la croce con il suo peso lo schiaccia contro la terra. Occorre ritornare alle parole del profeta, che vede in prospettiva questa caduta secoli prima. È come se la contemplasse con gli stessi suoi occhi: dinanzi al Servo del Signore, a terra sotto il peso della croce, mostra la vera causa della sua caduta. Ecco, «Dio pose su di lui i peccati di noi tutti». Sono stati i peccati a schiacciare a terra il divin Condannato. Sono stati essi a decidere il peso della croce, che egli porta sulle sue spalle. Sono stati i peccati a determinare la sua caduta. Cristo a stento si rialza per riprendere il cammino. I soldati che lo scortano cercano di stimolarlo con grida e colpi. Dopo un attimo il corteo riparte. Gesù cade e si rialza. In questo modo, il Redentore del mondo si rivolge senza parole a tutti coloro che cadono. Li esorta a rialzarsi. «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siamo stati guariti» (cfr 1 Pt 2, 24-25a).
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Cristo, che cadi sotto il peso delle nostre colpe e ti rialzi per la nostra giustificazione, ti preghiamo, aiuta noi e tutti coloro che sono schiacciati dal peccato a rimetterci in piedi e a riprendere il cammino. Dacci la forza dello Spirito, per portare con te la croce della nostra debolezza. A te, Gesù, schiacciato dal peso delle nostre colpe, la nostra lode e il nostro amore nei secoli. Amen.

QUARTA STAZIONE
Gesù incontra sua Madre

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1, 30-33). Maria ricordava queste parole. Ritornava spesso ad esse nel segreto del suo cuore. Quando sulla via della croce incontrò il Figlio, forse proprio queste parole le vennero alla mente. Con una forza particolare. «Regnerà... Il suo regno non avrà fine...», aveva detto il messaggero celeste. Ora, mentre vede il Figlio, condannato a morte, portare la croce sulla quale dovrà morire potrebbe, umanamente parlando, domandarsi: come dunque possono compiersi quelle parole? In quale modo regnerà sulla casa di Davide? E come potrà essere che il suo regno non abbia fine? Umanamente, sono domande comprensibili. Maria però ricorda che allora, dopo aver udito l'annuncio dell'Angelo, aveva risposto: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38). Ora vede che quella sua parola si sta compiendo come parola della croce. Perché madre, Maria soffre profondamente. Tuttavia risponde anche ora come aveva risposto allora, all'annunciazione: «Avvenga di me quello che hai detto». In questo modo, maternamente, abbraccia la croce insieme al divin Condannato.
Sulla via della croce Maria si manifesta come Madre del Redentore del mondo. «Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c'è un dolore simile al mio dolore, al dolore che ora mi tormenta» (Lam 1, 12). È la Madre Addolorata che parla, la Serva obbediente fino alla fine, la Madre del Redentore del mondo.
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O Maria, tu che hai percorso la via della croce insieme col Figlio, straziata dal dolore nel tuo cuore di madre, ma sempre memore del tuo fiat e intimamente fiduciosa che colui a cui nulla è impossibile avrebbe compiuto le sue promesse, impetra per noi e per gli uomini delle future generazioni la grazia dell'abbandono all'amore di Dio. Fa' che, di fronte alla sofferenza, al rifiuto, alla prova, anche se prolungata ed aspra, non dubitiamo mai del suo amore. A Gesù, tuo Figlio, onore e gloria nei secoli. Amen.

