lunedì 23 ottobre 2017

“ Il sorriso della “straccivendola” - Venerabile Elisabetta Maria Satoko Kitahara - E' stata una farmacista giapponese, proclamata venerabile da Papa Francesco il 22 gennaio 2015



In tutti i tempi Chiesa cattolica vuol dire l’universale molteplicità, riflettuta da fedeli di diverse razze, nazioni e culture, che hanno preso sul serio il Vangelo di Gesù e lo hanno applicato alla propria vita. Un esempio bello, da noi in Europa poco conosciuto, è quello della giovane farmacista Satoko Kitahara del Giappone. La sua umile testimonianza di fede ispirò molte persone per il divino e indirizzò al bene il loro ambiente di vita. Con il passare degli anni le azioni cristiane di Satoko non hanno perso nulla del loro carisma mariano.

Il 28 marzo del 1948 era una bella giornata di primavera; la giovane studentessa di farmacia, Satoko Kitahara, usciva dalla sua elegante casa situata in un quartiere di Tokyo per far visita ad una collega di studio a Yokohama. Erano passati appena tre anni da quando tutto il Giappone, paralizzato, dopo il bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaki, aveva sentito la voce dell’Imperatore Hirohito rivolgere al popolo l’appello “di sopportare l’insopportabile” : cioè la capitolazione. Alla fine della guerra tredici milioni di giapponesi erano senza casa. A Tokyo, mezzo distrutta, circa in diecimila vivevano come ratti, in capanne di latta e rimesse. Il loro cibo quotidiano consisteva in appena due ciotole di riso. La cosa peggiore però era la disperazione e il numero spaventoso di suicidi.
Anche la giovane Satoko, elegantemente vestita, aveva molte domande inquietanti sul vero senso della vita e ne discuteva con la sua amica lungo le vie di Yokohama. Arrivate davanti alla Chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù, Satoko sentì di dover entrare. Per tutte e due era la prima volta che entravano in una Chiesa cattolica. Cercarono di orientarsi in quell’ambiente silenzioso e ignoto. In fondo, a sinistra, su un altare si trovava una statua di gesso a grandezza naturale, una donna con una ragazza inginocchiata ai suoi piedi, S. Bernadette, come Satoko seppe successivamente. “Vedevo per la prima volta una rappresentazione di Maria”, raccontò più tardi. “Fissavo la statua e provai un’attrazione molto forte, inspiegabile. Fin dall’infanzia mi accompagnava un desiderio forte e indefinibile per tutto ciò che è puro”.

