venerdì 31 luglio 2015

La fede: fondamento di ciò che speriamo (Eb 11,1) - Lettera n° 8 – Tratta da “Lettere agli amici” su come vivere la fede cristiana di padre Basilio Martin



Caro Walter, un giorno sei venuto a trovarmi e hai voluto parlarmi delle tue difficoltà nel continuare a vivere la fede in Cristo, quel dono che avevi sperimentato essere prezioso e testimoniato negli anni della tua gioventù, quando non eri ancora entrato nel mondo del lavoro. Il lavoro, con le sue leggi e i suoi ritmi, ha un po' affievolito quella grinta che ti aveva sempre caratterizzato nel professare le tue convinzioni e i principi cristiani saldamente ancorati nella tua anima, grazie alla testimonianza dei tuoi genitori, alle giornate condivise con gli amici nella tua parrocchia ancora ricca di tradizioni religiose e non intaccata dall'agnosticismo presente nelle grandi città, come quella di Torino in cui ora vivi. L'ambiente di lavoro che ti assorbe per tutta la giornata non ti permette di soffermarti a pensare serenamente al senso della vita, non favorisce il pensare all'esistenza di un Dio amorevole e buono, che si è fatto presentare come Padre dell'umanità. La facilità con cui Dio viene bestemmiato lavorando, il martellamento continuo con la tematica sessuale in certi ambienti di lavoro, l'ansia per essere competitivi con le altre aziende concorrenti, facilitano ancor più il rischio di svuotare l'uomo dei valori cristiani acquisiti durante l'infanzia, mandando in oblio il motivo della sua presenza nel mondo, che altro non è che quello di scoprire Dio, conoscerlo, conformarsi alla Sua immagine e viverlo. Da dove nasce la fede? E' la domanda che spesse volte mi Sento fare. La fede è un dono di Dio, caro Walter, la sua ricerca proviene dall'interrogativo che ognuno si pone dal momento che prende coscienza della propria esistenza: perché sono nato, perché la sofferenza, perché la morte? E dopo la morte cosa ne sarà di tutto quello che l'uomo ha vissuto? Soprattutto quest'ultimo interrogativo provoca l'uomo e lo spinge alla ricerca di Dio. E siccome Dio, come affermava san Giovanni, “nessuno lo ha mai visto” (Gv. 1,18), non resta all'essere umano che dare fiducia e credere alle parole pronunciate da Gesù circa la Sua esistenza, la sua Paternità, la sua volontà di volerci tutti portare a vivere con Lui nell'eternità. Credere. Tale concetto in ebraico si esprime con he'emin, che è la stessa radice della parola che noi utilizziamo alla fine delle nostre preghiere, lasciata non tradotta: Amen. Questo termine in ebraico, non significa solamente “così sia” ma esprime anche il gesto di conficcare nel terreno i pioli di una tenda, affinché essa possa mantenersi in piedi. Avere fede in Dio vuol dire piantare i pioli della tenda della nostra vita in Lui. Il verbo “credere” nella Bibbia suppone quindi un atteggiamento di fiducia perché si poggia su qualcosa di stabile, di solido. “Abramo credette al Signore” (Gn. 15,6), vuol dire che era pieno di fiducia, radicato saldamente in Yahweh, e Dio glielo accreditò come giustizia (Gn. 15,6), cioè dichiarò che quell'uomo credente era “giusto” e capace di entrare in relazione con il Creatore. Credere, secondo la Bibbia, allora, è prima di tutto un credere in Dio, fidarsi ciecamente nel Padre, perché Egli è la roccia dell'umana esistenza. Sai come qualcuno ha definito la fede del credente? “Un buttarsi nel vuoto sapendo di trovare due braccia pronte ad accoglierti”. Il cardinale Joseph Ratzinger diceva che “nel suo nucleo di fondo, la fede consiste nell'accettare di essere amati da Dio”. Qualcuno mi ha chiesto: come nasce la fede?

Essa, dato che è dono di Dio, può essere profusa direttamente da Lui, come avvenne per san Paolo sulla via di Damasco (cf. At, 9,1-9). Ma questo dono può essere anche trasmesso da chi lo possiede già, come ad esempio dai genitori ai figli attraverso la loro testimonianza. Un giornalista chiese un giorno al teologo protestante Jurgen Moltmann, padre di quattro figli: “Come si trasmette la fede ai più piccoli?”, “Pregando con loro la sera -gli rispose-, rispondendo alle loro domande, raccontando episodi tratti dalla Bibbia. Non occorrono molte lezioni accademiche. La fede ha bisogno di semplicità”.