QUINTA STAZIONE
Simone di Cirene porta la croce di Gesù
Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Costrinsero Simone (cfr Mc 15, 21). I soldati romani fecero così, temendo che il Condannato esausto non arrivasse a portare la croce fino al Golgota. Non avrebbero potuto eseguire su di lui la sentenza della crocifissione. Cercavano un uomo che lo aiutasse a portare la croce. Il loro sguardo si posò su Simone. Lo costrinsero a caricarsi di quel peso. Si può immaginare che lui non fosse d'accordo e si opponesse. Il portare la croce insieme ad un condannato poteva essere considerato un atto offensivo della dignità di un uomo libero. Pur controvoglia, Simone prese la croce per aiutare Gesù. In un canto quaresimale risuonano queste parole: «Sotto il peso della croce Gesù accoglie il Cireneo». Sono parole che lasciano intravedere un totale cambio di prospettiva: il divin Condannato appare come qualcuno che, in un certo senso, «fa dono» della croce. Non è stato forse lui a dire: «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10, 38)? Simone riceve un dono. Ne è diventato «degno». Ciò che agli occhi della folla poteva offendere la sua dignità, nella prospettiva della redenzione gli ha invece conferito una nuova dignità. Il Figlio di Dio l'ha reso in modo singolare compartecipe della sua opera salvifica. Simone ne è consapevole? L'evangelista Marco identifica Simone di Cirene come «padre di Alessandro e Rufo» (15, 21). Se i figli di Simone di Cirene erano conosciuti nella primitiva comunità cristiana, si può ritenere che anch'egli, proprio mentre portava la croce, abbia creduto in Cristo. Passò liberamente dalla costrizione alla disponibilità, come intimamente raggiunto dalle parole: «Chi non porta la sua croce con me, non è degno di me». Portando la croce, fu introdotto alla conoscenza del vangelo della croce. Da allora questo vangelo parla a tanti, innumerevoli cirenei, chiamati nel corso della storia a portare la croce insieme a Gesù.
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Cristo, che a Simone di Cirene hai conferito la dignità di portare la tua croce, accogli anche noi sotto il suo peso, accogli tutti gli uomini e dona a ciascuno la grazia della disponibilità. Fa' che non distogliamo lo sguardo da coloro che sono schiacciati dalla croce della malattia, della solitudine, della fame, dell'ingiustizia. Fa' che, portando i pesi gli uni degli altri, diventiamo testimoni del vangelo della croce, testimoni di te, che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

SESTA STAZIONE
La Veronica asciuga il volto di Gesù
Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Veronica non appare nei Vangeli. Questo nome non viene menzionato, benché vengano fatti i nomi di varie donne che compaiono accanto a Gesù. Può essere, dunque, che il nome esprima piuttosto ciò che la donna fece. In effetti, secondo la tradizione, sulla via del Calvario una donna si fece strada tra i soldati che scortavano Gesù e con un velo asciugò il sudore e il sangue sul volto del Signore. Quel volto restò impresso nel velo; un riflesso fedele, una «vera icona». A questo si collegherebbe il nome stesso di Veronica. Se è così, questo nome, che rende memorabile il gesto compiuto da questa donna, racchiude allo stesso tempo la più profonda verità su di lei. Un giorno, suscitando la critica degli astanti, Gesù prese le difese di una donna peccatrice, che aveva versato sui suoi piedi olio profumato e li aveva asciugati con i capelli. All'obiezione che venne fatta in quella circostanza rispose: «Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto una azione buona verso di me (...). Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura» (Mt 26, 10. 12). Si potrebbero applicare queste parole anche alla Veronica. Si manifesta così la profonda eloquenza dell'evento. Il Redentore del mondo dona a Veronica un'autentica immagine del suo volto. Il velo, su cui resta impresso il volto di Cristo, diventa un messaggio per noi. In un certo senso esso dice: Ecco come ogni atto buono, ogni gesto di vero amore verso il prossimo rafforza in chi lo compie la somiglianza col Redentore del mondo. Gli atti d'amore non passano. Ogni gesto di bontà, di comprensione, di servizio lascia nel cuore dell'uomo un segno indelebile, che lo rende sempre più simile a colui che «spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo» (Fil 2, 7). Così si forma l'identità, il vero nome dell'uomo.
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Signore Gesù Cristo, tu che hai accettato il gesto disinteressato d'amore di una donna e in cambio hai fatto sì che le generazioni la ricordino con il nome del tuo volto, concedi che le opere nostre, e di tutti coloro che verranno dopo di noi, ci rendano simili a te e lascino al mondo il riflesso del tuo infinito amore. A te, Gesù, splendore della gloria del Padre, lode e gloria nei secoli. Amen.

