La
preghiera iniziale
«Se
qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua
croce e mi segua» (Mt 16,
24).
Sera
del Venerdì Santo.
Da
venti secoli la Chiesa si riunisce in questa sera, per ricordare e
rivivere gli eventi dell'ultima tappa del cammino terreno del Figlio
di Dio. Oggi, come ogni anno, la Chiesa che è in Roma si raccoglie
al Colosseo, per seguire le orme di Gesù, il quale «portando la
croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota»
(Gv 19,
17). Ci troviamo qui, nella convinzione che la via
crucis del Figlio di Dio non fu un
semplice avvicinarsi al luogo del supplizio. Crediamo che ogni passo
del Condannato, ogni suo gesto e ogni sua parola, ed anche quanto
hanno vissuto e compiuto coloro che hanno preso parte a questo
dramma, ci parlano incessantemente. Anche nel suo patire e morire
Cristo ci svela la verità su Dio e sull'uomo. In quest'anno
giubilare vogliamo riflettere con particolare intensità sul
contenuto di quell'evento, affinché esso parli con una forza nuova
alle nostre menti e ai nostri cuori, e diventi fonte della grazia di
un'autentica partecipazione.
Partecipare
significa avere una parte. Che cosa vuol dire avere una parte nella
croce di Cristo?
Vuol
dire sperimentare nello Spirito Santo l'amore che la croce di Cristo
nasconde in sé. Vuol dire riconoscere, alla luce di questo amore, la
propria croce. Vuol dire riprenderla sulle proprie spalle e, sempre
in virtù di questo amore, camminare... Camminare attraverso la vita,
imitando colui che «si sottopose alla croce, disprezzando
l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio» (Eb
12, 2).
*
* *
Preghiamo.
Signore
Gesù Cristo, colma i nostri cuori con la luce del tuo Spirito,
affinché, seguendo te nel tuo ultimo cammino, conosciamo il prezzo
della nostra redenzione e diventiamo degni di partecipare ai frutti
della tua passione, morte e resurrezione. Tu vivi e regni nei secoli
dei secoli. Amen.
PRIMA
STAZIONE
Gesù
è condannato a morte
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Tu
sei il re dei Giudei?» (Gv 18,
33). «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di
questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi
consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv
18, 36). Pilato soggiunse: «Dunque
tu sei re?».
Rispose
Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo
sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità.
Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Pilato replicò:
«Che cos'è la verità?». A questo punto, il procuratore romano
ritenne chiuso l'interrogatorio. Andò dai Giudei e annunziò loro:
«Io non trovo in lui nessuna colpa» (cfr Gv
18, 37-38). Il dramma di Pilato si
nasconde nella domanda: «Che cos'è
la verità?». Non era una domanda
filosofica riguardante la natura della verità, ma una domanda
esistenziale riguardante il proprio
rapporto con la verità. Era il
tentativo di sfuggire alla voce della coscienza, che ingiungeva di
riconoscere la verità e di seguirla. L'uomo che non si lascia
guidare dalla verità, si rende disponibile persino ad emettere una
sentenza di condanna nei riguardi di un innocente.
Gli
accusatori intuiscono questa debolezza di Pilato e perciò non
cedono. Con determinazione reclamano la morte di croce. Le mezze
misure, a cui Pilato ricorre, non lo aiutano. Non è sufficiente la
crudele pena della flagellazione, inflitta all'Accusato. Quando il
Procuratore presenta alla folla Gesù flagellato e coronato di spine,
sembra cercare una parola che, a suo avviso, dovrebbe piegare
l'intransigenza della piazza. Indicando Gesù, dice: «Ecce
homo! Ecco l'uomo!». Ma la risposta
è: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Pilato cerca allora di
discutere: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui
nessuna colpa» (cfr Gv 19,
5-7). È sempre più convinto che l'Imputato sia innocente, ma questo
non gli basta per emettere una sentenza assolutoria. Gli accusatori
ricorrono all'ultimo argomento: «Se liberi costui, non sei amico di
Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare» (Gv
19, 12). La minaccia è chiara.
Intuendo il pericolo, Pilato cede definitivamente ed emette la
sentenza. Ma non senza il gesto ostentato di lavarsi le mani: «Non
sono responsabile (...) di questo sangue; vedetevela voi!» (Mt
27, 24). In questo modo è stato
condannato a morte di croce Gesù, Figlio del Dio vivente, Redentore
del mondo. Lungo i secoli la negazione della verità ha generato
sofferenza e morte.
