venerdì 24 luglio 2015

San Charbel Makhlouf - Tema: Primato di Dio - Eremita


«Che cosa è il reale? chiedeva papa Benedetto XVI, il 13 maggio 2007. Sono «realtà» solo i beni materiali, i problemi sociali, economici e politici? Qui sta precisamente il grande errore delle tendenze dominanti nell'ultimo secolo, errore distruttivo, come dimostrano i risultati tanto dei sistemi marxisti quanto di quelli capitalisti. Falsificano il concetto di realtà con l'amputazione della realtà fondante, e per questo decisiva, che è Dio. Chi esclude Dio dal suo orizzonte falsifica il concetto di «realtà» e, in conseguenza, può finire solo in strade sbagliate e con ricette distruttive. La prima affermazione fondamentale è, dunque, la seguente: solo chi riconosce Dio, conosce la realtà e può rispondere ad essa in modo adeguato e realmente umano.»
La vita consacrata testimonia l'importanza di Dio. La vita in solitudine degli eremiti, in particolare, è «un invito per i propri simili e per la stessa comunità ecclesiale a non perdere mai di vista la suprema vocazione, che è di stare sempre con il Signore» (Giovanni Paolo II, Esortazione Vita consecrata, 25 marzo 1996, n. 7). Per illustrare questa verità, la Chiesa ci propone l'esempio di san Charbel Makhlouf.
A 140 chilometri a nord di Beirut, si trova Biqa-Kafra, il più alto villaggio del Libano, a 1600 metri di altitudine. Di fronte, si ammirano i famosi «Cedri di Dio». Gli abitanti di questi luoghi, dal carattere turbolento, sono buoni, ospitali e laboriosi. Come tutti i Maroniti (membri della Chiesa cattolica orientale fondata da san Marone, nei secoli IV-V), sono orgogliosi della loro fede e praticano la religione senza rispetto umano. Molto devoti alla Vergine Maria, recitano volentieri il suo Rosario. È in questo villaggio che nasce, l'8 maggio 1828, il quinto figlio di Antoun (Antonio) Makhlouf e Brigita (Brigida) Choudiac. Otto giorni dopo la nascita, riceve al santo Battesimo il nome di Youssef (Giuseppe). Animata da una pietà quasi monastica, Brigita Makhlouf è intransigente sulla preghiera in famiglia. La fervente partecipazione alla Messa e la recita quotidiana del rosario costituiscono gli elementi principali della sua devozione. Due suoi fratelli sono monaci nell'Ordine maronita libanese e vivono in un eremo a cinque miglia da Biqa-Kafra.

Mesi di attesa
Una sera, un drappello di soldati viene a requisire  Antoun Makhlouf per trasportare del materiale dell'esercito; impossibile rifiutare. Compiuta la sua missione, egli si ammala gravemente e muore. Solo dopo mesi di attesa inconsolabile Brigita capisce che è vedova. Due anni più tardi, nell'ottobre 1833, temendo di non poter provvedere alle necessità dei suoi, si risposa con un uomo molto religioso del villaggio. Poco dopo, questi, con il consenso di Brigitta e in conformità con la disciplina particolare delle Chiese orientali, viene ordinato prete. Youssef gli serve Messa e lo assiste in tutte le cerimonie; all'uscita dalla chiesa, il bambino va a scuola, dove impara a leggere, a scrivere e a pregare in siriaco. Egli s'impratichisce anche nei lavori dei campi e conduce al pascolo la sua mucca e le sue pecore sul pendio delle colline. La bellezza della natura lo incanta e tutto gli parla di Dio: gli alberi, i fiori, gli uccelli, le sorgenti...
Youssef si avvicina ai quattordici anni e i suoi compagni lo prendono in giro riguardo alla sua pietà chiamandolo «il santo». Ha preso l'abitudine di ritirarsi in una grotta per raccogliersi e pregare. Gli accade di sottrarre un po' d'incenso dalla sacrestia e di farlo bruciare davanti a una piccola immagine della Santissima Vergine che ha messo nella sua grotta. Spesso, Youssef si reca dai suoi zii eremiti per pregare e intrattenersi con loro. Attraversa la Qadisha, la Valle Santa, dove hanno vissuto molti eremiti, fin dal IV secolo. Un giorno, mentre cerca la sua capra che si è persa, Youssef penetra in una piccola foresta di cedri e si ferma per pregare davanti a un oratorio scavato in un albero. Improvvisamente, sente una voce pressante che gli dice: «Lascia tutto, vieni! Seguimi!» Senza infatuazione, ma con determinazione, decide di abbracciare la vita religiosa. Una mattina del 1851, si allontana discretamente dalla casa familiare. Temendo il suo zio e tutore, Tanios, che non vuole sentir parlare di vita monastica, e che conta sul lavoro del nipote, non ha avvisato nessuno della sua partenza. Il suo affetto per la madre e i famigliari è profondo, ma preferisce andarsene in segreto, senza effusioni. Si reca al monastero della Madonna di Mayfouq, uno dei più belli dell'Ordine maronita libanese, dove viene accolto come postulante. La tappa del postulandato dura solo pochi giorni e ben presto Youssef veste l'abito di novizio; sceglie il nome di Charbel, reso illustre nel 107 da un martire della Chiesa di Antiochia.