SETTIMA STAZIONE
Gesù cade per la seconda volta
Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo» (Sal 21[22], 7). Vengono in mente queste parole del Salmo mentre guardiamo Gesù, che per la seconda volta cade sotto la croce. Ecco, nella polvere della terra sta il Condannato. Schiacciato dal peso della sua croce. Le forze lo abbandonano sempre più. Ma pur a fatica si rialza, per continuare il cammino. Che cosa dice a noi, uomini peccatori, questa seconda caduta? Più ancora della prima, sembra esortare a rialzarci, a rialzarci un'altra volta sulla nostra via della croce. Cyprian Norwid ha scritto: «Non dietro a se stessi con la croce del Salvatore, ma dietro al Salvatore con la propria croce». Massima breve, ma che dice moltissimo. Spiega in quale senso il cristianesimo sia la religione della croce. Lascia intendere che ogni uomo incontra quaggiù il Cristo che porta la croce e cade sotto di essa. A sua volta Cristo, sulla via del Calvario, incontra ogni uomo e, cadendo sotto il peso della croce, non cessa di annunziare la buona novella. Da duemila anni il vangelo della croce parla all'uomo. Da venti secoli Cristo, che si rialza dalla caduta, incontra l'uomo che cade. Lungo questi due millenni molti hanno sperimentato che cadere non significa la fine del cammino. Incontrando il Salvatore, si sono sentiti da lui rassicurare: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9). Si sono rialzati confortati ed hanno trasmesso al mondo la parola della speranza che sgorga dalla croce. Oggi, varcata la soglia del nuovo millennio, siamo chiamati ad approfondire il contenuto di questo incontro. È necessario che la nostra generazione rechi ai secoli futuri la buona novella del nostro rialzarci in Cristo.
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Signore Gesù Cristo, che cadi sotto il peso del peccato dell'uomo e ti rialzi per assumerlo su di te e cancellarlo, da' a noi, uomini deboli, la forza di portare la croce della quotidianità e di rialzarci dalle nostre cadute, per recare alle generazioni che verranno il Vangelo della tua potenza salvifica. A te, Gesù, sostegno della nostra debolezza, la lode e la gloria nei secoli. Amen.

OTTAVA STAZIONE
Gesù ammonisce le donne di Gerusalemme
Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! E ai colli, copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?» (Lc 23, 28-31). Sono le parole di Gesù alle donne di Gerusalemme, che piangevano esprimendo compassione per il Condannato. «Non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli». Allora era certamente difficile comprendere il senso di queste parole. Contenevano una profezia, che presto si sarebbe avverata. Poco prima Gesù aveva pianto su Gerusalemme, preannunziando l'orribile sorte, che le sarebbe toccata. Ora egli sembra ricollegarsi a quella previsione: «Piangete sui vostri figli...». Piangete, perché essi, proprio essi, saranno testimoni e partecipi della distruzione di Gerusalemme, di quella Gerusalemme che «non ha saputo riconoscere il tempo in cui è stata visitata» (cfr Lc 19, 44). Se, mentre seguiamo Cristo sulla via della croce, si desta nei nostri cuori la compassione per la sua sofferenza, non possiamo dimenticare quell'ammonimento. «Se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?». Per la nostra generazione, che si lascia un millennio alle spalle, più che di piangere su Cristo martoriato, è ora di «riconoscere il tempo in cui è visitata». Già risplende l'aurora della risurrezione. «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza» (2 Cor 6, 2). A ciascuno di noi Cristo rivolge queste parole dell'Apocalisse: «Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono» (3, 20-21).
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Cristo, che sei venuto in questo mondo, per visitare tutti coloro che attendono la salvezza, fa' che la nostra generazione riconosca il tempo in cui viene visitata e abbia parte ai frutti della tua redenzione. Non permettere che su noi e sugli uomini del nuovo secolo si debba piangere perché abbiamo respinto la mano del Padre misericordioso. A te, Gesù, nato dalla Vergine Figlia di Sion, onore e gloria nei secoli eterni. Amen.

