mercoledì 24 maggio 2017

Madri spirituali... Tratto da “Trionfo del Cuore” - IL SACERDOTE E LA MATERNITÀ SPIRITUALE PER I SACERDOTI I - Famiglia di Maria




San Giovanni Eudes (1601 – 1680), chiamato da Papa Pio XI il “profeta del Cuore”, come missionario popolare in Francia si impegnò instancabilmente per 45 anni per diffondere la venerazione dei Cuori di Gesù e di Maria. Nella comprensione di questi due Cuori così uniti tra loro, il santo era consapevole anche dell’unione che lega i sacerdoti e le loro madri spirituali: “Il sacerdozio sacramentale è così grande, così divino, che sembra che non esista qualcosa di più grande e di più divino. E tuttavia c’è un sacerdozio che in un certo senso supera quello dei sacerdoti: è la vocazione di impegnarsi per la loro santificazione, salvando i salvatori e portando al pascolo i pastori; ottenendo la luce per coloro che sono la luce del mondo e santificando coloro che sono la santificazione della Chiesa”. Ogni vocazione sacerdotale è portata e sostenuta da madri spirituali, che in modo disinteressato aiutano il sacerdote affinché egli possa crescere nel suo amore per Dio e per le persone a lui affidate.
Questo essere “madri spirituali” per i sacerdoti può assumere forme più diverse. Può significare l’offerta di sofferenze fisiche, o il servire quotidiano, l’essere caritatevole, la preghiera fedele e il portare pesi spirituali, come anche l’affrontare “notti dello spirito”. Tutta la storia della Chiesa ci parla di queste “sante coppie”, iniziando dal Sommo ed Eterno Sacerdote stesso, il quale attingeva forza dall’intima e inesprimibile unione con Sua Madre. Pensiamo a Benedetto e alla sorella Scolastica, a Bonifacio e alla sua parente Lioba, a Francesco e Chiara di Assisi, a Francesco di Sales, il santo vescovo di Ginevra, e alla sua “figlia e madre” Giovanna Francesca di Chantal! Lo stesso fu per Brigida di Svezia, Caterina da Siena o Lidwina di Schidam, che divennero consigliere, guide e vittime di espiazione per diversi Papi. Anna Maria Taigi, madre di famiglia a Roma, fece da consigliera illuminata ad addirittura cinque Papi consecutivi!
Nel XX secolo molti di noi sono stati testimoni di quanto spesso Giovanni Paolo II abbia cercato la vicinanza di Madre Teresa di Calcutta prendendola per mano per esprimerle la sua riconoscenza ed il profondo rispetto. Dopo l’attentato, questo Papa si sentì profondamente riconoscente anche nei confronti di una bambina, la pastorella Giacinta, tanto che alla sua Beatificazione, celebrata il 13 maggio 2000 a Fatima, sottolineò: “E desidero una volta di più celebrare la bontà del Signore verso di me, quando, duramente colpito in quel 13 maggio 1981, fui salvato dalla morte. Esprimo la mia riconoscenza anche alla beata Giacinta per i sacrifici e le preghiere fatte per il Santo Padre, che ella aveva visto tanto soffrire”.

Arbusto di rose in fiore - radici nascoste




Non dimentichiamo mai: dovunque fioriscono nuove vocazioni e si manifesta un ricco apostolato, dovunque la Chiesa, per così dire, fiorisce esteriormente, vi è sempre un invisibile fondamento di silenziosa preghiera, sofferenza e sacrificio di qualcuno che si offre nel nascondimento, affinché altri portino “bei frutti” . Dio ha posto un simile principio di vita anche nella natura. Pensiamo ad un arbusto di rose in fiore, che colpisce per la sua bellezza. Se lo si sradicasse dalla terra, vi si troverebbe celato nella terra un incolto e miserabile blocco di radici, che però è vitale per ogni singolo bocciolo di rosa tanto magnifico. Così si può dire che ciò che si sviluppa esteriormente ed è di stabile importanza, ha sempre misere radici nascoste.
Un bellissimo esempio al riguardo è rappresentato dagli apostoli altoatesini di Caldaro, p. Antonio Sepp (1655 – 1733) e sua sorella di undici anni più giovane, suor Maria Elisabetta Sepp (1666 – 1741). Mentre Antonio, giovane e intraprendente sacerdote, entrò nell’ordine dei Gesuiti, affascinato dal loro spirito missionario, Maria Elisabetta, con il nome di suor Maria Benedetta, fu accolta tra le benedettine del Monastero di Sabiona, che sorge su una imponente rupe spesso definita “la santa montagna del Tirolo”. Ella capì chiaramente che la sua vocazione sarebbe stata quella di offrirsi per il fratello nel nascondimento delle mura del Monastero. A 34 anni p. Antonio poté finalmente partire per il Sud America come missionario nelle famose “reducciones” dei gesuiti in Paraguay ed operare presso le tribù Guaranì . Ricco di instancabile zelo missionario, egli lavorò per 42 anni nelle “reducciones”, grandi comunità di villaggi abitati da migliaia di Indios. Per 42 anni, però, pregò e si offrì per lui nel monastero la sorella Maria Benedetta. Certamente piena di interesse, ella leggeva ai genitori i vivi racconti missionari di p. Antonio nonché le sue lettere, in una delle quali egli una volta scrisse con umorismo: “Il pastore d’anime qui deve essere tutto: cuoco, imprenditore, compratore, medico del corpo e infermiere, costruttore, mattonaio, falegname, fornaio, mugnaio, fabbro, tessitore, giardiniere, pittore, dirigente di coro e compiere tutto ciò che potrebbe servire ad una comunità ordinata per il bene comune. Mi si potrebbe dire in faccia che tutto ciò è impossibile e che un padre non può saper fare tutte queste cose in modo accettabile. Ebbene, mi si perdoni, è così. Al braccio divino è possibile operare molto di più per mezzo di una mano umana”. Con animo sereno p. Antonio, anziano, scrisse ancora: “La mia testa è piena di nuove idee!”. E deciso fondò con 700 famiglie una nuova “Reduccione”, custodita solo da lui. Fino alla morte, sopraggiunta all’età di 78 anni, tutto il suo amore fu rivolto agli indios, che lo chiamavano tutti il loro “grande padre”. Conservò sempre la riconoscenza di un bambino verso la sorella che gli era diventata “madre”. Nella patria eterna ella lo seguì sette anni più tardi, il 18 dicembre 1741, nella Festa di Maria in attesa.

