INTRODUZIONE
Attraversavo in filobus la via
Etnea di Catania. In una « fermata facoltativa » ebbi modo di osservare le
copertine di alcuni libri esposti in vetrina presso una libreria. Mi colpì un
titolo: « Tutti ladri ».
- Possibile, dissi tra me, che tutti siamo
ladri? - Non mi diedi la briga di provvedermi del volume; ma ritornando col
pensiero a quel titolo, conclusi: Se non si è ladri da tutti, lo si è
certamente da una gran maggioranza!
Volli in seguito approfondire il
problema e mi decisi a comporre questo scritto.
Tratterò della giustizia, in
genere ed in specie, e dell'obbligo della restituzione.
PARTE PRIMA
NON RUBARE
PRELUDIO.
Simpatico quel vecchietto messinese che, anni
or sono, mi raccontava le sue avventure! Dopo la narrazione, soggiunse: Io sono
di novant'anni e voi di quaranta; non dimenticate ciò che vi dico: La società è
un ammasso di ladri! È ladro chi vende, perché falsifica la merce e pretende
più del giusto; è ladro chi compra, non volendo pagare quanto deve. Ladro il
datore di lavoro, perchè riduce la paga all'operaio; ladro l'operaio, che non
compie con coscienza il lavoro. Ladro chi dà denaro in prestito, esigendo
troppo interesse; ladro chi ha avuto il prestito, perché non vuol restituire ...
Tutti ladri oggi; ma ai miei tempi c'era più coscienza! –
IL COMANDO DI DIO.
I Comandamenti di Dio contengono
i doveri che abbiamo verso di Lui, verso il prossimo e verso noi stessi. Queste
leggi morali sono conformi alla retta ragione e si possono osservare con la
buona volontà e con l'aiuto della grazia divina.
Ascoltiamo quanto Iddio ha
comandato nell'Antico Testamento e nel Nuovo, riguardo alla roba altrui.
« Io sono il Signore Dio tuo...
Non rubare » (Es., 20, 15).
« A nulla gioveranno i tesori
male acquistati » (Prov., 10,2).
« Altri rubano l'altrui e sono
sempre in miseria » (Prov., 11, 24).
« È meglio poco con giustizia,
che grandi entrate con iniquità» (Prov., 16,8).
« Molti uomini son chiamati
misericordiosi; ma un uomo fedele chi lo potrà trovare? » (Prov., 20, 6).
« Chi ruba a suo padre ed a sua
madre e dice che non è peccato, è compagno dell'omicida » (Prov., 28, 24).
« Chi si associa al ladro, odia
la sua anima » (Prov., 29, 24).
« Immonda è l'offerta di chi
sacrifica roba di male acquisto » (Eccl., 34, 21).
« Chi offre sacrifici con la
roba dei poveri, è come chi sgozza un figliuolo sotto gli occhi del padre. Il
pane dei bisognosi è la vita dei poveri; chi loro lo toglie, è un assassino »
(Eccl., 34, 24).
« Chi toglie il pane del sudore,
è come se uccidesse il prossimo. Chi sparge il sangue e chi defrauda la mercede
all'operaio, sono fratelli » (Eccl., 34, 26).
« Guai a colui che accumula roba
non sua! Diranno: E fino a quando durerà a caricarsi addosso denso fango?
(Abacuc, 2, 6).
« La maledizione si spande sopra
la faccia di tutta la terra, perché tutti i ladri saranno giudicati » (Zacc.,
5, 3).
« Badate di non errare: Nè i
ladri, né gli avari possederanno il Regno di Dio » (Cor., 1, 6-9).
I LADRI.
Il settimo Comandamento « Non
rubare! » proibisce l'appropriazione indebita della roba altrui ed il recare
danno ai beni materiali del prossimo.
La natura umana, ferita dalla
colpa originale, inclina al male. La cupidigia della ricchezza suole essere nel
cuore umano ed è una passione molto pericolosa, perché potrebbe spingere al
furto ed anche al delitto.
Possiamo distinguere diverse
categorie di persone, che mancano al settimo Comandamento. Cominciamo dalla
prima, che è la più degna di compassione.
Taluno ha la mania del furto,
cioè davanti al denaro o ad un oggetto di valore perde il controllo di se e se
ne appropria. Interrogato perché agisca in tal modo, risponde: Non lo so neppure
io! Mi dispiace rubare; eppure devo farlo. Sento in me una forza superiore alla
mia volontà. -
Chi opera così, è affetto da
malattia, chiamata « cleptomania » e non è responsabile di ciò che fa. I
giudici non sogliono punire questi maniaci, perché considerano tali furti come
effetto di pazzia.
I cleptomaniaci sono rari.
Tanti altri, che non sono
naturalmente maniaci, con il continuo ripetere dei furti contraggono l'abitudine
di rubare. La cattiva abitudine non scusa né davanti a Dio né davanti agli
uomini.
UN GALEOTTO.
Entrai in una Casa Penale, per
visitare i detenuti e dir loro una buona parola. M'intrattenni nei vari reparti,
conversando amichevolmente. Mentre i detenuti consumavano il sigaro, regalo
molto gradito, così parlai:
- Giovanotti, siete qui, nella
galera, ma speriamo possiate uscirne presto. State però attenti! Se uscirete,
non ritornateci più. Alle volte si commettono delle corbellerie in momenti di
passione, oppure si ruba spinti dal bisogno.
- Ma che bisogno, esclamò uno
dei presenti; io rubo tanto per rubare. Mi piace vivere senza lavorare. Finita
la mia pena, dopo poco tempo ritornerò. Ho il biglietto di andata e ritorno.
-
Guardai il galeotto con occhio
di commiserazione e non osai dirgli altro.
L'ABITUDINE.
Un brigadiere dei Carabinieri mi
narrava:
Ero di servizio in una
borgatina. Sovente vedevo comparire in caserma un uomo attempato. Era sempre
responsabile di piccoli furti. Dopo alcuni mesi di carcere, andava in libertà e
subito dopo era arrestato.
Un giorno si era verificato un
furto. Gli interessati denunziarono il fatto e non sapevano di chi sospettare.
Io risposi: Questa sera il ladro sarà qui, in caserma. -
Andai in casa dell'abbonato ai
furti e senz'altro l'incolpai del reato. - Vieni ora in caserma! E finiscila una
buona volta di disturbare la gente! -
Il ladro non si scusò, anzi mi
rispose: Voi, brigadiere, fate il vostro dovere. Ho rubato e mi dovete
arrestare.
- Ma non comprendi che la tua
condotta è disonesta? Non vedi che a fare il ladro, la perdi sempre? Promettimi
di non rubare più!
- Non posso prometterlo! Ormai
per me il rubare è indispensabile. Se, giunta la sera, penso di non aver rubato
nulla, mi pare di aver perduto la giornata; ed allora esco di casa e rubo
qualche cosa, non fosse altro, qualche tegolo o qualche legno. -
Che cosa dire di siffatta gente?
È ladra di professione ed è pienamente responsabile.
ASSENZA DI TIMORE DI DIO.
Sono un Missionario delle
carceri ed ho dovuto fare dolorose constatazioni. Nelle prigioni vi si trovano
degli assassini, ma il maggiore numero dei detenuti è formato da ladri. Ciò che
fà più meraviglia è il vedere più giovani che uomini maturi. Quale sarà la causa
della delinquenza prematura? Le cause sono diverse e la prima è certamente
l'assenza del timore di Dio. Un tale domandò: Perchè in carcere ci sono più
uomini che donne? - Gli fu risposto: Per il motivo che in Chiesa vanno più donne
che uomini. - Senza timore di Dio, che d'ordinario si alimenta nella Chiesa, è
inutile pretendere la vera onestà.
Un detenuto tenne un colloquio
con me; era afflitto ed arrabiato.
- Reverendo, mi diceva, con
quale coscienza si può tenere in galera un padre di famiglia? Le mie mani non si
sono mai macchiate di sangue; eppure mi hanno dato una pena terribile.
- Di quanti anni è la vostra
condanna?
- In base ai reati, dovrei stare
in galera quarant'anni; la sentenza però fu data per meno.
- Di che cosa siete reo?
- Soltanto di furti. Sin da
giovanotto non ho fatto altro che entrare ed uscire dal carcere; ma questa volta
pare non possa uscirne più
- Vi lamentate della prigionia,
perché adesso avete tante sofferenze morali; voi non dovevate rubare e far male
agli altri.
- Io ho fatto tanto bene agli
altri! Quand'ero latitante, aiutavo i bisognosi; procurai anche gli strumenti
del lavoro a certi padri di famiglia disoccupati.
- Fare bene agli altri, rubando,
non è conforme alla legge di Dio.
- Dio? ... Ma io ho creduto che
Dio non ci fosse!
- E per questo vi trovate in
galera. Se aveste avuto sin da piccolo un po' di timore di Dio, non sareste in
carcere.
- Sarà! Ma speriamo che venga
qualche amnistia e così ritornare in libertà.
COLPA DEI GENITORI.
La seconda causa della
delinquenza giovanile suole essere la poca o niuna cura che hanno dei figli i
genitori.
Sembrerebbe impossibile che il
padre e la madre incoraggino i figli al furto; eppure può avvenire.
Nel dopo-guerra i furti si
moltiplicavano, in conseguenza della miseria e del dissesto sociale. In quel
periodo, visitando una famiglia udii un episodio doloroso.
- Reverendo, mi disse un amico,
come si può rubare con tanta sicurezza e sfacciataggine? L'altro giorno scesi a
pian terreno e mi assentai da questa camera per dieci minuti. Al ritorno sentii
dirmi dal balcone vicino: È uscito di corsa dalla vostra casa un ragazzo. Che
vi abbia rubato qualche cosa?
- L'avete riconosciuto?
- Pare sia il figlio del
calzolaio, che abita nella via attigua.
Volli assicurarmi se mancasse
qualche cosa e mi accorsi che un cassetto dell'armadio era semiaperto. Quel
ragazzo in pochi minuti potè rovistare l'armadio, prendere diecimila lire e
scappare.
Di filato andai in casa del
ladro e vi trovai la madre.
- O mi date il denaro o faccio
arrestare voi e vostro figlio!
- Cosa è capitato?
- Non fate la sciocca! Sono
stato carabiniere e so come agire!
- Io non so proprio niente!
- Voi sapete tutto ... e siete
responsabile di ciò che ha fatto vostro figlio!
Vedendo la donna ch'ero deciso a
denunzíarla, rispose: Poi domanderò a mio figlio se è vero che ha rubato.
- Vostro figlio è stato visto ed
è inutile negare. Datemi le diecimila lire!
La signora si diresse ad un
angolo della stanza ed estrasse da una buca, praticata nella parete, cinque
biglietti da mille.
- Forse, esclamò, il denaro è
questo? ... Ma sono cinquemila, non dieci. - Dovete darmi diecimila lire!
Dopo minacce, prese da tasca
altre cinque biglietti da mille e me li consegnò, dicendo: Eccovi il denaro!
Andate via e non seccatemi più! -
Quali pronostici fare
sull'avvenire di questo piccolo ladro? Diventerà un figlio della galera e
maledirà la madre, causa di tanta rovina.
