martedì 5 maggio 2015

LA MALDICENZA - S. Francesco di Sales: La Filotea: Parte III - Capitolo XXIX



Il giudizio temerario causa preoccupazione, disprezzo del prossimo, orgoglio e compiacimento in se stessi e cento altri effetti negativi, tra i quali il primo posto spetta alla maldicenza, vera peste delle conversazioni. Vorrei avere un carbone ardente del santo altare per passarlo sulle labbra degli uomini, per togliere loro la perversità e mondarli dal loro peccato, proprio come il Serafino fece sulla bocca di Isaia.
Se si riuscisse a togliere la maldicenza dal mondo, sparirebbero gran parte dei peccati e la cattiveria. A chi strappa ingiustamente il buon nome al prossimo, oltre al peccato di cui si grava, rimane l'obbligo di riparare in modo adeguato secondo il genere della maldicenza commessa. Nessuno può entrare in Cielo portando i beni degli altri; ora, tra tutti i beni esteriori, il più prezioso è il buon nome. La maldicenza è un vero omicidio, perché tre sono le nostre vite: la vita spirituale, con sede nella grazia di Dio; la vita corporale, con sede nell'anima; la vita civile che consiste nel buon nome. Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la seconda, la maldicenza ci priva della terza. Il maldicente, con un sol colpo vibrato dalla lingua, compie tre delitti.- uccide spiritualmente la propria anima, quella di colui che ascolta e toglie la vita civile a colui del quale sparla. Dice S. Bernardo che sia colui che sparla come colui che ascolta il maldicente, hanno il diavolo addosso, uno sulla lingua e l'altro nell'orecchio. Davide, riferendosi ai maldicenti dice: Hanno affilato le loro lingue come quelle dei serpenti.

Il serpente ha la lingua biforcuta, a due punte, come dice Aristotele; tale e quale è quella del maldicente, che con un sol morso ferisce e avvelena l'orecchio di chi ascolta e il buon nome di colui di cui parla male.
Per questo ti scongiuro, carissima Filotea, di non sparlare mai di alcuno, né direttamente, né indirettamente. Sta attenta a non attribuire delitti e peccati inesistenti al prossimo, a non svelare quelli rimasti segreti, a non gonfiare quelli conosciuti, a non interpretare in senso negativo il bene fatto, a non negare il bene che sai esistere in qualcuno, a non fingere di ignorarlo, tanto meno poi devi sminuirlo a parole; agendo in questo modo offenderesti seriamente Dio, soprattutto se dovessi accusare falsamente il prossimo o negassi la verità a lui favorevole; mentire e contemporaneamente nuocere al prossimo è doppio peccato.
Coloro che per seminare maldicenza fanno introduzioni onorifiche, e che la condiscono di piccole frasi gentili, o peggio di scherno, sono i maldicenti più sottili e più velenosi.
Protesto, dicono, che gli voglio bene e che per il resto è un galantuomo, ma, continuano, la verità va detta: ha avuto torto nel commettere quella perfidia; quella è una ragazza virtuosissima, ma si è lasciata sorprendere..., e simili piccole cornici!
Non capisci dov'è l'arte? Chi vuol scoccare una freccia, la tira più che può a sé, ma è soltanto per scagliarla con maggior forza: si può anche avere l'impressione che costoro tirino a sé la maldicenza, ma è soltanto per scoccarla con maggior sicurezza, per farla penetrare più a fondo nel cuore di coloro che ascoltano.
La maldicenza portata sotto forma di scherno è la più cattiva di tutte; fa pensare alla cicuta che, di per sé, non è un veleno molto forte, anzi ha un'azione lenta e facilmente vi si può porre rimedio, ma se viene Il vino, è senza scampo; lo stesso è di una presa con maldicenza che, di natura sua, secondo il detto, entrerebbe da un orecchio e uscirebbe dall'altro e che invece penetra fortemente nella mente degli ascoltatori quando è presentata in un contesto di parole sottili e gioviali.
Dice Davide: Hanno il veleno dell'aspide sotto le loro labbra. La puntura dell'aspide è quasi impercettibile, e il suo veleno dà sulle prime un prurito gradevole, che allarga così il cuore e le viscere e favorisce così l'assorbimento del veleno, contro il quale non ci sarà più nulla da fare.
Non dire mai: Il tale è un ubriacone, anche se l'hai visto ubriaco davvero; quello è un adultero, perché l'hai visto in adulterio; è incestuoso perché l'hai sorpreso in quella disgrazia; una sola azione non ti autorizza a classificare la gente. Il sole si fermò una volta per favorire la vittoria di Giosuè e si oscurò un'altra volta per la vittoria del Salvatore; a nessuno viene in mente per questo di dire che il sole è immobile e oscuro.
