Lc
15, 11-32
Giunti
a questo punto rimane il compito di andare in cerca delle analogie
fra la nostra storia e quella che il Signore ci ha raccontato.
Potremmo intanto dire che ognuno di noi, per il fatto di esistere, è
coinvolto in qualche modo in un rapporto d'amore con il Padre che ci
ha creati. Ognuno di noi aspira inoltre alla gioia, alla festa, ad
una vita più piena e più intensa; il Padre però, non ci dona
questi beni sin dall'inizio, ma vuole che siano il frutto di una
nostra ricerca e di una nostra conquista. A questo fine concede ad
ognuno un certo patrimonio e un certo numero di talenti, lasciandoci
poi liberi di utilizzarli nel modo che riteniamo più opportuno.
Questo
patrimonio è costituito innanzitutto dal dono dell'esistenza, dal
dono dell'intelligenza, dalla libertà, da una certa capacità di
distinguere il bene dal male, da un certo sentimento dell'esistenza
di Dio e della sua maestà, dal tempo in cui ci è concesso
l'esercizio e lo sfruttamento di queste risorse. Con questi beni a
disposizione ognuno ha poi la possibilità di scegliere due possibili
percorsi: o impiegare i doni ricevuti nel servizio di Dio, confidando
di ricevere a suo tempo una giusta ricompensa, oppure decidere di
svincolarsi completamente dal suo servizio per tentare di costruire
da solo la propria vita e la propria felicità. Quanti scelgono
questa seconda via assomigliano al figlio più giovane della parabola
ed andranno incontro alle sue stesse disavventure.
Tra
i motivi che avevano indotto il secondogenito ad abbandonare la casa
paterna ne avevamo individuati principalmente due: un certo disagio
ed una certa insofferenza verso il regime di servizio e di ubbidienza
in vigore nella casa paterna e le allettanti prospettive che il mondo
esterno offriva. Allo stesso modo, succede a molti di rispettare per
un certo tempo la volontà e le leggi di Dio, tuttavia questa
adesione alla sua legge e alla sua volontà non è molto convinta né
molto radicata, dipende più che altro dalla giovane età che non può
evitare i condizionamenti dell'ambiente circostante. Può quindi
accadere che col tempo incomincino a manifestarsi sentimenti di
disagio e di insofferenza insieme a propositi tendenti a scaricare
appena possibile il giogo rappresentato dalle regole, dai divieti,
dai riti, dalle ricorrenze, dagli obblighi verso gli uni e verso gli
altri, dagli scrupoli di coscienza.
L'altro
fattore che contribuisce a far maturare la decisione di abbandonare
Dio e la sua legge è lo splendore, la vitalità e la soddisfazione
che la vita mondana sembra promettere. Così, la prospettiva di
gestire il tempo a proprio piacimento, di svincolarsi dagli obblighi
e dai divieti per concedersi ogni piacere, ogni divertimento ed ogni
esperienza, esercita una forte pressione nella direzione
dell'abbandono di ogni pratica religiosa. Quando poi questa
prospettiva, magari accarezzata per anni, acquista una certa
consistenza e un certo vigore ecco che viene espressa la richiesta:
Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta.
Conviene
inoltre osservare che dietro questa richiesta, molto probabilmente
c'è già l'intenzione di abbandonare la casa paterna, tuttavia non
si osa manifestarla apertamente e ci si limita a reclamare i propri
diritti, magari lasciando intendere di non voler affatto andar via di
casa. Analogamente, molti giovani incominciano ad avanzare una giusta
richiesta per una loro autonomia decisionale in materia di pratica
religiosa; quando poi questa autonomia viene concessa, per un po' di
tempo la pratica religiosa continua, poi si allenta, ed infine viene
completamente abbandonata, ed è come se: Raccolte le proprie cose
partissero per un paese lontano. Il fatto che a partire sia
proprio il figlio più giovane rispecchia bene quanto ognuno può
constatare, ossia che l'abbandono della pratica religiosa si verifica
per molti proprio nel periodo della giovinezza.