SÌ, PER TE! ...
In Francia c'era la pena di
morte. La sentenza capitale si eseguiva con la ghigliottina.
Un giorno doveva giustiziarsi un
giovane, perché ladro ed assassino. La grande piazza rigurgitava di popolo, in
attesa dell'esecuzione. Quando il giovane montò sulla ghigliottina, tutti gli
occhi erano su di lui. Il condannato era pallido e meditabondo. Pensava che fra
pochi istanti la mannaia gli avrebbe troncato il capo. Il sovraintendente della
polizia gli rivolse la parola: E’ concesso ai condannati a morte di manifestare
l'ultimo desiderio. Se si potrà, si soddisferà. -
Il giovane rispose: Vorrei
vedere mia madre! -
La misera genitrice era tra la
folla e si avanzò frettolosa, lacrimando. Mentre faceva i gradini della
ghigliottina, la gente esclamava: Povera madre! Chi sa che dolore! Quale
abbraccio darà al figlio! ...
Quando il giovane ebbe davanti
la madre, la fissò fieramente e poi lanciò uno sputo in faccia, dicendo: Per
te, sì, per te, vado a morire! ... Se quando ero ragazzo e commettevo piccoli
furti, tu mi avessi corretto e punito, non sarei giunto a questo stato! -
DA PICCOLI.
A San Cataldo (Caltanissetta)
c'è un Centro di Rieducazione; vi sono ricoverati circa duecento cinquanta
giovanetti; sono i correggendi. Più di una volta ho visitato questo Centro; è un
vero collegio, però gli istitutori sono poliziotti e trattano con norme
particolari i ricoverati. In seno all'Istituto c'è un salone, chiuso a chiave e
custodito giorno e notte. Sul frontone della porta è scritto « Carcere dei
Minorenni ». L'ultima volta che entrai in questo salone, i detenuti erano
diciotto. Chiesi alla guardia: Quando usciranno costoro? - Per adesso restano
qui; appena compiuto il diciottesimo anno di età, andranno al carcere dei
maggiorenni.
- La pena di questi ragazzi,
credo sia minore di quella dei maggiorenni! - Certamente! Tempo fa, un
minorenne di diciassette anni, reo di delitto, fu condannato a diciassette
anni, invece di trenta o venticinque.
Al mio ingresso nel salone, si
diede 1'« attenti! » e potei parlare con i singoli. Soltanto uno si era
macchiato di sangue per aver dato una coltellata al cognato; tutti gli altri
erano rei di furto.
Così piccoli, ed essere
annoverati tra i ladri!
Come hanno cominciato costoro la
loro triste carriera? Con piccoli furti, compiuti probabilmente per incuria dei
genitori.
POVERO « GATTO »!
Ero nel cortile di un Ospizio;
mentre i giovani scorazzavano, entrò un ragazzo di circa quattordici anni. Un
operaio dell'Ospizio mi disse: Si guardi da quel tale! Fu cacciato da questa
Casa perché rubava ai compagni!
Passarono alcuni anni. Mi
avviavo alla stazione ferroviaria di quel paese e vidi a pochi passi da me due
carabinieri, che a ccompagnavano un detenuto. Ebbi la curiosità di guardare
chi fosse. Era proprio quel tale, di cui mi aveva parlato l'operaio.
Casualmente il detenuto era soprannominato « gatto » e dissi fra me: Povero
gatto! Ha fatto la fine del topo! È caduto in trappola! - Quest'esempio giovi
ai genitori ed agli educatori a correggere energicamente i ragazzi quando
scorgessero in loro la tendenza ai piccoli furti.
VOGLIA DEI PIACERI.
Un'altra causa dei furti
giovanili è la voglia dei piaceri. Non si dia ai giovanotti troppa larghezza
nei divertimenti; più si gode, più si vuol godere. Siccome il piacere ha forte
attrattiva, il giovane per procurarselo ha bisogno di denaro; se riesce, lo
ruba in casa; non potendo fare ciò, escogita come procurarselo fuori.
Il seguente episodio è avvenuto
a me.
Ero in una Casa di Educazione,
in qualità di superiore. Nel pomeriggio venne un giovanotto sui venti anni;
aveva una lettera minatoria e domandava subito del denaro. Era poco esperto del
mestiere e non si accorse del trucco che gli preparavo. Lo intrattenni a
parlare nel cortile con un'altra persona e corsi a telefonare al maresciallo dei
carabinieri. Dopo alcuni minuti giunsero in bicicletta gli agenti. Il giovane
colto in flagrante, fu perquisito ed ammanettato. Da lì a qualche ora giunse la
madre del ladro e supplicava di perdonare il figlio. Dopo un mese di carcere
preventivo, fatta la causa, il giovane fu condannato ad un anno di carcere e ad
una multa, cinque volte maggiore della somma richiesta nella lettera minatoria.
Cosa rispose il reo davanti al giudice? - A Palermo doveva tenersi una partita
di calcio. Desideravo assistervi. Non avendo il denaro, speravo di provvedermelo
con la lettera minatoria. -
FILMS E FUMETTI.
Fra le cause della delinquenza
furtiva dei minorenni è da mettere l'istruzione immorale che s'impartísce nei
films, nei romanzi gialli e nei fumetti. Il giovanetto impara a rubare e si
addestra a fare i trucchi, che gli artisti incoscienti insegnano.
Il fatto avvenne due anni fa in
Sicilia. Tre ragazzi dai tredici ai quindici anni, appassionati del cinema e dei
fumetti, spesso giocavano con armi finte, cioè con rivoltelle di legno. Il più
grandetto nel carnevale si era vestito in maschera, in abito di avventuriero; le
pareti della sua cameretta erano tappezzate di fumetti; i genitori ci ridevano
su.
Questo grandetto, di quindici
anni, ideò di rubare in una banca, con l'aiuto degli altri due. Il patto era di
dividere il denaro in parti uguali.
Approfittando della distrazione
degli impiegati, riuscirono nel colpo. L'indomani il giornale diceva: Hanno
rubato ieri lire 600.000 nella banca.
Il più piccolo dei ladruncoli,
che aveva ricevuto L. 50.000, disse ai due: A me toccano L. 200.000. Se non mi
date quanto mi spetta, rivelo il furto al maresciallo! -
I due grandetti, temendo essere
scoperti, invitarono il compagno ad una gita in campagna. Qui lo uccisero a
coltellate e lo gettarono in una cisterna. Dopo due mesi fu ritrovato il
cadavere. Oggi i due delinquenti sono in carcere.
Ecco il frutto dei films e dei
fumetti!
LADRI ... IN GUANTI GIALLI CHI
SONO?
Si è parlato dei ladri
propriamente detti.
Ci sono altri ladri? Certamente,
e più numerosi e più responsabili! Come chiamare questa categoria? « Ladri in
guanti gialli ».
È furto l'appropriazione
indebita della roba altrui e quindi lo commette tanto il borsaiolo o il ladro a
mano armata, quanto colui che froda in qualsiasi modo in società.
I ladri in guanti gialli non
sogliono andare in prigione, o perché sanno legalizzare la loro condotta, o
perché, servendosi del denaro riescono a corrompere gli esecutori della
giustizia. Ciò non toglie che siano veri ladri davanti a Dio, quantunque forse
ricoprano in società posti eminenti ed abbiano dei titoli onorifici. Viene a
proposito la strofa, che mente arguta formulò per certi ladri in guanti gialli,
fregiati della Croce di Cavaliere: In tempi men leggiadri e più felici, i ladri
si appendevano alle croci.
In tempi men felici e più
leggiadri, Si appendono le croci in petto ai ladri.
ABUSO DI PROFESSIONE.
Chiunque esercita una
professione, deve essere consapevole della sua missione ed avere di mira il bene
sociale, pur esigendo il giusto onorario. Purtroppo non tutti hanno la
coscienza e, spinti dall'amore al denaro, si servono della professione per
commettere delle ingiustizie, anche gravi, motivo per cui sono da considerarsi
veri ladri.
Che cosa dire, fatte le dovute
eccezioni, di quel medico che prolunga la cura di un cliente ricco,
moltiplicando le visite, per guadagnare molto denaro? Senza dubbio è un ladro,
perché ruba onoratamente ... ma ruba!
Come chiamare quel professore,
che per fare delle ripetizioni nelle vacanze estive ad un alunno, appartenente a
famiglia benestante, lo ritiene ingiustamente in qualche materia nel primo
esame? Questo professore si chiama ... ladro!
Cosa pensare di quell'avvocato,
il quale sa che il suo cliente ha torto e che certamente perderà la lite e le
spese, ed intanto lo spinge a fare la causa, unicamente per guadagnare denaro?
Anche quest'avvocato è ladro!
Mi diceva un avvocato: A volere
agire rettamente nella nostra professione, significherebbe restare in ozio.
Bisogna vivere; ma senza imbrogli, difficilmente l'avvocato potrebbe vivere.
-
Come ho detto sopra, non tutti i
professionisti appartengono alla categoria dei ladri in guanti gialli.
L'esperienza prova che tanti sono onestissimi.
PRINCIPIO DI MORALE.
Prima di inoltrarci
nell'argomento dei furti e delle frodi, che comunemente si commettono nel lavoro
e nel commercio, conviene chiarire il principio di morale, affinché il lettore
sappia distinguere il peccato grave dal leggero.
Perché il furto diventi peccato
mortale, o grave, deve tenersi conto del valore della cosa rubata e del danno
che ne proviene al derubato.
Il fare piccoli e ripetuti
furti, con la scusa che sono piccoli, è pericoloso all'anima, poiché la materia
del furto si ammassa e poco per volta potrebbe arrivare alla gravità.
Davanti a Dio non vale la scusa:
Nel commercio tutti imbrogliano! - A Dio bisognerà dar conto di tutto.
IL COMMERCIO.
Il commercio è una forma di
contratto. Si cede un oggetto, una merce, un animale ... per ricevere una
somma, corrispondente al valore di ciò che si dà. Se la merce si offre ad un
prezzo maggiore di quel che vale, si commette un furto; se il compratore non dà
il denaro che dovrebbe dare, o perché la moneta è falsa, o perché sottrae
qualche cosa alla somma pattuita, è reo di furto.
Trattandosi di compra e vendita,
e necessario conoscere il principio morale del prezzo.
Nel commercio, per ogni genere,
c'è il prezzo minimo, il medio ed il massimo. Entro i limiti del prezzo di
piazza, si può oscillare; ma chi pretende più del prezzo massimo, manca al
settimo Comandamento. Un esempio.
Un contadino vuole acquistare un
orologio, però non conosce bene la merce; domanda al venditore il prezzo. -
Costerebbe lire cinquanta mila; a voi lo cedo per quaranta.
Il contadino spera di ottenere
ancora un po' di riduzione e dopo insistenze, si pattuisce per trentacinque mila
lire.
L'orologiaio si mostra seccato.
- Vi ho dato un orologio di marca e ve l'ho ceduto per quanto è costato a me.
Pazienza! Questa volta neppure una lira ho guadagnato!
Il compratore va via contento,
sicuro di aver fatto un buon acquisto. Realmente l'orologio costerebbe di meno;
il prezzo di simili orologi oscilla da venticinque a trenta mila lire.
