domenica 19 luglio 2015

IL PROFETA ELIA PADRE DEL CARMELO - 20 luglio



Elia è il profeta del Dio vivente: il suo nome stesso, che significa: “JHWH è Dio”, è il vero programma della sua vita. E’ davvero uno dei più grandi uomini dell’Antico Testamento: l’uomo che sta alla Presenza del suo Dio. Lo zelo è il tratto essenziale della sua fisionomia e il suo simbolo il fuoco (Sir 48,1). Porta un messaggio molto rivoluzionario e originale, che si comprenderà meglio però alla conclusione della sua stessa vicenda. Il racconto biblico lo fa apparire, più di una volta, quasi all’improvviso, come una folgore, per trasmettere la parola di Dio.
L’empietà di Acab e Jezabele
Nativo di Tisbe, Dio lo aveva mandato al re di Samaria, Acab, che si era reso gravemente colpevole, istigato dalla perversa moglie Jezabele, per aver servito l’idolo Baal, e per essersi prostrato dinanzi a lui. Gli aveva eretto anche un altare e un palo sacro, irritando così il Signore Dio d’Israele, più di tutti i suoi predecessori. Per questo l’ira del Signore si era scatenata su di lui facendo risuonare la parola punitrice del profeta: “Per la vita di Jhwh, Dio d’Israele, alla cui presenza io sto: in questi anni non ci sarà né rugiada, né pioggia, fino a quando io lo dirò” (I Re, 17,1 ss). Perseguitato per questo da Acab, Elia, sempre per volere di Dio, rimane nascosto presso il torrente Cherit, nel folto verdeggiante e nelle grotte che si trovavano sul pendio, mentre i corvi gli portavano da mangiare. Egli beveva al torrente, che presto però si prosciugò; seguendo sempre la voce del Signore Elia cercò rifugio a Sarepta, a sud di Sidone, recandosi da una vedova, per avere un po’ di cibo. Così questa donna, che praticava la grande virtù orientale dell’ospitalità, gli offrì il poco cibo che le rimaneva, vedendo con gioia la moltiplicazione della farina e dell’olio nella giara; vide anche con stupore che il suo unico figlioletto morto, per la preghiera di intercessione del profeta, era ritornato in vita. Jezabele, la malvagia moglie di Acab, aveva meditato la sua vendetta contro Elia. Ella che era figlia del re di Tiro e sacerdote di Astarte, vedeva nella sua religione un mezzo per civilizzare tutta la Samaria. Ordinò dunque un giorno un massacro generale dei profeti di Jhwh, a cui poterono sfuggire solo un centinaio di persone, per la protezione di Abdia, maestro di palazzo, che seguiva il vero Dio, Jhwh. Elia trascorse a Sarepta tre lunghi anni, quando Dio stesso gli si rivolse ancora, per mandarlo ad Acab e far cessare la tremenda siccità.