Sono
gli innocenti a pagare il prezzo dell'ipocrisia umana. Le mezze
misure non sono sufficienti. Né basta lavarsi le mani. La
responsabilità per il sangue del giusto rimane. Fu per questo che
Cristo pregò con tanto fervore per i suoi discepoli di tutti i
tempi: Padre, «consacrali nella verità. La tua parola è verità»
(Gv 17,
17).
*
* *
Cristo,
che accetti una condanna ingiusta, concedi a noi e a tutti gli uomini
del nostro tempo la grazia di essere fedeli alla verità e non
permettere che su di noi e su quanti verranno dopo di noi cada il
peso della responsabilità per la sofferenza degli innocenti. A te,
Gesù, giusto Giudice, l'onore e la gloria nei secoli senza fine.
Amen.
SECONDA
STAZIONE
Gesù
è caricato della croce
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
La
croce. Strumento di morte infame. Non era lecito condannare a morte
di croce un cittadino romano: era troppo umiliante. Il momento in cui
Gesù di Nazaret si caricò della croce per portarla sul Calvario
segnò una svolta nella storia della croce. Segno di una morte
infame, riservata alla categoria più bassa degli uomini, la croce
diventa una chiave. D'ora
in poi, con l'aiuto di questa chiave, l'uomo aprirà la porta delle
profondità del mistero di Dio. Per opera di Cristo che accetta la
croce, strumento della propria spoliazione, gli uomini sapranno che
Dio è amore. Amore
sconfinato: «Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita
eterna» (Gv 3,
16). Questa verità su Dio si è rivelata mediante la croce. Non
poteva rivelarsi in altro modo? Forse sì. Dio tuttavia ha
scelto la croce. Il Padre ha scelto
la croce per il Figlio suo, e il Figlio l'ha presa sulle spalle, l'ha
portata sul monte Calvario e su di essa ha offerto la sua vita.
«Nella croce c'è la sofferenza, nella croce c'è la salvezza, nella
croce c'è una lezione d'amore. Dio, chi una volta ti ha capito,
null'altro desidera, null'altro cerca». (Canto
quaresimale polacco). La Croce è
segno di un amore senza limiti!
*
* *
Cristo,
che accetti la croce dalle mani degli uomini, per fare di essa il
segno dell'amore salvifico di Dio per l'uomo, concedi a noi e a tutti
gli uomini del nostro tempo la grazia della fede in questo infinito
amore, affinché, trasmettendo al nuovo millennio il segno della
croce, siamo autentici testimoni della redenzione. A te, Gesù,
sacerdote e vittima, la lode e la gloria nei secoli. Amen.
TERZA
STAZIONE
Gesù
cade per la prima volta
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Dio
pose su di lui i peccati di noi tutti» (cfr Is
53, 6). «Noi tutti eravamo sperduti
come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece
ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti» (Is
53, 6). Gesù cade sotto la croce.
Ciò avverrà per tre volte sul cammino relativamente breve della
«via dolorosa». Cade per lo sfinimento. Il corpo insanguinato dalla
flagellazione, il capo coronato di spine. Tutto questo fa sì che gli
manchino le forze. Cade, dunque, e la croce con il suo peso lo
schiaccia contro la terra. Occorre ritornare alle parole del profeta,
che vede in prospettiva questa caduta secoli prima. È come se la
contemplasse con gli stessi suoi occhi: dinanzi al Servo del Signore,
a terra sotto il peso della croce, mostra la vera causa della sua
caduta. Ecco, «Dio pose su di lui i
peccati di noi tutti». Sono stati i
peccati a schiacciare a terra il divin Condannato. Sono stati essi a
decidere il peso della croce, che egli porta sulle sue spalle. Sono
stati i peccati a determinare la sua caduta. Cristo a stento si
rialza per riprendere il cammino. I soldati che lo scortano cercano
di stimolarlo con grida e colpi. Dopo un attimo il corteo riparte.
Gesù cade e si rialza. In questo modo, il Redentore del mondo si
rivolge senza parole a tutti coloro che cadono. Li
esorta a rialzarsi. «Egli portò i
nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non
vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue
piaghe siamo stati guariti» (cfr 1
Pt 2, 24-25a).
*
* *
Cristo,
che cadi sotto il peso delle nostre colpe e ti rialzi per la nostra
giustificazione, ti preghiamo, aiuta noi e tutti coloro che sono
schiacciati dal peccato a rimetterci in piedi e a riprendere il
cammino. Dacci la forza dello Spirito, per portare con te la croce
della nostra debolezza. A te, Gesù, schiacciato dal peso delle
nostre colpe, la nostra lode e il nostro amore nei secoli. Amen.