L'orologiaio, approfittando
dell'imperizia del cliente, ha venduto per cinque mila lire in più. E' stato un
vero ladro e dovrebbe restituire.
Di simili furti nel commercio se
ne compiono in gran numero e, purtroppo, senza scrupolo. Chi dice: Il commercio
è questo! - dimostra di non aver coscienza.
GENTE CAMUFFATA.
Nelle vie più movimentate della
città può avvenire di essere fermati da qualcuno, che si camuffa per straniero.
Il linguaggio suole essere un inglese raffazzonato.
Il forestiero chiede
informazioni per andare al Consolato, dovendo partire per l'estero. Dopo le
prime battute, entra in argomento e presenta la valigia contenente stoffa. A
pochi passi c'è il così detto « compare » o socio, il quale suol fare lo gnorri
e si avvicina per curiosare.
Chi non conosce il trucco, può
caderci facilmente.
Non poche volte sono avvenuti a
me simili incontri; ma avendo fatto capire di conoscere già la storiella, lo
straniero ha cambiato linguaggio e si è allontanato.
Costoro, che così agiscono, sono
truffatori? È da vedere. Si servono di quest'astuzia per vendere la merce, che
presentano come ottima e che dicono di vendere a basso prezzo, essendo di
contrabbando. Se riescono a vendere la stoffa per il prezzo che vale, non c'è
alcuna ingiustizia; se la cedono ad un prezzo maggiore, sono rei di truffa.
STILE « 900 ».
Chi è ladro, tenta tutte le vie
per frodare. Quanti imbrogli nei pesi! Graziosa questa cartolina del
pubblico!
Diceva un tale: Lo stile « 900 »
è veramente artistico! Si vede un bel palazzo e si domanda: Che stile è? « 900!
».
Si espone un elegante vestito;
sotto c'è la targhetta: Stile « 900 ».
Si va al mercato a comprare un
chilogrammo di carne. La si pesa in casa e risulta: 900.
Tutto è intonato a questo
stile!
LO SFACCIATO.
Il trucco nel peso taluni sanno
farlo così bene, che è difficile scoprirlo.
Conosco un venditore ambulante,
abilissimo in questo. I clienti gli danno del « ladro » ed egli ride come se
gli si desse un titolo onorifico.
Chiamato alla mia presenza e
facendoglisi notare che non agiva bene, rispose: Io debbo vivere!
- Ma è proprio vero che il tuo
trucco nel peso non si può avvertire?
- Certo! Ecco la prova!
Sotto il mio sguardo regolò la
bilancia e pesò un chilogrammo di frutta. Sembrava tutto esatto.
- Ora, disse, pesate la merce
con un'altra bilancia; ne mancheranno centocinquanta grammi.
- Ma come riesci a fare
l'inganno? - Con un leggero movimento, prima di mettere la merce sul piatto
della bilancia.
- E non vedi che rubi?
- Ma che, sono sciocchezze! Un
po' di merce in meno, è niente!
- Come vedi, il titolo di ladro
ti sta bene! -
GENERI ALTERATI.
E' furto dare al venditore
denaro falso, è furto dare al compratore la merce falsificata.
Diceva un tale: Che differenza
c'è tra Dante Alighieri e un oste? ... Il Poeta feceva versi divini; l'oste fa
vini diversi!
Dunque, come esempio, se un
venditore di vino adoperasse dell'acqua per aumentare il volume del vino,
peccherebbe contro il settimo Comandamento, perché falsifica la merce. Tanta
acqua aggiunge, tanto denaro ruba.
Questo furto, in tutti i generi,
è cosa comune, per cui oggi si richiede molta oculatezza nella compra.
Se dovessero andare in prigione
tutti i falsificatori di merce, non basterebbero più le carceri!
D'ordinario si alterano i generi
in modo che il compratore non se ne avveda; ma c'è Dio che osserva!
COOPERAZIONE.
Quando un furto viene provato legalmente, la
pena cade sul ladro, sull'aiutante, sul manutengolo, sul compratore doloso
della refurtiva, su tutti quelli insomma che hanno cooperato al reato. Così
agisce la legge umana. Davanti a Dio le cose procedono allo stesso modo, anzi
con più rigore, in quanto si è rei non solo a rubare ed a cooperarvi, ma anche a
desiderare di appropriarsi ingiustamente del bene altrui o a consigliare il
furto.
IL CROLLO.
Una fabbrica sta per allestirsi;
pare che tutto proceda bene ed alacremente. All'improvviso avviene un crollo,
che manda innanzi tempo al cimitero qualche operaio o qualche passante. Dopo si
fa la perizia, per verificare la causa. Alle volte la causa è imprevista ed
avvenuta senza colpa morale. In certi casi il crollo è imputabile; dalla
perizia può risultare che il materiale di costruzione è stato falsificato,
poiché sono stati alterati o il cemento o la calce o le putrelle, ecc....
Si è fatto ciò per comprare a
minor prezzo il materiale e per conteggiarlo come buono.
In un affare simile, quanti
hanno commesso frode? Tutti quelli che, conoscendo l'inganno, vi hanno
cooperato maliziosamente.
LA MANO D'OPERA.
Il lavoro è un contratto tra il
datore e l'operaio.
Il datore di lavoro che non dà
la giusta mercede all'operaio, si rende colpevole davanti a Dio e deve
aspettarsi la punizione divina. Uno dei quattro peccati che gridano vendetta al
cospetto di Dio, è proprio questo: Negare la giusta mercede all'operaio.
Le leggi e le consuetudini
fissano la paga diurna del lavoratore, la quale purtroppo non sempre risponde
ai bisogni dell'operaio. La mercede di un giorno di lavoro dovrebbe essere tale
da procurare il pane all'operaio ed alla famiglia, con qualche cosa in più per
gli eventuali bisogni.
I cosa detti « pescicani »
sfruttato l'operaio, poco curandosi delle sue necessità.
LAVORARE CON COSCIENZA.
L'operaio ha diritto alla giusta
paga, ma ha anche il dovere di lavorare con coscienza, se no diviene ladro pure
lui. Operai coscienziosi ce n'è in gran numero, specialmente tra i padri di
famiglia, assillati dal pensiero di alimentare i figli. Ma quanti lavoratori,
insaziabili nelle pretese, fanno male il loro dovere!!! Nel loro piccolo sono
ladri, perché pretendono la paga e non rendono quanto dovrebbero.
In una fabbrica in costruzione
erano impegnati molti operai. Il lavoro procedeva lentamente, poichè si aveva
interesse a protrarlo a lungo. In certe ore lavorative gli operai riposavano,
ovvero rendevano pochissimo. Per non essere sorpresi, pagavano un ragazzo,
affinché facesse la guardia, con l'ordine di dare il segno all'apparire
dell'assistente dei lavori. Questi era un omaccione.di grosse forme. Appena la
vedetta lo scorgeva, urlava a squarciagola: Il vapore! ... Il vapore! ...
Subito gli operai si mettevano a lavorare con alacrità. Per qualche tempo il
trucco ottenne il suo effetto; poi non più.
Come chiamare questi lavoranti?
... Ladri! ...
NON LEDERE IL TERZO.
Chi è pagato per compiere un
ufficio, specialmente se è incaricato a riscuotere denaro a nome di un terzo,
non può agire a suo arbitrio, se no pecca cd è tenuto alla restituzione.
ACCORDO ILLECITO.
I commessi ed i servi sono
pagati per il servizio che prestano, ma son tenuti a fare gl'interessi del
padrone. Se abusano della fiducia, sono ladri.
Un servo va abitualmente da un
fornitore. I due si accordano che nella nota si metta sempre qualche cosa in
più. Alla fine del mese il guadagno viene diviso in parti uguali.
Questa condotta è contraria al
settimo Comandamento.
I CONCORSI.
Chi può misurare la gravità del
furto per imbrogli che si fanno nei concorsi?...
Certi candidati meriterebbero la
promozione ad un ufficio superiore o ad essere ammessi nella graduatoria;
invece son messi da parte e si dà la precedenza a chi non merita. Si fa ciò per
amicizia, per raccomandazione o per denaro che si riceve.
Chi si presta a tali gravi
ingiustizie, è ladro, perchè lede i diritti altrui.
Di questi ladri in guanti gialli
è oggi assediata la società.
IL FALLIMENTO.
Il fallimento doloso di una
banca o di una ditta, è un cumulo di furti e, quantunque per via di raggiri
qualche volta si possa sfuggire alle pene civili, se potendo non si riparano i
danni, devono considerarsi ladri tutti coloro che hanno manipolato il
fallimento. Quante famiglie si riducono alla miseria dopo un fallimento!
Quanti odi sorgono e forse a quanti delitti si dà occasione!
Attraverso le colonne dei
giornali si può constatare l'arte, con cui certi grossisti preparono il loro
fallimento.
LA LOTTERIA.
La lotteria, di beneficenza o
no, è una forma di contratto e non si possono fare inganni.
Ricordo che in una città si fece
una solenne lotteria; i migliori premi consistevano in coperte artistiche.
Nelle ultime ore del sorteggio tutte le coperte erano state vinte.
Chi dirigeva la lotteria pregò
segretamente gli ultimi vincitori affinché lasciassero ancora esposte le
coperte, per invogliare altri giocatori.
In realtà, tanti altri
accorrevano all'urna, nella speranza di prendere qualche coperta.
Tutto il denaro preso con tale
inganno, fu un vero furto.
LE FATTUCCHIERE.
C'è chi esercita il mestiere di
indovino e chi dice di avere la virtù di togliere le fatture o di farle. Le
fattucchiere, o megere, sogliono farsi pagare profumatamente e come tali rubano
i clienti.
ATTENZIONE AL RISPARMIO!
Un tale riceve cinquanta mila
lire per fare una compra a persona amica. Si tratta di comprare tre metri di
stoffa. Si presenta un'occasione propizia ed i tre metri di stoffa si possono
avere per trenta mila lire.
La compra è fortunata, tanto da
lasciare soddisfatto l'interessato.
Il risparmio delle venti mila
lire a chi deve andare? Al padrone del denaro. E se il compratore se ne
appropriasse? Farebbe la parte del ladro!
GLI ERRORI.
Potrebbe capitare uno sbaglio
nel fare i conti. Approfittare dell'errore è furto. Chi suole pagare a fine mese
il fornitore e, ricevuta la nota della merce, si accorge che il conto non è
esatto, poiché non è stata registrata qualche compra, è tenuto in coscienza ad
avvertire il fornitore. Chi dicesse: Peggio per lui, che ha sbagliato! -
dimostrerebbe di non avere coscienza.
Chi riceve, per isbaglio, denaro in più, deve
restituirlo. Qualcuno di coscienza grossolana dice: Se ricevo denaro in più, non
lo restituisco! - Se si domanda il perché, risponde: Perché son sicuro che se il
venditore ricevesse da me denaro in più, non me lo darebbe; e quindi non glielo
do neppure io! -
A chi ragiona così si risponde:
Se il venditore non ti restituisse, sarebbe ladro; ma poiché tu manchi a tale
dovere, per il momento il ladro sei tu! -
Se è male approfittare
dell'errore altrui, è maggior male l'alterare di proposito i conti, mettendo più
elevato il credito, ovvero abbassando il debito.