Colpevolezza
ed innocenza nella decisione del figlio
Conviene
inoltre considerare che questo abbandono è in parte colpevole e in
parte innocente. La parte innocente dipende dal fatto che,
specialmente quando si è giovani, si ha poca esperienza della vita,
si è molto instabili, ci si lascia facilmente abbagliare, non si
riescono a calcolare bene tutte le conseguenze delle proprie
decisioni, o non decisioni, non si conoscono a fondo le proprie forze
e le proprie debolezze, si crede troppo presto di aver capito
tutto...
La
parte colpevole consiste invece nel voler ascoltare e seguire i
richiami di coloro che vivono come se Dio non ci fosse, consiste nel
non avere fiducia in Lui e nel suo progetto; se poi si conosce poco
sia Dio che il suo progetto, si ha comunque il dovere di fare qualche
cosa per approfondire la conoscenza sia dell'uno che dell'altro. Se
la pratica religiosa sembra austera, repressiva, limitativa della
libertà, perché non parlarne e sentire anche le ragioni di Dio?
Perché non presentare un proprio alternativo progetto di vita e
sottoporlo al suo consiglio? Questo generalmente non accade perché
colpevolmente non si conosce il cuore di Dio e la confidenza totale
che bisogna avere in Lui. Quanto detto ci aiuta forse a comprendere
come la colpa più grave sia proprio la volontà di tagliare ogni
rapporto con Dio che ci ha dato tutto e non ci chiede che di aver
fiducia in Lui.
L'infinito
rispetto per la libertà dell'uomo
La
parabola mostra poi come Dio rispetti infinitamente la libertà
dell'uomo; non si oppone infatti alla decisione del figlio di partire
per un paese lontano, questo perché un cuore che ama vuole
assolutamente rispettare la libertà della persona amata, è in
questo rispetto infatti, la grandezza e la bellezza di ogni autentico
rapporto d'amore. Noi che non sappiamo amare invece, abbiamo una
forte tendenza ad imporre o ad esercitare forti pressioni per far
accettare le nostre idee o per reclamare le nostre esigenze.
Evidentemente l'attitudine di rispettare la libertà dell'altro ci
espone al rischio del rifiuto, dell'incomprensione e delle relative
sofferenze, ma è un prezzo che dobbiamo accettare di pagare per
educarci ed educare a costruire dei rapporti d'amore autentici e
belli, gli unici che possono saziare e rallegrare il nostro cuore.
Nel
paese della libertà
Il
figlio dunque, esercitando la sua libertà, parte per un paese
lontano e, come abbiamo osservato, più si allontana, più sembra
respirare liberamente, più la sua vita sembra espandersi e fiorire.
Le cose vanno un po’ diversamente nel cuore del padre. Possiamo
vederne il riflesso nella sofferenza di molti parroci, di molti
genitori e catechisti quando vedono i loro giovani allontanarsi da
Dio; prevedendo le disavventure e le tribolazioni a cui andranno
inevitabilmente incontro, non possono non preoccuparsi per la loro
sorte.
In
un primo tempo però, quanti abbandonano Dio non incontrano affatto
sofferenze, anzi, sembra che tutto proceda per il verso giusto, fanno
quello che vogliono, hanno le relazioni che vogliono, si concedono i
divertimenti e le esperienze più eccitanti, vivono al passo con i
tempi, liberi, disinibiti, senza complessi, se poi sopraggiungono
difficoltà od inconvenienti, lasciando da parte gli scrupoli
riescono sempre a trovare un modo per aggiustare le cose. Ma la
parabola e l'esperienza insegnano che prima o poi tutti i nodi
vengono al pettine, prima o poi bisogna fare i conti con la realtà,
ossia con i misteri nascosti nel nostro cuore e nella mente di Dio;
il più delle volte infatti, la realtà non è come ce la immaginiamo
noi, ma è secondo un mistero che si nasconde ai superbi e si rivela
agli umili.