QUARTA
STAZIONE
Gesù
incontra sua Madre
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Non
temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco,
concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà
grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il
trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di
Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc
1, 30-33). Maria ricordava queste
parole. Ritornava spesso ad esse nel segreto del suo cuore. Quando
sulla via della croce incontrò il Figlio, forse proprio queste
parole le vennero alla mente. Con una forza particolare. «Regnerà...
Il suo regno non avrà fine...», aveva detto il messaggero celeste.
Ora, mentre vede il Figlio, condannato a morte, portare la croce
sulla quale dovrà morire potrebbe, umanamente parlando, domandarsi:
come dunque possono compiersi quelle parole? In quale modo regnerà
sulla casa di Davide? E come potrà essere che il suo regno non abbia
fine? Umanamente, sono domande comprensibili. Maria però ricorda che
allora, dopo aver udito l'annuncio dell'Angelo, aveva risposto:
«Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai
detto» (Lc 1,
38). Ora vede che quella sua parola si sta compiendo come parola
della croce. Perché madre, Maria
soffre profondamente. Tuttavia risponde anche ora come aveva risposto
allora, all'annunciazione: «Avvenga
di me quello che hai detto». In
questo modo, maternamente, abbraccia la croce insieme al divin
Condannato.
Sulla
via della croce Maria si manifesta come Madre del Redentore del
mondo. «Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se
c'è un dolore simile al mio dolore, al dolore che ora mi tormenta»
(Lam 1,
12). È la Madre Addolorata che parla, la Serva obbediente fino alla
fine, la Madre del Redentore del mondo.
*
* *
O
Maria, tu che hai percorso la via della croce insieme col Figlio,
straziata dal dolore nel tuo cuore di madre, ma sempre memore del tuo
fiat e
intimamente fiduciosa che colui a cui nulla è impossibile avrebbe
compiuto le sue promesse, impetra per noi e per gli uomini delle
future generazioni la grazia dell'abbandono all'amore di Dio. Fa'
che, di fronte alla sofferenza, al rifiuto, alla prova, anche se
prolungata ed aspra, non dubitiamo mai del suo amore. A Gesù, tuo
Figlio, onore e gloria nei secoli. Amen.
QUINTA
STAZIONE
Simone
di Cirene porta la croce di Gesù
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Costrinsero
Simone (cfr Mc 15,
21). I soldati romani fecero così, temendo che il Condannato esausto
non arrivasse a portare la croce fino al Golgota. Non avrebbero
potuto eseguire su di lui la sentenza della crocifissione. Cercavano
un uomo che lo aiutasse a portare la croce. Il loro sguardo si posò
su Simone. Lo costrinsero a caricarsi di quel peso. Si può
immaginare che lui non fosse d'accordo e si opponesse. Il portare la
croce insieme ad un condannato poteva essere considerato un atto
offensivo della dignità di un uomo libero. Pur controvoglia, Simone
prese la croce per aiutare Gesù. In un canto quaresimale risuonano
queste parole: «Sotto il peso della croce Gesù accoglie il
Cireneo». Sono parole che lasciano intravedere un totale cambio di
prospettiva: il divin Condannato appare come qualcuno che, in un
certo senso, «fa dono» della croce.
Non è stato forse lui a dire: «Chi
non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt
10, 38)? Simone riceve un dono. Ne è
diventato «degno». Ciò che agli
occhi della folla poteva offendere la sua dignità, nella prospettiva
della redenzione gli ha invece conferito una nuova dignità. Il
Figlio di Dio l'ha reso in modo singolare compartecipe della sua
opera salvifica. Simone ne è consapevole? L'evangelista Marco
identifica Simone di Cirene come «padre di Alessandro e Rufo» (15,
21). Se i figli di Simone di Cirene erano conosciuti nella primitiva
comunità cristiana, si può ritenere che anch'egli, proprio mentre
portava la croce, abbia creduto in Cristo. Passò liberamente dalla
costrizione alla disponibilità, come intimamente raggiunto dalle
parole: «Chi non porta la sua croce con me, non è degno di me».
Portando la croce, fu introdotto alla
conoscenza del vangelo della croce. Da
allora questo vangelo parla a tanti, innumerevoli cirenei, chiamati
nel corso della storia a portare la croce insieme a Gesù.