Una cugina caritatevole

Tra i parenti e conoscenti del Conte Carlo de Foucauld (1858 – 1916) nessuno avrebbe mai pensato che questo ricco e ateo uomo di mondo, soldato e ricercatore, un giorno sarebbe diventato sacerdote. C’era tuttavia una persona che aveva sempre creduto alla possibilità della conversione di Carlo: Maria di Bondy, una sua cugina di circa otto anni più anziana di lui, la quale, fin da bambina, era sempre stata come una seconda madre per questo infelice cugino orfano. Malgrado le sue sregolatezze di anni e i percorsi fuori strada, Maria non gli aveva mai fatto dei rimproveri e non lo aveva mai dato per spacciato; piena di comprensione, lo aveva piuttosto accompagnato con la preghiera. Con la sua amicizia durata una vita, sarebbe stata proprio lei ad influenzarlo spiritualmente in modo decisivo. Maria non provò mai a convertire con discorsi religiosi quell’uomo chiuso, che aveva rinunciato ad ogni fede in Dio. Cattolica profondamente credente, che andava a Messa tutti i giorni e che viveva la fede in modo discreto, Maria fu per Carlo una testimone così eloquente che con il tempo egli avrebbe dovuto riconoscere che la religione di una tale anima così intelligente e nobile non poteva essere un’assurdità. Più tardi egli scrisse: “Era così piena di bontà che mi sono rinati il senso per il buono, perso per dieci anni, e il rispetto davanti ad esso. ... Quanto cerco la luce senza riuscire a trovarla”. “Ella mi diede un breve consiglio: ‘Preghi!’”; cosicché egli si sorprese sempre più spesso a pronunciare le parole: “Dio, se ci sei, lascia che ti trovi!”. Infine Maria parlò al ventottenne cugino del confessore della loro famiglia, il curato Huvelin, davanti al quale egli si presentò per confessarsi il giorno successivo, il “giorno benedetto” della sua radicale conversione. Seguirono tanti colloqui di fede con Maria de Bondy, colloqui che arricchirono il neo convertito, che ella sempre attenta accompagnava nella ricerca della sua autentica vocazione. Carlo fu ordinato sacerdote a 43 anni. In seguito andò da solo nel Sahara come missionario, ma continuò a rimanere in stretto contatto epistolare con Maria. Egli scrisse: “Voglio evangelizzare attraverso la presenza del SS. Sacramento, l’offerta del Santo Sacrificio, per mezzo della preghiera, la penitenza e la carità fraterna ... Nel Sahara il sacerdote deve essere come un ostensorio: lui stesso indietreggia per mostrare Gesù”. Quell’apostolato della bontà che Maria aveva esercitato con lui, egli lo rivolgeva ora verso le tribù nomadi dell’Africa. Ella lo aiutò nella sua missione: per esempio, spedì nel sud dell’Algeria rosari per la tribù dei Tuareg. Egli stesso glieli aveva chiesti: “... senza la croce, poiché vorrei insegnare ai musulmani la preghiera!”. Alla preghiera della cugina il “servo di Gesù”, come Carlo ora si definiva, non si vergognava di affidare anche solitudini e sofferenze interiori ed esteriori. “Sono come il chicco di grano che non muore”, le scrisse nel dolore; nel deserto aveva pregato per 14 anni, in apparenza inutilmente, per un confratello. Perfino gli ultimi appunti scritti nel giorno del suo assassinio erano riservati alla sua cugina e madre spirituale. Maria ricevette questa lettera in Francia solo molto più tardi e, nei suoi ultimi diciotto anni di vita, la conservò come una reliquia. In essa era scritto:
Si sente che non si ama abbastanza, quanto è vero. Non si amerà mai abbastanza, ma il buon Dio sa da quale polvere ci ha formati e ci ama molto più di quanto una madre possa amare suo figlio ... Egli ci ha detto che non respingerà chi va da Lui”.