L’amabile provvidenza di Dio

Satoko tornò a Tokyo pensierosa, non conosceva il significato della statua di Lourdes. Fu presa totalmente dai suoi studi universitari; li concluse un anno dopo, nel marzo del 1949, ottenendo brillantemente il titolo di dottoressa in farmacia
Cercando con il cuore il suo posto nella vita, la ragazza rifiutò due allettanti posti di lavoro e anche alcune proposte di matrimonio, una da parte di un medico proprietario di una clinica privata. Suo padre, un famoso professore universitario, rispettò generosamente le sue decisioni. “Tua madre ed io non ti ostacoleremo mai nelle scelte della tua vita, finché saranno buone”.
Poco tempo dopo, a vent’anni, Satoko accompagnò in una scuola privata cattolica la sorellina Choko, per il primo giorno di scuola presso le Suore di S. Maria della Mercede. Nel discorso inaugurale sentì delle parole che la colpirono molto. “Nella sua affettuosa provvidenza, Dio ha mandato i vostri figli in questa scuola”. Satoko proveniva da una famiglia aristocratica, con una millenaria successione di sacerdoti shintoisti fino al diciannovesimo secolo, cioè fino al nonno. Ora sperava di sapere di più sulla “affettuosa provvidenza di Dio”, perché la colta signorina, che conosceva anche alcune lingue straniere ed era una pianista eccellente, non aveva mai sentito questa espressione. Due mesi dopo, in maggio, Satoko accompagnò di nuovo Choko a scuola. Lì incontrò una giovane suora e, vedendone il volto sereno, si risvegliò in lei lo strano sentimento, il desiderio di purezza provato a Yokohama nella Chiesa del Sacro Cuore. Poiché non riusciva a comprendere questo suo sentimento, cercò di sfuggirgli. Per sei settimane cercò di distrarsi. Era appassionata di teatro, di concerti e di cinema e arrivò a vedere sei film in una settimana. Finiti i suoi risparmi per le piccole spese, chiese in prestito a Kazuko, la sorella più grande, i soldi per il cinema. Ma il senso di irrequietezza e di vuoto non se ne andava.
A luglio, Satoko non sopportò più questo stato d’animo e si confidò con una delle suore spagnole. Madre Angeles le parlò del cristianesimo e nella sua ascoltatrice nacque subito un “amore nuovo”, che non sarebbe mai finito. Satoko iniziò ad andare ogni giorno a Messa alle 6.00 del mattino, e alle 10.00 tornava per la catechesi, “per conoscere quella fede per la quale le suore straniere erano state spinte ad abbandonare la preziosità della famiglia e a servire la gente in un paese straniero e lontano”. I genitori non vedevano la cosa di buon occhio, ma dopo quattro mesi arrivò il momento: “Alla fine di ottobre, terminato il corso sul cattolicesimo, ero convinta di aver trovato la verità. Chiesi il battesimo. Anche se gli altri catecumeni normalmente dovevano aspettare un anno, riuscii a convincere tutti di essere pronta, tanto che il 20 ottobre fui battezzata con il nome di Elisabetta e due giorni dopo cresimata con il nome della Madre di Gesù, Maria. Da allora iniziai a provare un desiderio interiore di servire … Con alcune signore visitavo orfanotrofi , aiutavo nel catechismo per bambini ed altro. Ma qualcosa ancora mi mancava”. Forse la vocazione? La giovane cattolica era pronta ed era già pronto, sotto il cuscino, il biglietto del treno per partire verso il postulato delle Suore di S. Maria della Mercede, ma la notte Satoko ebbe all’improvviso 40 di febbre. La diagnosi del medico fu tubercolosi.
Satoko Elisabetta (anni 20), nel giorno del suo battesimo non volle indossare uno dei suoi amati e colorati kimono, ma un abito da sposa con il velo. Era la sua segreta promessa a Gesù di voler appartenere totalmente a Lui, come le suore di S. Maria della Mercede che il giorno dei loro voti indossano un abito bianco

Fra Zeno, “il mendicante della Madonna”

