Caro
Walter, un giorno sei venuto a trovarmi e hai voluto parlarmi delle
tue difficoltà nel continuare a vivere la fede in Cristo, quel dono
che avevi sperimentato essere prezioso e testimoniato negli anni
della tua gioventù, quando non eri ancora entrato nel mondo del
lavoro. Il lavoro, con le sue leggi e i suoi ritmi, ha un po'
affievolito quella grinta che ti aveva sempre caratterizzato nel
professare le tue convinzioni e i principi cristiani saldamente
ancorati nella tua anima, grazie alla testimonianza dei tuoi
genitori, alle giornate condivise con gli amici nella tua parrocchia
ancora ricca di tradizioni religiose e non intaccata
dall'agnosticismo presente nelle grandi città, come quella di Torino
in cui ora vivi. L'ambiente di lavoro che ti assorbe per tutta la
giornata non ti permette di soffermarti a pensare serenamente al
senso della vita, non favorisce il pensare all'esistenza di un Dio
amorevole e buono, che si è fatto presentare come Padre
dell'umanità. La facilità con cui Dio viene bestemmiato lavorando,
il martellamento continuo con la tematica sessuale in certi ambienti
di lavoro, l'ansia per essere competitivi con le altre aziende
concorrenti, facilitano ancor più il rischio di svuotare l'uomo dei
valori cristiani acquisiti durante l'infanzia, mandando in oblio il
motivo della sua presenza nel mondo, che altro non è che quello di
scoprire Dio, conoscerlo, conformarsi alla Sua immagine e viverlo. Da
dove nasce la fede? E' la domanda che spesse volte mi Sento fare. La
fede è un dono di Dio, caro Walter, la sua ricerca proviene
dall'interrogativo che ognuno si pone dal momento che prende
coscienza della propria esistenza: perché sono nato, perché la
sofferenza, perché la morte? E dopo la morte cosa ne sarà di tutto
quello che l'uomo ha vissuto? Soprattutto quest'ultimo interrogativo
provoca l'uomo e lo spinge alla ricerca di Dio. E siccome Dio, come
affermava san Giovanni, “nessuno lo ha mai visto” (Gv. 1,18), non
resta all'essere umano che dare fiducia e credere alle parole
pronunciate da Gesù circa la Sua esistenza, la sua Paternità, la
sua volontà di volerci tutti portare a vivere con Lui nell'eternità.
Credere. Tale concetto in ebraico si esprime con he'emin, che è la
stessa radice della parola che noi utilizziamo alla fine delle nostre
preghiere, lasciata non tradotta: Amen. Questo termine in ebraico,
non significa solamente “così sia” ma esprime anche il gesto di
conficcare nel terreno i pioli di una tenda, affinché essa possa
mantenersi in piedi. Avere fede in Dio vuol dire piantare i pioli
della tenda della nostra vita in Lui. Il verbo “credere” nella
Bibbia suppone quindi un atteggiamento di fiducia perché si poggia
su qualcosa di stabile, di solido. “Abramo credette al Signore”
(Gn. 15,6), vuol dire che era pieno di fiducia, radicato saldamente
in Yahweh, e Dio glielo accreditò come giustizia (Gn. 15,6), cioè
dichiarò che quell'uomo credente era “giusto” e capace di
entrare in relazione con il Creatore. Credere, secondo la Bibbia,
allora, è prima di tutto un credere in Dio, fidarsi ciecamente nel
Padre, perché Egli è la roccia dell'umana esistenza. Sai come
qualcuno ha definito la fede del credente? “Un buttarsi nel vuoto
sapendo di trovare due braccia pronte ad accoglierti”. Il cardinale
Joseph Ratzinger diceva che “nel suo nucleo di fondo, la fede
consiste nell'accettare di essere amati da Dio”. Qualcuno mi ha
chiesto: come nasce la fede?
Essa,
dato che è dono di Dio, può essere profusa direttamente da Lui,
come avvenne per san Paolo sulla via di Damasco (cf. At, 9,1-9). Ma
questo dono può essere anche trasmesso da chi lo possiede già, come
ad esempio dai genitori ai figli attraverso la loro testimonianza. Un
giornalista chiese un giorno al teologo protestante Jurgen Moltmann,
padre di quattro figli: “Come si trasmette la fede ai più
piccoli?”, “Pregando con loro la sera -gli rispose-, rispondendo
alle loro domande, raccontando episodi tratti dalla Bibbia. Non
occorrono molte lezioni accademiche. La fede ha bisogno di
semplicità”.
Ti
voglio raccontare il modo tramite cui Dio scelse di farsi conoscere e
amare dal sottoscritto: in una parola ti voglio ricordare come ho
acquisito la fede in Lui. Essendo orfano di padre, mia madre doveva
provvedere da sola a sfamare noi tre figli rimasti a suo carico.