«Il Signore ti vuole»
Nel frattempo, a Biqa-Kafra si cerca Youssef dapper- tutto. Infine, uno zio eremita rivela che è entrato in convento. Tanios s'indigna e si precipita al monastero con alcuni membri della famiglia, tra cui Brigita. Il colloquio con il giovane monaco, alla presenza del Padre superiore, è burrascoso; Tanios e Brigita fanno valere numerose ragioni per opporsi alla sua partenza, ma fratel Charbel, pur esprimendo il suo dispiacere per aver fatto soffrire i famigliari con la sua fuga, rimane fermo nel suo proposito, sicuro che il Signore lo chiama a questo genere di vita. Dominando allora il suo dolore materno, Brigita prende le mani di suo figlio nelle proprie e gli dice: «Se tu non dovessi essere un buon religioso, ti direi: «Ritorna a casa!» Ma ora so che il Signore ti vuole al suo servizio! E nel mio dolore di essere separata da te, gli dico di benedirti e di fare di te un santo.»
Fratel Charbel trascorre un primo anno di noviziato nel monastero della Madonna di Mayfouq. Le sue giornate sono colme di ogni sorta di attività spirituali e manuali: canto dell'Ufficio sette volte al giorno, preparazione del pane, bucato, tessitura, lavori di calzoleria e di falegnameria, ecc. Egli deve soprattutto imparare tutta la liturgia corale dei monaci, perché conosce solo i riti della Messa del suo villaggio. Silenzioso e tenace, come gli abitanti delle sue montagne, s'impegna in tutto nell'obbedienza. Un anno dopo, il novizio viene orientato al monastero San Marone di Annaya. È un convento molto più isolato del precedente. Gli edifici, in pietre mal tagliate, hanno l'aspetto di una fortezza. Nei dintorni, si possono vedere rare case di contadini, capanne, rocce scoscese, vecchie querce e gelsi. Il secondo anno di noviziato trascorre in questo ambiente austero. Nel 1853, fratel Charbel viene ammesso a pronunciare i suoi voti di povertà, castità e obbedienza, e a ricevere l'abito di monaco professo; ha 25 anni.
Qualche giorno dopo, il Padre superiore dice a fratel Charbel: «Essendo terminato il vostro noviziato, il reverendissimo Padre Generale ritiene opportuno che vi dedichiate agli studi in vista del sacerdozio. Domani mattina, partirete per il monastero di San Cipriano di Kfifan.» In questo monastero si trova lo scolasticato, riservato esclusivamente alla formazione dei membri dell'Ordine. Il giovane monaco vi si dedica con ardore allo studio della teologia dogmatica e morale, degli scritti dei Padri della Chiesa, delle Conferenze spirituali degli antichi monaci e dei Padri del deserto. I suoi maestri, convinti che ogni sapere è un dono dello Spirito Santo e che vivere secondo lo Spirito di Cristo significa possedere la Saggezza eterna, chiedono ai loro allievi più vita spirituale che scienza. La scuola di Kfifan è diretta da un monaco che possiede una conoscenza eccezionale delle lingue semitiche e può così fa apprezzare ai suoi allievi le ricchezze contenute negli scritti dei Padri della Chiesa orientale, in particolare quelli di Sant'Efrem; questo cantore della Vergine Maria e dottore della Chiesa è caro ai maroniti, che gli devono la maggior parte dei loro testi liturgici. Durante i suoi sei anni di studi, fratel Charbel acquisisce un profondo amore delle Sacre Scritture. Egli ha sotto gli occhi l'esempio di padre Hardini, il «santo di Kfifan», la cui spiritualità si riassume in un amore ardente per Gesù nel Santissimo Sacramento e in una devozione filiale alla Vergine Maria onorata nel mistero della sua Immacolata Concezione. Il 14 dicembre 1858, fratel Charbel assiste alla morte di questo monaco venerato di cui ricorda in particolare un celebre detto: «Il saggio è colui che salva la sua anima!»