NONA STAZIONE
Gesù cade per la terza volta
Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Ecco, Cristo è nuovamente stramazzato a terra sotto il peso della croce. La folla, curiosa, osserva se ancora avrà la forza di rialzarsi. San Paolo scrive: «Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 6-8). La terza caduta sembra esprimere proprio questo: la spoliazione, la kenosis del Figlio di Dio, l'umiliazione sotto la croce. Ai discepoli Gesù aveva detto di essere venuto non per essere servito, ma per servire (cfr Mt 20, 28). Nel Cenacolo, chinandosi fino a terra e lavando loro i piedi, aveva come voluto abituarli a questa sua umiliazione. Cadendo a terra per la terza volta sulla via della croce, ci grida ancora a gran voce il suo mistero. Ascoltiamo la sua voce! Questo Condannato, a terra sotto il peso della croce, nei pressi ormai del luogo del supplizio, ci dice: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6). «Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12). Non ci sgomenti la vista di un Condannato, che cade a terra sfinito sotto la croce. Questo esteriore manifestarsi della morte, che si sta avvicinando, nasconde in sé la luce della vita.
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Signore Gesù Cristo, che per la tua umiliazione sotto la croce hai rivelato al mondo il prezzo della sua redenzione, da' agli uomini del terzo millennio la luce della fede, affinché riconoscendo in te il Servo sofferente di Dio e dell'uomo, abbiano il coraggio di seguire lo stesso cammino, che, attraverso la croce e la spoliazione, porta alla vita che non avrà fine. A te, Gesù, sostegno della nostra debolezza, onore e gloria nei secoli. Amen.

DECIMA STAZIONE
Gesù è spogliato delle vesti e abbeverato di aceto e fiele
Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Assaggiatolo, non ne volle bere» (Mt 27, 34). Non volle calmanti, che gli avrebbero annebbiato la coscienza durante l'agonia. Voleva agonizzare sulla croce consapevolmente, adempiendo alla missione ricevuta dal Padre. Ciò era contrario ai metodi usati dai soldati incaricati dell'esecuzione. Dovendo inchiodare alla croce il condannato, essi cercavano di attutire la sua sensibilità e la sua coscienza. Nel caso di Cristo non poteva essere così. Gesù sa che la sua morte in croce deve essere un sacrificio di espiazione. Per questo vuole conservare la coscienza vigile sino alla fine. Privo di essa non potrebbe, in modo completamente libero, accettare la piena misura della sofferenza. Ecco, egli deve salire sulla croce, per offrire il sacrificio della Nuova Alleanza. Egli è Sacerdote. Deve entrare mediante il proprio sangue nelle dimore eterne, dopo aver operato la redenzione del mondo (cfr Eb 9, 12). Coscienza e libertà: sono gli attributi irrinunciabili di un agire pienamente umano. Il mondo conosce tanti mezzi per indebolire la volontà ed offuscare la coscienza. Occorre difenderle gelosamente da tutte le violenze! Lo stesso legittimo sforzo di attutire il dolore va compiuto sempre nel rispetto della dignità umana. Bisogna comprendere profondamente il sacrificio di Cristo, occorre unirsi ad esso per non cedere, per non permettere che la vita e la morte perdano il loro valore.
* * *
Signore Gesù, che con totale dedizione hai accettato la morte di croce per la nostra salvezza, rendi noi e tutti gli uomini del mondo partecipi del tuo sacrificio sulla croce, affinché il nostro esistere e il nostro operare abbiano la forma di una partecipazione libera e consapevole alla tua opera di salvezza. A te Gesù, sacerdote e vittima onore e gloria nei secoli. Amen.

UNDICESIMA STAZIONE
Gesù è inchiodato sulla croce
Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa» (Sal 21[22], 17-18).
Si compiono le parole del profeta. Inizia l'esecuzione. I colpi degli aguzzini schiacciano contro il legno della croce le mani e i piedi del Condannato. Nel carpo delle mani i chiodi vengono infissi con prepotenza. Quei chiodi terranno appeso il condannato fra gli inesprimibili tormenti dell'agonia. Nel suo corpo e nel suo animo sensibilissimo, Cristo soffre indicibilmente. Insieme con lui vengono crocifissi due veri malfattori, uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. Si compie la profezia: «È stato annoverato fra gli empi» (Is 53, 12). Quando gli aguzzini alzeranno la croce, inizierà una agonia che durerà tre ore. Bisogna che si adempia anche questa parola: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32). Che cosa «attira» in questo Condannato in agonia sulla croce? L'immagine di una sofferenza tanto intensa desta certamente compassione. Ma la compassione è troppo poco per indurre a vincolare la propria vita a colui che è appeso alla croce. Come spiegare che, generazione dopo generazione, questa terrificante visione abbia attirato innumerevoli schiere di persone che hanno fatto della croce il distintivo della loro fede? Di uomini e donne che per secoli hanno vissuto e dato la vita guardando a questo segno? Cristo attira dalla croce con la potenza dell'amore, dell'Amore divino, che non si è sottratto al dono totale di sé; dell'Amore infinito, che ha innalzato da terra sull'albero della croce il peso del corpo di Cristo, per bilanciare il peso dell'antica colpa; dell'Amore sconfinato, che ha colmato ogni assenza di amore e ha permesso all'uomo di trovare rifugio nuovamente tra le braccia del Padre misericordioso. Cristo innalzato sulla croce attiri anche noi, uomini e donne del nuovo millennio! All'ombra della croce, «camminiamo nella carità perché anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (cfr Ef 5, 2).
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Cristo innalzato, Amore crocifisso, riempi i nostri cuori del tuo amore, affinché riconosciamo nella tua croce il segno della nostra redenzione e, attratti dalle tue ferite, viviamo e moriamo con te, che vivi e regni con il Padre e con lo Spirito, ora e nei secoli senza fine. Amen.