Lavorava come domestica presso una ricca signora. Erano tre mesi che
questa donna non le versava lo stipendio. Mia madre non poteva
reclamare, perché a quei tempi non esisteva un'organizzazione
sindacale disposta a difenderla, e licenziandosi rischiava di non
trovare lavoro per le cattive informazioni che avrebbero potuto
circolare sul suo conto. Avevamo in casa una piccola statua del Sacro
Cuore di Gesù, appoggiata su una mensola incastrata nel muro. Ogni
giorno, prima di andare a dormire, tutti insieme, di fronte ad essa,
recitavamo in ginocchio le nostre preghiere. Una sera mia madre si
rivolse a me e a mio fratello -eravamo più piccoli di nostra
sorella-, e ci disse: “In casa non c'è più nulla da mangiare. Se
domani la mia padrona non mi paga, non so a che santo rivolgermi per
sfamarvi. Mettetevi in ginocchio e chiedete al Signore di
intervenire: a voi, che siete piccoli, ascolterà di sicuro, mentre a
noi adulti, non ascolta perché siamo peccatori”. Con l'innocenza e
la semplicità tipica dei bimbi, io e mio fratello, in ginocchio, con
le mani giunte, recitammo il Padre nostro. Poi io mi rivolsi
direttamente al Signore, e gli dissi: “Gesù, fa che la mamma
domani possa darci da mangiare. Costringi la sua padrona a darle lo
stipendio che le spetta”. Il giorno dopo, verso sera, mia madre
tornò a casa esultante per aver finalmente ottenuto il salario e ci
chiese di ringraziare il buon Dio per averci esauditi. Grazie a
questo episodio, nella mia anima fu gettato il seme della fede in
Lui. Non occorreva più che qualcuno mi confermasse l'esistenza del
Signore, perché ormai avevo capito che c'era e agiva: l'avevo
incontrato. Da quella sera imparai a pregare: a parlare con Dio come
parlerebbe un figlio con il proprio padre, come si comporterebbe un
uomo nel confidarsi con il suo più caro amico al punto che, da
diciottenne, quando alla sera mi inginocchiavo per recitare le mie
preghiere, dopo aver fatto l'esame di coscienza sulla giornata appena
trascorsa, mi rivolgevo a Gesù in questi termini: “Anche oggi,
Gesù sono stato un impuro, mi sono ubriacato e ho scazzottato con i
miei compagni: perdonami! Ma non ti prometto che domani cambierò
modo di vivere. Sono sicuro che anche domani farò a cazzotti e
cercherò le ragazze per divertirmi, non so proprio che farci. Sono
sicuro però che Tu non mi abbandonerai mai: Tu sai che ti voglio
bene!”. Poi mi facevo il segno della croce e mi coricavo a letto
con tanta pace nel cuore.
Ti
racconto un altro episodio della mia infanzia che ancor più ha
rafforzato la mia fede. Premetto che mia madre non era molto
equilibrata. Per l'ennesima volta il suo datore di lavoro ritardò a
darle lo stipendio mensile. Una sera, esasperata, iniziò a maledire
i padroni e gli abitanti della città dove abitavamo, che non amava e
con cui mai avrebbe voluto avere a che fare. D'un tratto si girò
verso la statua del Sacro Cuore e gli gridò: “Ma che cavolo ci fai
tu lì, perché non fai qualcosa!”. Poi prese la statua e, mentre
la teneva con la mano sinistra, con la destra le mollò due ceffoni
come quelli che avrebbe voluto dare alla sua padrona. Poi la rimise
sulla mensola ma con la faccia rivolta verso il muro, in castigo,
come un tempo si faceva con i bimbi cattivi. Io rimasi allibito
davanti a quella scena. Non riuscii a dire una sola parola. Avevo
appena quattro anni. Vedere mia madre parlare e agire con una statua
come se fosse una persona vivente, per me fu un'esperienza
sconcertante, ma allo stesso tempo edificante. Mi convinsi quella
sera che con Dio il rapporto doveva essere vissuto come lo si vive
con qualsiasi altra persona al mondo. E sai cosa avvenne il giorno
dopo? Che la padrona di mia madre le consegnò lo stipendio. Lei
tornò a casa tutta contenta e, tra le lacrime e la commozione,
rimise la statua al suo posto, e ristabilì la pace con essa. Una
copia di quella statua, che durante un trasloco andò in frantumi,
ora è posizionata sulla mensola della mia stanza da lavoro, per
ricordarmi ogni giorno che qualche volta chi ama il buon Dio più di
sé, invece di dargli carezze, può assestargli qualche ceffone.
Questa mia fede carnale nei riguardi del Signore, caro Walter, mi ha
accompagnato fino ad oggi. Mi ha fatto superare momenti tristi e
dolorosi, difficoltà, incomprensioni e tante ingiustizie subite.