Per la Chiesa e i suoi Pastori

Un’anima di espiazione che sapeva pregare e sopportare nel silenzio per la santificazione dei sacerdoti fu la beata Anna Schäffer (1882 – 1925), di Mindelstetten (Germania). A 18 anni subì un tragico incidente di lavoro, nel quale, in una liscivia bollente, si ustionò gravemente le gambe e in seguito al quale dovette subire 30 dolorosi interventi chirurgici e rinunciare per sempre al suo desiderio di diventare una suora missionaria. Dopo una dura lotta iniziale, questa giovane bavarese, felice di vivere, capì sempre meglio che il Signore l’aveva chiamata ad una “missione della sofferenza”. Quando più avanti le fu chiesto se avesse mai pensato di poter di nuovo alzarsi in piedi e camminare, lei rispose sorridendo: “Il buon Dio vuole che io ora sia malata ed io ora mi oriento verso la sua volontà... Se potessi porre fine alle mie sofferenze con un’Ave Maria, ma ciò non fosse la volontà di Dio, io non lo farei”. Il Signore però la colmò con il Suo amore e la Sua consolazione. Nei suoi quasi 25 anni di degenza sul suo letto di infermità, fino alla morte, Anna poté sviluppare un’impressionante zelo per la preghiera e il sacrificio di espiazione. In una delle sue famose visioni notturne era inginocchiata davanti all’altare principale della chiesa parrocchiale: “Ogni volta che supplicavo per un’anima, dal Cuore di Gesù partiva un raggio fino a raggiungere il luogo dove si trovava quell’anima ... E nel sogno pregavo: ‘O mio Gesù,misericordia!’. Ad un tratto fui circondata da così tante anime ... e tutte dicevano: ‘Per me anche!’. Erano così tante che non potevo vederle tutte ... pregavo allora ininterrottamente: ‘O mio Gesù, misericordia!”. Anna ripeteva sempre: “Pregare e soffrire per la Santa Chiesa e i suoi pastori è per me al di sopra di tutto ... È per i sacerdoti che vorrei pregare maggiormente sia adesso che dopo!”. Aveva capito veramente che la preghiera e il sacrificio di una “madre” raggiungono sempre il fronte dei combattimenti della vita spirituale dove ci sono sacerdoti feriti e moribondi!

Maria Sieler

Cari lettori, se in questo numero del “Trionfo del Cuore” rivolgiamo la nostra attenzione a donne che hanno avuto a cuore la santificazione dei sacerdoti, allora dobbiamo assolutamente parlare anche di Maria Sieler, una semplice e giovane ragazza della Stiria in Austria, con pochi anni di formazione scolastica. Incompresa e sconosciuta, merita che noi ve la presentiamo in modo particolare insieme alla sua missione di “maternità spirituale per i sacerdoti”. Questa giovane contadina ricevette molto presto la prima grazia evidente. Aveva sei anni quando, durante la preghiera in classe, mentre stava guardando con raccoglimento la croce, nella sua anima improvvisamente sentì le parole: “Guarda verso Me e prega con raccoglimento; da questa modalità di preghiera tu raggiungerai l’altra nella quale potrai parlare con Me come gli uomini fanno tra di loro”. Iniziarono così per Maria un cammino mistico di preghiera e una crescente confidenza con Gesù, che, sia allora come anche più tardi, restarono nascosti alla sua famiglia. All’esterno la bambina cresceva serena e svolgeva con impegno le sue mansioni nella cascina. Sebbene dai 16 anni in poi Maria tentasse più volte di entrare in un convento, questo desiderio non poté mai concretizzarsi. Il Signore aveva con lei altri piani e lei scrisse nel suo diario: “Devo presentargli l’offerta della mia vita e metterla totalmente a sua disposizione”. Nel frattempo giunse ai 24 anni e cominciò ad avere delle esitazioni, fino a quando il Signore stesso non intervenne: “Il 7 dicembre 1923 ... allorché volli alzarmi dal banco della comunione, in un modo al quale non ero abituata, ebbi una forte impressione della presenza del Signore, che mi disse: ‘Se non vuoi superarti, mi cercherò un’altra anima. Sono migliaia le altre anime a mia disposizione, alle quali posso dare le mie grazie”. Subito ella rispose il decisivo: “Come vuoi tu”. “Quindi affidai tutto a Maria davanti all’altare della Madre di Dio e chiesi il suo aiuto affinché, tramite Lei, io fossi capace di offrire la mia donazione in modo giusto”.

Voglio irradiare grazie totalmente nuove!”

Dal 1924 il Signore donò a Maria Sieler nuove grazie mistiche e le rivelò in modo ancora più chiaro la missione per la quale l’aveva scelta: “Voglio nuovamente effondere nella Chiesa lo Spirito del mio Cuore per il rinnovamento del sacerdozio. Attraverso te voglio far irradiare nuove grazie per il sacerdozio e quindi per le anime. Il rinnovamento partirà da sacerdoti ma si estenderà anche sui fedeli”. Dagli anni trenta il Signore donò a Maria chiara conoscenza di un appiattimento della fede: “Si è prodotta una spaccatura tra l’insegnamento e la prassi; il cuore del sacerdote non viene più riscaldato da ciò che egli apprende come materie di studi. I sacerdoti non credono più al loro sacerdozio e lo contemplano con occhi puramente umani come fosse un mestiere qualunque ... . Se insegnano o predicano non ci mettono il cuore. Per cui tra-smettono bene le conoscenze, ma non risvegliano la fede e non accendono l’amore”. Gesù si lamentava: “Nei preti la fede nel loro sacerdozio si è quasi totalmente estinta”. Per consolazione, però, Maria Sieler poté vedere una grande schiera di sacerdoti che più tardi sarebbero stati colmi di fede e di vita in Cristo. Vide questi sacerdoti rinnovati interiormente diventare come “il ‘granello di senape’, il ‘lievito’ che penetra tutto... Gesù comincia sempre in modo modesto, con pochi, come allora con i suoi apostoli, ma ... la fede trasformerà ciascun sacerdote e, alla fine, tutta la Chiesa”.

