sabato 12 settembre 2015

San Giovanni Crisostomo Vescovo e dottore della Chiesa - 13 settembre



Crisostomo”, vale a dire “bocca d'oro”, fu il soprannome dato a Giovanni a motivo del fascino suscitato dalla sua arte oratoria. Nato ad Antiochia in una data non precisabile tra il 344 e il 354, Giovanni si dedicò agli studi di retorica sotto la direzione del celebre Libanio; pare che questi lo stimasse a tal punto da rispondere a chi gli chiedeva chi volesse come suo successore: “Giovanni, se i cristiani non me lo avessero rubato!” Dopo aver ricevuto il battesimo, Giovanni frequentò la cerchia di Diodoro, il futuro Vescovo di Tarso: nel gruppo di discepoli che si radunavano attorno a costui imparò a leggere le Scritture secondo il metodo antiocheno, attento alla spiegazione letterale dei testi, e compì i primi passi lungo quel cammino spirituale che lo condurrà a lasciare la città e a vivere alcuni anni in solitudine sul monte Silpio, nei pressi di Antiochia.
Rientrato in città, fu ordinato diacono dal Vescovo Melezio nel 381 e, cinque anni più tardi, presbitero dal Vescovo Flaviano, che gli fu maestro non solo di eloquenza, ma anche di carità e saldezza nella fede. Furono anni di intensa predicazione: Giovanni commentava le Scritture secondo i principi esegetici della scuola antiochena, aliena da ogni allegorismo e sostanzialmente fedele alla lettera del testo biblico. La predicazione di Giovanni si traduceva sovente in esortazione morale: ora, veniva presa di mira la passione per gli spettacoli che eccitava i cristiani di Antiochia, ora la rilassatezza dei costumi. Con grande zelo esorta a radicare la propria vita di credenti nella conoscenza delle Scritture, a vivere un'intensa vita spirituale senza ritenere che essa sia riservata soltanto ai monaci, a praticare la carità nella cura sollecita per il “sacramento del fratello”. “È un errore mostruoso credere che il monaco debba condurre una vita più perfetta, mentre gli altri potrebbero fare a meno di preoccuparsene ... Laici e monaci devono giungere a un'identica perfezione” (Contro gli oppositori della vita monastica 3, 14).

Nel 397 Giovanni fu chiamato a Costantinopoli quale successore del Patriarca Nettario. Nella capitale dell'impero il nuovo Patriarca si dedicò con grande zelo alla riforma della Chiesa: depose i Vescovi simoniaci, combatté l'usanza della coabitazione di preti e diaconesse, predicò contro l'accumulo delle ricchezze nelle mani di pochi e contro l'arroganza dei potenti, e destinò gran parte dei beni ecclesiastici a opere di carità. Anche a Costantinopoli continua il suo ministero di predicatore della Parola e di operatore di pace. La sua opera di evangelizzazione si estende ai goti e ai fenici. Intransigente quando la fede è minacciata, predica l'amore per il peccatore e per il nemico. “Il popolo lo applaudiva per le sue omelie e lo amava”, afferma lo storico Socrate (Storia ecclesiastica 6, 4).
Tutto questo gli procurò molti amici e molti nemici: amato dai poveri come un padre, fu osteggiato dai potenti, che vedevano in lui una temibile minaccia per i loro privilegi. L'inimicizia nei suoi confronti crebbe con l'ascesa al potere dell'imperatrice Eudossia. Costei, nel 403, con l'appoggio del Patriarca di Alessandria, Teofilo, indisse un processo contro Giovanni e lo fece deportare e condannare all'esilio. Il decreto di condanna fu revocato dopo poco tempo e Giovanni poté rientrare in diocesi, ma solo per pochi mesi. Durante la celebrazione della Pasqua del 404 le guardie imperiali fecero irruzione nella cattedrale della città provocando uno spargimento di sangue; vi furono disordini per diversi giorni. Poco dopo la festa di Pentecoste, Giovanni fu arrestato e nuovamente condannato all'esilio. Per evitare mali ulteriori, il Patriarca lasciò la casa episcopale uscendo da una porta secondaria; si congedò dai Vescovi riuniti in sacrestia e fece chiamare la diaconessa Olimpia e le sue compagne, che conducevano una vita comunitaria a servizio della chiesa nella casa accanto a quella del Vescovo. “Venite, figlie, ascoltatemi. Per me è giunta la fine, lo vedo. Ho terminato la corsa e forse non vedrete più il mio volto” (Palladio, Dialogo sulla vita di Giovanni Crisostomo, 10). Con queste parole il padre si accomiata dalle sue figlie spirituali.
Giovanni fece appello al papa Innocenzo I, che ne riconobbe l’innocenza; ma ciò nonostante fu costretto a lasciare Costantinopoli. Alla sua partenza vi furono tumulti in città: venne appiccato fuoco a una chiesa adiacente al palazzo del senato e questo fornì un pretesto alle autorità imperiali per arrestare e perseguitare i seguaci di Giovanni. Questi fu confinato a Cucuso, una piccola città dell'Armenia, ma anche in questo luogo sperduto era raggiunto dalle manifestazioni di affetto dei suoi fedeli, e così i suoi nemici provvidero a farlo partire per una sede ancora più lontana. Avrebbe dovuto raggiungere Pizio, sul Ponto, ma morì lungo il viaggio, a Comana, stremato dalle marce forzate a cui era stato sottoposto. Era il 14 settembre 407.
Gloria a Dio in tutto: non smetterò di ripeterlo, sempre dinanzi a tutto quello che mi accade!” (Lettere a Olimpia, 4). In queste parole troviamo condensata la testimonianza di Giovanni; anche in mezzo alle molte tribolazioni che occorre attraversare per entrare nel regno dei cieli (cf. At 14, 22), Giovanni “Boccadoro” ci insegna a cogliere la luce della risurrezione che già si sprigiona dalla croce e a portare la croce nella luce del Cristo risorto. Allora ogni discepolo può proclamare con gioia: “Gloria a Dio in tutto!”.
Il Martirologio romano, come pure i sinassari orientali, hanno iscritto la festa di Giovanni al 27 gennaio, anniversario del ritorno del corpo a Costantinopoli. Attualmente nel calendario romano la sua festa è celebrata il 13 settembre. Nello stesso giorno la festa è celebrata presso i siri. La Chiesa bizantina lo festeggia anche il 30 gennaio, insieme a San Basilio e a San Gregorio di Nazianzo, e il 13 novembre, giorno del suo ritorno dall'esilio. In Oriente si incontrano molti monasteri a lui dedicati. Dottore della Chiesa, Giovanni circonda con i Santi Atanasio, Ambrogio e Agostino, la Cattedra del Bernini nell'abside della Basilica Vaticana. Papa Giovanni XXIII pose il Concilio Vaticano II sotto la sua protezione.