Zeno Zebrowski, fratello nell’Ordine Francescano, era un figlio spirituale della prima ora di Massimiliano Kolbe ed era stato accanto al Santo nella sua missione in Giappone. Rimase poi in quel paese per 52 anni fino alla morte. Per i giapponesi divenne “il mendicante della Madonna” e il simbolo dell’amore cristiano perché, dopo la Seconda Guerra Mondiale, il fratello questuante attraversò tutto il paese per aiutare i più poveri. Nel dicembre del 1950, durante uno dei suoi viaggi che duravano mesi, Fra Zeno andò per la prima volta a Tokyo e qui incontrò Satoko. Lei stava suonando il pianoforte al primo piano di un magazzino all’ingrosso di scarpe, appartenente alla sorella Kazuko, quando la chiamarono e le chiesero di scendere perché l’aspettava uno che aveva l’aspetto di San Nicola. “Ed ecco, mi trovai davanti ad uno straniero alto, con un abito nero e una barba bianca, il quale, con i suoi occhi buoni, mi sembrava riuscisse a guardare fin nel fondo della mia anima. Egli notò il mio rosario ed io gli dissi: ‘Ho ricevuto il Battesimo un anno fa’. – ‘Bene, bene!’, mi rispose lo straniero in un giapponese stentato. ‘La Madonna ti donerà molte grazie, tu prega per la gente terribilmente povera che vive qui per strada!’. Poi mi diede un libricino stampato modestamente e sparì. Tornata nella mia camera, lessi del sacerdote cattolico Massimiliano Kolbe, che aveva operato a Nagasaki e che era stato ucciso ad Auschwitz. Tutto era nuovo per me!”. Dieci minuti dopo, sulle rive del pantanoso fiume Sumida, Fra Zeno trovò un “centro di straccivendoli” e avrebbe subito voluto distribuire ai bambini sporchi i doni che aveva ricevuto elemosinando. In quel momento si rivolse a lui Ozawa, uno scaltro ex-commerciante: “Tu appartieni alla ‘religione Amen’, ma noi non siamo mendicanti e non abbiamo bisogno della tua carità”. Dalla fine della guerra, come un “boss”, Ozawa organizzava la vita di circa cento senzatetto, i quali ogni sera venivano pagati per stracci, rottami, carta da macero, rifiuti, secondo il peso e la qualità; con quei modesti ricavi essi si erano costruiti delle abitazioni provvisorie. Poi si presentò anche Matsui, trentacinque anni, un tempo scrittore. Egli odiava i cristiani e guardò in modo sprezzante il frate francescano. Matsui, che dopo la guerra aveva lavorato in uno studio legale, aveva aiutato gli straccivendoli del fiume Sumida a fondare un’associazione giuridica. Egli si era prefisso lo scopo di salvare il “centro degli straccivendoli” dalla mafia e dalla distruzione da parte del comune; lui stesso viveva in questa cosiddetta “città delle formiche”, “perché le formiche lavorano sempre duramente dappertutto e acquistano forza dalla loro unione”. Si rivolse a Fra Zeno in modo brusco: “Se ci vuoi aiutare, allora portaci sui giornali, in modo che le autorità comunali non possano cancellarci e ridurci in cenere”. E senza colloqui ulteriori diede alla stampa la notizia: “Qui parla la ‘città delle formiche’. Con l’aiuto di Fra Zeno stiamo costruendo una Chiesa”. La notizia arrivò come un fulmine a ciel sereno! Venne subito un giornalista per fare delle foto a Ozawa, Matsui e Fra Zeno. Il giorno dopo Satoko lesse affascinata l’articolo e in seguito decise di cercare la “città delle formiche” sulla sponda del Sumida. Mentre si trovava incerta davanti all’ ‘ufficio’ del capo, Fra Zeno le andò incontro. “Venga, signorina, le faccio vedere qualche cosa!”, le disse e la guidò per circa 500 metri facendole notare i buchi creati in terra sulla riva e rivestiti con cartone. La puzza fece retrocedere Satoko. Era possibile che questa striscia di terra, distante meno di un chilometro da casa sua, fosse davvero Tokyo? Sconcertata tornò indietro con Fra Zeno. A casa le spiegarono e mostrarono con tanti articoli di giornali come migliaia di vittime della guerra dimorassero nelle stesse condizioni in altre grandi città del Giappone. “Quella sera stavo a letto senza poter dormire. Fra Zeno, un uomo senza cultura, mi aveva fatto scoprire un aspetto del Giappone, la cui esistenza mi era sconosciuta, invece in migliaia vivevano in quella estrema miseria... Io ero coccolata e circondata di tappeti, stufe a gas, avevo pure un giardino, mentre quello straniero, senza pensare a se stesso, lavorava in un mondo perduto, in una realtà dolorosa. Il mio impegno cristiano mi sembrò all’improvviso come ‘l’hobby indolore di una principessa’. Dal giorno del battesimo avevo pregato intensamente per avere chiarezza, su come e dove avrei potuto servire Dio e gli uomini con tutto il cuore.
Ora ero eccitata e gioivo per la certezza che Fra Zeno, come un angelo di Dio, mi aveva indicato la mia vocazione”.