Il monte Carmelo: luogo della sfida
Lo scontro fra i due personaggi è forte e tagliente. Elia ordina allora ad Acab di convocare sul Carmelo il popolo d’Israele e la comunità dei 450 profeti di Baal, sostenuti dalla regina Jezabele,. Vengono così a confronto due visioni religiose: quella del Dio vivente e quella di Baal di Tiro. La scena è davvero drammatica. Elia, che si proclama l’unico profeta rimasto fedele a Jhwh, lancia la sfida inesorabile, rimproverando il popolo per la sua incoerenza: si tratta di decidere chi è Dio. Se lo è Jhwh, Baal non solo è superato, ma neppure esiste. L’evento è pieno di umorismo, nelle parole di Elia ai profeti e nei suoi stessi gesti. (I Re 18,19). Ed ecco che la voce dei profeti di Baal, che gridano e danzano, ebbri fino al delirio, intorno all’altare posto al centro, invocando il loro Dio, rimane inascoltata: Elia, dopo averli espressamente derisi, «... prese dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei discendenti di Giacobbe. Con le pietre eresse un altare al Signore; scavò intorno un canaletto... dispose la legna, squartò il giovenco e lo pose sulla legna. Quindi disse: “Riempite quattro brocche d’acqua e versatele sull’olocausto e sulle pietre”». Lo fece fare per tre volte. La risposta di Dio alla voce di Elia che gli si era rivolto per essere esaudito nella sua richiesta, è bellissima e quanto mai incisiva: «Cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto. A tale vista tutti, prostrandosi a terra dissero: “Il Signore è Dio, il Signore è Dio!”». Immediatamente Elia, ordina alla folla di afferrare i profeti di Baal per ucciderli. L’idolatria è vinta! Il quadro è veramente suggestivo e impressionante.
Scroscia la pioggia
Elia, secondo la parola di Dio, deve ancora dire ad Acab che presto ritornerà a piovere nel paese: lo fa dopo essersi portato con il giovane che lo serviva a scrutare il cielo e a pregare per questo. Il giovane, invitato a guardare il cielo sette volte, alla fine vede una piccola nuvola, indice che la pioggia è prossima. Elia va ad avvisare Acab di attaccare subito i cavalli per tornare ad Izreel: la pioggia infatti cade subito a dirotto.
La prova di Elia
Eppure in questo profeta dalla linea ferrea, è vivo anche un senso di umanità e di povertà quando è colto dallo scoraggiamento; è vivo anche il senso della misericordia verso coloro che sono sopraffatti dall’ingiustizia o dalla sofferenza. Elia infatti, fino a questo momento, è stato un uomo molto sicuro di sé, desideroso di mostrare la sua potenza e la sua forza e di essere vittorioso sugli altri, anche al di là della Parola di Dio: ha ricercato insomma più se stesso, facendosi vedere uomo coraggioso e capace di farsi valere. Per trovare veramente Dio deve percorrere ancora un lungo cammino di prova, che lo renderà più umile, meno sicuro di sé: egli dovrà nascondersi per dare a Dio il suo vero posto. Jezabele manda messaggeri ad intimidirlo e a minacciarlo di morte. Elia allora, prima così pieno di sé e dell’aiuto del suo Dio, è stranamente preso da una forte crisi e fugge, profondamente intimidito da questa minaccia.
La nuova esperienza di Dio
Deve tornare, per riprendere l’antica fiducia, all’Oreb, alle sorgenti della pura fede. Non si sente migliore dei suoi Padri e chiede al suo Dio di farlo morire. Si addormenta sotto un ginepro. Un angelo lo sveglia e gli ordina di alzarsi e di mangiare. Elia con il pane offertogli e con l’acqua dell’orcio che gli è posto dinanzi, riesce a riprendere forza e a rimettersi in cammino. Andrà così fino all’Oreb, attraversando per quaranta giorni e quaranta notti il deserto, misteriosamente incoraggiato e nutrito. Se prima Elia si era mostrato come l’eroe che combatte per Dio, da questo momento, egli ritraendosi nel deserto, si immedesima con la Parola di Dio. Vuole attendere che Dio gli si manifesti, prima che egli stesso parli. Lo stile letterario esprime a questo punto la nuova esperienza di Dio: è essenziale, sobrio, scarno. Elia si rifugia in una caverna, sulla cima del monte. Probabilmente pensa, come Mosé, di incontrarsi con Dio. Ma Dio non gli si mostra né nel vento forte, né nella tempesta, né nel fuoco, con tutti i suoi fenomeni impressionanti. Egli allora si copre col mantello ed esce, fermandosi all’ingresso della caverna. Siamo in un clima che sottolinea la trascendenza: l’ebraico esprime la forte esperienza che Elia fa di Dio con queste parole: «qol demamah daqqa», ossia una “voce di silenzio svuotato”; sono parole difficili da interpretare che indicano la sua profonda estasi.. Parlano di un silenzio, che non è il silenzio che si ha perché mancano i suoni, ma di un silenzio cercato, che parla di ricerca, che non viene da sé. Di un silenzio perciò «procurato». Elia arriva così ad una conoscenza più reale di quel Dio, alla cui presenza vive, che è tale da cambiare la sua persona, da renderlo diverso, veramente “uomo di Dio”. Egli, dopo la crisi e la dura prova, si rivela d’ora in poi il vero contemplativo, il primo monaco, padre dei futuri monaci, che conosce in questa “voce di silenzio svuotato”, qualcosa di più profondo e vero della realtà divina. E ne rimane letteralmente trasformato. Il suo incontro è portatore di intimità, di profondo silenzio, di forza: Elia diventerà l’uomo umile, che si nasconde dietro la Parola di Dio. Questo fatto è il segno evidente dell’importanza che l’esperienza dell’Oreb ha avuto per la sua vita. C’è qui una rivelazione nuova del volto di Dio, inattesa. Elia mettendosi nelle mani di questo Dio, da ora in poi dovrà cambiare vita: non agirà più come prima in virtù della sua volontà, ma aspetterà che veramente il Signore gli parli, facendo solo così la Sua volontà. Un angelo gli affida una triplice investitura: di Hazael come re di Damasco, di Jehu come re d’Israele, di Eliseo come profeta. Così ha termine il grande incontro.