Fratel Charbel confida al suo maestro quanto è onorato di poter accedere al sacerdozio. «Essere prete, gli risponde quest'ultimo, è essere un altro Cristo. Per diventarlo, non c'è che una via: quella del Calvario! Intraprendetela senza cedimenti.» Il 23 luglio 1859, egli riceve l'ordinazione sacerdotale. Ritorna poi al monastero San Marone di Annaya. Lì lo attende una sorpresa: sono venuti tutti gli abitanti del suo villaggio, insieme con la sua mamma anziana che non ha potuto essere presente alla sua ordinazione sacerdotale. Il giovane sacerdote li benedice; ma rifiuta di ritornare al villaggio per celebrarvi una Messa.
Testimone di una presenza
Più che mai, l'unico scopo della sua vita consiste nel  cercare Dio e nell'unirsi a Lui vivendo in conformità con la Regola. «Il monaco non evade dal mondo se non per vivere alla presenza di Dio – così gli è stato insegnato – e, poiché la vita di Dio, la sua essenza, è amore, il monaco deve con la sua vita, con la sua totale fedeltà alla Regola, essere testimone di questa presenza di Dio nel mondo.» Tale fedeltà si concretizza nell'osservanza dei voti. L'obbedienza di padre Charbel è quella di un bambino piccolo nei confronti dei suoi genitori. Egli vede nei suoi superiori la persona di Cristo ed esegue i loro ordini con gioia e abbandono; ma obbedisce anche ai sui fratelli e a ogni persona alla quale può offrire il bene dell'obbedienza. La sua pratica della povertà è totale, sia nell'abbigliamento che nel cibo e nella sua cella. Non accetta mai il minimo denaro. Si impegna con vigilanza a custodire il voto di castità e a vegliare sui suoi sensi, il che non si fa senza lotte.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda che «il dominio di sé è un'opera di lungo respiro. Non lo si potrà mai ritenere acquisito una volta per tutte. Suppone un impegno da ricominciare ad ogni età della vita» (CCC, 2342). La lotta per la purezza richiede, oltre alla purezza d'intenzione e alla purezza dello sguardo, il ricorso alla preghiera. Sant'Agostino, rivolgendosi a Dio, scriveva: «Pensavo che la continenza si ottenesse con le proprie forze e delle mie non ero sicuro. A tal segno ero stolto da ignorare che nessuno può essere continente, se tu non lo concedi. E tu l'avresti concesso, se avessi bussato alle tue orecchie col gemito del mio cuore e lanciato in te la mia pena con fede salda» (Confessioni; cf. CCC 2520).
La castità di padre Charbel è la fonte di un atteggiamento pieno di carità e di rispetto nei confronti degli altri. Sa prendere bene le battute che alcuni si permettono su di lui e, a volte, rispondere allo scherzo con lo scherzo.
La preghiera di padre Charbel diventa continua. Trascorre gran parte della notte in preghiera. Celebra la Messa con molta attenzione, implorando la misericordia divina per gli uomini. La tradizione e la Regola dell'Ordine maronita libanese riservano un posto d'onore al culto della Santissima Vergine Maria. Questa è Regina, Patrona e Protettrice del popolo maronita, che non ha esitato a chiamare Maria «Cedro del Libano» nelle sue Litanie. Padre Charbel ama recitare ogni giorno il Rosario.
«Migliore della vostra così brava mamma»
I monaci maroniti, anche se dimorano abitualmente  nel chiostro, esercitano un apostolato nelle parrocchie dei villaggi circostanti. Padre Charbel non manca di portare il suo aiuto a questa missione. Uno dei suoi confratelli scrive di lui: «Padre Charbel procurava la gioia a coloro che si confessavano a lui. Io stesso spesso e volentieri ricorrevo a lui.» Un giorno, una donna anziana viene a cercare in fretta padre Charbel: «Padre, mio figlio sta morendo...» Il monaco entra nella sua casa e si avvicina al moribondo che non vuole riceverlo. Ma il Padre è già al suo capezzale: «Dove avete male? Se posso darvi sollievo, lo farò molto volentieri. – Ho un fuoco nel petto! Muoio di sete! – Coraggio, figlio mio, le vostre sofferenze vi purificano. Se Dio vuole richiamarvi a Lui, perché averne paura? Il Buon Dio è infinitamente buono, migliore anche della vostra così brava mamma che pure avete fatto molto soffrire!... Credete che se la vostra mamma fosse Dio e vi giudicasse, sareste tanto tormentato? Non siete voi il figlio diletto della Madre Immacolata?» Il Padre dà allora da bere al malato un'acqua che ha benedetta; subito dopo, questi si confessa e riceve l'assoluzione nelle migliori disposizioni.