*
* *
Cristo,
che a Simone di Cirene hai conferito la dignità di portare la tua
croce, accogli anche noi sotto il suo peso, accogli tutti gli uomini
e dona a ciascuno la grazia della disponibilità. Fa' che non
distogliamo lo sguardo da coloro che sono schiacciati dalla croce
della malattia, della solitudine, della fame, dell'ingiustizia. Fa'
che, portando i pesi gli uni degli altri, diventiamo testimoni del
vangelo della croce, testimoni di te, che vivi e regni nei secoli dei
secoli. Amen.
SESTA
STAZIONE
La
Veronica asciuga il volto di Gesù
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Veronica
non appare nei Vangeli. Questo nome non viene menzionato, benché
vengano fatti i nomi di varie donne che compaiono accanto a Gesù.
Può essere, dunque, che il nome esprima piuttosto ciò che la donna
fece. In effetti, secondo la tradizione, sulla via del Calvario una
donna si fece strada tra i soldati che scortavano Gesù e con un velo
asciugò il sudore e il sangue sul volto del Signore. Quel volto
restò impresso nel velo; un riflesso fedele, una «vera
icona». A questo si collegherebbe
il nome stesso di Veronica. Se è così, questo nome, che rende
memorabile il gesto compiuto da questa donna, racchiude allo stesso
tempo la più profonda verità su di
lei. Un giorno, suscitando la
critica degli astanti, Gesù prese le difese di una donna peccatrice,
che aveva versato sui suoi piedi olio profumato e li aveva asciugati
con i capelli. All'obiezione che venne fatta in quella circostanza
rispose: «Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto una
azione buona verso di me (...). Versando questo olio sul mio corpo,
lo ha fatto in vista della mia sepoltura» (Mt
26, 10. 12). Si potrebbero applicare
queste parole anche alla Veronica. Si manifesta così la profonda
eloquenza dell'evento. Il Redentore del mondo dona a Veronica
un'autentica immagine del suo volto. Il velo, su cui resta impresso
il volto di Cristo, diventa un messaggio per noi. In un certo senso
esso dice: Ecco come ogni atto buono, ogni gesto di vero amore verso
il prossimo rafforza in chi lo compie la somiglianza col Redentore
del mondo. Gli atti d'amore non passano. Ogni gesto di bontà, di
comprensione, di servizio lascia nel cuore dell'uomo un segno
indelebile, che lo rende sempre più simile a colui che «spogliò se
stesso, assumendo la condizione di servo» (Fil
2, 7). Così
si forma l'identità, il vero nome
dell'uomo.
*
* *
Signore
Gesù Cristo, tu che hai accettato il gesto disinteressato d'amore di
una donna e in cambio hai fatto sì che le generazioni la ricordino
con il nome del tuo volto, concedi che le opere nostre, e di tutti
coloro che verranno dopo di noi, ci rendano simili a te e lascino al
mondo il riflesso del tuo infinito amore. A te, Gesù, splendore
della gloria del Padre, lode e gloria nei secoli. Amen.
SETTIMA
STAZIONE
Gesù
cade per la seconda volta
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Io
sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo»
(Sal 21[22],
7). Vengono in mente queste parole del Salmo mentre guardiamo Gesù,
che per la seconda volta cade sotto la croce. Ecco, nella polvere
della terra sta il Condannato. Schiacciato dal peso della sua croce.
Le forze lo abbandonano sempre più. Ma pur a fatica si rialza, per
continuare il cammino. Che cosa dice a noi, uomini peccatori, questa
seconda caduta? Più ancora della prima, sembra esortare a rialzarci,
a rialzarci un'altra volta sulla
nostra via della croce. Cyprian Norwid ha scritto: «Non dietro a se
stessi con la croce del Salvatore, ma dietro al Salvatore con la
propria croce». Massima breve, ma che dice moltissimo. Spiega in
quale senso il cristianesimo sia la religione della croce. Lascia
intendere che ogni uomo incontra quaggiù il Cristo che porta la
croce e cade sotto di essa. A sua volta Cristo, sulla via del
Calvario, incontra ogni uomo e, cadendo sotto il peso della croce,
non cessa di annunziare la buona novella. Da duemila anni il vangelo
della croce parla all'uomo. Da venti secoli Cristo, che si rialza
dalla caduta, incontra l'uomo che cade. Lungo questi due millenni
molti hanno sperimentato che cadere non significa la fine del
cammino. Incontrando il Salvatore, si sono sentiti da lui
rassicurare: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si
manifesta pienamente nella debolezza» (2
Cor 12, 9). Si sono rialzati
confortati ed hanno trasmesso al mondo la parola della speranza
che sgorga dalla croce. Oggi,
varcata la soglia del nuovo millennio, siamo chiamati ad approfondire
il contenuto di questo incontro. È necessario che la nostra
generazione rechi ai secoli futuri la buona novella del nostro
rialzarci in Cristo.