Maternità spirituale per la Chiesa

Il coronamento della vocazione di Maria Sieler consistette nella sua maternità spirituale per i sacerdoti. Su questo ella scrisse: “Il Salvatore mi ha fatto oggi una promessa preziosa ... Egli mi ha posto come ‘madre spirituale’ della Sua Chiesa, o meglio mi ha messo a disposizione del sacerdozio. Mi ha fatto sapere che tutti i miei sacrifici e le mie sofferenze, tutti i beni spirituali conquistati nel combattimento interiore e nella sofferenza, tutte le perfezioni morali, la mia unione straordinaria con Lui secondo la mia vocazione spirituale, tutto ciò - così mi fa capire - è un tesoro spirituale per il sacerdozio. Tutto ciò che spiritualmente posso conquistare in me diventa in qualche modo fruttuoso nei sacerdoti. Tutte le grazie della mia vita interiore sono, per così dire, proprietà del sacerdozio.
I sacerdoti vi possono attingere ed ognuno otterrà dal Signore ciò per cui lo prega, poiché questo tesoro è stato, in Cristo, offrendomi a Lui, guadagnato da me in precedenza... Come una madre trasmette alle posterità le sue predisposizioni, così viene trasmessa come un bene ereditario la mia vita interiore e tutte le grazie interiori, o meglio l’unione raggiunta con Cristo, per essere efficace nella Chiesa”. Gesù condivise con Maria Sieler sempre di più della sua vita interiore e volle che ella la “sperimentasse” nella sua anima e la trasmettesse ai sacerdoti: “Osservai nel suo Cuore un amore indicibile per i sacerdoti. Quindi vidi Gesù mettermi tra sé e i sacerdoti e l’amore che sgorgava dal suo Cuore attraverso il mio raggiungere i cuori dei sacerdoti. In una chiara luce interiore seppi che anche tutte quelle grazie non accettate o addirittura rifiutate dai sacerdoti, devono riversarsi nel mio cuore affinché io le custodisca lì fino a quando quei sacerdoti non saranno pronti ad accettarle”.
E così ciò divenne in Maria una certezza: “Interiormente sono convinta che la mia vita e tutte le grazie accordatemi da Dio sono destinate al rinnovamento del sacerdozio. ...
È in seguito alla particolare intercessione di Maria SS.ma che queste nuove grazie affluiscono sui sacerdoti attraverso un’anima femminile”. Allorché ella chiese meravigliata: “Sì, ma perché al raggiungimento di questo scopo utilizzi un’anima femminile?”, il Signore le rispose: “Questo l’ha fatto mia Madre! Fu Lei la prima a superare in sé l’umanità e a renderla capace di accogliere Dio”.
E Maria ringraziò la Madre di Dio.

Tutti i tesori di grazia passano attraverso le mani di Maria 

Maria Sieler capì profondamente anche il compito esclusivo spettante alla Madonna nel rinnovamento del sacerdozio: “Dopo la morte del suo Figlio divino, Maria è stata la Madre della giovane Chiesa. Fu Lei quindi ad introdurre così bene i primi sacerdoti nello spirito e nelle caratteristiche essenziali del suo Figlio divino, a comunicare loro il mondo interiore del Salvatore e a consolidarlo in essi ... Maria è anche la Salvezza e la Guida in questo tempo di oscurità per la Chiesa; lei ne è la dispensatrice di vita spirituale e la Madre ... la Mediatrice di tutte le grazie ... Mi è sembrato che Maria allargasse le sue mani e dicesse: ‘Tutto viene concesso per mia intercessione, poiché così mi è permesso di distribuire i tesori delle grazie di redenzione alla Chiesa’. ... È la questione del suo Cuore, per la quale Ella prega e combatte. Lei si dimostrerà ancora oggi come la donna forte e opporrà la sua dignità e il suo potere, in quanto Corredentrice, allo spirito corrotto del tempo attuale”. Poiché all’epoca di Maria Sieler una crisi dei sacerdoti, come oggi la conosciamo, non c’era e neanche la si poteva prevedere, da parte della Chiesa sembrò che non ci fosse bisogno di un rinnovamento. Fino alla sua inattesa morte a 53 anni a Roma, “la croce della sua vita” dovette restare per Maria Sieler, accanto ad un’esistenza insicura, povera e sconosciuta, avere chiari davanti a sé le intenzioni e i desideri del Signore, ma non vederli confermati dalla Chiesa. Questa rinuncia del non poter vedere nulla della realizzazione di un sacerdozio rinnovato, appartenne certamente al cammino di sacrificio di quest’anima santa. In qualunque modo si realizzi questo grande rinnovamento della Chiesa per mezzo della santificazione dei sacerdoti, il Signore ha promesso a Maria Sieler già nel 1944: “Riservo a Me, come mio segreto, l’ultimo e definitivo modo della sua attuazione. Sarà la mia provvidenza a guidare tutto”.