Fin dalla sua fondazione da parte di san Marone, l'Ordine maronita libanese si è impegnato in un'immensa opera di civilizzazione nei campi spirituale, sociale e culturale. I monaci hanno appreso le arti e i mestieri di cui si facevano in seguito promotori. Si incontravano tra di loro tipografi, pittori, muratori, fabbri, falegnami, tessitori, sarti, calzolai, viticoltori, ecc. Padre Charbel riserva, accanto alle sue attività missionarie e contemplative, un posto importante al lavoro manuale. In ogni stagione, si dedica ai lavori domestici e campestri.
Nel corso degli anni, padre Charbel si sente chiamato alla vita eremitica. Ogni monastero del Libano possiede a quell'epoca degli eremitaggi e degli eremiti. Per sei anni, il Padre si mette alla scuola di un eremita ottantenne che vive nell'eremo di Annaya. L'uomo può, in effetti, vivere in solitudine per darsi esclusivamente alle realtà divine, ma, secondo l'osservazione di san Tommaso d'Aquino, questo è sovrumano (Summa Theologica, II, 188, a. 8, ad 5m). Pertanto la Chiesa stessa è molto prudente ad autorizzare qualcuno di abbracciare la vita eremitica. Questa può essere praticata solo da uomini già sperimentati nella virtù e di cui si prevede prudentemente la perseveranza.
Acqua che brucia
Il 13 febbraio 1875, l'eremita presso il quale padre  Charbel si formava alla vita solitaria muore. L'eremo è vacante, il Padre chiede di ritirarvisi, ma il suo Superiore esita. Prende sulla sua scrivania un incartamento importante che consegna a padre Charbel dicendo: «Mi farebbe una relazione su questo lavoro? È piuttosto urgente. Vi autorizzo a vegliare, se è necessario.» Il Padre si ritira con le carte e passa in cucina per far riempire d'olio la sua lampada che è vuota. Per fargli uno scherzo, uno dei servitori riempie la lampada con acqua e gliela riporta. Il Padre accende tranquillamente la sua lampada e si mette al lavoro. Il servitore è sorpreso del risultato: la lampada brucia come se fosse piena d'olio! Corre dal Padre superiore, gli confessa il suo scherzo e ne descrive il risultato inatteso. Il Superiore va da padre Charbel e gli rimprovera, nonostante l'autorizzazione concessa, di vegliare così tardi; poi gli prende la lampada. Senza giustificarsi, padre Charbel chiede perdono per amore di Cristo. Il Superiore rientra nella propria cella e constata che la lampada contiene effettivamente solo acqua. Questo fatto miracoloso gli serve come segno dell'autenticità della vita spirituale di padre Charbel, che egli autorizza a ritirarsi nell'eremo. Vi trascorrerà ventitré anni, uscendo solo per qualche missione specifica che gli verrà affidata per il bene delle anime, nei dintorni.
L'eremita è un testimone del primato assoluto di Dio. A un mondo fuorviato dagli idoli, dal piacere, dal denaro, dalla concupiscenza, egli mostra che Dio è l'unico fine dell'uomo, Colui che da solo basta. L'eremita non è abbandonato alla sua propria iniziativa: segue una Regola molto precisa, una disciplina minuziosa, e rimane sotto il controllo costante e attento di un superiore. L'ascesi che pratica padre Charbel è discreta, senza nulla di teatrale né di spettacolare: nessuna rigidità nell'anima del Padre, ma un ascolto dello Spirito Santo, una profonda adorazione e una straordinaria semplicità di cuore in un abbandono filiale a Cristo.
