sabato 26 dicembre 2015

V Mistero gaudioso - Gesù ritrovato nel tempio - Lc 2, 41-50 - Meditazioni sul Vangelo di Eugenio Pramotton

Lc 2, 41-50
Quando Dio trasgredisce la legge

Normalmente, quando si recita il rosario, non ci si rende conto delle stranezze o dei misteri contenuti nell'episodio richiamato dalle parole: "Gesù ritrovato nel tempio". Ma a ben vedere abbiamo qui il racconto di un'enormità che, se non ce la lasciamo sfuggire, può diventare un'occasione per comprendere meglio l'agire di Dio. Il fatto sconcertante della vicenda è che la più elementare legge dell'amore: Non fare a nessuno ciò che non piace a te (Tb 4, 15), viene clamorosamente trasgredita da Dio stesso. A nessuno infatti piace lo stato di ansietà e di angoscia, quindi si dovrebbe evitare di procurare ad altri ansietà e angoscia. Ora, se Gesù voleva rimanere a Gerusalemme per intrattenersi con i dottori del tempio, la più elementare buona educazione esigeva che avvertisse Maria e Giuseppe delle sue intenzioni.
Il "peccato di omissione" commesso da Gesù è tanto più grave quanto più è intenso e puro l'amore di Maria e Giuseppe nei suoi confronti. Se uno non avvisa gli amici che non può venire ad una cena, è grave, ma se non avvisa la moglie che si trattiene a cena con gli amici, la gravità è molto maggiore a causa dell'amore più grande con cui è legato a sua moglie. Gesù dunque si assume la responsabilità di procurare apprensione e angoscia a coloro che gli sono particolarmente cari. E questo è un fatto molto misterioso.
Il guaio è che anche con l'età adulta le cose non migliorano. Quando Marta e Maria mandano a dire a Gesù che il suo amico Lazzaro è molto malato, Egli, invece di rispondere prontamente alle sorelle che sono nel dolore e nell'apprensione, Si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava (Gv 11, 6); Lazzaro muore e a Marta e Maria, oltre al dolore per la morte del fratello, se ne aggiunge un altro non meno profondo per l'incomprensibile comportamento di Gesù. In entrambi i casi, proprio coloro che sono uniti a Gesù da particolare affetto vengono feriti e turbati nel loro amore verso di Lui.


non si capisce più niente

Sorge allora spontanea la domanda: Perché ci hai fatto questo? Risposta: … Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? E com'è che per occuparsi delle cose del Padre suo Gesù, potendolo, non si preoccupa di evitare tribolazioni e angosce alle persone più care? Forse che la correttezza nei rapporti personali non fa parte delle cose del Padre suo? O tra queste cose sono previste anche le tribolazioni e le angosce?
Da notare ancora che Gesù non si preoccupa affatto di chiedere scusa per il disagio e le angustie provocate dal suo comportamento, segno che ha agito con piena avvertenza e deliberato consenso. Il che non fa che aggravare e rendere più incomprensibile quanto è accaduto. Non a caso l'evangelista annota: Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro (Lc 2, 50). Quindi non compresero perché aveva fatto questo. Ed è un'affermazione sconcertante. Dobbiamo infatti considerare chi sono coloro che non comprendono. Sono due persone di grande santità che hanno più volte dimostrato grande docilità ai disegni divini. Sono due persone dalla vita di preghiera intensa, abituate a meditare la Scrittura e che reciprocamente si aiutavano a comprendere e percorrere le vie di Dio. Tuttavia, nonostante queste disposizioni favorevoli, che difficilmente si possono trovare riunite in altri casi con altrettanto valore, Maria e Giuseppe non comprendono il comportamento e le parole di Gesù, non comprendono l'agire di Dio. E non lo comprendono perché in coloro che amano è impossibile pensare che un amore possa venir trascurato, offeso, tradito. Se questo accade la ferita che si produce è tanto più dolorosa e profonda quanto più è puro e sensibile il cuore di colui che ama.
Se Gesù avesse detto a Maria e Giuseppe : Vi avverto che dopo la festa devo rimanere a Gerusalemme per ascoltare e interrogare i dottori del tempio, non ci sarebbe stato nessun dramma, nessuna angoscia o tribolazione. Così come non ci sarebbe stata angoscia in Marta e Maria se Gesù fosse subito accorso presso Lazzaro, oppure avesse provveduto a guarirlo da lontano. Invece tutto accade come se Gesù avesse un cuore duro e insensibile, come se l'Amore non rispondesse all'amore, come se l'Amico si comportasse da nemico.