IL CRISTO NEI MISERI E NEI PICCOLI di San Giovanni Crisostomo

Allorché si disprezza il povero, è Cristo che si disprezza; perciò la colpa è enorme. Lo stesso Paolo ha perseguitato il Cristo perseguitando i suoi, ed è per questo ch'egli si sente dire: Perché mi perseguiti? (Atti, 9,4). Ogni qualvolta facciamo l'elemosina, studiamoci di aver le stesse disposizioni d'animo come se dessimo al Cristo stesso, poiché le sue parole sono più degne di fede dei nostri stessi occhi. Quando vedi un povero, ricordati dunque di quelle parole con cui il Cristo ti rivela che è lui che tu puoi soccorrere. Poiché anche se ciò che appare non è lui, tuttavia, sotto quella forma, è lui stesso che mendica e che riceve. Tu arrossisci, allorché senti che il Cristo è mendicante! Arrossisci piuttosto di non dar nulla allorché egli mendica. Lì è la vergogna, lì è la pena e il castigo. Se egli mendica, lo fa per amore, e dobbiamo commuoverci; ma il non dare, è una crudeltà da parte tua. Se tu non credi che trascurando un fratello in miseria, è il Cristo che tu trascuri, dovrai pur crederlo quando ti farà comparire in mezzo ai suoi e dirà: Qualunque cosa non avete fatto ad uno di questi piccoli, non l'avete fatta a me (Mt. 25,45).
* * *
A che serve ornare di vasi d'oro la mensa del Cristo. se proprio lui muore di fame? Comincia col rifocillarlo quand'è affamato, allora potrai decorar la sua tavola col superfluo. Dimmi: se, vedendo qualcuno privo del sostentamento indispensabile, tu lo lasciassi con la sua inedia e andassi ad abbellire la sua tavola con vasi d'oro, te ne sarebbe egli riconoscente? O non piuttosto indignato? O ancora, se vedendolo vestito di cenci e intirizzito per il freddo, tu lo lasciassi senza vesti per erigergli delle colonne d'oro, pretendendo in tal modo di onorario, non direbbe che ti prendi scherno di lui e con la più raffinata ironia?
Confessa a te stesso che così tu agisci verso il Cristo, allorché egli va pellegrino, straniero e senza riparo, e tu, senza riceverlo, decori i pavimenti, le pareti e i capitelli delle colonne. Tu appendi lampadari con catene d'argento, e quando egli è incatenato, tu non vuoi andare a consolarlo. Non dico questo per riprovare questi ornamenti, ma affermo che bisogna fare una cosa senza omettere l'altra; anzi, che bisogna iniziare da questa, dal soccorrere il povero.
Fra voi qualcuno forse dirà: se mi fosse dato di poter ospitare san Paolo, lo farei con grande premura. Ed ecco che ti è possibile accogliere in casa tua il Signore di san Paolo, e tu non lo vuoi! Chiunque accoglierà un piccolino come questo, in nome mio, accoglie me, dice Gesù (Mt. 18,5). Più il fratello è piccolo, più il Cristo è presente in lui. Chi riceve un personaggio lo fa spesso per vanagloria; ma chi riceve un povero lo fa unicamente per amor di Cristo.

Omelia 88 su Mt.: PG 58, 778-779. - Om. 50 su Mt.: PG 58, 509. - Om. 45 sugli Atti: PG 60, 318.


Articoli correlati per categorie



Nessun commento:

Posta un commento