Il
tempo della crisi
Arriva
così un giorno in cui le cose cambiano e si entra in un tempo di
crisi e di carestia. La prima sorpresa di questa crisi è scoprire di
aver speso tutto e di non avere più risorse. A volte questo accade
anche sul piano materiale, ma il più delle volte ad essere esaurite
sono proprio le risorse spirituali. Si è provato tutto e non si sa
più che esperienza fare per dare gusto e senso alla propria vita;
anche se si possiedono tutti i beni di questo mondo l'anima si
ritrova tuttavia afflitta ed infelice. La seconda sorpresa è questa:
pur essendo esaurite le risorse, non si è tuttavia esaurito il
desiderio di felicità e la necessità di dare un senso alla propria
vita.
È
a questo punto che si incomincia a patire la fame e la sete, fame e
sete per qualche cosa di nuovo e di diverso a cui non si sa dare un
nome, fame e sete per una felicità a lungo inseguita ma mai
raggiunta. Il Signore dice inoltre che in quel paese venne una
grande carestia, che è come dire: la fame e la sete affliggevano
tutti gli abitanti di quel lontano paese. Nonostante le apparenze
infatti, lontani da Dio tutti si ritrovano prima o poi a patire il
disagio per il non senso della propria esistenza e per la mancanza di
un bene che è possibile trovare solo nella casa di Dio.
Questa
presa di coscienza che il disagio è generale e riguarda tutti gli
abitanti del paese, rende la situazione ancora più drammatica. Se
infatti l'esaurimento delle risorse riguardasse esclusivamente il
proprio caso, si potrebbe pensare che si tratti di un momento di
depressione passeggero, vedendo poi gli altri prosperi e felici
sarebbe naturale sperare nel loro aiuto, la carestia invece esclude
questa possibilità, come a dire che è impossibile sperare di
ricevere un aiuto che illumini, ridia senso ed energie alla propria
vita da quanti vivono lontani da Dio.
Può
tuttavia accadere che non sapendo più dove sbattere la testa, si
cerchi comunque aiuto presso qualche abitante di quella regione.
Il risultato è però piuttosto umiliante e deludente, la soluzione
che viene proposta è infatti quella di chi ti dice: Se vuoi
toglierti la fame, vai a pascolare i porci. Coloro che vivono
lontano da Dio, infatti, non vedono soluzioni se non nella parte
fisica o animale dell'uomo, quanto poi riescono a proporre non è il
massimo della nobiltà e dell'eleganza, così, una soluzione che non
è la soluzione non riesce a risolvere un gran che, ed il figlio,
nonostante i suoi sforzi, continua ad aver fame.
È
questa la situazione di molti che, essendo caduti per vari motivi in
una crisi profonda e trovandosi in gravi necessità, vagano di qua e
di là in cerca di qualcuno che li aiuti, senza però trovare chi
riesca a risolvere veramente il loro problema. Così c'è chi va in
cerca e si affida a uno specialista famoso, poi lo cambia e prova con
un altro, poi prova con una terapia di gruppo e così via. Altri si
affidano ai consigli di amici e conoscenti tra i quali c'è sempre
chi sa consigliare una bella vacanza, un bel viaggio, o magari di
mangiare di più, di divertirsi di più, o di non prendersela tanto,
in fondo, non bisogna pretendere troppo dalla vita.
Tutti
questi tentativi, o altri simili, hanno un aspetto in comune, quello
di tentare di risolvere con mezzi naturali o umani un problema la cui
soluzione è di ordine soprannaturale. Ci si può intestardire fin
che si vuole, ciò che Dio solo può risolvere non lo possono
risolvere gli uomini. Forse proprio questo aspetto vuole sottolineare
la parabola quando dice che il figlio avrebbe voluto saziarsi con
le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava, e di
conseguenza la fame rimaneva. Da certe situazioni infatti, per quanto
ci si dia da fare, nonostante gli sforzi più eroici, con le sole
risorse umane non c'è verso di uscire.