… e si entra in contraddizione

Allora nel cuore di Maria e Giuseppe, di Marta e Maria vengono a scontrarsi queste due esperienze: da un lato quella gratificante e beatificante dell'amore di Gesù, ossia di un amore capace di rispondere veramente e pienamente alle attese più profonde del cuore umano, dall'altra quella dolorosa e angosciosa provocata dal fatto che l'amore sembra smentire se stesso e non risponde come sarebbe giusto aspettarsi da una persona amata e amante. Che fare quando ci si trova in simili circostanze? Non c'è molto da fare, si soffre e si geme e basta. Potrebbero tuttavia essere utili le seguenti considerazioni. In simili casi non è tanto un atto di intelligenza o di comprensione della situazione che è richiesto, perché la drammaticità del momento consiste proprio nell'impossibilità di comprendere gli eventi che bisogna attraversare.
È invece più conveniente favorire un certo spirito di fiducia, di speranza e di abbandono, piuttosto che lasciar prevalere uno spirito di rivolta e di disperazione che spinge a rompere i rapporti con Dio. È più conveniente farGli credito, avere ancora fiducia in Lui anche se i fatti parlano contro di Lui e aspettare che la luce torni a splendere e l'Amore a esercitare la sua consolazione. Infatti Marta e Maria saranno grandemente consolate sia dalla risurrezione di Lazzaro sia nel veder riconfermata la loro amicizia con Gesù. E Maria e Giuseppe godranno di nuovo lunghi anni senza scosse di intimità con Gesù. Rimane il fatto che in un certo momento della loro storia qualcosa di misterioso e doloroso è accaduto. Allora, che significato o quali significati può avere quanto è successo?
Penso che certi eventi non sono di immediata comprensione, anzi, i più li comprenderemo pienamente solo nella visione beatifica. Nel frattempo conviene imitare l'atteggiamento della Santa Vergine che custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore (Lc 2, 19).

… ciò che accade a tutti

Un possibile sviluppo della meditazione è il seguente: quanto è successo a Maria e Giuseppe, a Marta e Maria, ossia vivere momenti di angoscia causati dall'impossibilità di comprendere i disegni di Dio quando questi sembrano contraddire le leggi dell'amore, è un'esperienza che tutti gli uomini, in varia misura, prima o poi fanno. È un'esperienza che tocca i ricchi e i poveri, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani. In ogni uomo infatti c'è un'aspirazione alla conoscenza, all'amore, alla gioia, alla giustizia, ad una pienezza di vita stabile e duratura. Tutti cercano di darsi da fare per raggiungere in qualche modo questi beni, per saziare e dissetare il loro cuore.
Tuttavia, anche nei casi più fortunati, l'uomo riuscirà ad ottenere solo qualche goccia dell'acqua che cerca, riuscirà a godere solo a momenti e in modo incompleto la vita, l'amore e la gioia che desidera. Inoltre, non solo non riesce a raggiungere la felicità a cui aspira, ma è raggiunto e visitato da un'impressionante assortimento di guai e tribolazioni, tra cui la tribolazione più grave, inevitabile e certa che è la morte, la quale, abbastanza presto manda i segnali della sua prossima venuta. Ogni uomo quindi, in modo più o meno cosciente, a più riprese e con varia intensità si trova a vivere momenti di angoscia causati dallo scontro di queste due esperienze: da un lato quel poco di felicità che è riuscito a raggiungere e dall'altro tribolazioni di varia natura che tendono a indebolire e distruggere la sua felicità. Da un lato le sue aspirazioni ad una pienezza di vita e di gioia senza fine, dall'altro l'impossibilità di ottenere quanto desidera.
Allora, come Maria, ogni uomo potrebbe rivolgere al suo Creatore la domanda: Perché ci hai fatto questo? Oppure la versione un po' attenuata della stessa domanda: Perché hai permesso questo? Domande che sorgono sempre quando si è colpiti da eventi drammatici. Eventi che sembrano smentire sia la bontà di Dio, sia la sua giustizia, sia la sua provvidenza. In queste circostanze si sente spesso dire: Se Dio ci fosse non permetterebbe tali cose; poi, più o meno consapevolmente, si conclude: Siccome tali cose sono successe allora Dio non esiste. E c'è chi tira un sospiro di sollievo avendo trovato un solido argomento per giustificare la propria scelta di vivere come se Dio non ci fosse. In realtà, chi si rifugia in simile ragionamento è come se si rifugiasse in una casa costruita sulla sabbia. In effetti è molto più faticoso e impegnativo costruire sulla roccia, ossia vivere l'angoscia di non poter conciliare due dati inconciliabili con le sole forze umane, vale a dire: tali cose sono successe eppure Dio esiste.
Allora, ogni uomo che faticosamente cerca una risposta all'enigma doloroso e angoscioso della sua esistenza, in realtà, che lo sappia o no, assomiglia a Maria e Giuseppe quando angosciati cercano Gesù, perché solo Lui è la risposta a ogni enigma della nostra storia, solo Lui può conciliare ciò che sembra inconciliabile, solo Lui è l'approdo di ogni nostra ricerca e di ogni nostra aspirazione.