Un Cardinale e le sue Madri

Citeremo ora altre due donne esemplari, impregnate talmente dal desiderio d’offerta per i sacerdoti da diventare madri spirituali per il beato martire Cardinale Aloisio Stepinac (1898 –1960). La prima è la vera madre di Aloisio, della quale il Cardinale Kuharić (1919 – 2002), arcivescovo di Zagabria, disse: “Non si può capire il Cardinale Stepinac e la sua vita eroica senza conoscere sua madre”. Infatti Barbara Stepinac, pur nella sua semplicità, era una donna evidentemente ispirata. Moglie profondamente credente di un benestante viticoltore croato, fu madre di nove figli. Quando il 9 maggio 1898, un giorno dopo la sua nascita, il figlio Aloisio ricevette il battesimo nella Chiesa parrocchiale di Krašić, ella promise di pregare quotidianamente e di digiunare tre volte a settimana, fino a quando quel bambino non fosse diventato sacerdote. Al di fuori del parroco, nessuno seppe della decisione segreta di Barbara, poiché ella non voleva che questa influenzasse la chiamata vocazionale del figlio. Fu fedele al suo voto per 32 anni fino a quando non arrivò il giorno beato dell’estate del 1931, nel quale Aloisio, come sacerdote novello, celebrò a Krašić la sua prima Messa. In quell’occasione il parroco si rivolse alla madre Stepinac con queste parole: “Barbara, ora puoi finalmente smettere di digiunare!”. Ma lei rispose decisa: “Certamente no! Ora invece pregherò e digiunerò ancora di più affinché mio figlio diventi un santo sacerdote!”.
Nei difficili anni successivi, nei quali, dopo i fascisti e i nazisti, in Jugoslavia salirono al potere i comunisti, furono soprattutto la ferma fede e la fedele preghiera di madre Stepinac a dare al figlio la forza e il coraggio di resistere a tutti gli attacchi. Dopo aver assistito, nel 1934, alla consacrazione episcopale di Aloisio, divenuto il più giovane vescovo del mondo, la madre Barbara, ottantenne, lo accompagnò nel cammino della croce. Questi infatti nel 1946 fu arrestato, accusato di essere nemico del popolo e traditore della patria e in un processo farsa condannato a 16 anni di carcere e lavori forzati. Due anni più tardi, mentre era ancora in prigione, la mamma Barbara morì: per Aloisio era stata non solo madre fisica, ma era diventata per lui anche una “madre spirituale”.
Durante i successivi anni di prigionia, in un modo speciale, il Signore donò al suo fedele pastore della Chiesa, che in cella era sempre con la corona del rosario in mano, una nuova madre spirituale. Si trattò di Maria Bordoni (1916 – 1978), fondatrice dell’Istituto “Mater Dei”, che allora viveva con le sue suore a Castelgandolfo vicino Roma. La tanto grande quanto nascosta mistica (dichiarata Serva di Dio), permeata totalmente da spirito sacerdotale, sentì di offrirsi al Signore per i sacerdoti. Spesso pregava la notte per la Chiesa, il Santo Padre, i sacerdoti e i cristiani perseguitati. La Madre di Dio parlò alla sua anima e moltissime volte la portò in bilocazione in luoghi di miseria e nelle regioni della cortina di ferro sotto il comunismo, per portare consolazione ai sofferenti nelle prigioni e nei campi di concentramento. Come ci hanno personalmente confermato le suore del suo Istituto nel marzo del 2010, Maria Bordoni poté visitare in bilocazione anche il detenuto Cardinale Stepinac: la Madonna le mostrò un sacerdote in prigione, seduto su una sedia. Piegato in avanti, con le braccia appoggiate sulle ginocchia, lasciava scorrere tra le sue dita le perle della corona del rosario e pregava. La Madonna allora disse a Maria: “Vedi questo mio figlio amato? Soffre così tanto. Prega molto per questo mio figlio amato. Il suo nome è Aloisio Stepinac”. Quando nel 1997 in Croazia Papa Giovanni Paolo II proclamò beato il Vescovo martire, a Castelgandolfo le suore di Maria Bordoni si ricordarono che dagli scritti e dai racconti orali dellaloro fondatrice esse già conoscevano quel nome. Fecero ricerche tra gli appunti spirituali e trovarono conferma della “visita di consolazione” di Maria Bordoni al Cardinale Stepinac, morto nel 1960. Dopo una prigionia di nove anni, era rimasto ancora agli arresti domiciliari nella sua casa natale e tenuto sempre sotto stretta sorveglianza da trenta uomini. Per tutti coloro che gli avevano arrecato ingiustizie, egli ebbe solo parole di perdono.