*
* *
Signore
Gesù Cristo, che cadi sotto il peso del peccato dell'uomo e ti
rialzi per assumerlo su di te e cancellarlo, da' a noi, uomini
deboli, la forza di portare la croce della quotidianità e di
rialzarci dalle nostre cadute, per recare alle generazioni che
verranno il Vangelo della tua potenza salvifica. A te, Gesù,
sostegno della nostra debolezza, la lode e la gloria nei secoli.
Amen.
OTTAVA
STAZIONE
Gesù
ammonisce le donne di Gerusalemme
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Figlie
di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e
sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le
sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno
allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! E
ai colli, copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che
avverrà del legno secco?» (Lc 23,
28-31). Sono le parole di Gesù alle donne di Gerusalemme, che
piangevano esprimendo compassione per il Condannato. «Non piangete
su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli». Allora era
certamente difficile comprendere il senso di queste parole.
Contenevano una profezia, che presto si sarebbe avverata. Poco prima
Gesù aveva pianto su Gerusalemme, preannunziando l'orribile sorte,
che le sarebbe toccata. Ora egli sembra ricollegarsi a quella
previsione: «Piangete sui vostri figli...». Piangete, perché essi,
proprio essi, saranno testimoni e partecipi della distruzione di
Gerusalemme, di quella Gerusalemme che «non
ha saputo riconoscere il tempo in cui è stata visitata» (cfr
Lc 19,
44). Se, mentre seguiamo Cristo sulla via della croce, si desta nei
nostri cuori la compassione per la sua sofferenza, non possiamo
dimenticare quell'ammonimento. «Se trattano così il legno verde,
che avverrà del legno secco?». Per la nostra generazione, che si
lascia un millennio alle spalle, più che di piangere su Cristo
martoriato, è ora di «riconoscere
il tempo in cui è visitata». Già
risplende l'aurora della risurrezione. «Ecco ora il momento
favorevole, ecco ora il giorno della salvezza» (2
Cor 6, 2). A ciascuno di noi Cristo
rivolge queste parole dell'Apocalisse: «Sto alla porta e busso. Se
qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui,
cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere presso
di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il
Padre mio sul suo trono» (3, 20-21).
*
* *
Cristo,
che sei venuto in questo mondo, per visitare tutti coloro che
attendono la salvezza, fa' che la nostra generazione riconosca il
tempo in cui viene visitata e abbia parte ai frutti della tua
redenzione. Non permettere che su noi e sugli uomini del nuovo secolo
si debba piangere perché abbiamo respinto la mano del Padre
misericordioso. A te, Gesù, nato dalla Vergine Figlia di Sion, onore
e gloria nei secoli eterni. Amen.
NONA
STAZIONE
Gesù
cade per la terza volta
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Ecco,
Cristo è nuovamente stramazzato a terra sotto il peso della croce.
La folla, curiosa, osserva se ancora avrà la forza di rialzarsi. San
Paolo scrive: «Pur essendo di natura divina, non considerò un
tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino
alla morte e alla morte di croce» (Fil
2, 6-8). La terza caduta sembra
esprimere proprio questo: la
spoliazione, la kenosis del Figlio di Dio, l'umiliazione
sotto la croce. Ai discepoli Gesù aveva detto di essere venuto non
per essere servito, ma per servire (cfr Mt
20, 28). Nel Cenacolo, chinandosi
fino a terra e lavando loro i piedi, aveva come voluto abituarli
a questa sua umiliazione. Cadendo a
terra per la terza volta sulla via della croce, ci
grida ancora a gran voce il suo mistero. Ascoltiamo
la sua voce! Questo Condannato, a terra sotto il peso della croce,
nei pressi ormai del luogo del supplizio, ci dice: «Io sono la via,
la verità e la vita» (Gv 14,
6). «Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce
della vita» (Gv 8,
12). Non ci sgomenti la vista di un Condannato, che cade a terra
sfinito sotto la croce. Questo esteriore manifestarsi della morte,
che si sta avvicinando, nasconde in sé la luce della vita.