Diventare poveri per rendere gli altri ricchi

Pochi giorni prima della vigilia di Natale, Fra Zeno pregò la sua nuova “amica spirituale” di organizzare la festa di Natale per i bambini della “città delle formiche”. Lei fu d’accordo e con questo suo “sì”, per la prima volta, entrò consapevolmente nel mondo degli straccivendoli, prima a lei sconosciuto. Presto la “città delle formiche” divenne il posto che le stava più a cuore e la visita giornaliera in quel luogo scandì il ritmo della sua giornata. Fu certamente opera dello Spirito Santo il fatto che questa giovane dell’alta società considerò sua particolare vocazione occuparsi dei più poveri, come aveva fatto la sua protettrice della cresima, la principessa santa Elisabetta di Turingia (1207 – 1231). Alcuni di questi poveri vivevano da cinque anni “alla giornata”. I vicini di casa, senza comprensione, si lamentarono fortemente dei “ladri, degli agenti patogeni e del chiasso”, quando la signorina Satoko portò nella villa paterna la brigata rumorosa dei ragazzi della “città delle formiche”; da loro Satoko veniva amorevolmente chiamata “sensei”, maestra. I genitori perplessi indicarono alla figlia i pericoli di questa vita insolita, ma la lasciarono libera di agire. Ogni sera mamma Kitahara disinfestava personalmente la figlia nel bagno, disinfettava anche i vestiti e la stanza del pianoforte, usata per i canti e la musica. Satoko scrisse alla sua compagna di studi, Mayumi, dei “suoi bambini”. Anche lei proveniva da una famiglia ricca e si era convertita al cattolicesimo. Mayumi le rispose francamente: “Anche io cerco di fare del bene: regolarmente con la macchina accompagno le suore negli ambienti più poveri e lì assisto dei malati. Poi però torno a casa, faccio il bagno e, con il vestito da sera, vado a teatro. Che doloroso contrasto nella mia vita! Che barriera fra noi e i poveri! Come superi questo abisso nella ‘città delle formiche’? Se esiste una ‘medicina’ per superare questa situazione insopportabile, mandamene l’indicazione!”. Naturalmente anche Satoko conosceva questa contraddizione: la mattina scendere nella povertà e poi la sera tornare a casa, in un mondo sano, con bagno, pasti caldi e riposo davanti al camino. Rispose a Mayumi: “Anch’io mi sento in questo nuovo, strano mondo come una bambina piccola e perplessa, ma mi lascio guidare spiritualmente”.
Attingeva dalla S. Comunione la fiducia in Dio, di questa forza aveva tanto bisogno! I due non-credenti, “responsabili” della “città delle formiche” non erano aperti al suo operato. Il “boss” Ozawa osservava con scetticismo e scontato era il rifiuto di Matsui verso la ricca “straniera”. Un giorno le disse in faccia chiaro e tondo: “Non sopporto i cattolici e i missionari in particolare, questi ipocriti ‘sepolcri imbiancati’. Giovani donne, come te, vengono negli slums e portano con ‘carità cristiana’ e come ‘apostoli di Gesù’ le cose che a loro non servono più o che hanno in abbondanza. Ma voi non avete la minima idea della miseria di quelli che passano qui 365 giorni l’anno. Noi, qui, siamo interessati solo a coloro che restano e spartiscono con noi le sofferenze. Legga 2 Cor 8,9!”. Quella sera Satoko tornò a casa barcollando per la febbre. Malata di tubercolosi doveva restare a letto e così ebbe tempo di leggere e rileggere il versetto della Lettera di San Paolo: “Voi conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo il quale, da ricco che era, si è fatto povero per voi, affinché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”. Un non credente l’aveva provocata con la Sacra Scrittura!