Vorrei essere come la luce eterna di un altare, che si consuma lentamente davanti al tabernacolo del Signore ... per la Chiesa e il Santo Padre, per tutti i sacerdoti e i missionari”.
Maria Bordoni

Il ‘sì’ cosciente di una persona gravemente malata

Nella Repubblica Ceca due nostre sorelle hanno conosciuto un’altra donna che ha fatto delle sue sofferenze un dono consapevole e silenzioso per i sacerdoti. In occasione dell’ordinazione sacerdotale di p. Florian e p. Alain Maria, il 29 giugno 2007, nel Convento della Misericordia a Gratzen, hanno vissuto un momento molto impressionante nell’albergo-famiglia dove hanno pernottato. Le nostre sorelle hanno conosciuto una nonnina della casa di nome Adele, che 15 anni prima aveva subito un attacco di cuore e che da allora aveva bisogno di cure ed assistenza. Da dieci anni non parlava più e da sette era immersa in uno stato di semi coscienza simile al sonno. Malgrado la malata non mostrasse segni di reazione e restasse seduta con gli occhi chiusi sulla sua sedia a rotelle, le sorelle le hanno raccontato ugualmente dell’ordinazione sacerdotale. Alla fine hanno chiesto alla donna apparentemente assente: “Adele sarebbe pronta a pregare per i novelli sacerdoti e a offrire la sua grave malattia per loro?”. Improvvisamente e inaspettatamente, la nonna ha aperto gli occhi e ha annuito più volte in modo chiaro. Le sorelle hanno ripetuto la stessa domanda per essere sicure che Adele le avesse capite davvero ed ella ha perfino tentato di rispondere, ma non è riuscita a far sentire la sua voce. I familiari sono rimasti senza parole! Non avevano mai visto in lei una tale reazione!

Un’amicizia che viene da Dio

Spesso alle sorelle della nostra comunità “Famiglia di Maria” viene chiesto: “Quali sono insomma i caratteri essenziali della vostra spiritualità?”. Dopo l’amore per l’Eucaristia e per la Madonna, le missionarie sottolineano sempre: “Tutta la nostra preghiera, le nostre gioie e i sacrifici quotidiani, tutto il nostro lavoro nei diversi campi affidatici, lo doniamo a Dio per la santificazione dei sacerdoti: così vorremmo, in modo del tutto nascosto, essere mediatrici di grazia per i sacerdoti e, con ciò, diventarne madri spirituali”. Spesso la reazione sorpresa è: “Che bello! Non abbiamo mai sentito parlare di una tale maternità!”. Similmente è accaduto ad un padre francescano diventato vero amico della nostra comunità appena arrivata a Civitella. Sr. Michaela racconta: “Nel 1994 arrivammo a Civitella, in Abruzzo, dove fin dagli inizi fummo assistiti con parole e fatti dai padri francescani presenti nel territorio. Poco prima di Natale un padre francescano, di circa 60 anni, per mostrarmi la strada, mi volle accompagnare ad acquistare dei fiori. Malgrado il mio povero italiano, lungo il percorso potemmo dialogare bene ed io pensai tra me: ‘Che francescano umile e gioioso!’. Quando Ulderico, questo il suo nome, nel colloquio mi raccontò: ‘Da noi in convento ognuno fa tutto’, gli domandai come si chiamava il Padre guardiano e lui, con grande semplicità, mi rispose: ‘Sono io’. Allora ridemmo entrambi. Questo fu l’inizio di un’amicizia donataci direttamente da Dio. Da quel giorno p. Ulderico veniva spesso da me in cucina per portarci frutta, pane o altre cose buone. Gli piaceva particolarmente andare in giardino per pregare un po’ e scambiarci qualcosa di bello della nostra spiritualità. In uno di questi colloqui spirituali egli, religioso di un convento maschile gestito da uomini, mi pose inaspettatamente la domanda: ‘Qual è il compito più importante di voi sorelle in questa casa di fratelli?’. Iniziai così a parlare della maternità spirituale e rimasi meravigliata nel vedere quanto p. Ulderico fosse impressionato da questa realtà, a lui totalmente sconosciuta, che persino una giovane suora di 25 anni potesse diventare madre spirituale per i sacerdoti. La sua anima capì in modo intuitivo. Riconoscente il suo cuore trovò finalmente ciò di cui sentiva la mancanza da decenni. ‘Nel tempo del mio seminario’ – mi confidò – ‘abbiamo ricevuto tutt’altra formazione. La donna veniva addirittura indicata come un grande pericolo per noi sacerdoti e, nel migliore dei casi, l’avremmo dovuto evitare’. Ora al contrario potei sperimentare come l’atteggiamento di questo sacerdote maturo stesse cambiando. Spesso fui io a restare sorpresa di quanto egli avesse compreso lo spirito della maternità spirituale e con quanta umiltà mi chiedesse più volte: ‘Per favore, prega per me!’. Sebbene p. Ulderico più tardi fosse trasferito in un convento sulla costa, la distanza geografica non ci impedì di vivere per altri cinque anni la nostra intima unione spirituale. Poi si ammalò di tumore ed io potei visitarlo in ospedale poco prima della sua morte. Dimagrito in modo impressionante, appena entrai nella sua stanza iniziò a piangere di gioia. Non avemmo bisogno di dirci nulla. Gli chiesi solo, spinta interiormente a farlo, di potermi confessare. Questo servizio sacerdotale fu il ‘regalo di addio’ di p. Ulderico per me. Due giorni più tardi, in un pellegrinaggio ad Assisi, pregai presso la tomba di san Francesco per il suo figlio spirituale e gli chiesi che lo potesse guidare presto a Dio. La sera, dopo il nostro rientro a casa, ricevemmo la notizia che il caro p. Ulderico in quel giorno era tornato alla Casa del Padre”.