Noè si ubriacò una volta; e così anche Lot e questi, in più, commise anche un grave incesto: non per questo erano ubriaconi, e non si può dire che quest'ultimo fosse incestuoso. E non si può dire che S. Pietro fosse un sanguinario perché una volta ha versato sangue, né che fosse bestemmiatore perché ha bestemmiato una volta.
Per classificare uno vizioso o virtuoso bisogna che abbia fatto progressi e preso abitudini; è dunque una menzogna affermare che un uomo è collerico o ladro, perché l'abbiamo visto adirato o rubare una volta soltanto.
Anche se un uomo è stato vizioso per lungo tempo, sì rischia di mentire chiamandolo vizioso.
Simone il lebbroso chiamò Maddalena peccatrice, perché lo era stata prima; mentì, perché non lo era più, anzi era una santa penitente; e Nostro Signore la difese. Quell'altro Fariseo vanesio considerava grande peccatore il pubblicano, ingiusto, adultero, ladro; ma si ingannava, perché proprio in quel momento era giustificato.
Poiché la bontà di Dio è così grande che basta un momento per chiedere e ottenere la sua grazia, come facciamo a sapere che uno, che era peccatore ieri, lo sia anche oggi? Il giorno precedente non ci autorizza a giudicare quello presente, e il presente non ci autorizza a giudicare il passato. Solo l'ultimo li classificherà tutti.
Non potremo mai dire che un uomo è cattivo senza pericolo di mentire. In caso che sia necessario parlare possiamo dire che ha commesso tale o tal'altra azione cattiva, che ha condotto una vita disordinata in tale periodo, che agisce male al presente; ma non è lecito da ieri tirare delle conclusioni per oggi, né da oggi per ieri, e ancor meno da oggi per domani.
Se è vero che bisogna essere molto attenti a non parlare mai male del prossimo, però bisogna anche guardarsi dall'estremo opposto, in cui cadono alcuni, i quali, per paura di fare della maldicenza, lodano e dicono bene del vizio.
Se ti imbatti in un maldicente senza pudore, per scusarlo, non dire che è una persona libera e franca; di una persona apertamente vanesia, non dire che è generosa e senza complessi; le libertà pericolose non chiamarle semplicità e ingenuità; non camuffare la disobbedienza con il nome di zelo, l'arroganza con il nome di franchezza, la sensualità con il nome di amicizia.
Cara Filotea, per fuggire il vizio della maldicenza, non devi favorire, accarezzare, e nutrire gli altri vizi; ma con semplicità e franchezza, devi dire male del male e biasimare le cose da biasimare; solo se agiamo in questo modo diamo gloria a Dio.
Fa però attenzione ed attienti a quello che ora ti dirò.
Si possono lodevolmente biasimare i vizi degli altri, anzi è necessario e richiesto, quando lo esige il bene di colui di cui si parla o di chi ascolta.
Facciamo degli esempi: supponi che in presenza di ragazze vengano raccontate delle licenziosità commesse da Tizio e da Caia: è una cosa senz'altro pericolosa; oppure supponi che si parli della dissolutezza verbale di un tale o di una tale, sempre esemplificando; o ancora di una condotta oscena: se io non biasimo chiaramente quel male, o, peggio, tento di scusarlo, quelle tenere anime che ascoltano, avranno la scusa per lasciarsi andare a qualche cosa di simile; il loro bene esige che, con molta franchezza, biasimi all'istante quelle sconcezze. Potrei riservarmi di farlo in un altro momento soltanto se sapessi di ricavarne sicuramente un miglior risultato togliendo allo stesso tempo importanza ai colpevoli.
P, necessaria anche un'altra cosa: per parlare del soggetto devo averne l'autorità, o perché sono uno di quelli più in evidenza nel gruppo; nel qual caso se non parlo, avrò l'aria di approvare il vizio: se invece nel gruppo non godo di molta considerazione, devo guardarmi bene dal fare censure.
Più di tutto Poi è necessario che io sia ponderato ed esatto nelle parole, per non dirne una sola di troppo: per esempio. se devo riprendere le eccessive libertà di quel giovanotto e di quella ragazza, perché chiaramente esagerate e pericolose, devo saper conservare la misura per non gonfiare la cosa nemmeno di un soffio.
Se c'è soltanto qualche sospetto, dirò soltanto quello; se si tratta di sola imprudenza, non dirò di più; se non c'è né imprudenza, né sospetto di male, ma soltanto materia perché qualche spirito malizioso faccia della maldicenza, non dirò niente del tutto o dirò soltanto quello che è,
Quando parlo del prossimo, la mia bocca nel servirsi della lingua è da paragonarsi al chirurgo che maneggia il bisturi in un intervento delicato tra nervi e tendini: il colpo che vibro deve essere esattissimo nel non esprimere né di più né di meno della verità.
Un'ultima cosa: pur riprendendo il vizio, devi fare attenzione a non coinvolgere la persona che lo porta. Ti concedo di parlare liberamente soltanto dei peccatori infami, pubblici e conosciuti da tutti, ma anche in questo caso lo devi fare con spirito di carità e di compassione, non con arroganza e presunzione; tanto meno per godere del male altrui. farlo per quest'ultimo motivo è prova di un cuore vile e spregevole.