IL BIGLIETTO.
Certi servizi sono resi
gratuitamente, o per amicizia o per concessione speciale. Altri servizi
richiedono il compenso. Chi froda, pecca.
Il servizio ferroviario ed
automobilistico è reso a chi acquista l'apposito biglietto. Chi viaggia e
briga per non pagare il biglietto o approfittando della folla o accordandosi con
il bigliettaio o nascondendosi, oltre a mettersi in pericolo della multa, pecca
contro il settimo Comandamento. Si sa questo, eppure si ride quando la si può
far franca.
Diceva un padre al figlio
dodicenne: Credimi, non si può essere contenti nella vita se non si è onesti! -
Ed allora, rispose il ragazzo, come mai tu, papà, quando ieri scendemmo dal
filobus senza aver pagato il biglietto, ridevi come se avessi vinto un terno?...
-
Mirabile coerenza di
principî!
A PALERMO.
La cosa trovata appartiene al
padrone e non al trovatore.
Alcuni anni fa a Palermo si
facevano i commenti sopra un fatto edificante. In una macelleria, sita nel
centro della città, si svolgeva questa scena: Un forestiero, avanzato negli
anni, aveva acquistato un po' di carne. Mentre usciva dalla rivendita, vide a
terra un portafogli; lo raccolse e, senza neppure guardare cosa contenesse, lo
consegnò al macellaio, dicendo: Se verrà chi l'ha perduto, glielo darete!
-
Il macellaio restò trasecolato;
aprì il portafogli e vi trovò una buona somma. Istintivamente andò sul
marciapiede e cominciò a gridare: Signori, una cosa incredibile! ... Nel mondo
c'è ancora qualcuno onesto! Come si, può concepire che uno trovi un portafogli
col denaro e non ne approfitti? ... Signori, il galantuomo è questo vecchietto!
-
ESEMPIO EDIFICANTE.
Nella mia parrocchia di Messina
godevo dell'amicizia d'un bravo operaio. La sera soleva venire a trovarmi e mi
raccontava le sue vicende. Mi narrò un episodio, che qui riporto perché
edificante. L'operaio si recava di buon mattino al posto di lavoro. Prima di
giungere al viale San Martino, scorse a terra una moneta d'argento, da lire
cinque. Allora la paga d'un giorno di lavoro era di una semplice lira. - Ma chi
avrà perduta questa moneta? - disse tra sé l'operaio. La raccolse. Pochi passi
dopo, ne trova un'altra e poi un'altra ancora ... sempre allo stesso
intervallo. In tutto erano undici monete da cinque.
- Cosa farne? Non mi
appartengono! ... Ma dove trovare il padrone? ... Mi dispiacerebbe se questo
denaro l'avesse perduto un povero operaio come me!
Abituato a fare visita nel
Tempio prima di mettersi a lavoro, entrò nella prossima chiesetta. Mentre stava
in ginocchio, gli si accostò un uomo con un piattello.
- Volete mettere un paio di
soldini? Raccolgo qualche cosa per una vecchietta che questa mattina ha perduto
del denaro. - Dove è la signora?
- In quell'angolo che piange! -
L'operaio le si avvicinò e le chiese: - Quanto avete perduto?
- Cinquanta cinque lire! - In
che monete erano? - In pezzi d'argento da cinque. - Che via avete percorso?
- Una traversa del viale S.
Martino. - Ringraziate Dio! Ho trovato io il vostro denaro e sono contento di
potervelo restituire.
La donna pianse di gioia.
L'operaio, soddisfatto
dell'opera buona, pensò di fare una giocatina al lotto e scelse tre numeri: « 5
» « 11 » « 55 ».
Diciamo per caso, ma possiamo
dir meglio per provvidenza di Dio, vennero fuori alla prossima estrazione due
numeri e l'operaio vinse tanto denaro quanto ne aveva restituito alla
vecchietta.
DENARO IN PRESTITO.
Tra i ladri meritano un posto
speciale gli usurai o strozzini. Si dice che la farina del diavolo si converte
in crusca. Questo proverbio ben si addice a chi pratica l'usura, poiché
d'ordinario gli strozzini si riducono alla miseria. Ecco il motivo: Gli usurai,
per arricchire di più, prestano molto denaro. I clienti ad un certo punto, non
potendo dare gli interessi elevati, spesso non danno neppure il capitale. In
conseguenza di ciò vengono le liti, con le altre conseguenze. La fine degli
usurai è proverbiale!
Si chiarisce il concetto di
usura.
Il prestare denaro a chi ne
abbisogna, è un atto di carità. Anime generose, che vivono nell'agiatezza, in
caso di bisogno del prossimo sogliono prestare e non richiedono alcun
frutto.
C'è chi fa dei prestiti e
richiede qualche compenso. Anche questo è lecito, purché ci si mantenga nei
limiti della giustizia e della carità.
Altri invece prestano il denaro
e pretendono gli interessi elevati. Questi sono gli usurai o gli assassini
della società.
Chi presta al prossimo,
s'informi quale sia il limite dell'interesse consentito dalla Chiesa e dalla
Legge. Non basta dire: I clienti mi danno volentieri quanto io chiedo! - Il
bisognoso, pur di uscire da una triste situazione, si sobbarca alla richiesta
del prestatore; ma ciò non toglie che sia ingiustizia la condotta
dell'usuraio.
Coloro che esercitano l'usura
sogliono dire: Noi siamo i benefattori dell'umanità! Togliamo dagli impicci
tante famiglie! -
Davanti alla morale si risponde:
Voi non siete benefattori, ma ladri, e siete tenuti a restituire quel di più
che avete preteso dai clienti! -
UN COLLOQUIO.
Dimorai parecchi anni in una
città, ove l'usura si esercitava a larga scala. I bisogni particolari della
popolazione spingevano a chiedere denaro in prestito.
Mi furono segnalati diversi
usurai, uomini e donne, ed ebbi modo di trattenermi in conversazione con
costoro.
Riporto un colloquio:
- Voi come vivete?
- Prestando denaro! Nella
gioventù lavorai molto e riuscii a mettere su una grossa somma.
- Quale interesse
richiedete?
- Quello che prescrive la
Chiesa.
- Cioè
- Il dieci per cento.
- All'anno?
- All'anno? ... Ogni tre
mesi!
- Allora pretendete il quaranta
per cento! La Chiesa in questo tempo permette soltanto il dieci per cento
l'anno!
- Mai più! Se dovesse essere
così, non si potrebbe prestare più denaro!
- Ve la vedrete con Dio dopo la
morte! -
LA VALENTIA.
Nella mano d'opera si suole
chiamare « valentia » ciò che realmente è furto. Un esempio tipico potrebbero
darcelo le sartorie, per tacere di altri laboratori.
Si pattuisce con il cliente il
prezzo della mano d'opera, conforme al prezzo che vige. L'avventore consegna
stoffa e concernenti.
Il sarto, usufruendo della sua
abilità nel taglio, riesce a confezionare l'abito, mettendo da parte un buon
pezzo di stoffa.
Potrebbe dire: Questo mi
appartiene!? No, assolutamente. Appropriarsene, significa toglierlo al
cliente.
Finché il suddetto sarto agisse
così soltanto una volta, si potrebbe dire: Non e grave colpa, cioè non è peccato
mortale; ma ripetere il piccolo furto, quasi abitualmente, potrebbe arrivare
alla gravità.
I sacri oratori sogliono narrare
un episodio significativo.
Una donna con frequenza
approfittava nella confezione degli abiti. Diceva: Che debba io andare
all'inferno per un palmo di stoffa? Sarebbe troppo! -
Le si fece vedere un giorno il
demonio, che teneva una grande bandiera, formata da tanti brani di stoffa. La
donna riconobbe il suo torto e, spaventata, promise di non approfittare più.
Raccontò la visione alla figliuola, esortandola ad essere coscienziosa nel
lavoro. Dopo qualche anno la sarta si appropriò d'un palmo di tela. La figlia le
ricordò la visione: Mamma, il demonio ti ha fatto vedere quella bandiera. Te ne
sei dimenticata? – E’ vero, figlia mia; però questo pezzo di tela non c'era in
quella bandiera! -
Chi ha l'abitudine di rubare,
difficilmente si corregge.
IL GIUOCO.
Il giuoco, di per sé, non è un
peccato; però deve essere contenuto nei giusti limiti. È meglio guadagnare il
denaro con il lavoro, anziché con la sorte.
Tuttavia giocare una piccola
quantità di denaro, non è male. Chi giocasse grosse somme e facesse ciò con
frequenza, potrebbe meritare il nome di ladro, perché toglierebbe ai familiari
o il necessario o la parte legittima dei beni.
Il fare imbrogli nel giuoco, non
è soltanto una mancanza di lealtà, ma vero furto, quando così si riuscisse a
vincere.
Chi si lascia trasportare dalla
passione del giuoco, facilmente diviene iracondo, bestemmiatore e potrebbe
giungere allo spargimento di sangue.
FORTUNA? ...
Vincere alla « Sisal » è una
fortuna; ma non sempre!
Un tale, appena seppe di aver
vinto dei milioni, provò tanta emozione da morire sul colpo.
Un altro giocatore, che aveva
fatto « 13 », immaginando di aver vinto qualche centinaio di milioni, per la
gioia ebbe una paralisi cardiaca e morì. L'indomani i giornali commentavano: «
Hanno fatto «13» molti giocatori; per conseguenza a ciascuno è toccata una
piccola somma. Meno male che il vincitore X è morto subito di gioia; se avesse
conosciuta la sua delusione, sarebbe morto di crepacuore! »
L'EREDITÀ.
Le maggiori ingiustizie
avvengono nei casi di eredità; ne sanno qualche cosa i notai e gli
avvocati.
La volontà del testatore deve
essere libera; chi la violenta, è ladro. Altro è il convincere il testatore,
che di per sé non sarebbe male, ed altro è forzarlo fisicamente o moralmente,
approfittando dello stato di debolezza o della deficienza mentale.
Il falsare un testamento è
furto. L'impugnare senza giusta ragione un testamento esatto, cercando cavilli,
nella speranza di percepire qualche cosa, è un tentativo di furto.
Il non eseguire i Legati del
testatore, è un peccato contro il settimo Comandamento.
Quante miserie morali si
verificano in tante famiglie dopo la morte dei genitori! Quanti furti si
compiono, sottraendo gioielli, biancheria e mobilia! ... Prima che si faccia tra
i figli la divisione ... si è fatta già la sottrazione!
IN FAMIGLIA.
Poiché si parla della famiglia,
è opportuna una parola sui furti familiari.
È lecito ai figli prendere il
denaro ai genitori? No. La cassa domestica è di tutti, del padre, della madre e
dei singoli figli. Chi prende di nascosto, fa un'ingiustizia a tutti i membri
della famiglia.
Se un padre, il caso è
possibile, non volesse dare ai figli il necessario per nutrirsi o vestirsi o
per altri veri bisogni, e facesse ciò per avarizia o per eccessivo rigore, in
questo caso i familiari potrebbero prendere di nascosto dalla cassa paterna
quanto loro occorresse.