Un pensiero di santa Teresina di Lisieux

Giunti a questo punto è forse possibile intravedere un primo motivo del comportamento di Gesù nei confronti di Maria e Giuseppe, di Marta e Maria. Esso è espresso da santa Teresina di Lisieux nella poesia Perché ti amo Maria! Ecco cosa dice in proposito: Adesso io comprendo il mistero del tempio, le parole nascoste del mio Re amabile. / Madre, il dolce tuo Figlio vuole che tu sia l'esempio dell'anima che lo cerca nella notte della fede. Quell'Adesso io comprendo sta ad indicare che, come la santa Vergine, Teresina ha conservato a lungo nel suo cuore, senza comprendere, quanto Gesù aveva compiuto in quella circostanza. Da notare ancora che senza incertezze, senza tentennamenti, Teresina attribuisce quanto è accaduto ad una precisa volontà di Gesù. Volontà che si propone di offrire a coloro che Lo cercano un modello, un punto di riferimento e un aiuto quando si troveranno nella stessa notte, nelle stesse angosce, negli stessi turbamenti.
Siccome tutti gli uomini sono chiamati prima o poi a doversi confrontare con il doloroso enigma dell'esistenza, Maria e Giuseppe sono dati come soccorso a tutta l'umanità, anche se i più non sanno che qualcuno dall'alto li comprende e li aiuta. Per coloro poi che hanno fede, per i cristiani che meditano questo mistero piuttosto doloroso che gaudioso, diversi sono gli insegnamenti e gli aiuti di cui possono beneficiare.

Stranezze

Intanto sapere che qualunque sia la situazione dolorosa che si sta attraversando, è possibile ricorrere con fiducia alla comprensione e all'aiuto di chi, prima di noi, ha vissuto momenti di buio e di angoscia in cui era impossibile comprendere come Dio andava conducendo gli eventi. Poi non bisogna stupirsi se, nonostante una vita di fede, di preghiera, di ricerca, di energie spese per Dio e i fratelli, capita di dover attraversare momenti in cui non si comprende più l'agire di Dio, momenti dolorosi e angosciosi in cui Dio da amico sembra trasformarsi in nemico. Questa è una situazione abbondantemente documentata nella Bibbia; basta pensare ad Abramo, Giacobbe, Geremia, Giobbe, a certi salmi, a certe vicende della storia di Israele…
Uno dei momenti in cui si ha questa impressione è quando Dio si propone di purificare la vita di una comunità o di un credente, quando attacca con decisione ogni egoismo, ogni chiusura, ogni ripiegamento sul proprio io, ogni orgoglio… oppure quando vuole purificare il nostro affetto dal suo pericoloso attaccamento ai beni di questo mondo e alla vita presente. Allora, per una illusione ottica della nostra vista malata, pensiamo che Dio sia nostro nemico mentre in realtà il suo amore si sta preoccupando della nostra guarigione e della nostra perfezione.
Questo caso non sembra però riguardare Maria e Giuseppe, il loro amore e i loro affetti erano già sufficientemente puri e rivolti a Gesù da non aver bisogno di essere purificati. Allora perché vengono trattati in quel modo? Potrebbe essere di aiuto considerare l'andamento di una storia d'amore. Una storia d'amore non è qualche cosa di statico, ma di dinamico, è qualcosa che tende a crescere. E un evento che molto contribuisce a far crescere l'amore è il momento della prova; se la prova viene superata l'amore cresce, diventa più bello, più forte, più profondo; se non viene superata l'amore s'incrina e rischia di rompersi. Siccome Dio vuole far crescere nel suo amore coloro che già lo amano, è inevitabile che proprio coloro che gli sono particolarmente cari siano sottoposti a delle prove. Le prove, di vario peso e natura, sono però in vista del premio che è la crescita nell'amore; perché una volta superata la prova si possa ricevere la corona della vita (Gc 1, 12).
Alcuni ingredienti che caratterizzano i momenti di prova sono proprio quelli osservati durante queste riflessioni: l'amore che smentisce se stesso, Dio che da amico diventa nemico, l'impressione che Dio stia chiedendo troppo, l'impossibilità di comprendere come Dio conduce gli eventi, Dio che sembra non mantenere le promesse e quindi sia sleale, aridità e sentimento dell'assenza di Dio, pesantezza e fatica nella vita quotidiana, esperienza dolorosa del non senso e della vanità della vita, il trionfo dei nemici di Dio mentre la tribolazione si abbatte in maniera sproporzionata sui suoi amici, impossibilità di scorgere vie d'uscita, l'impressione e spesso la constatazione della vittoria delle tenebre e della morte… E Dio tace, e Dio non interviene…