Ti voglio raccontare il modo tramite cui Dio scelse di farsi conoscere e amare dal sottoscritto: in una parola ti voglio ricordare come ho acquisito la fede in Lui. Essendo orfano di padre, mia madre doveva provvedere da sola a sfamare noi tre figli rimasti a suo carico. Lavorava come domestica presso una ricca signora. Erano tre mesi che questa donna non le versava lo stipendio. Mia madre non poteva reclamare, perché a quei tempi non esisteva un'organizzazione sindacale disposta a difenderla, e licenziandosi rischiava di non trovare lavoro per le cattive informazioni che avrebbero potuto circolare sul suo conto. Avevamo in casa una piccola statua del Sacro Cuore di Gesù, appoggiata su una mensola incastrata nel muro. Ogni giorno, prima di andare a dormire, tutti insieme, di fronte ad essa, recitavamo in ginocchio le nostre preghiere. Una sera mia madre si rivolse a me e a mio fratello -eravamo più piccoli di nostra sorella-, e ci disse: “In casa non c'è più nulla da mangiare. Se domani la mia padrona non mi paga, non so a che santo rivolgermi per sfamarvi. Mettetevi in ginocchio e chiedete al Signore di intervenire: a voi, che siete piccoli, ascolterà di sicuro, mentre a noi adulti, non ascolta perché siamo peccatori”. Con l'innocenza e la semplicità tipica dei bimbi, io e mio fratello, in ginocchio, con le mani giunte, recitammo il Padre nostro. Poi io mi rivolsi direttamente al Signore, e gli dissi: “Gesù, fa che la mamma domani possa darci da mangiare. Costringi la sua padrona a darle lo stipendio che le spetta”. Il giorno dopo, verso sera, mia madre tornò a casa esultante per aver finalmente ottenuto il salario e ci chiese di ringraziare il buon Dio per averci esauditi. Grazie a questo episodio, nella mia anima fu gettato il seme della fede in Lui. Non occorreva più che qualcuno mi confermasse l'esistenza del Signore, perché ormai avevo capito che c'era e agiva: l'avevo incontrato. Da quella sera imparai a pregare: a parlare con Dio come parlerebbe un figlio con il proprio padre, come si comporterebbe un uomo nel confidarsi con il suo più caro amico al punto che, da diciottenne, quando alla sera mi inginocchiavo per recitare le mie preghiere, dopo aver fatto l'esame di coscienza sulla giornata appena trascorsa, mi rivolgevo a Gesù in questi termini: “Anche oggi, Gesù sono stato un impuro, mi sono ubriacato e ho scazzottato con i miei compagni: perdonami! Ma non ti prometto che domani cambierò modo di vivere. Sono sicuro che anche domani farò a cazzotti e cercherò le ragazze per divertirmi, non so proprio che farci. Sono sicuro però che Tu non mi abbandonerai mai: Tu sai che ti voglio bene!”. Poi mi facevo il segno della croce e mi coricavo a letto con tanta pace nel cuore.
Ti racconto un altro episodio della mia infanzia che ancor più ha rafforzato la mia fede. Premetto che mia madre non era molto equilibrata. Per l'ennesima volta il suo datore di lavoro ritardò a darle lo stipendio mensile. Una sera, esasperata, iniziò a maledire i padroni e gli abitanti della città dove abitavamo, che non amava e con cui mai avrebbe voluto avere a che fare. D'un tratto si girò verso la statua del Sacro Cuore e gli gridò: “Ma che cavolo ci fai tu lì, perché non fai qualcosa!”. Poi prese la statua e, mentre la teneva con la mano sinistra, con la destra le mollò due ceffoni come quelli che avrebbe voluto dare alla sua padrona. Poi la rimise sulla mensola ma con la faccia rivolta verso il muro, in castigo, come un tempo si faceva con i bimbi cattivi. Io rimasi allibito davanti a quella scena. Non riuscii a dire una sola parola. Avevo appena quattro anni. Vedere mia madre parlare e agire con una statua come se fosse una persona vivente, per me fu un'esperienza sconcertante, ma allo stesso tempo edificante. Mi convinsi quella sera che con Dio il rapporto doveva essere vissuto come lo si vive con qualsiasi altra persona al mondo. E sai cosa avvenne il giorno dopo? Che la padrona di mia madre le consegnò lo stipendio. Lei tornò a casa tutta contenta e, tra le lacrime e la commozione, rimise la statua al suo posto, e ristabilì la pace con essa. Una copia di quella statua, che durante un trasloco andò in frantumi, ora è posizionata sulla mensola della mia stanza da lavoro, per ricordarmi ogni giorno che qualche volta chi ama il buon Dio più di sé, invece di dargli carezze, può assestargli qualche ceffone. Questa mia fede carnale nei riguardi del