*
* *
Signore
Gesù Cristo, che per la tua umiliazione sotto la croce hai rivelato
al mondo il prezzo della sua redenzione, da' agli uomini del terzo
millennio la luce della fede, affinché riconoscendo in te il Servo
sofferente di Dio e dell'uomo, abbiano il coraggio di seguire lo
stesso cammino, che, attraverso la croce e la spoliazione, porta alla
vita che non avrà fine. A te, Gesù, sostegno della nostra
debolezza, onore e gloria nei secoli. Amen.
DECIMA
STAZIONE
Gesù
è spogliato delle vesti e abbeverato di aceto e fiele
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Assaggiatolo,
non ne volle bere» (Mt 27,
34). Non volle calmanti, che gli avrebbero annebbiato la coscienza
durante l'agonia. Voleva agonizzare
sulla croce consapevolmente,
adempiendo alla missione ricevuta dal Padre. Ciò era contrario ai
metodi usati dai soldati incaricati dell'esecuzione. Dovendo
inchiodare alla croce il condannato, essi cercavano di attutire la
sua sensibilità e la sua coscienza. Nel caso di Cristo non poteva
essere così. Gesù sa che la sua morte in croce deve essere un
sacrificio di espiazione. Per questo vuole conservare la coscienza
vigile sino alla fine. Privo di essa non potrebbe, in modo
completamente libero, accettare la piena
misura della sofferenza. Ecco, egli
deve salire sulla croce, per offrire il sacrificio della Nuova
Alleanza. Egli è Sacerdote. Deve entrare mediante il proprio sangue
nelle dimore eterne, dopo aver operato la redenzione del mondo (cfr
Eb 9,
12). Coscienza e libertà:
sono gli attributi irrinunciabili di un agire pienamente umano. Il
mondo conosce tanti mezzi per indebolire la volontà ed offuscare la
coscienza. Occorre difenderle gelosamente da tutte le violenze! Lo
stesso legittimo sforzo di attutire il dolore va compiuto sempre nel
rispetto della dignità umana. Bisogna comprendere profondamente il
sacrificio di Cristo, occorre unirsi ad esso per non cedere, per non
permettere che la vita e la morte perdano il loro valore.
*
* *
Signore
Gesù, che con totale dedizione hai accettato la morte di croce per
la nostra salvezza, rendi noi e tutti gli uomini del mondo partecipi
del tuo sacrificio sulla croce, affinché il nostro esistere e il
nostro operare abbiano la forma di una partecipazione libera e
consapevole alla tua opera di salvezza. A te Gesù, sacerdote e
vittima onore e gloria nei secoli. Amen.
UNDICESIMA
STAZIONE
Gesù
è inchiodato sulla croce
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Hanno
forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa»
(Sal 21[22],
17-18).
Si
compiono le parole del profeta. Inizia l'esecuzione. I colpi degli
aguzzini schiacciano contro il legno della croce le mani e i piedi
del Condannato. Nel carpo delle mani i chiodi vengono infissi con
prepotenza. Quei chiodi terranno appeso il condannato fra gli
inesprimibili tormenti dell'agonia. Nel suo corpo e nel suo animo
sensibilissimo, Cristo soffre indicibilmente. Insieme con lui vengono
crocifissi due veri malfattori, uno alla sua destra e l'altro alla
sua sinistra. Si compie la profezia: «È stato annoverato fra gli
empi» (Is 53,
12). Quando gli aguzzini alzeranno la croce, inizierà una agonia che
durerà tre ore. Bisogna che si adempia anche questa parola: «Io,
quando sarò elevato da terra, attirerò
tutti a me» (Gv
12, 32). Che cosa «attira» in
questo Condannato in agonia sulla croce? L'immagine di una sofferenza
tanto intensa desta certamente compassione. Ma la compassione è
troppo poco per indurre a vincolare la propria vita a colui che è
appeso alla croce. Come spiegare che, generazione dopo generazione,
questa terrificante visione abbia attirato innumerevoli schiere di
persone che hanno fatto della croce il distintivo della loro fede? Di
uomini e donne che per secoli hanno vissuto e dato la vita guardando
a questo segno? Cristo attira dalla croce con
la potenza dell'amore, dell'Amore
divino, che non si è sottratto al dono totale di sé; dell'Amore
infinito, che ha innalzato da terra sull'albero della croce il peso
del corpo di Cristo, per bilanciare il peso dell'antica colpa;
dell'Amore sconfinato, che ha colmato ogni assenza di amore e ha
permesso all'uomo di trovare rifugio nuovamente tra le braccia del
Padre misericordioso. Cristo innalzato sulla croce attiri anche noi,
uomini e donne del nuovo millennio! All'ombra della croce,
«camminiamo nella carità perché anche Cristo ci ha amato e ha dato
se stesso, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (cfr Ef
5, 2).