LA CAMPAGNA.
In certi periodi la campagna si
presta ai furti; la messe biondeggiante, i frutti maturi, la legna senza
custodia, sono spesso tentazioni forti.
Qualcuno non si fa scrupolo di
usufruire, dicendo: C'è tanta abbondanza! ... Tutti siamo figli di Dio ed
abbiamo diritto a mangiare! Ciò che piglio, è niente in confronto alla
produzione della campagna! E poi, il padrone è così ricco!
Il prodotto della campagna è del
proprietario e si deve rispettare.
I POVERI
Tutti hanno diritto a vivere,
anche i poveri. Quanti bisognosi vorrebbero lavorare e non possono, o per
scarsità di lavoro o per debolezza fisica! Si può negare a costoro l'aiuto?
Sarebbe, più che mancanza di carità, mancanza di giustizia.
Riporto il brano della Sacra
Scrittura, preso dal libro « Ecclesiastico ». È Dio che parla all'uomo.
« Figlio, non defraudare al
povero l'elemosina e non rivolgere gli occhi tuoi dal bisognoso! Non
disprezzare colui che ha fame e non inasprire il povero nella sua indigenza! Non
affliggere il cuore del meschino e non differire il soccorso a chi è nelle
angustie. Non rivolgere gli occhi tuoi dal mendicante per isdegno e non dare
occasione di maledirti dietro le spalle a quelli che ti pregano, perché
l'imprecazione di chi ti maledice nell'amarezza dell'anima, sarà esaudita.
L'ascolterà Colui che lo creò! ... (Ecc., 4, 1 e seg).
Poiché Dio dice: Non defraudare
al povero l'elemosina, - il non soccorrere un vero bisognoso, potendo, è un
furto che si fa.
Quanti ricchi, spreconi e
viziosi, meritano il titolo di ladri! Negano il pane al povero e danno la carne
al cane! ...
Il dolce Gesù ebbe parole
terribili verso i ricchi, che non fanno carità: « Guai a voi, ricchi! ... È più
facile che un cammello passi per la cruna di un ago, anziché un ricco entrare in
Paradiso! » (San Matteo 19,24). Il ricco Epulone, com'è riferito nella parabola
evangelica, fu sepolto nell'inferno, soltanto per aver negato il pane al
mendicante Lazzaro. E quanti ricchi epuloni ci sono oggi nel mondo!
GUAI AI RICCHI!
Ero nelle vicinanze di una Casa
Penale. Attendevo un amico Sacerdote ed intanto mi si fece innanzi un uomo sui
trentacinque anni, dal viso pallido. Mi diceva tutto quel volto!
- Desiderate qualche cosa? Son
lieto di aiutare il prossimo. Mi trovo qui per visitare i detenuti e penso che
al mondo non ci sia cosa più bella che confortare il proprio simile.
- Voi parlate da Sacerdote! ...
Attendo qui il passaggio di un altro Reverendo, che ha compassione di me. Ma
non tutti gli uomini sentono la compassione! ... Sono padre di tre bambini; ho
la moglie ammalata; sono febbricitante anch'io e vado in giro per estrema
necessità; non posseggo nulla e non posso lavorare, poiché nessuno mi prende a
giornata, rendendo poco nel lavoro. Tuttavia qualche giorno, pur avendo la
febbre, ho sostenuto dei pesanti lavori per portare a casa un pezzo di
pane.
- Ma in città ci sono dei
ricconi! Rivolgetevi a loro e sarete aiutato!
- Ci sono, ma hanno il cuore di
pietra! Il marchese ... F ... è il più ricco.
Per potergli parlare, quante
volte attesi al suo portone! Quando si degnò ricevermi, mi guardò con disprezzo
ed esclamò: Insomma, cosa desiderate? - Gli esposi la mia situazione. - Ho la
testa piena di traffici e devo sentire anche le vostre seccature! Lasciatemi in
pace! - Se mi deste qualche cosa per sfamare i miei bambini, dareste riposo ai
vostri morti! - Lasciate in pace i morti, ed anche i vivi! Tutti vengono a
seccare! - Così mi lasciò. Reverendo, mentre uscivo dal portone, il marchese
si metteva in auto per andare in piazza ed assistere all'audizione musicale. Io
lo seguii e durante il concerto lo miravo con occhio di rabbia. Il marchese
durante l'audizione non avrà consumato meno di tre pacchetti di sigarette; dopo
qualche boccata di fumo, gettava appena dimezzata la sigaretta, per pigliarne
un'altra. Reverendo, possibile che un uomo abbia un tale cuore? Se avesse
fumato un po' di meno o se avesse utilizzate per intero le sigarette, avrebbe
potuto darmi tanto denaro da sfamare la moglie ed i figli. Per il capriccio ed
il lusso, il denaro c'è, per un affamato, no! -
La narrazione accorata mi
commosse e soggiunsi: E' proprio vero: chi non ha provato la fame, non può
considerare l'affamato! -
In un foglietto domenicale
religioso ho letto un apologo, che qui riporto. L'apologo è un fatto
immaginario, ma ricco di ammaestramenti.
In Paradiso ci fu un segno,
particolare e tutti, Angeli e Beati, si misero in movimento. Quanto
tripudio!
Un poverello, che da anni era in
Cielo e mai aveva assistito a simile scena, chiese a San Pietro: Cosa è capitato
oggi in Paradiso?
- Festa eccezionale! - E
perché?
- È entrato in Paradiso un
ricco!
- Sembrerebbe un'ingiustizia!
Anche in Cielo si fanno particolarità? I ricchi in terra riscuotono onori; ma
nell'altra vita, basta! ... Quanti poveri vengono qui e tutto procede
regolarmente!
- Vedi è così raro il caso di
vedere entrare un ricco nella gloria eterna, che quando si verifica, è giusto
che il tripudio celeste s'intensifichi... -
L'apologo è eloquente!
PARTE SECONDA
RESTITUIRE
L'UNDICESIMO COMANDAMENTO.
Un parroco impartiva
l'istruzione catechistica ai fanciulli e rivolse questa domanda: Quanti sono i
Comandamenti di Dio?
- Dieci! - Rispose il coro.
- No; sono undici! L'undicesimo
è incluso in un altro Comandamento. Siccome molti non l'intendono, si dovrebbe
dire che gli articoli del Decalogo sono undici: « Settimo: Non rubare! » «
Undicesimo: Restituire ». - Restituzione o ... dannazione!
OBBLIGO.
La Legge Divina antica, riguardo
alle norme della restituzione, era molto rigorosa. Leggiamo nell'Esodo (Capo 22,
1 e seguenti):
- Se uno ruba un bue o una
pecora e li ammazza o li vende, renderà cinque buoi per un bue e quattro pecore
per una pecora. Se il ladro non avrà che rendere per il furto, sarà venduto lui
... Se uno farà del danno ad un campo o ad una vigna, lasciando che il suo
animale pascoli nei campi altrui, renderà di quello che ha di meglio nel suo
campo e nella sua vigna, secondo la stima fatta del danno ... Se del fuoco,
allargandosi, incontra delle siepi e di là si appicca ai cavoni delle biande o
ai grani che sono nei campi, risarcirà i danni chi avrà acceso il fuoco. -
Questa legge era in vigore
presso gli Ebrei sino alla venuta di Gesù Cristo, come si rileva dalle parole
che disse Zaccheo, capo dei pubblicani, allorché si convertì: « Signore, se ho
frodato qualcuno, darò il quadruplo! » (Luc., 19, 8).
Nel Nuovo Testamento la legge
della restituzione è mitigata e si riduce all'obbligo di ridare ciò che si è
tolto ingiustamente al prossimo ed al risarcimento dei danni. Questo ordinano
tutti i codici civili e penali.
CONFRONTO!
La coscienza non l'hanno tutti e
nello stesso grado di perfezione. Dai vecchi si sente ripetere: - Ai miei tempi
... c'era più coscienza! - In una riunione di Sacerdoti, alla quale ero
presente, il mio Vescovo già vecchio portò un esempio, facendo rilevare la
differenza tra la moralità di oggi e quella di un secolo fa. Lo riporto
fedelmente:
- Amico mio, è tanto che vi
cerco e chiedo scusa dell'involontario ritardo!
- Di che si tratta?
- Devo darvi trecento lire
(corrispondente oggi a più di mezzo milione.) - Darmi questo denaro? E perché?
- Quando comprai la vostra campagna, il denaro non fu sufficiente e vi promisi
che in seguito ve l'avrei dato.
- Ricordo della vendita, ma non
ricordo affatto di questo residuo.
- Non importa! Lo ricordo
io.
- Ma, in coscienza, non posso io
prendere le trecento lire; non le voglio assolutamente.
- Così mi mettete negli
imbrogli! Pigliate ciò che è vostro.
- Per restare tranquilli in
coscienza tutti e due, domandiamo il parere al Parroco. Se non si potrà
chiarire la cosa, daremo tutto ai poveri!... -
Così si ragionava dà tanti,
quando c'era meno progresso e più timore di Dio! Al presente, taluni che devono
restituire denaro, fingono di dimenticarlo. Il creditore va in cerca del
debitore e non riesce a rintracciarlo, perché questi cambia dolosamente dimora.
C'è chi ha avuto in prestito una somma e nega di averla ricevuta; se si
presentano due testimoni veri, se ne contrappongono quattro falsi...
Viva il progresso!
NORME DELLA RESTITUZIONE.
La restituzione deve farsi a chi
si è recato il danno; se questi fosse morto, agli eredi legittimi. Non è giusto
il dire: Dovendo restituire una somma a Caio, siccome lui non se ne ricorda, e
poi è tanto ricco, ne faccio elemosina ai poveri!
Inoltre si deve restituire al
più presto, ma sempre relativamente, tenendo conto della elevatezza della somma
e del bisogno del debitore e del creditore.
La restituzione può effettuarsi
direttamente o indirettamente, seguendo le norme della prudenza.
Nel 1925 si era verificato un
furto in un Istituto, ove svolgevo la mia attività. Erano stati rubati i pezzi
più importanti della macchina cinematografica ed alcuni vocabolari. Alla
distanza di qualche anno, pervennero all'Istituto due pacchi postali e toccò a
me riceverli. Quale fu la mia meraviglia a vedere scritto nell'interno della
carta d'imballaggio « RESTITUZIONE! ».
Il ladro avrà voluto regolare la
coscienza, forse in occasione del Precetto Pasquale, e si servì della posta per
restituire la refurtiva.
In caso di restituzione, quando
non ci si sa regolare, si chieda consiglio al confessore, ovvero ad altra
persona prudente.
Quando c'è la buona volontà, si
trova il modo di restituire.
CASI PARTICOLARI.
Le sopraddette norme sono i
principii generali della restituzione. Conviene parlare di certi particolari,
cioè di come comportarsi trovando qualche cosa, del dovere di pagare i debiti,
dell'obbligo di ridare le cose avute in prestito, dei danni di cui si è tenuti
al risarcimento ed infine si parlerà del compenso occulto.
OGGETTO TROVATO.