Rivelazione del cuore dell'uomo

Ma cosa succede in questi momenti di disagio, di inquietudine, di turbamento e di angoscia? Succede che viene manifestato e posto in piena luce ciò che c'è nel cuore dell'uomo, ossia vengono rivelati sia la bontà e il pregio del nostro amore, sia le nostre povertà e le nostre miserie. Se in una storia d'amore non ci fossero i momenti di prova non si potrebbe neanche sapere quanto in realtà vale l'amore di colui che ama. Così, quando Dio scompare, si nasconde, non si vede e non si sente, l'amore di Maria e Giuseppe, e il nostro amore, tanto più si rivela grande quanto più nella notte, nelle ansie e nei disagi si mette alla ricerca di Gesù.
Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo (Lc 2, 48). Se non ci fosse questa ricerca inquieta e dolorosa vorrebbe dire che non ci importa molto di Gesù. Se uno procede tranquillo e sereno in questa vita, vuol dire che non gli importa molto dell'altra vita, quella vera, quella in cui la tranquillità e la serenità dipendono dalla fruizione svelata dell'amicizia di Dio. La nostra stoltezza è nell'ostinata pretesa di vivere tranquilli e sereni senza Dio. Se uno è sconvolto per il fatto che la provvidenza di Dio non provvede, la sua giustizia sia ingiusta, il suo amore sia inefficace… vuol dire che il comportamento di Dio nel governo della propria storia e della storia del mondo non gli è indifferente. Vuol dire che se Dio si comporta bene è contento e se non si comporta bene ne soffre.
Allora, in questi momenti di disagio e di angoscia non dobbiamo temere, come non hanno temuto Maria, Giobbe, il salmista, di porre a Dio la domanda: Perché ci hai fatto questo? Bisogna però fare attenzione che la domanda sia posta con lo spirito giusto, con il tono giusto. Di solito per trovare la giusta intonazione, perché si formi in noi lo spirito giusto, sono necessari molti esercizi e tempi non brevi. Esercizi e tempi che non sono tanto decisi da noi, ma che accettiamo di subire perché non possiamo farne a meno, perché ormai ci troviamo coinvolti in una lotta con Dio che dovrà inevitabilmente concludersi con una vittoria o una sconfitta.