*
* *
Cristo
innalzato, Amore crocifisso, riempi i nostri cuori del tuo amore,
affinché riconosciamo nella tua croce il segno della nostra
redenzione e, attratti dalle tue ferite, viviamo e moriamo con te,
che vivi e regni con il Padre e con lo Spirito, ora e nei secoli
senza fine. Amen.
DODICESIMA
STAZIONE
Gesù
muore sulla croce
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Padre,
perdonali perché non sanno quello che fanno» (Lc
23, 34). All'apice della passione
Cristo non dimentica l'uomo, specialmente non dimentica coloro che
sono direttamente causa della sua sofferenza. Egli sa che l'uomo, più
di ogni altra cosa, ha bisogno d'amore; ha bisogno della misericordia
che in questo istante si espande sul mondo. «In verità ti dico,
oggi sarai con me nel paradiso» (Lc
23, 43). Gesù risponde così alla
richiesta del malfattore, appeso alla sua destra: «Gesù, ricordati
di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc
23, 42). La
promessa di una nuova vita. Ecco il
primo frutto della passione e dell'imminente morte di Cristo. Una
parola di speranza all'uomo. Ai piedi della croce stava la Madre, e
accanto a lei il discepolo, Giovanni evangelista. Gesù dice: «Donna,
ecco il tuo figlio!», e al discepolo: «Ecco la tua madre!». «E da
quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv
19, 26-27). È il testamento per le
persone più care al suo cuore. Il
testamento per la Chiesa. Gesù
morente vuole che l'amore materno di Maria abbracci tutti coloro per
i quali egli dà la vita, l'intera umanità. Subito dopo, Gesù
esclama: «Ho sete» (Gv 19,
28). Parola da cui traspare la terribile arsura, che brucia l'intero
suo corpo. È la sola parola che manifesta direttamente la sua
sofferenza fisica. Poi Gesù aggiunge: «Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato?» (Mt
27, 46;
cfr Sal
21[22],
2). Sono le parole del Salmo con
cui egli prega. La frase, nonostante il suo tenore, evidenzia la
sua unione profonda con il Padre. Negli
ultimi istanti della sua vita sulla terra, Gesù dirige il suo
pensiero al Padre. Il dialogo si svolgerà ormai soltanto tra il
Figlio che muore e il Padre che accetta il suo sacrificio d'amore.
Quando giunge l'ora nona, Gesù grida: «Tutto è compiuto!» (Gv
19, 30). Ecco, è giunta a
compimento l'opera della redenzione. La missione, per la quale è
venuto sulla terra, ha raggiunto il suo scopo. Il resto appartiene al
Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc
23, 46). Detto questo spirò. «Il
velo del tempio si squarciò in due...» (Mt
27, 51). Il «santo dei santi» nel
tempio di Gerusalemme viene aperto nell'istante in cui vi entra il
Sacerdote della Nuova ed Eterna Alleanza.
*
* *
Signore
Gesù Cristo, tu che al momento dell'agonia non sei rimasto
indifferente alla sorte dell'uomo e insieme al tuo ultimo respiro hai
affidato con amore alla misericordia del Padre gli uomini e le donne
di tutti i tempi con le loro debolezze ed i loro peccati, riempi noi
e le generazioni future del tuo Spirito d'amore, affinché la nostra
indifferenza non renda vani in noi i frutti della tua morte. A te,
Gesù crocifisso, sapienza e potenza di Dio, onore e gloria nei
secoli eterni. Amen.