«Chi conosce Dio? chiede papa Benedetto XVI. Come possiamo conoscerlo?... Per il cristiano il nucleo della risposta è semplice: solo Dio conosce Dio, solo suo Figlio che è Dio da Dio, Dio vero, lo conosce. Ed Egli, che è nel seno del Padre, lo ha rivelato (Gv 1,18). Di qui l'importanza unica ed insostituibile di Cristo per noi, per l'umanità. Se non conosciamo Dio in Cristo e con Cristo, tutta la realtà si trasforma in un enigma indecifrabile; non c'è via e, non essendoci via, non ci sono né vita né verità. Dio è la realtà fondante, non un Dio solo pensato o ipotetico, bensì il Dio dal volto umano; è il Dio-con-noi, il Dio dell'amore fino alla croce. Quando il discepolo arriva alla comprensione di questo amore di Cristo «fino alla fine», non può mancare di rispondere a questo amore se non con un amore simile: Ti seguirò dovunque tu vada (Lc 9,57)» (13 maggio 2007).
Padre Charbel intercede per tutti coloro che gli vengono raccomandati o che vengono condotti a lui. Un uomo aveva perso la testa ed era diventato pericoloso per se stesso e per gli altri. Viene accompagnato all'eremo. Padre Charbel gli ordina di seguirlo nella cappella, poi legge il Vangelo al di sopra della sua testa. Immediatamente, l'uomo è guarito!
Protetti dall'aspersione
Nel Vicino Oriente, le cavallette costituiscono per i  raccolti un vero flagello. Vengono dal sud e divorano l'erba, le foglie e persino la corteccia degli alberi. «Nel 1885, racconta un Padre, un nugolo di cavallette, velando letteralmente il sole, si abbatté su Annaya e i villaggi vicini. Vedendo il terribile pericolo, il Superiore ordinò all'eremita Charbel di benedire dell'acqua e di andare ad aspergere i campi. Tutti i campi che egli poté raggiungere furono protetti. Gli abitanti dei dintorni aspersero le colture con acqua benedetta da lui. Anch'esse furono preservate. Per riconoscenza, un centinaio di persone si recheranno al monastero al momento del raccolto, e mieteranno gratuitamente i campi dei religiosi.»
Vivendo di Dio e per Dio, padre Charbel diventa un tramite tra cielo e terra. Sacerdote preso fra gli uomini, non rimane mai indifferente alle loro afflizioni. Vuole essere per tutti una protezione spirituale; porta senza sosta il mondo a Dio attraverso i suoi sacrifici di riparazione e d'intercessione e soprattutto con le sue Messe. Egli celebra la Messa secondo la liturgia maronita, la cui lingua sacra è il siriaco. Il 16 dicembre 1898 alle 11, vestito della casula, ma tutto intirizzito dal freddo, sale all'altare come Cristo al Calvario. Alla consacrazione, prende con fatica l'ostia nelle sue mani coperte di geloni, quando viene colto da un malessere. Il suo confratello, padre Macarios, rendendosi conto che non può continuare il Santo Sacrificio, lo aiuta a riposarsi un po'. Poco dopo, l'eremita risale all'altare e consacra le Sante Specie, ma il male lo riprende e non può proseguire. Bisogna allora riaccompagnarlo nella sua cella. Per otto giorni, il Padre resta in un'agonia tranquilla nonostante le sofferenze. Egli ripete le parole della Messa che ha dovuto interrompere: «Padre della verità, ecco tuo Figlio... [Egli] è morto per me, e sarò in Lui perdonato. Ecco l'oblazione, ricevila dalle mie mani, affinché io sia gradito ai tuoi occhi, e non ricordarti dei peccati che ho commesso davanti alla tua Maestà...» È con queste parole, unite ai nomi benedetti di Gesù, di Maria e di Giuseppe, di Pietro e di Paolo, patroni del suo eremo, che il servo di Dio lascia questa terra per la patria celeste, nella beata notte del 24 dicembre.
Ben presto molti prodigi si realizzano grazie all'intercessione di padre Charbel. Tra le centinaia di fatti straordinari attribuiti alla sua intercessione, due sono stati ufficialmente riconosciuti come miracolosi e hanno servito per la sua beatificazione, avvenuta il 5 dicembre 1965. È stato canonizzato il 9 ottobre 1977.
Lo stile di vita degli eremiti «non è proposto a tutti come un carisma inimitabile», ricordava papa Paolo VI, in occasione della canonizzazione di san Charbel. Ma essi testimoniano, con la loro appassionata ricerca dell'assoluto, che Dio vale la pena di essere adorato e amato per se stesso; ricordano a tutti il primato di Dio che destina ogni uomo alla partecipazione alla sua Beatitudine. Che san Charbel ci attiri su questa via dell'amore di Dio e della felicità !
Dom Antoine Marie osb
 
"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
 


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