Lotta con Dio

Vi è dunque un modo corretto e un modo scorretto di interrogare Dio, vi è un modo corretto e uno scorretto di lottare con Lui. Un primo aspetto di correttezza da parte nostra è quello di imparare ad accettare la lotta, ossia di non fuggire spaventati o cercare di attenuare le provocazioni a cui il momento di prova ci costringe. È inevitabile e normale che nei momenti di prova si abbia paura e si voglia fuggire, ma dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti (Sal 138, 7-8). Allora conviene cercare da qualche parte "Il coraggio di aver paura" (titolo di un'opera del padre M. D. Molinié op) e non fare come i figli di Efraim che voltarono le spalle nel giorno della battaglia (Sal 77, 9).
L'altra cosa da non fare è attenuare le provocazioni e lo sconcerto a cui la prova ci costringe. Questa è una tentazione frequente nelle persone devote che hanno per patroni gli amici di Giobbe. Ora, la cosa stupefacente nel libro di Giobbe è che coloro che si impegnano a fondo nel difendere Dio dalle accuse di Giobbe, vengono alla fine rimproverati per la loro stoltezza, mentre Giobbe, che si impegna a fondo ad accusare Dio, a chiamarlo in giudizio, a rimproverargli di non comportarsi bene, viene alla fine lodato e glorificato per aver detto di Dio cose rette (Gb 42, 8). Giobbe è quindi il patrono di coloro che lottano come si deve con Dio.
Alcuni esempi, paradossali e corretti, di gemiti, di interrogativi, di lamenti, di imprecazioni, che possono sorgere durante questa lotta sono: Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: "È stato concepito un uomo!" (Gb 3, 3). Penso e ho paura di lui (Gb 23, 15). L'anima dei feriti grida aiuto, ma Dio non bada a queste suppliche (Gb 24, 12). Non è forse così? Chi può smentirmi e ridurre a nulla le mie parole? (Gb 24, 25). Svegliati, perché dormi, Signore? (Sal 43, 24). Io sono sazio di sventure, la mia vita è sull'orlo degli inferi…perché Signore mi respingi? Perché mi nascondi il tuo volto (Sal 87, 4; 15). Perché vedendo i malvagi, taci mentre l'empio ingoia il giusto? (Ab 1, 13). Hai allontanato da me amici e conoscenti, mi sono compagne solo le tenebre (Sal 87, 19). Meglio per me morire che vivere (Gn 4, 3; 8). Ammirevole il candore e la familiarità con cui Mosè si rivolge a Dio per dirgli che, contrariamente alle promesse, i fatti dicono che Tu non hai per nulla liberato il tuo popolo (Es 5, 23)…
A questo punto si impone la domanda: perché Giobbe viene lodato mentre i suoi amici vengono rimproverati? Oppure: che cosa caratterizza la maniera corretta di lottare con Dio o di superare la prova e che cosa caratterizza la maniera scorretta? Penso che Giobbe venga lodato perché nel momento della prova ha aderito e si è mantenuto nella verità, mentre i suoi amici hanno avuto paura della verità e si sono rifugiati nella menzogna. Giobbe dice la verità che ha nel cuore (Sal 14, 2 nuova trad. CEI). La verità nel cuore di Giobbe e di chiunque è nella prova consiste nel riconoscere, nel prendere onestamente atto che ci sono due elementi contrastanti: da un lato il presentimento che Dio è buono e non può essere ingiusto, dall'altro fatti schiaccianti che smentiscono questo presentimento. Il presentimento della bontà di Dio genera e alimenta la confidenza, i fatti che smentiscono la sua bontà generano e alimentano la paura di Dio.
Giobbe e chiunque è nella prova si trova alle prese con questa miscela esplosiva che da origine a un combattimento dall'andamento alterno. A volte sembra prevalere la confidenza, a volte sembra che gli eventi uccidano la confidenza. Il difetto degli amici di Giobbe è di non accogliere in tutta la loro verità e drammaticità questi due elementi. La loro stoltezza consiste nell'insistere a voler conciliare con le sole forze umane due elementi inconciliabili. Allora, paradossalmente, prendere le difese di Dio può manifestare una mancanza di confidenza in Lui, un'insufficiente adesione alla verità dei misteri in cui siamo immersi.