Un proverbio dice: Cosa trovata
è mezzo rubata. -
Ciò che è del padrone,
appartiene sempre a lui; se un estraneo se, ne impossessa, fa furto. La
condotta da tenersi a questo riguardo è varia.
Se non è possibile rintracciare
il padrone, l'oggetto trovato appartiene al trovatore.
Lungo la via si rinviene un
biglietto da lire mille. La somma è piccola; tanta gente va e viene. Chi sarà il
padrone? Se si annunziasse: Chi ha perduto mille lire? - forse si
presenterebbero dieci padroni. In tale circostanza il denaro è di colui che
l'ha trovato.
Se il biglietto di banca si
trovasse sul pavimento di una casa, dovrebbe consegnarsi al proprietario
dell'abitazione.
Quando la roba trovata porta
l'indicazione del padrone, ad esempio, per un biglietto di visita, è obbligo
di coscienza portare o fare pervenire tutto all'interessato.
Quando si tratta di oggetti di
grande valore, gioielli, borse con molto denaro, è dovere tenere la seguente
procedura: deve rendersi la cosa di pubblica ragione, o con manifesti in città o
con qualche articolo sul giornale; può informarsi il Sindaco oppure il
Commissario della Questura. D'ordinario, siccome nei giorni festivi molta
gente va in chiesa, si raccomanda al Parroco che comunichi la notizia ai fedeli
durante la Messa. Così, in breve, tutta la zona è informata dell'oggetto
trovato.
Passato un certo tempo e tenendo
conto del valore e delle circostanze, se il padrone non si presenta, la borsa o
il gioiello va in possesso del trovatore. Se il padrone si facesse avanti,
dovrebbe questi dare anche a norma di legge un adeguato compenso al
trovatore.
Se in simili casi qualche
imbroglione osasse reclamare l'oggetto trovato, adducendo indicazioni
approssimative, nella speranza di dimostrare essere il vero padrone, farebbe un
peccato di furto, almeno nel desiderio.
I DEBITI.
Chi riceve denaro in prestito,
deve restituire. Quando si domanda il prestito, come ci si dimostra umili! Come
si suole giurare e spergiurare di ridare al più presto la somma! Ma in pratica
che cosa avviene? ... Se il debitore per rovescio di fortuna non potesse
saldare puntualmente, non farebbe alcun peccato; la stessa legge ne prenderebbe
la difesa. Peccano invece coloro che possono e non vogliono sciogliere il
debito con puntualità.
Un proverbio cristiano dice:
Peccati e debiti, toglili subito! -
All'atto pratico, quante volte
il creditore deve bussare alla porta del debitore per riavere il suo! Sente
rispondersi spesso con insolenza: Quanta premura! ... Non mi seccate! ...
Ritornerete fra un po' di mesi! ... Non ho il denaro neppure per il pane! -
Taluni hanno il denaro per le
sigarette, per il cinema, per gli abiti eleganti ... Per ridare la somma avuta
in prestito, dicono di avere nulla.
Quando si ha coscienza, facendo
un po' di economia, evitando spese non necessarie, si potrebbe mettere da parte
ogni giorno qualche cosa e così saldare il debito.
Quante citazioni si fanno al
tribunale per costringere i debitori al pagamento! Chi non vuole saldare il
debito e chi cerca pretesti per stancare il creditore, comunemente si chiama
imbroglione, ma con il termine del vocabolario morale deve chiamarsi « ladro
».
PIU’ COSCIENZA!
Non è sempre il denaro che si
chiede in prestito; potrebbe essere un arnese di lavoro, un utensile, un libro
... La persona morale, finito il bisogno, ridà l'oggetto e ringrazia; ma chi
non è coscienzioso, non solo non custodisce bene l'oggetto prestato,
lasciandolo deteriorare per incuria, ma non si dà pensiero di restituirlo e se
il padrone non lo richiedesse, fingerebbe di essersene dimenticato. I così detti
« vicini di casa », facili a domandare, sono l'esempio tipico di questa forma
d'ingiustizia.
RISARCIMENTO.
Chi reca un danno, deve
risarcire. C'è però da distinguere tra il danno colpevolmente recato e quello
involontario.
Quando si è danneggiato -
qualcuno, nella campagna o nel bestiame o in altro, e ciò si è fatto
volontariamente, per odio o per rabbia, si è tenuti al risarcimento.
L'omicida, cosciente, è
responsabile e deve riparare il male fatto, non solo con la prigione, ma, se ne
ha la possibilità, deve sovvenire ai bisogni della famiglia dell'ucciso.
Chi ha fatto perdere
ingiustamente l'impiego a qualcuno, è tenuto in coscienza a trovargli un altro
posto di lavoro e se non riesce, avendone la, possibilità, deve provvedere alle
necessità della famiglia del povero disoccupato.
Chi toglie ingiustamente il
lavoro, toglie il pane ad una famiglia. Se non ripara, è ladro.
Chi facesse un male al prossimo,
ma per isbaglio o senza vera colpa morale, non sarebbe tenuto al risarcimento.
Tale sarebbe il caso di chi commette un omicidio per difesa personale e di chi
rompesse un oggetto per isbaglio.
UNA VENDETTA.
I fattacci sono all'ordine del
giorno. In un paesello era rilevante il numero dei mafiosi o prepotenti; i
delitti si ripetevano con frequenza.
Era avvenuto un forte diverbio
tra due mafiosi, che erano anche parenti. La vendetta, tacitamente, fu
rimandata.
Una sera a tarda ora, uno dei
due, finita la cena, sentì chiamarsi; era il parente che lo invitava ad
affacciarsi al balconcino. Sospettò un attentato; invece di esporsi, prese
un'arma da fuoco e, stando carponi, sparò sulla via. Il mafioso non fu colpito e
non essendo riuscito nell'intento, progettò un'altra vendetta. La stessa notte,
con l'aiuto di altri uomini, andò a segare le viti della vigna del parente.
Credette di aver così rovinate le finanze dell'avversario. Avvenne il
contrario.
Era il tempo della potatura; il
taglio frettoloso era stato fatto senza criterio ed a suo tempo spuntarono tante
gemme e poi tanti tralci, per cui la vigna quell'anno fruttò come non mai.
Ci si domanda: Il mafioso
vendicatore era tenuto a riparare i danni della vigna? No! Peccò davanti a Dio
per la cattiva intenzione, ma non avendo realmente recato il male che si
riprometteva, non era obbligato a risarcire.
COMPENSO OCCULTO.
L'argomento del compenso occulto
è molto delicato ed è necessario chiarirne il principio e le condizioni
richieste per poterne usufruire.
Si chiama compenso occulto
l'atto con cui il creditore si salda il debito con i beni del debitore, senza
che questi ne sappia nulla.
Avviene un danno colpevole e
l'autore non vuole riparare; non si può riuscire ad avere il saldo d'un debito;
un ladro non intende restituire ciò che ha rubato; si è costretti a pagare una
somma senza una giusta ragione... In questi casi il danneggiato può pigliare
nascostamente al debitore tanto quanto gli spetta.
È lecito servirsi del compenso
occulto nelle seguenti condizioni:
1° Il debito dev'essere
certo.
2° Non ci sia altra via per
recuperarlo, senza grave incomodo.
Un esempio di
delucidazione:
Una famiglia di contadini è
domiciliata in campagna; un discreto pollaio è la risorsa della tavola.
Un giorno la massaia si accorge
che manca un gallo; sospetta della vicina di casa, che non gode buona fama. Ne
parla in famiglia e sente dal figlioletto che la vicina era entrata nel
pollaio. Si presenta alla ladruncola: Datemi il gallo che mi avete rubato! - Io
non sono ladra! Se parlate ancora, vado a denunciarvi per calunnia! - Vi ha
visto il mio bambino. - I bambini non sanno ciò che dicono. - Ma se vedo qui a
terra le piume del mio gallo! Lo avete già spennacchiato. - Solo il vostro gallo
ha le piume di questo colore? ... O mi lasciate in pace o vado dal maresciallo!
-
La derubata sa d'aver da fare
con una imbrogliona, con la quale c'è tutto da perdere. Intanto, il gallo è
sparito; il bambino ha visto la ladra; le piume sul pavimento rendono
testimonianza; non è possibile avere il risarcimento.
In questo caso la massaia può
rifarsi nascostamente, pigliando alla vicina qualche cosa, o denaro o frutta
della campagna o qualche oggetto. Agendo così, non pecca, ma soltanto piglia il
suo.
Nel compenso occulto c'è un
pericolo: l'esagerazione. Chi ha avuto rubato un galletto, non può pigliare al
ladro una pecora ed a chi è stata rubata una pecora, non è lecito rifarsi con
un bue.
FRUTTO.
Da tutto lo scritto risulta la
delicatezza del settimo Comandamento e la facilità di violarlo. Chi sa d'aver
fatto del male alla roba altrui, ripari direttamente; chi è in dubbio, procuri
di fare carità ai bisognosi, in proporzione alle proprie sostanze, per potersi
presentare a Dio con la coscienza serena.
TUTTO SI LASCIA!
Era celebre in tutta la borgata
il Cavaliere Mastro Michele. Da semplice operaio si era tirato su ed era
divenuto un grosso possidente. Aveva un'elegante palazzina, una villetta, un
vasto giardino e gestiva un caffè. Ci teneva ad essere rispettato e pretendeva
essere chiamato Cavaliere, mentre la gente preferiva chiamarlo Mastro
Michele.
Era intelligente; appassionato
giocatore del lotto, aveva vinto un terno a secco; nel dopoguerra, facendo
acquisti all'ingrosso, aveva accumulato ingenti somme. Tuttavia, preso dalla
fame dell'oro, non era mai sazio e viveva da avaro; non rispettava il giorno
festivo; non aveva tempo di andare in chiesa, se prestava denaro pretendeva
interessi elevati; non aveva figli e tutto amministrava lui; nel pagare i
dipendenti era moroso e dava meno che fosse possibile.
L'ora della morte venne anche
per lui, verso i sessant'anni. Nei tre giorni della grave malattia non pensava
che ai beni. Teneva le chiavi dello scrigno sotto il guanciale, i libretti
postali a portata di mano, l'elenco dei debitori sul comodino...
- Dunque, diceva alla moglie,
fa' chiamare il tale ed il tal altro e di' che saldino i conti perché nella
malattia occorrono molte spese.
- Non preoccuparti intanto!
Pensa a stare bene! Piuttosto, vuoi chiamato un Sacerdote?
- Cosa ho da farmene del Prete?
Va' al diavolo tu e lui! Pensa agli interessi della casa! -
Un collasso cardiaco lo abbattè
all'improvviso; potè balbettare qualche parola e poi spirò.
Mastro Michele non portò alla
tomba una sola lira.
COROLLARIO MORALE.
C'è un furto, di cui si fa poco
conto, ma che è tra i più gravi: se è male togliere il pane, è male maggiore
togliere l'onore. Il buon nome, o buona reputazione, è il miglior bene sociale e
chi lo toglie è un ladro.
La calunnia e la grave
mormorazione sono le armi dei vili, armi che feriscono mortalmente il prossimo.
Com'è dovere di giustizia il restituire il denaro rubato, così più stretto è il
dovere di ridare l'onore a chi si è tolto.