Durante la mia vita, ho sempre sentito viva e palpabile la presenza
di Dio che mi infondeva fiducia e mi spronava a proseguire il
cammino. Ti confido che se qualcuno mi dovesse dire: Dio non esiste,
la tua è un'illusione, tale affermazione avrebbe su di me lo stesso
impatto che avrebbe, su un bimbo stretto in braccio al padre, il
sentirsi dire che quell'uomo che abbraccia non è suo padre. Il bimbo
lo guarderebbe con commiserazione e si stringerebbe ancor di più
alla persona amata. La mia fede forse ti Scandalizza? Allora ti
racconto la fede granitica di un ebreo austriaco, Rachower Jossel di
Tarnopol, morto nel ghetto di Varsavia, durante l'assedio da parte
dei nazisti nel 1943. Prima di morire scrisse una lunga lettera al
Dio Onnipotente a cui aveva creduto e che aveva sperato intervenisse
in favore del popolo ebreo. Tale lettera è stata poi trovata, chiusa
in una bottiglia, murata a metà nella finestra della sua casa;
“Qualcosa di molto sorprendente accade oggi nel mondo: è questo il
tempo in cui l'Onnipotente distoglie il suo volto da coloro che lo
supplicano. Dio ha nascosto al mondo la sua faccia. Per questo gli
uomini sono abbandonati alle loro più selvagge passioni. Io credo al
Dio di Israele, anche se egli ha fatto di tutto per spezzare la mia
fede in lui. Certamente noi abbiamo peccato. E ammetto che noi
veniamo puniti per questo. Io non ti posso lodare per gli atti che tu
tolleri, ma ti benedico e ti lodo per la tua maestà che ispira
timore. Muoio sereno, ma non soddisfatto; da uomo abbattuto, ma non
disperato; credente, ma non supplicante; amando Dio, ma senza dire
ciecamente “Amen”. Ho seguito Dio, anche quando mi ha respinto.
Ho adempiuto al suo comando anche quando, per premiare la mia
osservanza, egli mi colpiva. Io l'ho amato. Lo amavo e lo amo ancora,
anche se mi ha abbassato fino a terra, mi ha torturato fino alla
morte, mi ha ridotto alla vergogna e alla derisione. Tu puoi
torturarmi fino alla morte, io crederò sempre in Te. Ti amerò
sempre, anche Se non vuoi. Mio Dio di collera: tu non riuscirai a far
sì ch'io ti rinneghi. Tu hai tentato di tutto per farmi cadere nel
dubbio: ma io muoio come ho vissuto, in una fede incrollabile in Te.
Lodato sia da tutta la terra Dio. Ascolta, Israele: l'Eterno è il
nostro Dio, l'Eterno è l'Unico e il Solo” (Varsavia, 18 gennaio
1943). Leggendo questa lettera, ti potrai chiedere: “Perché Dio
non è intervenuto in favore di questo suo devoto che ha sperato e
creduto fino all'ultimo in un intervento a Suo favore?”. Il pastore
protestante, Dietrich Bonhoeffer, ucciso anch'egli dai nazisti, a una
simile domanda fatta da un suo amico, rispose così: “Dio non
esaudisce tutti i nostri desideri, ma tutte le sue promesse”. Io
non so perché Dio non sia intervenuto e abbia permesso che il male
si accanisse in modo così violento contro il suo popolo, ma so di
certo che la sofferenza degli ebrei non è stata vana ai suoi occhi.
Diceva un monaco certosino che “credere è Vedere le cose nella
luce di Dio”. Ciò che oggi ci appare incomprensibile, come il
dolore, il male, la morte, quando saremo davanti a Dio, ci risulterà
avere un senso; tutto sarà inglobato nella logica divina: la
Salvezza dell'umanità. Spero, con queste mie brevi riflessioni, di
esserti stato di aiuto nel risvegliare la fede in Gesù Cristo, fede
che hai sempre testimoniato possedere nelle nostre conversazioni.
Voglio congedarmi facendoti dono di questa breve preghiera che San
Francesco Scrisse davanti al crocifisso di San Damiano che gli parlò
e gli disse: “Francesco, ripara la mia casa!”; “O alto glorioso
Dio, mio Signore Gesù Cristo, tu che sei la luce del mondo, metti
carità, te ne supplico, negli abissi oscuri del mio spirito. Fammi
tre regali: La fede diritta come una spada; la speranza grande come
il mondo; l'amore profondo come il cuore. Ti chiedo ancora, o mio
Signore, un favore; che tutte le mattine, al sorgere dell'alba,
appaia chiara come il sole davanti a me la tua santissima volontà,
perché io possa camminare sempre alla tua luce. Abbi pietà di me,
Gesù”. Credo di averti comunicato in modo esauriente la mia fede
nel Dio vivente, di cui è pieno il mio cuore. Ti saluto caramente. A
presto.
padre
Basilio Martin
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