La grandezza gigantesca di Giobbe invece, consiste nell'accettare in tutta la sua verità e misteriosità la vicenda incredibile che si trova a vivere. L'incredibile vicenda in cui, proprio lui che è amico di Dio, si trova suo malgrado, costretto dalla forza degli eventi, a doverlo accusare. Ma proprio questo rivela che Giobbe è abitato da una confidenza che i suoi amici non hanno. Confidenza talmente profonda che lo fa essere così sicuro della bontà di Dio da non temere di rimproverarlo e chiamarlo continuamente in giudizio. Lo dice lui stesso: Questo mi sarà pegno di vittoria, perché un empio non si presenterebbe davanti a Lui (Gb 13, 16).
Giobbe non comprende assolutamente nulla di quanto gli sta capitando; un po' perché certe cose sono impossibili da capire con le sole forze umane, e un po' perché è chiamato ad essere il precursore, la figura, di qualcosa che dovrà accadere poi, ossia di Gesù innocente agonizzante sulla croce. La certezza della bontà di Dio e la sproporzione della tribolazione che si è abbattuta su di lui sono come le due braccia della croce a cui Giobbe è inchiodato. Come Gesù sulla croce Giobbe agonizza, e il suo interrogativo diventa sempre più simile all'interrogativo di Gesù e di Maria: Dio mio, Dio mio… perché mi hai abbandonato? (Mt 27, 46), Figlio, perché ci hai fatto questo?…(Lc 2, 48). Perché, perché, perché?
La stoltezza degli amici di Giobbe, e nostra, è nella pretesa di poter rispondere a certi interrogativi con le sole forze umane, nella pretesa di rispondere a certi fatti con delle spiegazioni o dei ragionamenti. Anche se un ragionamento fosse corretto secondo la Scrittura e la teologia più profonda, non potrebbe mai costituire una risposta pienamente soddisfacente allo stato di crocifissione di chi è nella prova. La parola che risolve uno stato di crocifissione è una parola che Dio ha riservato a sè. Lo stato di crocifissione è una situazione che può essere risolta esclusivamente da una manifestazione del Volto di Dio.
Giobbe lo intuisce e lo dice: Vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso (Gb 19, 26-27). Tutti i suoi discorsi sono in fondo una disperata richiesta, una disperata supplica perché il volto buono di Dio infine si manifesti. Giobbe lotta con il segreto desiderio di essere vinto dalla manifestazione luminosa e innocente del volto di Dio. E così avviene, ad un certo punto il suo interrogativo trova la giusta intonazione, la domanda è posta con lo spirito giusto e allora Dio si manifesta e lo libera dalle sue angosce, lo glorifica e lo dichiara innocente. Giobbe vince perché in fondo voleva essere vinto dalla bontà e dalla giustizia di Dio.
Non vincono e lottano in maniera scorretta coloro che trascurano, attenuano o respingono il presentimento della bontà di Dio e favoriscono lo spirito di rivolta, coloro che dallo scandalo del male e dal loro stato di infelicità, traggono argomenti per accusare Dio senza che, come Giobbe, dispiaccia loro di doverlo accusare, anzi, trovano un certo compiacimento o soddisfazione nelle loro accuse. Nella partita fra l'innocenza e la colpevolezza di Dio, fanno il tifo e si danno da fare perché Dio sia dichiarato colpevole e loro innocenti. Come i sommi sacerdoti e gli scribi che accusavano Gesù con insistenza (Lc 23, 10). Lotta in maniera scorretta chi si ostina a cercare di far prevalere la propria idea di felicità e la propria miope visione sul mistero della vita. Il rischio che si corre a lottare in maniera scorretta con Dio non è di poco conto, si rischia di vincere, ossia di sconfiggere la luce, la pazienza e la misericordia di Dio precipitando così nella dannazione eterna.