Potremmo
tuttavia tentare di considerare un altro aspetto nell'impossibilità
del figlio di saziarsi con le carrube dei porci. Ci è detto che lui
sarebbe anche stato disposto a nutrirsi con quel cibo pur di trovare
un rimedio alla sua fame, ma nessuno gliene dava, ossia il suo
desiderio trovava degli impedimenti. Allo stesso modo può capitare
che chi si trova nella necessità di nutrire in qualche modo i giorni
grigi e noiosi della propria esistenza, si senta ad un certo punto
talmente affamato da essere disposto ad andare in cerca di gusti e
piaceri da porci; ma può anche accadere che l'attuazione di questa
intenzione sia in qualche modo stranamente ostacolata e resa
difficile, e se nel cuore è rimasto un residuo di ragionevolezza e
di timor di Dio, questi ostacoli possono contribuire ad evitare un
abbrutimento estremo. Con il tempo è poi possibile scorgere in
queste circostanze la mano misericordiosa della Provvidenza.
Quanto
detto vale anche per coloro che, trovandosi in gravi difficoltà e
necessità, sono tentati di risolvere i loro problemi ricorrendo a
mezzi decisamente illeciti come il ricorso ad imbrogli, furti,
associazioni criminali, guaritori, maghi, cartomanti... Se decidono
di non dare ascolto ai richiami della coscienza o di qualche
circostanza esterna, cadranno dalla padella nella brace con il
rischio di compromettere irrimediabilmente la situazione.
La
crisi come occasione favorevole
La
parabola mostra però come da una situazione di disagio estremo e di
fallimento totale sia possibile intraprendere un diverso e migliore
cammino. Il figlio infatti rientrò in se stesso e disse: Quanti
salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza... Mi leverò
e andrò da mio padre e gli dirò: Ho peccato contro il Cielo e
contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.
Trattami come uno dei tuoi garzoni. Vediamo così che le
situazioni più disperate e senza vie d'uscita, possono costituire
un'occasione favorevole per un decisivo rinsavimento; tale
rinsavimento consiste nella decisione di voler riallacciare i
rapporti con Dio.
Succede
spesso infatti che si faccia strada la decisione di chiedere in modo
esplicito l'aiuto di Dio proprio quando si tocca il fondo, quando uno
non ce la fa più, quando si è sperimentata l'inadeguatezza e
l'impotenza di ogni soluzione umana. Chiedere aiuto a Dio è già
iniziare il cammino di ritorno verso la casa del Padre.
Questa
decisione è anche favorita dal confronto fra l'infelice situazione
in cui uno si trova e i salariati della casa del padre i quali hanno
pane in abbondanza; il padre cioè ha risorse tali da non
lasciare morire di fame quanti hanno deciso di servire in casa sua.
Questi salariati ci suggeriscono inoltre che la testimonianza dei
cristiani autentici può contribuire significativamente ad orientare
la scelta di chi, lontano, medita il ritorno a casa.
Deciso
dunque a ritornare dal padre per sfuggire ad una sicura morte per
fame, nel figlio si fa anche strada la consapevolezza di aver peccato
contro il Cielo e contro di lui, ossia di aver ferito con i suoi
comportamenti l'amore del padre. Per questo è disposto a subire una
severa punizione, ossia di venir trattato non più come figlio ma
come servo.
Le
conseguenze dolorose del peccato
L'espressione
usata dal figlio: Ho peccato contro il Cielo e contro di te,
ci invita a riflettere sulle ripercussioni del peccato nei confronti
di Dio e nei confronti dei fratelli.
