mercoledì 17 febbraio 2016

Giustizia e Misericordia - di Eugenio Pramotton




Il grande cardinale Giacomo Biffi, in una catechesi, faceva suo con soddisfazione un pensiero mordente di un altro grande, don Divo Barsotti, il pensiero era questo: "Oggi, nel mondo cattolico, Gesù Cristo è una scusa per parlare d'altro".
Una considerazione analoga si può fare a proposito della misericordia: "Oggi, nel mondo cattolico, la misericordia è un pretesto per dichiarare il peccato inesistente". Infatti, generalmente si sente parlare della misericordia a senso unico, ossia slegata dal suo rapporto essenziale con la giustizia; ma non si può comprendere correttamente la misericordia senza comprendere anche la giustizia e non si può comprendere correttamente la giustizia senza comprendere anche la misericordia. Se si parla della misericordia senza parlare della giustizia si rischia di offrire a chi ascolta un fungo velenoso, ossia un fungo che assomiglia in maniera impressionante a un fungo buono, ma in realtà contiene un veleno mortale. Il veleno consiste nel favorire l'illusione secondo cui sarebbe possibile ottenere misericordia senza che ci sia chiesto di accettare un certo timore e un certo tremore, senza la necessità di piegare le ginocchia per supplicare una salvezza che non ci è dovuta; in una parola, senza il riconoscimento del nostro peccato; ma quando il riconoscimento del peccato è serio genera inevitabilmente smarrimento, sconcerto, timore, tremore... Pensiamo a Pietro quando ha tradito Gesù, ad Adamo ed Eva quando hanno tradito il loro Dio; a Davide quando Natan gli mostra l'orrore di cui è stato capace uccidendo Uria...


Evidentemente per comprendere il rapporto fra giustizia e misericordia conviene rivolgersi al Signore, perché è Lui solo che può dirci come stanno effettivamente le cose. La parabola del re misericordioso e del servo malvagio (Mt 18, 23-35) è particolarmente illuminante a questo proposito. "Un re volle fare i conti con i suoi servi..."; l'andamento della parabola mostra cosa accade quando i nostri comportamenti sono esaminati alla luce di Dio; ciò che accade è che ci scopriamo debitori nei confronti dell'amore di Dio come quel servo che aveva accumulato un debito enorme, diecimila talenti, ossia un debito impossibile da estinguere. Ma cosa comporta scoprire di avere un debito che non siamo in grado di saldare? Comporta l'angoscia e il tormento di chi si trova in una situazione senza vie d'uscita; significa prendere atto di un fallimento; significa riconoscere che pesa su di noi una giusta sentenza di condanna: "Il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito".
Ecco il compito della giustizia, renderci consapevoli della nostra reale situazione davanti a Dio. Quindi, se veramente non resistiamo alla Luce della giustizia, se la lasciamo operare in noi secondo il suo genio, questa ridurrà in frantumi la nostra presunzione, la nostra arroganza, il nostro orgoglio... e ci preparerà un cuore contrito e umile, un cuore da cui può sgorgare una supplica autentica, una richiesta di pietà senza arroganza, ossia un cuore adatto ad essere accolto dalla Luce della misericordia. "Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: «Signore abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa»". A questo punto nel cuore del servo possiamo osservare: il riconoscimento della giusta sentenza, l'appello alla misericordia, un certo dolore per il male commesso, l'intenzione di rimediare in qualche modo al debito contratto. Ma una volta che sono sorte queste disposizione per opera della giustizia, e non prima, ecco che può entrare in gioco la misericordia; la misericordia poi, quando interviene, ci sorprende al di la di ogni attesa, infatti, il servo aveva chiesto del tempo per poter estinguere il debito, ma la misericordia glielo condona interamente; la giustizia condannava lui e i suoi a essere venduti come schiavi, ma la misericordia li libera dalla schiavitù. Il servo passa così, inaspettatamente, dall'umiliazione del fallimento alla riabilitazione, dall'inquietudine al sollievo, dall'angoscia alla pace.
La parabola del Signore ci dice dunque che la condizione per ottenere misericordia passa per l'accettazione di un'inquietudine e di un'angoscia, l'inquietudine e l'angoscia di sapersi debitori insolventi nei confronti dell'amore di Dio. La Santa Vergine nel magnificat sintetizza in maniera sorprendente il rapporto fra la giustizia e la misericordia quando canta: "Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono". Dobbiamo dunque "temere" Dio per ottenere misericordia, ma temere Dio, temere di offenderlo, temere di non riuscire ad amarlo quanto merita di essere amato, è un compito che non riusciamo a compiere da soli, infatti, è solo la giustizia di Dio che può mostrarci quanto è giusto che Lui sia amato sopra ogni cosa, e nello stesso tempo quanto noi non lo amiamo; questa duplice luce ha il compito di frantumare il nostro cuore per renderlo contrito e umile, ossia adatto a ricevere la misericordia che di generazione in generazione si stende su quelli che lo temono.
Noi abbiamo bisogno di misericordia, non perché siamo afflitti da innumerevoli mali, ma perché Dio ci ama con un amore folle e noi non lo amiamo; da questo male vengono a noi tutti gli altri mali. Il Signore abbia pietà di noi e ci aiuti a discernere coloro che predicano la misericordia secondo il suo cuore.

Eugenio Pramotton dal sito http://www.medvan.it/



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