Liberamente una di loro

Dopo quattro settimane, il medico le permise di alzarsi e con la Sacra Scrittura scese al fiume Sumida dove Dio le fece comprendere qualcosa di importante: “Finora mi sono sentita una cristiana speciale, solo perché, nel mio tempo libero, mi sono degnata di aiutare alcuni bambini della ‘città delle formiche’. ... Dio però, per salvarci, ha mandato il Suo unico Figlio, che è diventato come noi, veramente uno di noi. Questo mi ha colpito profondamente. Allora c’è una sola via per aiutare questi bambini: diventare una straccivendola”. In quel momento incontrò un ragazzo che, con i suoi genitori, stava lasciando per sempre la “città delle formiche”. Satoko gli diede in dono la sua Bibbia e gli chiese in cambio il suo carro, che poi, quel giorno di settembre del 1951, portò per la prima volta nel centro. “Hai letto la lettera ai Corinzi?”, gli chiese Matsui, un po’ più delicatamente e il “boss” aggiunse con un sorriso: “Che gioia, la nostra signorina è tornata!”. Lei però rispose: “Per favore, non chiamatemi più così. Ora sono una straccivendola come voi!”. Il giorno dopo nel giardino di casa stava mettendo olio al suo carro, quando il professor Kitahara chiese meravigliato alla figlia ventiduenne cosa stesse facendo. Totalmente calma, ella rispose: “Papà, questo è il mio carro ed io ora sono una straccivendola. Il mio nome di battesimo è Elisabetta. Questa Santa ha fatto molto per i poveri fino a quando si è resa conto che lei stessa doveva diventare povera. Questo l’ho compreso anch’io”. Nonostante la salute cagionevole, Satoko iniziò con slancio un operoso apostolato come “formica tra le formiche”. Dopo nove mesi, il “boss” non aveva più pregiudizi su di lei e, seguendo il consiglio di Ozawa, tutti i genitori affidarono a Satoko l’educazione dei loro figli. Si stabilì un programma per la giornata e presto, oltre ai bambini, sempre più genitori, compreso il “boss”, iniziarono a partecipare alla preghiera mattutina nella semplice chiesetta di legno, al centro della “città delle formiche”. L’aveva eretta Matsui, non credente, insieme a molti aiutanti, dopo che si era sparsa nuovamente la voce che il comune avrebbe voluto demolire il centro. Nei mesi successivi Satoko organizzò una casa dove fare il bagno, aiutò i ragazzi per i compiti, per poi, fino a sera tardi, raccogliere cenci, che in seguito venivano differenziati e pesati. Dopo un povero pasto, che a volte mancava del tutto, completamente esausta, solo verso la mezzanotte, Maria Elisabetta tornava dalla sua famiglia a dormire.
Satoko, che a casa aveva personale di servizio, un giorno vide passare i bambini della “città delle formiche” con i cesti vuoti sulle spalle mentre spingevano i loro carri. Disse loro: “Vengo anch’io, voi andate avanti!”. Raccontò poi: “Sinceramente mi mancò il coraggio di spingere un carro con loro. Avevo un debole per i kimono e quel giorno ne indossavo uno particolarmente bello; non me la sentivo di accompagnare i bambini sporchi, vestita così. Perciò imbarazzata e furtiva iniziai da sola a raccogliere rifiuti sulle strade di Tokio. Ad un certo punto mi alzo e, con mia grande sorpresa, incontro lo sguardo del nostro vicino di casa. Che imbarazzo! Oh, come mi sentii misera, rosso vivo in faccia! Ma un attimo dopo mi immersi nella preghiera e nel mio intimo invocai: ‘Maria!’. Subito dopo la giaculatoria mi sentii libera da qualsiasi falso riguardo umano. In poco tempo tornai, presi un carro vuoto e via sulla strada. Mentre camminavo mi venne in mente la risposta di Maria all’Angelo e mi diede una profonda pace: ‘Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto’.”  A Satoko veniva spesso in mente qualche cosa di interessante per le sue piccole ‘formiche’. Pregava molto per loro e nel gruppo chiassoso entrarono presto anche il sorriso e la gioia. Insegnava ai bambini a vedere, oltre lo sporco e la miseria, la bellezza nascosta del creato e a ringraziare Gesù per questo. Seguendo il motto: ‘Felice è colui che sa dare’, convinse i bambini a far visita agli anziani e ai malati nella ‘città delle formiche’. In estate, tutte le ‘formiche’ collaborarono con entusiasmo ad una raccolta di cenci per fare dei regali ai senzatetto, ai malati di lebbra e ai bambini ancora più poveri di loro.“Maria della città delle formiche”