Quando
noi non diamo a Dio il culto, l'onore, l'adorazione che gli sono
dovuti, quando non pensiamo a Lui con affetto, quando non cerchiamo
di crescere nella sua conoscenza e nel suo amore, quando non gli
rendiamo grazie e, peggio ancora, quando gli voltiamo le spalle,
dovrebbe essere abbastanza chiaro che lo offendiamo nel suo amore,
ossia che pecchiamo contro di Lui. Ma pecchiamo sempre contro di Lui
anche quando manchiamo di carità verso qualsiasi nostro fratello, e
questo avviene secondo due aspetti: prima di tutto perché il dovere
di amare gli altri come amiamo noi stessi, anzi, di amare gli altri
come Dio stesso li ama, è un comandamento di Dio e quindi, se lo
trascuriamo e lo infrangiamo, ci mettiamo in aperto contrasto con la
sua volontà, ma soprattutto perché quel padre, quella sorella,
quell'amico, quello sconosciuto che noi offendiamo, sono
infinitamente amati da Dio e l'offesa fatta ad uno qualsiasi dei suoi
figli ha una ripercussione dolorosa anche nel suo cuore. È come
quando una madre vede suo figlio subire una qualunque offesa, il suo
cuore non può non partecipare alla sua pena.
L'ultima
parte del proposito del figlio manifesta la sua disponibilità a
subire un giusto castigo in riparazione alle offese recate a Dio e al
padre suo. Ogni autentica conversione ed ogni autentico pentimento
devono essere infatti caratterizzati dal desiderio di rimediare in
qualche modo al male che si è fatto agli altri con i propri
comportamenti, se mancasse questo desiderio sarebbe segno che non c'è
nessun pentimento o che il pentimento non è autentico e quindi non
ci potrebbero essere né perdono ne vera riconciliazione.
Diventare
visibili agli occhi di Dio
Quando
era ancora lontano il padre lo vide, ed è come se noi
diventassimo visibili agli occhi di Dio nel momento in cui si
concretizza nel nostro cuore il desiderio di ritornare a Lui, mentre
fin tanto che questo desiderio è assente, è come se fossimo
invisibili ai suoi occhi. Questo significa che, se Dio non ci vede,
non può neanche venire in nostro soccorso, al contrario, il più
piccolo e debole atto di carità o di pentimento, ci rende visibili
ai suoi occhi ed ha il potere di commuovere e rallegrare il suo
cuore, perché può finalmente scorgere in questi atti l'inizio di un
cammino verso una piena risposta alle iniziative del suo amore.
Allora anche Lui si mette in cammino e ci viene incontro con il
soccorso della sua grazia per sostenere e rinvigorire la carità ed i
buoni propositi che ha visto nascere in noi, dice infatti la parabola
che commosso gli corse incontro.
L'esperienza
della misericordia
Le
parole che seguono mostrano poi la sorprendente esperienza che
attende coloro che, carichi del loro fallimento, della loro impotenza
e del loro peccato, giungono infine nei pressi della casa del padre.
Quanto li attende è l'esperienza di una dolcezza, di una
misericordia e di un perdono al di la di ogni aspettativa; il padre
infatti gli si gettò al collo e lo baciò. Perché questa
esperienza possa aver luogo bisogna però che il desiderio di tornare
a Dio abbia dato prova di autenticità e solidità. Nella parabola
questa prova è rappresentata dal lungo cammino che il figlio ha
dovuto percorrere per ritornare alla casa paterna. In questo cammino,
tanto più lungo quanto più lontano era voluto andare, ha dovuto
superare le tentazioni della stanchezza e dello scoraggiamento, ha
dovuto superare la tentazione di fermarsi per qualunque motivo a metà
strada.