Faccio eccezione per i nemici dichiarati di Dio e della Chiesa; quelli vanno screditati il più possibile: ad esempio, le sette eretiche e scismatiche con i loro capi. E’ carità gridare al lupo quando si nasconde tra le pecore, non importa dove.
Tutti si prendono la libertà di giudicate e censurare i governanti e parlar male di intere reazioni, lasciandosi guidare dalla simpatia: Filotea, non commettere quest'errore. Tu, oltre all’offesa a Dio, corri il rischio di scatenare mille rimostranze.
Quando senti parlare male, se puoi farlo con fondatezza, metti in dubbio l'accusa; se non è possibile, dimostra compassione per il colpevole, cambia discorso, ricorda e richiama alla mente dei presenti che coloro i quali non sbagliano lo devono soltanto a Dio. Riporta in se stesso il maldicente con buone maniere; se sai qualche cosa di bene della persona attaccata, dilla.
Capitolo XXX
ALTRI CONSIGLI SUL PARLARE
Il tuo modo di parlare sia pacato, schietto, sincero, senza fronzoli, semplice e veritiero. Tienti lontano dalla doppiezza, dall'astuzia e dalle finzioni. t vero che non tutte le verità devono sempre essere dette; ma per nessun motivo è lecito andare contro la verità.
Abituati a non mentire coscientemente, né per scusa, né per altro, ricordandoti che Dio è il Dio della verità. Se hai mentito inavvertitamente e puoi rimediare spiegando e correggendo, fallo subito: le scuse sincere hanno più delicatezza e più forza convincente per scusarci di qualunque menzogna.
Qualche volta è permesso, con prudenza e discrezione, alterare e nascondere la verità con un giro di parole; ma soltanto per motivi seri; quando lo richiedono, senza ombra di dubbio, la gloria di Dio e il suo servizio. Fuori di ciò, i giri di parole o le astuzie verbali sono pericolose perché, come dice la Parola di Dio, lo Spirito Santo non abita in un'anima falsa e doppia.
Nessuna finezza è migliore e più desiderabile della semplicità.
La prudenza mondana e le arti della carne sono caratteristiche dei figli di questo secolo; i figli di Dio invece camminano senza astuzie e hanno il cuore senza misteri. Chi cammina con semplicità, dice il Saggio, avanza con fiducia. La menzogna, la doppiezza, la simulazione sono segni di uno spirito debole e vile.
S. Agostino, nel IV libro delle Confessioni, dice che l'anima sua e quella del suo amico formavano un'anima sola, e che odiava la vita dopo la morte dell'amico, perché non se la sentiva di vivere a metà e, nello stesso tempo, temeva di morire, perché in tal modo anche l'amico avrebbe cessato di vivere totalmente. In seguito queste parole gli parvero troppo artificiose e studiate e così, nel Libro delle Ritrattazioni, le sconfessa e le chiama inezie. Cara Filotea, pensa quanto quella bella e sant'anima fosse sensibile all'affettazione delle parole! Senza dubbio il parlare in modo schietto, senza fronzoli e con sincerità, è un prezioso ornamento della vita cristiana.
"Ho detto, farò attenzione alle mie vie per non peccare in parole; Signore, metti le sentinelle alla mia bocca e una porta a chiusura delle mie labbra " cantava Davide.
E’ un consiglio del grande Re S. Luigi: Non contraddire mai nessuno a meno che non sia peccato o dal consenso ne consegua un grave danno; questo ti eviterà contestazioni e litigi. Quando è necessario contraddire qualcuno e opporsi all'opinione di un altro, bisogna usare molta dolcezza e una grande abilità, senza aver l'aria di aggredire chicchessia; non ci si guadagna mai a prendere le cose con asprezza. Il parlare poco, tanto raccomandato dagli antichi saggi, non va inteso nel senso di dire poche parole, ma di non dirne di inutili. Nel campo delle parole non si guarda alla quantità, ma alla qualità. Secondo me bisogna evitare i due estremi: darsi troppo un contegno sostenuto e severo, rifiutandosi di partecipare alla conversazione familiare, il che mi sembra che denoti mancanza di fiducia e anche un certo disprezzo degli altri; d'altra parte il ciarlare e il cicalare senza soste, senza mai lasciare spazio agli altri per dire una sola parola, sarebbe segno di leggerezza e insulsaggine.
S.Luigi trovava che non fosse ben fatto, quando si è in compagnia, parlare all'orecchio o fare conciliaboli; questo per non dare il sospetto che si stesse parlando di qualcuno. Diceva: Chi si trova a tavola, in buona compagnia, e ha da dire una cosa allegra e simpatica, la deve dire in modo che tutti la odano; se invece si tratta di un affare di importanza, non parli affatto.

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