C'è ancora un furto superiore al
sopraddetto. La creatura umana ha i beni materiali, ha l'onore, ma ha anche
l'anima, che è il massimo dei beni. Chi rovina moralmente un'anima, chi cioè
rapisce la grazia di Dio al prossimo, è il peggiore dei ladri., Questo orribile
male si compie con lo scandalo.
Quando una persona empia
allontana dalla religione qualcuno, ha rubato ad un figlio di Dio il miglior
patrimonio spirituale.
Un discorso disonesto, una
rivelazione indiscreta ... tolgono all'anima la pace, aprono la porta al vizio e
colpiscono moralmente il cuore. Un gesto poco buono, un consiglio perverso, un
libro immorale messo in circolazione ... sono frecce che si lanciano contro le
anime.
Gesù Cristo, contro questi ladri
spirituali che gli rubano le anime redente con il suo Sangue, pronunzia una
minaccia: Guai al mondo per gli scandali! -
Quanti di questi furti si fanno
a Dio! E' giustizia il riparare il danno spirituale fatto al prossimo. Anche
qui si applica la sentenza: Restituzione o dannazione!
Come si ripara lo scandalo?
1° Richiamando al bene le anime
scandalizzate.
2° Dando molto buon
esempio.
3° Pregando per coloro ai quali
si è apportata la rovina spirituale.
APPENDICE
MESSAGGIO DI PADRE PIO AD UN'ANIMA.
Padre Pio da vivo
appariva a molti per bilocazione; anche dopo la morte continua a manifestarsi a
certe persone.
È apparso ad
un'anima privilegiata ed ha dettato il seguente messaggio. Si riporta
fedelmente.
Padre Pio è apparso
circonfuso di luce meravigliosa, in mezzo ai fiori e circondato dagli Angeli. Le
sue piaghe erano luminose, ma più che tutto la piaga del costato. Sul petto
aveva una Croce, però senza Crocifisso. Il Crocifisso era lui.
Caro
fratello,
Scrivi; non aver
paura! Sono Padre Pio! Viva eternamente Gesù Re e Padrone di tutto
l'universo!
Dal trono della mia
gloria faccio giungere a te la mia parola, mentre sei nel mare tempestoso della
vita umana, che si dibatte e nuota nel letamaio di ogni sozzura.
Io, Padre Pio,
amante di Gesù Crocifisso, copia vivente della sua vita crocifissa, ho il
permesso di comunicarti quanto mi è avvenuto appena spirato.
L'Onnipotente Iddio,
giustissimo ed amabilissimo, ha permesso che l'anima mia rimanesse ancora per
tre giorni nel globo terrestre, ai piedi del Tabernacolo, per riparare tutte le
irriverenze che si erano commesse a causa della mia presenza affollata ed
attenzionata nel luogo santo di Dio.
L'essere rimasto tre
giorni ai piedi del Tabernacolo non vuol dire discapito della santità, che
l'infinita bontà di Dio ha voluto elargirmi.
Nell'istante del mio
trapasso ho compreso nella luce di Dio il bisogno di un atto completo di
riparazione, per tutte le anime che hanno commesso per tanti anni per causa mia
tante mancanze di riverenza innanzi al Santissimo Sacramento.
L'anima innamorata
di Dio, conoscendo alla luce del Sole Eterno che si avvicina la bellezza di Dio,
si precipita da se stessa a donare al Signore l'ultimo attestato d'amore e di
riparazione. Quindi nulla di strano quei tre giorni di riparazione.
Contemporaneamente sono stato degno di essere simile a Cristo sino all'ingresso
della fulgente gloria che mi attendeva.
Non è rimasto Cristo
tre giorni e tre notti nel sepolcro? E il corpo verginale della dolcissima
nostra Mamma Immacolata non è rimasto sulla terra tre giorni e tre
notti?
Imperscrutabili
disegni divini che la ragione umana stenta a capire!
Ma mentre l'anima
Santissima di Gesù godeva la gloria beatifica della sua Divinità nel seno del
Padre suo Celeste, per me i tre giorni passati ai piedi del Tabernacolo sono
stati un po' penosi.
Poi l'anima mia
vibrò il suo volo, sostando nelle mansioni del Cielo per contemplare tutta la
grandezza di un Dio Onnipotente. Dopo varcai la soglia ultima, ove l'anima mia
inabissandosi contemplò tutti gli arcani che si godono nel Paradiso.
Non parlo del gran
premio dovuto a tante mie sofferenze, poichè, se mi fosse stato possibile,
avrei preferito rimanere sulla terra a soffrire sino alla fine del mondo, per
riparare una sì grande Maestà Divina tanto oltraggiata e per potere salvare
ancora altre anime.
Oh, anime
trasandate, avvalorate la vostra esistenza! Fatene grande tesoro per la vita
eterna!
La mia missione però
continuerà ancora; non sarò inoperoso; accompagnerò le anime che mi furono care,
vigilerò quelle vacillanti nella Fede. Sarò con voi finchè disporrà così la
Divina Volontà.
Invocatemi nei
vostri assilli penosi, nella tormentosa valle di lacrime! Vi aiuterò e vi
assisterò affinchè non vacilli la vostra Fede e rendiate gloria al Signore, che
vi ha creati dal nulla.
In Cielo sono in
continuo colloquio con Dio per salvare le anime; ma specialmente ricorro alla
Regina del Cielo e della terra; assieme alla Madonna svolgo la mia missione ...
E’ tempo di grande corruzione nel mondo, ma è anche tempo di grande
misericordia da parte di Dio, che ancora attende affinchè i suoi meriti
infiniti vengano utilizzati.
Ti ho detto che il
Purgatorio l'ho fatto ai piedi del Tabernacolo; così è piaciuto al Signore.
Potevo farne di più e diversamente.
Il mio Purgatorio
l'ho fatto in vita sulla terra, segnato dalle Piaghe di Gesù Crocifisso e con
l'anima continuamente in una penosa angoscia, simile a quella che patì Gesù
sulla Croce nella sua dolorosa agonia. Ho potuto vivere tanto per l'assistenza
che mi donava il Signore.
Vuoi sapere quale
sia la mia gloria? Puoi formarti una pallida idea.
Vi sono delle gioie
paradisiache che si esplorano sempre più e si rimane sempre estasiati. Però non
è per tutti la medesima gloria. L'anima che ha amato di più, che ha sofferto di
più e che si è conservata nella vera purezza, quest'anima è capace di gustare
il mistero comprensivo della Celeste Gerusalemme.
Io mi trovo accanto
al mio caro Padre Francesco, circondato dai Serafini e dai Cherubini, i quali
osannano l'inno dell'amore e della gloria.
Nel mondo si vive
senza Fede, oppure con Fede languida.
Quelli che sono un
po' vicini al Signore, potrebbero lavorare di più ed impreziosire l'anima di
succhi vitali.
Beate quelle anime,
che da api industriose arrivano a raggiungere la meta celeste con la loro corona
sul capo ben formata!
Intanto si pensa a
godere nel mondo e si pecca tanto. Ci sono minacce di Dio inesorabili. Tutta la
Corte celeste adora e supplica l'Onnipotenza Divina affinchè si plachi. Quindi
... pregate tutti ed offrite!
Tutti dicono: È
morto Padre Pio! E' morto Padre Pio! -
Ma come si dice «
morto » chi raggiunge la vera vita, l'eternità?
L'anima immortale
lascia la sua spoglia corporale per godere la vera felicità. Morti sono tutti
quelli che vivono lontani da Dio, senza vivere la vera vita, cioè la grazia
divina. L'anima morta alla grazia, vivendo nelle tenebre, ha il suo corpo come
un cadavere ambulante, senza consistenza essenziale. Tutta la vita che anima il
corpo è la sostanza reale diffusa dalla vita dell'anima. Quindi quel titolo di
« morte » per i seguaci di Cristo è assurdo. Si dovrebbe dire « passaggio », «
viaggio alla casa paterna ».
Nel mondo si viaggia
tanto, conducendo la propria anima nel misero frale che la racchiude; quindi
sono le facoltà intellettuali che agiscono, protette dall'anima.
Guai a quelli che
non conoscono bene cosa significhi passare dalla terra all'eternità! Si sente
grande paura perchè non si vive di realtà vitale; per tal motivo si dà molto
adito all'umanità, vivendo una vita di mezze misure.
Amate la vera vita
che vi conduce a Cristo! La carne deve servire di strumento per tesoreggiare il
viaggio per le nozze eterne! Niente paura! Chi sa viaggiare, troverà il suo
trionfo, il trionfo di aver bene custodito il tesoro dell'anima immortale in
una spoglia terrestre, il corpo, il quale alla fine risorgerà splendente per
godere la beatitudine celeste. Più il corpo si tiene a freno mortificandone le
forti passioni, più si mantiene nella purezza, più serve per operare il bene e
maggiormente risplenderà nella beata eternità.
La morte non è morte
per chi ha vissuto la vita di Cristo, ma è vita. L'anima è il centro vitale di
tutto l'essere umano; appena lascia il corpo, si lancia come freccia a Dio,
Fonte di vita, per iniziare la vita senza fine. Stando così le cose, le anime in
grazia di Dio non devono sentire quel senso di terrore all'approssimarsi
dell'ora suprema dell'incontro con il Creatore.
Da parecchi sono
stato giudicato scontroso, irascibile.
Eccone il motivo!
Quante lotte intime dovetti superare contro il nemico dell'orgoglio, che a
volte fortemente mi molestava e quindi in certe circostanze propizie dovevo
agire diversamente.
Ma non si deve
facilmente giudicare un'anima, che umilmente ama, serve e si sacrifica per la
gloria di Dio.
Caro fratello in
Cristo e con Cristo, ti raccomando di occuparti attualmente come poter onorare
sempre più la gran Madre di Dio e Madre nostra.
Se tu fossi in
Cielo, notando ciò che d'impuro regna nel cuore dell'uomo e come l'uomo vorrebbe
capovolgere i piani di Dio manifestati attraverso la Redenzione umana per mezzo
di Maria Immacolata, tu ti vorresti precipitare, se ti fosse possibile, sulla
terra per manifestare al mondo la verità infallibile del Verbo Incarnato nel
seno purissimo di Maria Vergine, per opera e virtù dello Spirito
Santo.
Pur sapendo tu tutto
ciò che vi è nel mondo, non puoi arrivare a comprenderlo pienamente, non
trovandoti nell'eterno splendore di Dio.
Quanta costernazione
ed anche paura, per esprimermi umanamente, reca in noi l'Infinita Giustizia di
Dio che, vuole procedere nel vedere la sua Infmíta Maestà vilipesa ed
oltraggiata!
Tu, fratello mio,
vorresti comprendere come i Beati possano godere e contemporaneamente avere
costernazione e paura.
Sappi che essendo
noi felici in Cielo, siamo costretti ad umanizzarci per farci comprendere
meglio.
Non fu costretto ad
umanizzarsi il Verbo di Dio, Gesù, per salvare l'umanità? Nulla perciò di strano
se noi ci manifestiamo dolenti ed addolorati e se potremo assistere
terrorizzati davanti alla grande sventura terribile che colpirà tutta l'umanità
inquinata nella colpa senza via di scampo.