TREDICESIMA
STAZIONE
Gesù
è deposto dalla croce e consegnato alla Madre
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
O
quam tristis et afflicta fuit illa benedicta Mater Unigeniti. Hanno
restituito nelle mani della Madre il corpo senza vita del Figlio. I
Vangeli non parlano di ciò che ella ha provato in quell'istante. È
come se gli Evangelisti, col silenzio, volessero rispettare il suo
dolore, i suoi sentimenti e i suoi ricordi. O, semplicemente, come se
ritenessero di non essere capaci di esprimerli. È stata soltanto la
devozione plurisecolare a conservare l'immagine della «Pietà»,
fissando così nella memoria del popolo cristiano l'espressione più
dolorosa di quell'ineffabile legame
d'amore sbocciato nel cuore della
Madre il giorno dell'annunciazione e maturato nell'attesa della
nascita del divin Figlio. Quell'amore si è rivelato nella grotta di
Betlemme, è stato sottoposto alla prova già durante la
presentazione al tempio, si è approfondito insieme con gli eventi
conservati e meditati nel suo cuore (cfr Lc
2, 51). Adesso quest'intimo legame
d'amore deve trasformarsi in un'unione che supera i confini della
vita e della morte. E così sarà lungo tutto l'arco dei secoli: gli
uomini si fermano presso la statua della Pietà di Michelangelo; si
inginocchiano davanti all'immagine della Mesta Benefattrice (Smêtna
Dobrodziejka) nella chiesa dei Francescani, a Cracovia, dinanzi alla
Madre dei Sette Dolori, Patrona della Slovacchia; venerano
l'Addolorata in tanti santuari in ogni parte del mondo. Essi
apprendono così il difficile amore
che non fugge di fronte alla
sofferenza, ma si abbandona fiduciosamente alla tenerezza di Dio, a
cui nulla è impossibile (cfr Lc 1,
37).
*
* *
Salve,
Regina, mater misericordiæ; vita, dulcedo et spes nostra, salve. Ad
te clamamus... illos tuos misericordes oculos ad nos converte. Et
Iesum, benedictum fructum ventris tui, nobis post hoc exilium
ostende. Impetraci la grazia
della fede, della speranza e della carità, affinché anche noi, come
te, sappiamo perseverare sotto la croce fino all'estremo respiro. Al
tuo Figlio, Gesù, nostro Salvatore, con il Padre e con lo Spirito
Santo, ogni onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
QUATTORDICESIMA
STAZIONE
Il
corpo di Gesù è deposto nel sepolcro
Adoramus
te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia
per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
«Fu
crocifisso, morì e fu sepolto...». Il corpo senza vita di Cristo è
stato posto nel sepolcro. La pietra sepolcrale non è tuttavia il
suggello definitivo della sua opera. L'ultima parola non appartiene
alla falsità, all'odio e alla sopraffazione. L'ultima parola verrà
pronunciata dall'Amore, che è più forte della morte. «Se il chicco
di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto» (Gv 12,
24). Il sepolcro è l'ultima tappa del morire di Cristo nel corso
dell'intera vita terrena; è segno
del suo supremo sacrificio per noi e
per la nostra salvezza. Ben presto, ormai, questo sepolcro diverrà
il primo annuncio di lode e di
esaltazione del Figlio di Dio nella gloria del Padre. «Fu
crocifisso, morì e fu sepolto, (...) il terzo giorno risuscitò da
morte». Con la deposizione del corpo senza vita di Gesù nel
sepolcro, ai piedi del Golgota, la Chiesa inizia la veglia del Sabato
Santo. Maria conserva nel profondo del cuore e medita la passione del
Figlio; le donne si danno appuntamento per il mattino del giorno dopo
il sabato, per ungere con aromi il corpo di Cristo; i discepoli si
raccolgono, nel nascondimento del Cenacolo, finché non sia passato
il sabato. Questa veglia terminerà con l'incontro presso il
sepolcro, il sepolcro vuoto del Salvatore. Allora il sepolcro,
testimone muto della risurrezione, parlerà. La pietra ribaltata,
l'interno vuoto, le bende per terra, questo sarà ciò che vedrà
Giovanni, giunto al sepolcro insieme con Pietro: «Vide e credette»
(Gv 20,
8). Ed insieme a lui credette la
Chiesa, che da quel momento non si
stanca di trasmettere al mondo questa fondamentale verità della sua
fede: «Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono
morti» (1 Cor 15,
20). Il sepolcro vuoto è segno della
definitiva vittoria della verità
sulla menzogna, del bene sul male, della misericordia sul peccato,
della vita sulla morte. Il sepolcro vuoto è segno
della speranza che «non delude»
(Rm 5,
5). «La nostra speranza è piena di immortalità» (cfr Sap
3, 4).
*
* *
Signore
Gesù Cristo, che dal Padre, nella potenza dello Spirito Santo, sei
stato condotto dalle tenebre della morte alla luce di una nuova vita
nella gloria, fa' che il segno del sepolcro vuoto parli a noi e alle
generazioni future e diventi fonte di viva fede, di carità generosa
e di saldissima speranza. A te, Gesù, presenza nascosta e vittoriosa
nella storia del mondo, onore e gloria nei secoli. Amen.
©
L'OSSERVATORE ROMANO Sabato 22 Aprile 2000
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