Signore, caro Walter, mi ha accompagnato fino ad oggi. Mi ha fatto superare momenti tristi e dolorosi, difficoltà, incomprensioni e tante ingiustizie subite. Durante la mia vita, ho sempre sentito viva e palpabile la presenza di Dio che mi infondeva fiducia e mi spronava a proseguire il cammino. Ti confido che se qualcuno mi dovesse dire: Dio non esiste, la tua è un'illusione, tale affermazione avrebbe su di me lo stesso impatto che avrebbe, su un bimbo stretto in braccio al padre, il sentirsi dire che quell'uomo che abbraccia non è suo padre. Il bimbo lo guarderebbe con commiserazione e si stringerebbe ancor di più alla persona amata. La mia fede forse ti Scandalizza? Allora ti racconto la fede granitica di un ebreo austriaco, Rachower Jossel di Tarnopol, morto nel ghetto di Varsavia, durante l'assedio da parte dei nazisti nel 1943. Prima di morire scrisse una lunga lettera al Dio Onnipotente a cui aveva creduto e che aveva sperato intervenisse in favore del popolo ebreo. Tale lettera è stata poi trovata, chiusa in una bottiglia, murata a metà nella finestra della sua casa; “Qualcosa di molto sorprendente accade oggi nel mondo: è questo il tempo in cui l'Onnipotente distoglie il suo volto da coloro che lo supplicano. Dio ha nascosto al mondo la sua faccia. Per questo gli uomini sono abbandonati alle loro più selvagge passioni. Io credo al Dio di Israele, anche se egli ha fatto di tutto per spezzare la mia fede in lui. Certamente noi abbiamo peccato. E ammetto che noi veniamo puniti per questo. Io non ti posso lodare per gli atti che tu tolleri, ma ti benedico e ti lodo per la tua maestà che ispira timore. Muoio sereno, ma non soddisfatto; da uomo abbattuto, ma non disperato; credente, ma non supplicante; amando Dio, ma senza dire ciecamente “Amen”. Ho seguito Dio, anche quando mi ha respinto. Ho adempiuto al suo comando anche quando, per premiare la mia osservanza, egli mi colpiva. Io l'ho amato. Lo amavo e lo amo ancora, anche se mi ha abbassato fino a terra, mi ha torturato fino alla morte, mi ha ridotto alla vergogna e alla derisione. Tu puoi torturarmi fino alla morte, io crederò sempre in Te. Ti amerò sempre, anche Se non vuoi. Mio Dio di collera: tu non riuscirai a far sì ch'io ti rinneghi. Tu hai tentato di tutto per farmi cadere nel dubbio: ma io muoio come ho vissuto, in una fede incrollabile in Te. Lodato sia da tutta la terra Dio. Ascolta, Israele: l'Eterno è il nostro Dio, l'Eterno è l'Unico e il Solo” (Varsavia, 18 gennaio 1943). Leggendo questa lettera, ti potrai chiedere: “Perché Dio non è intervenuto in favore di questo suo devoto che ha sperato e creduto fino all'ultimo in un intervento a Suo favore?”. Il pastore protestante, Dietrich Bonhoeffer, ucciso anch'egli dai nazisti, a una simile domanda fatta da un suo amico, rispose così: “Dio non esaudisce tutti i nostri desideri, ma tutte le sue promesse”. Io non so perché Dio non sia intervenuto e abbia permesso che il male si accanisse in modo così violento contro il suo popolo, ma so di certo che la sofferenza degli ebrei non è stata vana ai suoi occhi. Diceva un monaco certosino che “credere è Vedere le cose nella luce di Dio”. Ciò che oggi ci appare incomprensibile, come il dolore, il male, la morte, quando saremo davanti a Dio, ci risulterà avere un senso; tutto sarà inglobato nella logica divina: la Salvezza dell'umanità. Spero, con queste mie brevi riflessioni, di esserti stato di aiuto nel risvegliare la fede in Gesù Cristo, fede che hai sempre testimoniato possedere nelle nostre conversazioni. Voglio congedarmi facendoti dono di questa breve preghiera che San Francesco Scrisse davanti al crocifisso di San Damiano che gli parlò e gli disse: “Francesco, ripara la mia casa!”; “O alto glorioso Dio, mio Signore Gesù Cristo, tu che sei la luce del mondo, metti carità, te ne supplico, negli abissi oscuri del mio spirito. Fammi tre regali: La fede diritta come una spada; la speranza grande come il mondo; l'amore profondo come il cuore. Ti chiedo ancora, o mio Signore, un favore; che tutte le mattine, al sorgere dell'alba, appaia chiara come il sole davanti a me la tua santissima volontà, perché io possa camminare sempre alla tua luce. Abbi pietà di me, Gesù”. Credo di averti comunicato in modo esauriente la mia fede nel Dio vivente, di cui è pieno il mio cuore. Ti saluto caramente. A presto.
padre Basilio Martin



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