Satoko, 22 anni, malata di tubercolosi, fu di nuovo costretta a rimanere a letto; soffriva del fatto che, oltre a tenere il rosario in mano, non potesse in nessun altro modo aiutare fisicamente. Le arrivarono però molte lettere con preghiere da tutto il Giappone, perché “Maria della città delle formiche” era ormai molto conosciuta. Matsui le fece visita e le consegnò una lettera di Hiroichi Horiike, un prigioniero giapponese che, nelle Filippine, era stato ingiustamente condannato a morte. In prigione aveva trovato la fede, ma era preoccupato per il caos nel Giappone dopo la guerra. Egli aveva scritto a Satoko: “Quando ho letto del tuo lavoro nella ‘città delle formiche’, ho trovato pace nel mio cuore. Tutti i giorni sei nelle mie preghiere e, guardando te, mi convinco che vale la pena perdere la vita per il Giappone”. Satoko pregò Matsui di aiutarla a chiedere al presidente delle Filippine la grazia per quell’uomo e scrisse: “Volentieri sarei pronta ad andare dai vostri orfani e vedove di guerra per lavorare per loro e servirli”. Satoko fece anche pregare i “suoi” bambini per questo scopo e … Hiroichi venne liberato. Matsui, più tardi, scrisse: “Questo avvenimento segnò una svolta nella mia vita. Avevo pensato che il cristianesimo fosse solo scialbo, pieno di cerimonie, musica d’organo e inni sentimentali. Invece vedevo che la fede di Satoko era così forte da renderla pronta ad andare dai poveri in un paese straniero”. “Quanto ingiusto è stato il mio giudizio su lei e sulla sua fede!”. Nello stesso tempo il “boss” gli disse: “Tramite Satoko ho conosciuto Cristo e la sua potente religione, perciò chiederò il battesimo al sacerdote”. Così Matsui, il “boss” e le famiglie della “città delle formiche” iniziarono a frequentare la S. Messa tutte le domeniche e anche il catechismo. Anche se nessuno della sua famiglia era con lei, Satoko fu colma di immensa gioia, quando, il 20 ottobre 1952, proprio lo stesso giorno del suo battesimo, i suoi figli spirituali divennero cristiani. Come nomi di battesimo, Matsui scelse “Giuseppe” e il “boss” quello di “Zeno”. Espressero grati il desiderio di avere per sempre Satoko con loro nella “città delle formiche”. La ragazza gravemente malata, senza dire una parola, baciò la croce del suo rosario e si allontanò.
Visse ancora per sei anni e aiutò nella “città” occupandosi dei “suoi” bambini. Nel gennaio del 1957 si decise di bruciare definitivamente il centro e Satoko supplicò con fervore: “Madre di Dio, senza lamentarmi sarò pronta... Ho dato al Signore tutto ciò che avevo. Che grazia preziosa sarebbe ora per me quella di offrirmi completamente”. Come per miracolo, il 22 gennaio 1958, fu concesso un terreno per la “città delle formiche”. Solo un giorno dopo Satoko moriva a 28 anni con le parole: “Dio ci ha donato tutto quello che abbiamo chiesto”. Gesù accettò il sacrificio della sua vita per la salvezza della “città delle formiche”. I funerali di Satoko furono presieduti dall’arcivescovo di Tokyo, con grande partecipazione della popolazione; subito sacerdoti di diversi ordini, fedeli e non credenti iniziarono a chiedere la sua intercessione. Il processo di beatificazione della Serva di Dio è avviato.

Tratto da “Trionfo del Cuore” LA FEDE IN CRISTO TRASFORMA LA VITA PDF - Famiglia di Maria Maggio - Giugno 2014 N° 25



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