La Madre di Dio vuole formarsi delle anime nelle quali continuare a vivere la sua vita per i sacerdoti”.
O Maria, sii tu nostra Madre e lasciaci essere per il caro Gesù almeno un po’ di ciò che tu sei stata per lui:una serva fedelissima e cooperatrice spirituale!”.
Maria Sieler

Un assegno in bianco per Gesù

Nel 1988 il cardinal Joachim Meisner fu nominato da Papa Giovanni Paolo II nuovo arcivescovo di Colonia. Egli lasciò a malincuore la sede episcopale di Berlino, dove era stato responsabile come pastore sia per i cristiani di Berlino ovest che dell’est. Prima della sua ordinazione sacerdotale, avvenuta quando aveva 29 anni, egli aveva lasciato a Dio la piena potestà di disporre della sua vita, come con un “assegno in bianco”. Nonostante questo era rimasto molto colpito di fronte alla nuova nomina. Ma con la piena fiducia che era Dio a condurre la sua vita, assunse con decisione e con passione l’incarico nella nuova diocesi, nella quale tuttora con coraggio e senza compromessi combatte per la verità della fede cattolica. In lui Papa Benedetto XVI, di cui è anche amico personale, ha certamente il sostegno più fedele.

Testimoni della fede che mi hanno forgiato

Joachim Meisner sperimentò fin dalla sua infanzia di quanto coraggio e impegno ci sia bisogno per difendere senza compromessi la fede cattolica. Aveva appena dodici anni, quando, nel 1945, sua madre con i suoi quattro figli dovette fuggire da Breslavia (città tedesca fino a quella data, divenuta poi parte della Polonia alla fine della guerra) per trasferirsi in un piccolo villaggio nella diaspora in Turingia. Era da sola poiché il padre era morto in guerra. L’arcivescovo ricorda ancora bene quegli anni della sua infanzia: “Nostra madre era assai graziosa... questa donna bella e di rango ogni settimana si affannava per un giorno intero nella lavanderia per lavare i panni di noi bambini con i mezzi più primitivi. Negli altri giorni andava a lavorare, per guadagnare quanto necessario a sopravvivere”. Ella visse sempre “... per la famiglia, conducendo una vita quotidiana in cui era costretta a fare da madre e da padre per i suoi quattro figli. La sua fede attiva nelle opere, la sua prontezza al sacrificio e la sua incrollabile speranza costituirono l’ovvio fondamento su cui la mia vocazione poté maturare. Nella mia vita di fede, fino ad oggi, io non sono ancora riuscito ad andare più in là di mia madre!”. Con grande gratitudine il cardinal Meisner ripensa anche ai cristiani della diaspora, grazie al cui esempio egli imparò tante cose, più di quanto si possa dire, per il suo cammino sacerdotale. Il suo parroco aveva 30 villaggi a cui provvedere, e così i fedeli dovevano spesso sobbarcarsi lunghi tratti di strada per poter partecipare alla celebrazione di una Santa Messa: “Fino al villaggio più vicino erano già sette chilometri. E quando eravamo in cammino nel viaggio di andata o di ritorno, recitavamo il rosario o la via crucis e parlavamo di argomenti di fede, della Chiesa e del mondo. In quelle camminate, ho imparato a recitare il rosario e la via crucis; ancor oggi entrambe queste devozioni fanno parte del patrimonio fondamentale della mia vita di fede... Della testimonianza di fede degli uomini e delle donne delle nostre comunità della diaspora mi nutro ancor oggi. Ciò costituisce, per così dire, il fondamento su cui io mi reggo anche come arcivescovo e cardinale”.
C’era il buon “nonno Elsner”, che col suo esempio, senza parole, insegnava ai bambini e ai giovani l’incommensurabile valore della SS. Eucarestia. Che fosse estate o inverno, col suo bastone egli si incamminava sulla lunga strada verso la Santa Messa nel paese vicino. Un giorno il giovane Joachim lo trovò privo di sensi, steso a terra nella neve, poiché il vecchio era scivolato sulla strada verso la chiesa e nella caduta si era procurato una commozione cerebrale. Questi “testimoni della fede della mia comunità nella diaspora ... furono i protagonisti della mia vocazione al sacerdozio”.
Nel 1946, a Zagabria, l’arcivescovo croato Aloisio Stepinac venne condannato come traditore della patria. Persino nella Germania dell’Est di allora, questo scandaloso processo farsa verso quel principe della Chiesa suscitò grande emozione. Tre anni più tardi ebbe luogo un altro processo farsa contro l’arcivescovo primate di Ungheria, il cardinal Jozsef Mindszenty. Il sedicenne Joachim Meisner rimase profondamente impressionato da questi processi. Egli ricorda bene: “Sebbene potessi seguire tutto solo dai giornali e dalle riviste comuniste, sui quali questi eroi della fede venivano condannati come controrivoluzionari, fascisti e spie del Vaticano, essi erano per me – proprio per questo – radiosi modelli della fede e autentici testimoni di Gesù Cristo. Fino ad oggi, nel mio cuore, ho ancora una grande venerazione per questi vescovi-martiri”. Da una rivista illustrata comunista, egli ritagliò allora le foto dei cardinali Stepinac e Mindszenty, mentre sedevano al banco degli imputati, e attaccò le immagini alla parete sopra il suo letto. “Questi due vescovi erano per me come le colonne di fuoco per gli Israeliti nel cammino del deserto, attraverso le difficili situazioni di allora mi hanno condotto in maniera più sicura verso il sacerdozio”.