DODICESIMA STAZIONE
Gesù muore sulla croce
Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34). All'apice della passione Cristo non dimentica l'uomo, specialmente non dimentica coloro che sono direttamente causa della sua sofferenza. Egli sa che l'uomo, più di ogni altra cosa, ha bisogno d'amore; ha bisogno della misericordia che in questo istante si espande sul mondo. «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23, 43). Gesù risponde così alla richiesta del malfattore, appeso alla sua destra: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23, 42). La promessa di una nuova vita. Ecco il primo frutto della passione e dell'imminente morte di Cristo. Una parola di speranza all'uomo. Ai piedi della croce stava la Madre, e accanto a lei il discepolo, Giovanni evangelista. Gesù dice: «Donna, ecco il tuo figlio!», e al discepolo: «Ecco la tua madre!». «E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19, 26-27). È il testamento per le persone più care al suo cuore. Il testamento per la Chiesa. Gesù morente vuole che l'amore materno di Maria abbracci tutti coloro per i quali egli dà la vita, l'intera umanità. Subito dopo, Gesù esclama: «Ho sete» (Gv 19, 28). Parola da cui traspare la terribile arsura, che brucia l'intero suo corpo. È la sola parola che manifesta direttamente la sua sofferenza fisica. Poi Gesù aggiunge: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46; cfr Sal 21[22], 2). Sono le parole del Salmo con cui egli prega. La frase, nonostante il suo tenore, evidenzia la sua unione profonda con il Padre. Negli ultimi istanti della sua vita sulla terra, Gesù dirige il suo pensiero al Padre. Il dialogo si svolgerà ormai soltanto tra il Figlio che muore e il Padre che accetta il suo sacrificio d'amore. Quando giunge l'ora nona, Gesù grida: «Tutto è compiuto!» (Gv 19, 30). Ecco, è giunta a compimento l'opera della redenzione. La missione, per la quale è venuto sulla terra, ha raggiunto il suo scopo. Il resto appartiene al Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). Detto questo spirò. «Il velo del tempio si squarciò in due...» (Mt 27, 51). Il «santo dei santi» nel tempio di Gerusalemme viene aperto nell'istante in cui vi entra il Sacerdote della Nuova ed Eterna Alleanza.
* * *
Signore Gesù Cristo, tu che al momento dell'agonia non sei rimasto indifferente alla sorte dell'uomo e insieme al tuo ultimo respiro hai affidato con amore alla misericordia del Padre gli uomini e le donne di tutti i tempi con le loro debolezze ed i loro peccati, riempi noi e le generazioni future del tuo Spirito d'amore, affinché la nostra indifferenza non renda vani in noi i frutti della tua morte. A te, Gesù crocifisso, sapienza e potenza di Dio, onore e gloria nei secoli eterni. Amen.
 