La manifestazione del volto di Dio

Conviene a questo punto considerare e sottolineare che l'esito positivo di un momento di prova comporta sempre una manifestazione del volto di Dio. Come Giobbe viene liberato dalle angosce quando Dio finalmente gli parla, ossia si rivela, così l'angoscia di Maria e Giuseppe si placa quando finalmente rivedono il volto di Gesù, lo stesso accade per Marta e Maria. Potrebbe inoltre avere un significato il fatto che a placare l'angoscia di Maria e Giuseppe sia il volto di un dodicenne. Più che in un adulto sul volto di un giovinetto si possono leggere i tratti dell'innocenza, e questo può rispondere all'impressione che si ha quando si è nella prova, ossia che Dio sia troppo duro, ingiusto, cattivo… e quindi colpevole. Ma colui che ci ha fatto questo, contrariamente alle apparenze, è invece un giovinetto innocente. Nel momento in cui Dio si rivela, rivela anche la sua innocenza, e a volte pure quella di chi è nella prova quando questi, come nel caso di Giobbe, poteva avere l'impressione che quanto gli stava capitando dipendeva da qualche sua colpa. Tu scrivi contro di me sentenze amare e su di me fai ricadere i miei errori giovanili (Gb 13, 26).
Tutto questo non è solo per Giobbe, Maria e Giuseppe, Marta e Maria… ma deve valere e vale anche per noi oggi. In ogni tempo chiunque è nella prova ha diritto e alla fine ottiene una manifestazione del volto di Dio. Bisogna sapere che è così e disporsi con umiltà e fermezza a desiderare questa manifestazione. Il salmo ci incoraggia e ci suggerisce le parole da dire: Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto (Sal 26, 8-9). Fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi (Sal 74, 4). Per una dottrina solida e sicura su ciò che caratterizza una manifestazione autentica del volto di Dio e in che cosa si distingue dalle imitazioni, è bene rivolgersi a dottori di chiara fama come S. Teresa d'Avila e S. Giovanni della Croce.
Tuttavia, almeno qualche cenno, anche se molto incompleto e imperfetto, può essere utile. Intanto bisogna dire che questa manifestazione non può e non deve essere una fantasia, un sentimento superficiale, una facile emozione, la proiezione di un nostro desiderio, ma è un fatto interiore profondo, qualcosa che succede dentro di noi in tempi e modi imprevedibili, qualcosa che non dipende assolutamente dalla nostra volontà, ma ci sorprende. È un'impressionante e precisa risposta al nostro turbamento e alle nostre più profonde attese, è una risposta che scioglie lo stato di angoscia o di crocifissione e dona la pace.
Lascia nell'anima un senso di stupore e di ammirazione per la grandezza, la maestà e la bontà di Dio. A volte questa manifestazione è accompagnata dal dono delle lacrime, ossia dall'esperienza di un amore che sovrabbondantemente e al di là di ogni attesa, colma, avvolge, sazia e beatifica l'anima. Fa nascere una più grande umiltà, desiderio di solitudine e silenzio. Si vede chiaramente che ciò che si sa e si dice su Dio è più che altro una conoscenza per sentito dire. Tutto questo è impossibile da produrre o riprodurre a nostro piacimento, è un dono. Dono che muove alla gratitudine e fa crescere nell'amore di Dio.

Aspetti pedagogici

Bisogna tuttavia considerare che questa manifestazione è "una manifestazione", non è ancora "la manifestazione", quella definitiva, quella che davvero dona la pace e la beatitudine senza fine. Maria e Giuseppe rivedono il volto di Gesù, la loro angoscia si placa, ma non comprendono ancora perché Lui ha fatto questo. Pur nella pace ritrovata rimane qualche cosa di irrisolto, ed è l'indicazione che bisogna procedere ancora, bisogna conservare e meditare nel proprio cuore quanto è accaduto e attendere ulteriori luci, più profonde rivelazioni. Il Mistero in cui siamo immersi non ci lascia facilmente tranquilli…
Questo ci suggerisce che l'episodio del ritrovamento di Gesù nel tempio può anche avere una motivazione pedagogica. Gesù ha fatto fare a Maria e Giuseppe un'esperienza simile ad un'altra che dovranno fare poi; perché quando questa si presenterà la possano vivere e superare meglio grazie agli insegnamenti assimilati in occasione della sua perdita e del suo ritrovamento. Per Giuseppe qualcosa di simile accadrà nell'ora della sua morte e per Maria nell'ora della passione, morte e risurrezione di Gesù. Anche allora saranno giorni di turbamento, di tribolazione e di angoscia, anche allora l'amato Figlio sembrerà definitivamente e irrimediabilmente perduto. Ma anche allora dopo tre giorni quel Figlio sarà ritrovato. Ritrovato nel tempio di Dio, ossia la natura umana di Gesù verrà ritrovata nella gloria della risurrezione innalzata alla destra del Padre.
Ma l'aspetto pedagogico della perdita e del ritrovamento di Gesù potrebbe anche essere considerato da un altro punto di vista, dal punto di vista del cuore di Gesù; nel senso che il turbamento, il dolore, l'angoscia, l'inquietudine di Maria e Giuseppe in occasione della sua perdita e della sua ricerca, è simile al dolore, all'inquietudine, all'agonia di Gesù nella sua ricerca di ogni uomo che si è perduto. Così, in quell'esperienza dolorosa, Gesù univa più strettamente al suo i cuori di Maria e Giuseppe, proprio perché anche loro, in una certa misura, passavano attraverso un dolore simile al suo. E così avviene anche tutte le volte in cui coloro che amano si trovano di fronte a un'indelicatezza, un'incomprensione, un'offesa, un rifiuto, un tradimento del loro amore. Tutte le volte che all'amore non si risponde con l'amore e allora sorge la domanda: Perché mi hai fatto questo? È la domanda dei crocifissi, di coloro che amando invece di amore ottengono in cambio spine, flagelli, percosse.
Nella liturgia del venerdì santo questo interrogativo è ampiamente sviluppato e dettagliato: O mio popolo, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!… Io apersi davanti a te il mare: e tu con la lancia mi hai aperto il fianco. …Io ti innalzai con grande potenza: e tu mi hai sospeso al legno della croce. "O mio popolo, perché mi hai fatto questo?". È la domanda di chi non può pensare che un amore possa venir trascurato, offeso, tradito… E come Maria e Giuseppe non comprendono la risposta che Gesù ha dato al loro interrogativo, ossia al loro amore, così è come se Gesù non riuscisse a comprendere la risposta che l'umanità dà al suo amore. All'incredibile e stupefacente amore di Dio, l'umanità risponde facendolo morire sulla croce. È davvero un'incomprensibile risposta!...