Eccomi, Signore

Dopo gli studi filosofici e teologici a Erfurt, il 22 dicembre 1962, Joachim Meisner ricevette l’ordinazione sacerdotale. La sera prima di quel grande giorno egli pensava a come di lì a poche ore avrebbe pronunciato solennemente davanti al vescovo e alla comunità il suo “Adsum”, “Eccomi, Signore!”. Sì, egli voleva davvero essere pronto a tutto. Nella preoccupazione che nel momento decisivo, per l’emozione, non fosse stato in grado di pronunciare il suo “Sì” con tutta la partecipazione, egli decise di esprimere a Dio già dalla sera prima la sua sincera dedizione totale. “Presi un foglietto”, racconta, “vi scrissi sopra il luogo e la data: Erfurt, 21 dicembre 1962, vi apposi la mia firma, lasciai in bianco lo spazio in cui si annotava l’ammontare complessivo della cifra e pregai: ‘Signore, io vado dove Tu vuoi: nella diaspora di Turingia, nella Rhon o nell’Eichsfeld’. Che la Chiesa di Dio fosse però più grande del territorio di giurisdizione episcopale di Erfurt, allora non lo avevo considerato. Che un giorno Dio mi avrebbe spedito a Berlino o a Colonia non lo prevedevo, e ora ne sono anche lieto che non vi pensassi. Giacché non so proprio se in quel caso, avrei avuto allora il coraggio di sottoscrivere un assegno in bianco con il Signore”.
La prima sorpresa della “riscossione” del suo assegno in bianco, il neo sacerdote la sperimentò subito dopo l’ordinazione sacerdotale quando seppe del posto di cappellano che gli era stato assegnato. Egli venne spedito nella parrocchia di san Egidio ad Heiligenstadt (a quel tempo Germania Est), come ausilio ad un parroco che “io conobbi quando era un prete gravemente malato,segnato dalla malattia di Alzheimer. E tuttavia si poteva intuire ancora la forza di irradiazione e la grandezza di quel sacerdote ricolmo della grazia di Dio”. (cfr. Pro Deo et Fratribus, n. 146-147).
Uno dei confratelli compiangeva il giovane cappellano Meisner: “... poiché da un parroco in quelle condizioni c’era ben poco da imparare, forse addirittura nulla”. Invece le cose andarono esattamente all’opposto. “Già dopo poche settimane mi resi conto che accanto a lui avrei potuto imparare proprio ciò che si riscontra molto di rado in tanti pastori moderni: un’identificazione profonda e spontanea con la Chiesa in un’unione di fede quasi mistica con Cristo”. Quando quel prete dovette rinunciare al suo ministero di parroco, “venne condotto attraverso la buia notte della malattia di Alzheimer in forma sempre più avanzata. Dio solo sa quanto divenne grande in quel tempo la configurazione di quel Suo sacerdote con Lui stesso. Poter conoscere un sacerdote come quel mio primo parroco, io la annovero tra le più grandi grazie ricevute nella mia vita di prete, una cosa che mi ha reso più sicuro e più saldo nella mia vocazione. Grazie al suo esempio molti anni più tardi, nel mio stemma episcopale ho scritto le parole tratte dalla seconda lettera ai Corinzi: ‘Spes nostra firma est pro vobis’ – ‘La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda’.”
In virtù della propria esperienza, il cardinal Joachim Meisner è profondamente convinto che le vocazioni alla vita consacrata a Dio sono soprattutto frutto della preghiera e dell’esempio vissuto. Per questo, l’11 giugno 1999, egli ha fondato la comunità di preghiera “Rogamus” (“Preghiamo”). Anziani o giovani, sani o malati, tutti possono diventarne parte se si impegnano a pregare quotidianamente per le vocazioni sacerdotali e religiose, come pure per le vocazioni al diaconato e alla vita consacrata a Dio. Attraverso la loro preghiera, i membri sostengono i consacrati e aiutano a creare nella propria famiglia e comunità un’atmosfera in cui possano crescere vocazioni spirituali in libertà e sicurezza.

Le citazioni sono prese da: Joachim Cardinal Meisner, Worte belehren, Beispiele reissen mit! (Le parole insegnano, gli esempi trascinano!), in: M. Müller (ed.), Wenn Gott ruft... 23 Berufungsgeschichten, Aquisgrana 1997, p. 190-210; Joachim Cardinal Meisner, Predica alla Messa in memoria di p. Werenfried van Straaten il 22 gennaio 2005 nel Duomo di Colonia

Tratto da “Trionfo del Cuore” - IL SACERDOTE E LA MATERNITÀ SPIRITUALE PER I SACERDOTI I - Famiglia di Maria - maggio - giugno 2010 N°1



Articoli correlati per categorie



Nessun commento:

Posta un commento