TREDICESIMA STAZIONE
Gesù è deposto dalla croce e consegnato alla Madre
Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
O quam tristis et afflicta fuit illa benedicta Mater Unigeniti. Hanno restituito nelle mani della Madre il corpo senza vita del Figlio. I Vangeli non parlano di ciò che ella ha provato in quell'istante. È come se gli Evangelisti, col silenzio, volessero rispettare il suo dolore, i suoi sentimenti e i suoi ricordi. O, semplicemente, come se ritenessero di non essere capaci di esprimerli. È stata soltanto la devozione plurisecolare a conservare l'immagine della «Pietà», fissando così nella memoria del popolo cristiano l'espressione più dolorosa di quell'ineffabile legame d'amore sbocciato nel cuore della Madre il giorno dell'annunciazione e maturato nell'attesa della nascita del divin Figlio. Quell'amore si è rivelato nella grotta di Betlemme, è stato sottoposto alla prova già durante la presentazione al tempio, si è approfondito insieme con gli eventi conservati e meditati nel suo cuore (cfr Lc 2, 51). Adesso quest'intimo legame d'amore deve trasformarsi in un'unione che supera i confini della vita e della morte. E così sarà lungo tutto l'arco dei secoli: gli uomini si fermano presso la statua della Pietà di Michelangelo; si inginocchiano davanti all'immagine della Mesta Benefattrice (Smêtna Dobrodziejka) nella chiesa dei Francescani, a Cracovia, dinanzi alla Madre dei Sette Dolori, Patrona della Slovacchia; venerano l'Addolorata in tanti santuari in ogni parte del mondo. Essi apprendono così il difficile amore che non fugge di fronte alla sofferenza, ma si abbandona fiduciosamente alla tenerezza di Dio, a cui nulla è impossibile (cfr Lc 1, 37).
* * *
Salve, Regina, mater misericordiæ; vita, dulcedo et spes nostra, salve. Ad te clamamus... illos tuos misericordes oculos ad nos converte. Et Iesum, benedictum fructum ventris tui, nobis post hoc exilium ostende. Impetraci la grazia della fede, della speranza e della carità, affinché anche noi, come te, sappiamo perseverare sotto la croce fino all'estremo respiro. Al tuo Figlio, Gesù, nostro Salvatore, con il Padre e con lo Spirito Santo, ogni onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

QUATTORDICESIMA STAZIONE
Il corpo di Gesù è deposto nel sepolcro
Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Fu crocifisso, morì e fu sepolto...». Il corpo senza vita di Cristo è stato posto nel sepolcro. La pietra sepolcrale non è tuttavia il suggello definitivo della sua opera. L'ultima parola non appartiene alla falsità, all'odio e alla sopraffazione. L'ultima parola verrà pronunciata dall'Amore, che è più forte della morte. «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24). Il sepolcro è l'ultima tappa del morire di Cristo nel corso dell'intera vita terrena; è segno del suo supremo sacrificio per noi e per la nostra salvezza. Ben presto, ormai, questo sepolcro diverrà il primo annuncio di lode e di esaltazione del Figlio di Dio nella gloria del Padre. «Fu crocifisso, morì e fu sepolto, (...) il terzo giorno risuscitò da morte». Con la deposizione del corpo senza vita di Gesù nel sepolcro, ai piedi del Golgota, la Chiesa inizia la veglia del Sabato Santo. Maria conserva nel profondo del cuore e medita la passione del Figlio; le donne si danno appuntamento per il mattino del giorno dopo il sabato, per ungere con aromi il corpo di Cristo; i discepoli si raccolgono, nel nascondimento del Cenacolo, finché non sia passato il sabato. Questa veglia terminerà con l'incontro presso il sepolcro, il sepolcro vuoto del Salvatore. Allora il sepolcro, testimone muto della risurrezione, parlerà. La pietra ribaltata, l'interno vuoto, le bende per terra, questo sarà ciò che vedrà Giovanni, giunto al sepolcro insieme con Pietro: «Vide e credette» (Gv 20, 8). Ed insieme a lui credette la Chiesa, che da quel momento non si stanca di trasmettere al mondo questa fondamentale verità della sua fede: «Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1 Cor 15, 20). Il sepolcro vuoto è segno della definitiva vittoria della verità sulla menzogna, del bene sul male, della misericordia sul peccato, della vita sulla morte. Il sepolcro vuoto è segno della speranza che «non delude» (Rm 5, 5). «La nostra speranza è piena di immortalità» (cfr Sap 3, 4).
* * *
Signore Gesù Cristo, che dal Padre, nella potenza dello Spirito Santo, sei stato condotto dalle tenebre della morte alla luce di una nuova vita nella gloria, fa' che il segno del sepolcro vuoto parli a noi e alle generazioni future e diventi fonte di viva fede, di carità generosa e di saldissima speranza. A te, Gesù, presenza nascosta e vittoriosa nella storia del mondo, onore e gloria nei secoli. Amen.

© L'OSSERVATORE ROMANO Sabato 22 Aprile 2000

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