Le ultime vicende
Le ultime vicende, dopo la discesa dal monte sono più sfumate; dopo aver rimproverato aspramente Acab, secondo la Parola di Dio, per l’assassinio di Nabot (I Re 21,1), Elia riappare alla morte di Acazia, ove per due volte fa scendere il fuoco dal cielo sui soldati mandati a lui dal re. Una terza volta consente di andare presso Acazia, confermando l’annuncio della sua morte , a causa della sua infedeltà.
Il carro di fuoco
L’itinerario di Elia si svolge in due tempi fondamentali: da una parte l’esperienza dell’Oreb che cambia la sua vita e dall’altra l’apoteosi finale, il suo rapimento mistico. Elia scompare in circostanze dense di chiarezza e ancor più di mistero. Parte da Galgala per Betel e poi per Gerico con Eliseo, che presago della sua fine, vuole seguirlo, nonostante le sue insistenze di rimanere solo. Sulle rive del Giordano le acque, percosse dal mantello di Elia, si aprono. Egli si decide finalmente a riconoscere che sta per essere rapito in cielo e chiede ad Eliseo che cosa debba fare per lui. “Due terzi del tuo spirito diventino miei” dice Eliseo (2 Re, 2,7ss). I due terzi, nella mentalità ebraica, rappresentano la parte di eredità spettante al primogenito. Eliseo vuole essere riconosciuto quale primogenito del profeta Elia. Al che Elia risponde: “Se mi vedrai, ciò ti sarà concesso”. Eliseo vedrà Elia, in una specie di estasi profetica, con l’apparire del carro di fuoco e dei cavalli di fuoco e con l’improvviso suo elevarsi nel turbine, inseguito dal suo grido di figlio, cui il padre è strappato: Eliseo soffre per la dipartita del suo maestro, ma pur essendo “il suo discepolo” non riesce a comprendere bene cosa sia successo. Egli si strappa le vesti e raccoglie il mantello di Elia: non capisce che il profeta in una grande estasi, è salito al cielo, quasi in una ascensione, anticipatrice di quella che sarà poi l’ascensione di Gesù stesso.
Elia primo monaco
Nella figura del profeta Elia si sente il fascino dell’archetipo, dell’esemplare, pronto ad obbedire al suo Dio: Egli è fuoco e acqua, zelo e misericordia, azione e contemplazione. “...Unico nel tuo coraggio, possente nella tua audacia, tu corresti impavido in soccorso della verità...”, dice l’Ecclesiastico. C’è in Elia qualcosa di ricco e profondo: egli dopo la crisi del deserto, diviene l’uomo del distacco, dell’obbedienza, della purezza interiore e della preghiera. Forte è in lui il desiderio e la speranza di vedere il suo Dio, di essere in comunione con lui, quando è afferrato dalla Carità; Carità che trabocca nello sforzo di poterla comunicare ad altri, allontanandoli dal male. E’ diventato così, in un certo modo, Padre di tutto il monachesimo. Il luogo sacro per Elia non è più al di fuori, come il tempio di Gerusalemme: il suo santuario è dentro e viene percorso interiormente; è un pellegrinaggio interiore per incontrare il Dio vivo e vero. Leggendo il testo, illuminati dall’esperienza cristiana, ci si trova bene in sintonia con la parola stessa di Gesù: «Né sul Garizim né a Gerusalemme adorerete Dio, ma il Padre si adora in spirito e verità» (Gv 4, 20 –24). Questa esperienza storica di Elia, davvero originale, per molto tempo non è stata compresa, nel secondo secolo avanti Cristo è stata ripresa in parte dagli Esseni, i membri del popolo di Israele che si ritiravano nel deserto per una vita rigorosa per aderire a Dio secondo la Torah, praticata nella comunità di Qumran. Ma è un tesoro nascosto, che va tutt’ora ripenetrato e riscoperto. L’esperienza monastica lo farà risorgere, di generazione in generazione. É consegnata in eredità come un mantello: il Carmelo lo ha indossato e ne ha fatto il suo baluardo, considerando il S. Padre Elia come capostipite di tutti i suoi figli di ogni generazione.
Elia nella tradizione del popolo ebraico
Elia nella liturgia ebraica è presente nel rito di Pesach: un posto è lasciato vuoto proprio per richiamare la sua presenza. Racconta Chouraqui: «il mondo in cui noi vivevamo era popolato da presenze ineffabili di cui eravamo i soli a conoscere il segreto. Il profeta Elia quindi era seriamente atteso in ogni pasto di Pasqua, in ogni famiglia. Gli si preparava sedia e coperto». Narrano le leggende ebraiche che la pelle del capro sacrificato da Abramo servì ad Elia come cintura. Elia è considerato il patrono degli studenti della Torah e interviene nelle difficoltà legate allo studio «Si conserverà tutto questo così fino alla venuta del profeta Elia» afferma il trattato talmudico delle Benedizioni (24a). Ruolo di maestro e guida che anche i carmelitani sottolineeranno. Nel rito della circoncisione Elia è considerato presente. Edith proprio nel giorno in cui la Chiesa fa memoria della circoncisione di Gesù, ricevette il Battesimo. Negli ultimi giorni sarà ancora Elia che raccoglierà il popolo sparso sulla terra: «Se i vostri sono ai quattro angoli del cielo, da là le parole del Signore, vostro Dio, vi riuniranno alla voce di Elia, il grande prete e da là Elia vi condurrà per le mani del Messia Re».
Elia nella tradizione musulmana
I mussulmani chiamano Elia EL KHADER, il Verdeggiante nel Corano alla Sura XXXVII si dice di Elia: «In verità Elia era uno degli Inviati. Disse al suo popolo: «Non sarete timorati di Allah?». Invocherete Baal e trascurerete il Migliore dei creatori: Allah, il vostro Signore e il Signore dei vostri avi più antichi? Lo trattarono da bugiardo. Infine saranno condotti al castigo, eccetto i servi devoti di Allah. Perpetuammo il ricordo di lui nei posteri. Pace su Elia! Così ricompensiamo coloro che fanno il bene. In verità era uno dei nostri servi credenti.
Teresa Benedetta della Croce e il profeta Elia
S. Teresa Benedetta della Croce ha molto amato il profeta Elia. Citiamo alcuni passi delle sue opere che ne mettono in risalto la figura: Commentando un passo della Regola carmelitana ella scrive:

Meditare nella legge del Signore“ può essere una forma di preghiera quando assumiamo la preghiera nel suo ampio senso abituale. Ma noi pensiamo al “vigilare nella preghiera” come all’inabissarci in Dio, come è proprio della contemplazione, allora la meditazione ne è solo una via». «Vegliando in preghiera, esprime lo stesso che Elia disse con le parole: “Stare davanti al Volto del Signore”... La preghiera è guardare in alto al Volto dell’Eterno. Lo possiamo solo quando lo Spirito veglia nelle ultime profondità, sciolti da ogni attività e godimento terreno, che lo attutiscono. Essere vigilanti con il corpo non garantisce quest’essere vigilanti e la quiete, desiderata secondo la natura, non lo impedisce». «Non abbiamo il Salvatore solo nelle narrazioni dei testimoni sulla sua vita. Egli è presente a noi nel Santissimo Sacramento, e le ore di adorazione dinanzi al Massimo Bene, l’ascolto della voce del Dio eucaristico sono: “meditare la Legge del Signore” e “vigilare nella preghiera” nel contempo». «Elia ritornerà come testimone della rivelazione segreta, quando si avvicinerà la fine del mondo, nella lotta contro l’Anticristo per patire la morte dei martiri per il suo Signore».

Ella parla del popolo ebraico:

La Chiesa era fiorita, ma lontano rimaneva la massa del popolo, lontano dal Signore e da sua Madre, nemico della Croce. Esso erra qua e là e non può trovare riposo, oggetto di scherno e di disprezzo: Tale rimarrà fino all’ultima battaglia. allora prima che la Croce nel cielo appaia, prima ancora che Elia venga a radunare i suoi, il Buon Pastore in silenzio percorrerà le nazioni.

«Nella sua festa che festeggiamo al 20 luglio, il prete va all’altare con i paramenti rossi...In questo giorno il convento dei nostri padri sul monte Carmelo, che racchiude la grotta di Elia, è meta di folte schiere di pellegrini: ebrei, musulmani e cristiani di tutte le confessioni gareggiano nell’onorare il grande profeta».



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