È
questo un invito a non scoraggiarci se Dio non risponde subito alla
nostra richiesta di aiuto, se perseveriamo e speriamo fermamente in
Lui solo, quando avrà visto la sincerità e la solidità delle
nostre intenzioni allora prontamente correrà verso di noi, ci
abbraccerà e ci farà sentire la dolcezza del suo amore; allora ci
stupiremo e meraviglieremo di essere trattati con tanta benevolenza.
Il figlio infatti pensa che i suoi comportamenti meriterebbero ben
altra reazione, invece, nonostante il suo voltafaccia, nonostante le
sue insensibilità e testardaggini, nessuna vendetta, nessun
risentimento da parte del padre, ma solo amore, anzi, una
manifestazione d'amore così travolgente da lasciare senza parole.
Presto,
portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello
al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo,
mangiamo e facciamo festa. Ma perché tanta festa? Perché
questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è
stato ritrovato. Tanto serio e tanto grave è il pericolo a cui
va incontro chi si allontana da Dio, il pericolo di una morte e di
una perdizione eterni. Allora, quando come per miracolo uno sfugge ad
una simile sciagura, come non rallegrarsi, come non far festa?
L'amore
del Padre che si sperimenta è poi tanto grande e tanto sorprendente
che uno stenta quasi a credere di essere oggetto di tanta
benevolenza; come è possibile che questo capiti ad un peccatore come
me? A uno che ha sbagliato tutto, a uno che non sa più dove sbattere
la testa, a uno che si rende conto di aver fatto soffrire gli altri,
a uno che per tanto tempo e per tante volte ha trasgredito i
comandamenti di Dio? Eppure, nonostante tutto, ci si rende conto che
solo quell'amore può risanare ogni piaga, guarire ogni malattia,
illuminare ogni tenebra, ridare vita e speranza ad ogni fallimento,
perdonare ogni peccato. Allora non rimane che abbandonarsi stupiti e
riconoscenti alle iniziative del Padre.
Processo
di rinnovamento
Queste
iniziative sono poi ordinate a rimettere a nuovo il figlio perduto
rendendolo degno di presentarsi onorevolmente alla festa che si sta
preparando per lui. La prima fase di questo rinnovamento consiste
nell'essere rivestiti con il vestito nuovo, ma per far questo è
ovvio che prima bisogna lasciarsi togliere il vestito vecchio, poi
venir lavati, rivestiti e quindi profumati. Non è inutile chiedersi
quali potrebbero essere i significati di queste operazioni.
Quando
ci si allontana da Dio e si vive a lungo in un paese straniero,
succede che a poco a poco uno aderisca ai modi di pensare e di agire
degli abitanti di quel paese, così, come l'abito riveste il proprio
corpo e vi aderisce, allo stesso modo i pensieri ed i comportamenti
di coloro che vivono senza Dio rivestono ed impregnano intimamente
quanti hanno deciso di vivere in mezzo a loro. Ma per entrare nella
casa del Padre è evidente che bisogna venir rivestiti con un altro
abito, bisogna cioè aderire ai pensieri di Dio ed imitare i suoi
comportamenti.
La
prima cosa da fare è dunque quella di spogliarsi dell'abito vecchio
e logoro acquistato in terra straniera; questo equivale a rinnegare
la mentalità del mondo, i suoi modi di giudicare, di agire, la sua
scala di valori. Dobbiamo però notare che questa operazione è
compiuta mediante la collaborazione dei servi, dice infatti il padre:
Portate qui il vestito più bello e rivestitelo. Questo
significa che non è possibile spogliarsi della mentalità del mondo
da soli, ma a questo scopo è indispensabile l'aiuto dei servi, ossia
dei cristiani i quali, con il loro esempio, con la loro parola e con
le loro preghiere, aiutano chi ritorna a Dio ad abbandonare i
pensieri, i comportamenti e le abitudini incompatibili con i pensieri
ed i modi di Dio, ossia con le esigenze dell'amore.