Verso le profondità dei Misteri

Ci stiamo inoltrando qui nelle profondità dei misteri, dove non si può fare altro che balbettare, barcollare e infine tacere. Un primo mistero è che Dio, che non ha bisogno di nulla al di fuori di sé essendo perfettamente felice, beato e soddisfatto da ciò che trova in sé, decide un bel giorno di produrre qualche cosa fuori di sé. Ma non è possibile che questa decisione sia stata presa alla leggera, in modo superficiale, senza un'attenta valutazione dei pro e dei contro. Non è possibile che ciò che ha deciso di produrre non corrisponda ad un progetto preciso e dettagliato in cui nulla è lasciato al caso; non è possibile che in questo progetto qualcosa gli sia incomprensibile o gli sfugga di mano. Quindi sapeva fin dall'inizio, prima di mettere in moto tutto quanto, che le cose sarebbero andate a finire come sono finite, ossia con la morte in croce di Gesù.
Inoltre bisogna considerare che invece di questo progetto poteva benissimo pensarne un altro; e invece no. Ha previsto un disegno in cui degli esseri liberi avrebbero messo in croce suo Figlio e quello ha voluto. Ha voluto mettere in scena un dramma in cui gli attori principali sono la miseria e la misericordia. E la miseria ha dovuto produrla dal nulla. Ha fatto l'uomo e allora si è riposato, avendo uno cui potesse perdonare i peccati (S. Ambrogio - Exameron 6, 10, 76). Tutto è previsto e predisposto perché ad un certo punto entri in scena l'Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo (Ap 13, 8 nuova trad. CEI), il quale consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l'avete crocifisso e l'avete ucciso (At 2, 23). Lui, che è la Vita, muore perché noi, morti, possiamo riavere la vita.
Un altro aspetto singolare di questo disegno è che Dio … ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia (Rm 11, 32), e questi disobbedienti sono scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità (Ef 1, 4). Ma per diventare santi bisogna lavare e rendere candide le proprie vesti con il sangue dell'Agnello (Ap 7, 14). Tutta questa disobbedienza, questa miseria, questo sangue deve risolversi o sfociare nella gloria. A lode della sua gloria… in Cristo Gesù (Ef 1, 12).
Di questo grandioso e misterioso progetto le liturgie pasquali invitano a rallegrarsi. Ma attenzione, il motivo della gioia non è perché vengono considerati solo gli aspetti luminosi della vicenda, anzi, gli aspetti paradossali e sconcertanti, proprio perché sovranamente dominati dalla gloria, vengono posti in piena luce.
Esulti il coro degli Angeli, esulti l'assemblea celeste, un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto. Gioisca la terra inondata da così grande splendore; la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo… L'Agnello ha redento il suo gregge, l'Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre…/… Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa…/… O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio! Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di vedere un così grande redentore!…
Di fronte a questo misterioso e vertiginoso progetto che la Scrittura svela e rivela, come Giobbe dovremmo metterci la mano davanti alla bocca e non parlare più (Gb 40, 4-5). Come Maria e Giuseppe dovremmo ammettere di non capire ciò che misteriosamente il Signore ci dice. Se non hanno capito loro perché ha fatto questo figuriamoci noi. Tuttavia, anche noi dovremmo conservare e meditare nel nostro cuore tutte queste cose, se non altro, capendo di non capire diventeremmo un po' più umili. Il fatto che molte cose non le possiamo capire è anche perché sono ancora nascoste e saranno svelate solo nella visione beatifica. Ciò che saremo non è stato ancora rivelato(1Gv 3, 2). Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano (1Cor 2, 9)… A lui onore e gloria nei secoli. Amen.         

Eugenio Pramotton


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