Gli Angeli, pur
essendo Puri Spiriti, quando occorre non prendono le forme umane? Tutto è
possibile a Dio, purchè Egli lo voglia.
La manifestazione
dolorosa deve apparire tale, quanto è costata alla redenzione di un Dio
Onnipotente, di modo che l'uomo s'immedesimi dell'orrore che desta a Dio la sua
presenza tenebrosa.
Quando il cielo è
sereno e brilla il sole, l'uomo è felice di poter agire comodamente e senza
incontrare ostacolo; ma quando il cielo si mostra offuscato e promette una
torrenziale pioggia, allora sì che l'uomo prende dei provvedimenti per
riguardarsi ... sempre volendolo.
Quanti scopi nefandi
di libertinaggio immorale!
I cattivi, volendo
mascherare la loro corruzione, vogliono offuscare o annullare gli attributi di
Dio nella creazione e nella Redenzione per l'uomo caduto ed adesso depravato
da tante nefandezze.
Il mondo cammina
nelle tenebre; non vi è più via di scampo; peggio di Sodoma e Gomorra dovrebbe
essere colpito ed addirittura ridotto nel nulla.
Non tardare a
stillare un po' di luce del Cielo nelle anime; ma prima di tutto questa luce
dovrebbero riceverla le anime consacrate... rimodernate..., che vogliono
cambiare la Manna Celeste con le ghiande degli animali immondi.
Cosa succederà nel
mondo? ... Di fremiti angosciosi è pervasa la nostra gioia nel Cielo, poichè
tutti abbiamo degli esseri umani sulla terra che ci appartengono. Premùrati!
Non aver pausa di riflessione! Scrivi, parla, scuoti i cuori che si vogliono
ingolfare nel letamaio.
Sono più di tutto i
nostri Fratelli Consacrati quelli che amareggiano il « Pane della Vita »,
perchè incominciano a marcire la loro condotta.
Che prospettiva
trafiggente! ... Che Babilonia di vedute! ... L'ora è gravissima e per i primi
saranno loro ad essere coinvolti dalla bufera, poiché per loro e per mezzo di
loro si attinge tanto male nel mondo.
Metti in atto il tuo
programma:
1° Manifestare al
mondo l'Immacolatezza di Maria Vergine;
2° Manifestare che
le Anime Consacrate, non volendo seguire le norme della purezza e della
continenza verginale, non sono degne di rimanere nel servizio di Dio presso i
Tabernacoli Santi.
Occorre molta
preghiera, un po' di penitenza, più vicinanza verso Gesù Eucaristia, più
dedizione ed immolazione. Ci vogliono delle vittime che riparino, delle anime
ostie, delle anime pure. La sofferenza delle anime pure penetra i
Cieli.
Che non dormano i
fedeli! Aiutino gli interessi del loro Creatore; evitino i passatempi inutili,
la televisione a lungo tempo!
Privazione,
penitenza, zelo per la gloria di Dio!
Ti propongo di
manifestare al mondo ancora due problemi importanti, che si valorizzano tanto
nella Gloria Beatifica, ove ci troviamo. Se ci fosse possibile scendere sulla
terra, saremmo pronti a venire per tesoreggiare ognuno di noi quei vuoti,
grandi e piccoli, sfuggiti inutilmente per il tempo perduto.
Dio ha creato
l'uomo, non per perdersi nel tempo, ma per salvarsi e santificarsi per mezzo del
tempo, utilizzato per la Celeste Patria che attende tutti.
È la perdita del
tempo passato inutilmente nel peccato, che gradatamente trascina
nell'inferno.
In secondo luogo,
inculca la necessità di vivere alla presenza di Dio. Com'è importante vivere
alla presenza di Dio!
Il Signore stesso
disse ad Abramo, quando lo costituì padre di grande generazione: Cammina alla
mia presenza e sii perfetto! -
Giuseppe, figlio di
Giacobbe, invitato a fare il male in casa di Putifarre, si rifiutò energicamente
dicendo: Come posso io fare una cattiva azione alla presenza del mio Dio? - In
conseguenza di ciò fu calunniato e poi rinchiuso in una prigione.
Ma il Signore era
con Giuseppe e lo premiò facendolo entrare nelle grazie del governatore della
prigione, il quale gli affidò tutti i prigionieri e tutti stavano ai suoi
ordini.
Inoltre il Signore
lo premiò dandogli il, dono della Profezia e così uscì dalla prigione e fu
costituito vice Re d'Egitto.
La casta Susanna,
invitata a peccare, al pensiero « Dio mi vede! » disse il suo « no » risoluto. I
tentatori delusi costruirono una calunnia e la condannarono a morte.
Il Signore volle
premiarla e mandò il Profeta Daniele a scoprire la calunnia. Furono condannati
gli accusatori di Susanna ed essa fu liberata da quell'infame calunnia, che
doveva condurla al martirio.
Problemi
importantissimi sono questi degli ultimi tempi tanto peccaminosi di scandali!
Si vive come se Dio non esistesse e quelli che conoscono la divina esistenza,
cercano di sfuggire il loro sguardo da Dio per non procurarsi preoccupazioni
nella libertà della loro condotta traviata.
Tante anime si
pascolano a conoscere ed a sapere quello che io abbia fatto e detto a San
Giovanni Rotondo; ma non si sanno fermare ad una base ferma e
convincente.
Ti raccomando di
insistere per fare progredire l'amore ed il bisogno verso quell'atto supremo
dell'infinito amore che ha prodigato Gesù nel donare tutto se stesso senza
limiti alle anime.
Che si senta questa
gratitudine verso Gesù Eucaristia e che si metta in pratica! Il Tabernacolo è
la sorgente della vita; è sostegno, pace, aiuto, conforto delle anime
affrante.
Si deve andare a
Gesù con vera fede e non per abitudine, per dimenticarlo al più presto
possibile! Vivere di fede, di quella fede viva che trasporta le anime verso le
cose sublimi e non tuffarsi troppo sulla terra!
Il mondo è un
passaggio. Si sappia lottare per svincolarsi dalle cose fugaci.
Se le anime non si
avvicinano spesso al Fuoco Eucaristico, rimangono assiderate, senza slanci,
tiepide, disadorne. E che ne riceve Gesù di consolazione da queste anime, che
non hanno la forza di saper volare al di sopra di tutto il creato?
Si deve vivere
assodate nella convinzione pratica per come si deve amare e servire il
Signore.
Oh, se le anime
conoscessero bene e avvalorassero il grande dono di Dio, rimasto vivente sulla
terra, come si vivrebbe diversamente la vita!
Dal Tabernacolo si
attinge ogni tesoro; l'anima si beatifica e vive trasformata in Dio. Senza
sentire fame e sete del Dio Vivente, si vive una vita vuota, oscura, la quale
non riceve alcuno incremento.
Si attribuiscono a
me miracoli, profezie, bilocazione, stimmatizzazione, ecc. Ma io non sono stato
altro che un indegno strumento del Signore. Senza la pioggia caduta dal cielo,
la terra non produce che triboli e spine.
In qualche modo Gesù
si deve servire di qualche anima per dimostrare al mondo la sua esistenza e la
sua onnipotenza. A tante anime il Signore ha donato tante grazie, ma poi se l'è
ritirate, perché vuole la corrispondenza. Il seme deve germogliare; il terreno
deve essere fertile. Solamente si deve sapere accogliere Dio ché bussa e se non
si apre generosamente ad accogliere la sua visita ... passa oltre ... non si
ferma a fare la sua dimora; occorre disposizione e questo è dovere; il rimanente
lo fa Lui e lo sa fare bene.
L'anima però che
cerca e vuole la visita di Dio, si deve appartare dal frastuono del
mondo.
Il buon Dio ha
trovato me ... solitario e nella preghiera; ha bussato alla porta del mio cuore
ed io l'ho accolto, pensando che era doveroso accogliere un Dio che mi aveva
creato.
Amare Dio è il
massimo dovere della vita ed io l'ho compreso fin da bambino, come lo
comprendono anche adesso tanti bambini non ancora avviziati dal
mondo.
Sono le famiglie che
tengono la porta chiusa alla luce del sole! Sono le famiglie sciupatrici del
tempo attorno al televisore, circondate dai loro piccoli! Attendono con ansia
le puntate interessanti e non si preoccupano dei piccoli che attingono tanto
veleno nei loro cuoricini innocenti ... e quindi il Signore passa!
Questo è il tempo
attuale: il passaggio di Dio, senza donargli la libertà di fermarsi! E poi ...
povere famiglie, che di una casa formano una stamberga di ribellione!
Io, per grazia di
Dio, ho riempito la mia giornata e credo di aver fatto il mio dovere nel donare
all'amore tutto ciò che Lui per amore ha donato a me lungo il suo
Calvario.
Se si sapesse quanto
viene centuplicatamente ricompensato da Dio ogni minimo atto, fatto per amor
suo! A tutte quelle migliaia di persone che sono venute a trovarmi a San
Giovanni Rotondo, non badando a scomodità e sacrifici, domando:
Avete cambiata la
vostra condotta? Quali frutti avete ricavato nell'avvicinare un povero servo di
Dio? Se foste tutte cambiate, avreste portato la luce nel mondo. I vostri
contatti con me hanno portato pochi frutti, altrimenti il mondo non
peggiorerebbe sempre più!
Pensate: Se il seme
sotto terra non muore, non prende radice; se l'uomo non muore a tutte le
inclinazioni della carne, non può avere vita.
L'uomo e la donna,
nel paradiso terrestre, non hanno saputo nè lottare nè vincere la lotta
diabolica dell'orgoglio e sono stati vinti, caduti nelle zampe di Satana; il
loro peccato é caduto su tutta la generazione sino alla fine del mondo e quindi
la lotta rivive sempre nell'uomo, perchè prodotta dal peccato. Come un padre
snaturato, menando una vita scandalosa, perverte con il suo cattivo esempio
anche i figli, così Adamo ha pervertito il mondo.
Quello che adesso
sto annunziando, tu, caro fratello, lo puoi liberamente riferire, poichè è
urgente che l'umanità si scuota e si svegli, che non dorma nel pantano della
colpa, che riconosca l'onnipotenza di Dio, tre volte Santo, e che dal suo cuore
sgorga latte e miele e non livore.
I flagelli se li
procura l'uomo con le sue manifestazioni di ribellione contro l'Altissimo Dio.
L'uomo, abbandonato a se stesso da Dio, si avvia verso il baratro di ogni
perdizione.
Scrivi anche
questo:
Non si comprende
abbastanza la grande importanza dell'anima quando deve comparire innanzi
all'Infinita Maestà di un Dio Giudice.
Anche certi Santi,
pur avendo eccelsa santità, hanno per pochi istanti attesa l'entrata
nell'eterna gloria per certe cose che sembrano all'occhio umano dei
nonnulla.
Ogni anima deve
corrispondere secondo i talenti elargiti dal Signore.
Ti lascio, o
fratello, questa eredità: Il Crocifisso, l'Eucaristia, il Cuore Immacolato di
Maria e le anime da salvare!
Dal sito http://www.preghiereagesuemaria.it/
Nessun commento:
Posta un commento