Tra
queste incompatibilità, ce ne sono alcune che penetrano nell'anima
in maniera più intima e profonda così come il fango e la polvere
aderiscono più intimamente del vestito alla persona; di qui la
necessità del lavaggio, ossia di un processo di purificazione
tendente ad eliminare le impurità e le imperfezioni che, penetrate
più a fondo, formano quasi un tutt'uno con la nostra anima.
Proviamo
a fare qualche esempio. Quando uno decide di non vivere più come se
Dio non ci fosse, è come se si spogliasse di un abito vecchio e la
cosa, anche per l'aiuto dei fratelli, può essere considerata
relativamente facile, ma quando si tratta di rinunciare alla propria
volontà, di rinunciare a considerare il proprio io al centro del
mondo, quando si tratta di rinunciare alla superbia, all'invidia, a
certi punti di vista ai quali si è molto legati, alla malevolenza o
all'antipatia verso persone che stanno particolarmente sui nervi, la
cosa diventa un pochino più difficile, proprio perché queste
impurità aderiscono in modo più intimo alla nostra anima. Quando
poi chi ritorna a Dio incomincia a mettere in pratica i comandamenti
fondamentali dell'amore di Dio e del prossimo, è come se si
rivestisse di un abito nuovo, dell'abito che gli consentirà di non
sfigurare nella casa del Padre, dove non può entrare chi non sa
muoversi in armonia con le esigenze della carità.
Il
profumo poi è la figura di ogni atto virtuoso o di ogni atto di
bontà nel momento in cui diffonde sollievo e consolazione in mezzo
ai fratelli. A questo proposito San Paolo si rallegra che i
cristiani, partecipando al trionfo di Cristo, diffondono il profumo
della sua conoscenza nel mondo intero (2Cor 2,14). Conviene poi
notare che il padre ordina di portare il vestito più bello,
questo sta ad indicare come la sua intenzione sia di rivestire i suoi
figli con l'abito delle virtù più preziose, vuole cioè renderli
capaci di compiere atti di carità particolarmente pregiati. Dopo il
vestito, al figlio viene infilato l'anello. Gli viene cioè
restituita la dignità che aveva perduta vivendo da dissoluto in un
paese straniero. Ma l'anello è anche il segno dell'amore con il
quale il padre vuole legare indissolubilmente a sé il figlio, e
questo anello glielo può dare proprio perché ha accettato di
rivestirsi dell'abito della carità.
L'ultimo
atto del rinnovamento consiste nell'indossare un paio di sandali
nuovi. Un possibile significato dell'operazione potrebbe essere
questo: come abbiamo visto, lontano dalla casa paterna, il figlio si
era trovato ad un certo punto a non saper più dove sbattere la
testa, a non avere più prospettive, la sua vita non aveva più
alcuna meta, ed è come se non avesse più saputo dove dirigere i
suoi passi; ora, i sandali nuovi è come se mettessero di nuovo il
figlio in grado di camminare speditamente, il padre cioè apre al
figlio una nuova prospettiva, gli indica nuovamente una meta verso la
quale tendere e, donandogli i sandali, gli dona anche i mezzi per
raggiungerla. Questa meta è poi la festa con la musica e le danze,
festa in cui si mangerà il vitello grasso e tutti sono invitati a
gioire e rallegrarsi. La festa sta ad indicare quella pienezza di
vita e di felicità che il figlio aveva a lungo cercato ma che mai
era riuscito a trovare, ed ora scopre che avrebbe dovuto cercare
questi beni proprio in quella casa da cui aveva voluto allontanarsi.
Così,
a tutti coloro che ritornano a Dio è dato sapere dov'è il luogo
della gioia e della festa, la loro vita non è più senza scopo e
senza senso, con l'aiuto e la compagnia dei fratelli possono ormai
camminare verso quella casa dove sanno di trovare un giorno la loro
beatitudine eterna.
Tratto
dal libro "Alla ricerca dell'acqua viva" di Eugenio
Pramotton (editore Parva)
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