lunedì 12 gennaio 2015

Adolfo Retté - Tema: Conversione - Discernimento degli spiriti


Questi sono i veri miracoli che Cristo continuamente compie, quando un cuore gli apre umilmente la porta della libertà. È il miracolo della Pasqua che si ripete nel tempo…(Mons. Angelo Comastri)

Nel 1907, veniva pubblicato a Parigi un libro dal titolo suggestivo: Dal diavolo a Dio. L'autore, Adolfo Retté, vi narra la sua conversione al cattolicesimo. L'opera ebbe un successo considerevole; ha contribuito alla conversione di numerose anime che vi hanno trovato luce e incoraggiamento per le proprie lotte spirituali.
Nato a Parigi il 25 luglio 1863, Adolfo Retté non conosce nell'infanzia la gioia di una famiglia. Suo padre vive in Russia, precettore dei figli di un granduca. Sua madre, musicista assorbita dalla sua arte, si occupa del figlio solo per capriccio, per sperimentare su di lui metodi di educazione contraddittori. Il piccolo riceve il battesimo per iniziativa della nonna, cattolica pia e praticante. Suo nonno, rettore dell'Università di Liegi, un anticlericale accanito, si oppone a qualsiasi istruzione religiosa.
Adolfo è un bambino sognatore, impressionabile, avido di letture e già amico della solitudine. A quattordici anni, viene messo in collegio. Suo padre esige che segua le pratiche del culto protestante: il ragazzo ne ricava unicamente una vaga credenza in Dio, ed una ripulsione per il cristianesimo. Ha diciotto anni, quando si arruola volontario per cinque anni nell'esercito. La vita militare gli insegna a frenare la sua natura imperiosa, ma si lascia andare alla dissolutezza. Se un amico propone: «Andiamo a far bisboccia», esclama: «Non andiamoci, corriamoci!» Dopo aver ottenuto il congedo militare, inizia una carriera letteraria. Si entusiasma per la natura, soprattutto per la foresta, e si indirizza inizialmente verso il panteismo (sistema che identifica Dio con il mondo).
Risparmi dilapidati
Nel 1894, si innamora di una ragazza, generosa e retta, cui impone un'unione puramente civile, ritenendo ipocrisia la richiesta della benedizione di una Chiesa in cui non credeva. Malgrado l'amore per la moglie, Adolfo, è un coniuge violento ed infedele. Un giorno, essa riesce a mettere da parte un po' di denaro per comprargli alcuni libri che egli desidera, nonchè un vestito per sè di cui ha bisogno. Quando egli lo viene a sapere, esige che essa gli rimetta la somma. Davanti al di lei rifiuto, gliela strappa brutalmente, e se ne va a dilapidarla con una donna di cattivi costumi. Vittima di numerose scene del genere, la Signora Retté muore prematuramente. Adolfo si mette allora in concubinaggio con una donna senza morale, che dilapida le loro magre risorse, moltiplicando litigi e ingiurie. Solo l'ascendente che la donna esercita sui suoi sensi pervertiti, trattiene Retté presso di lei, sempre più triste e disgustato, ma troppo debole per rompere.
«Me ne sarei voluto a morte»
Diventato ateo, Adolfo è ossessionato da un'idea fissa: schernire la Chiesa. Una sera, a Fontainebleau, vanta davanti a una trentina di operai i progressi illimitati della scienza che spiega tutto: «A morte i preti, a morte i capitalisti!...» esclama. Quando esce, quattro ascoltatori lo prendono in disparte e uno di essi, un giardiniere, gli dice: «Noi sappiamo che non c'è un buon Dio. Ma poichè il mondo non è stato creato da nessuno, vorremmo sapere come «tutto» è cominciato. La scienza deve essere al corrente di questo...» Retté avrebbe potuto schiacciare il proprio interlocutore con un vaniloquio impenetrabile. Ma la buonafede di quella povera gente lo colpisce. «Me ne sarei voluto a morte se li avessi ingannati », scrive. «Ebbene? riprese il giardiniere. – Ebbene, dissi, spinto dalla verità, la scienza non può spiegare in che modo ha avuto inizio il mondo». Tuttavia, la domanda risuona nella testa di Adolfo: «Chi ha creato il mondo?» La notte seguente non riesce a dormire ed il mattino dopo ripete a se stesso: «Eppure! E se Dio esistesse...?» Un secolo dopo questo riconoscimento di impotenza da parte di Retté, la scienza ha fatto molti progressi nella conoscenza dell'universo; ma più essa avanza, più sono ardue le difficoltà che incontra, e non è tuttora in grado di rispondere alla domanda del modesto giardiniere.
Comincia allora per Adolfo un periodo di fluttuazioni, alla ricerca di una convinzione che possa calmare l'inquietudine del cuore. Già in gioventù era stato attirato dall'anarchia: «Abbattiamo tutto, Dio, famiglia, proprietà, leggi, tradizioni. Allora gli uomini cadranno nelle braccia l'uno dell'altro e, dividendo secondo le necessità di ciascuno tutti i beni della terra, vivranno in una festa perpetua, assolutamente liberi e solidali!» Ma, dopo una più ampia riflessione, scrive: «Chi non ha la fede, può lasciarsi attirare, per un certo tempo, dai tratti generosi e dalle illusioni poetiche della dottrina anarchica... Ma non si sta molto ad accorgersi che la società, quale auspicata dagli anarchici, potrebbe sussistere solo se tutte le facoltà umane conservassero un equilibrio costante fra di loro». Ora, l'esperienza insegna che è difficile resistere alla schiavitù della collera, della lussuria e dell'orgoglio.
Per un certo tempo, si avvicina a Clemenceau ed ai Radicali, di cui condivide la passione antireligiosa. È l'epoca della sua vita in cui bestemmia di più. Prova un'oscura gioia nel ridicolizzare la vita di Gesù, che chiama sempre e soltanto il «Galileo». Paradossalmente, in fondo a se stesso, si indigna della persecuzione contro le Congregazioni religiose, le espulsioni, le vessazioni di ogni specie inflitte alla Chiesa. Ma la sua ripulsione per il cristianesimo è talmente grande, che non vuol manifestare i suoi veri sentimenti. Alla fine, deluso, si ritira nella solitudine. La cara foresta di Fontainebleau lo calma un po'. In casa, si mostra cupo, lugubre e agitato: la donna con cui vive lo esaspera con le sue menzogne proferite per il solo gusto di mentire, e con gli incessanti litigi. Quando, in certi istanti, guarda la propria anima, la trova sozza quanto una fogna. Prova il bisogno di un ideale elevato. Si rivolge a Kant; ma la morale del filosofo lo delude. Si interessa al buddismo: la prospettiva di un Nirvana in cui la personalità è annientata, e quella di un'ascesi che dovrebbe praticare per arrivarvi, lo spingono ben presto a chiudere i libri.
«Che fortuna per me, se Dio esistesse!»
Un giorno di giugno del 1905, mentre legge nei versi di Dante la letizia dei fedeli del Purgatorio, sicuri di essere ammessi in Paradiso dopo una giusta espiazione, è abbagliato da una luce interiore: vede i propri vizi come rospi nel fango del suo cuore; un rimorso e nello stesso tempo una gioia indicibile lo penetrano totalmente. «Ma come, dice fra sè e sè, la religione cattolica avrebbe ragione quando afferma che un peccatore che si pente ed accetta con gioia la penitenza dei suoi peccati diventa degno del Cielo? Potrei lavarmi delle mie colpe ed essere salvato? Ma allora... Vuol dunque dire che Dio esisterebbe!... Oh! Che fortuna per me, se Dio esistesse!» Ma subito dopo una voce ingannatrice si alza dentro di lui e gli mormora: «Tutto questo, è soltanto letteratura. Sai bene che il cattolicesimo è solo una vecchia favola!...» Torna a casa. Alla concubina, di umore litigioso, non risponde nulla. Essa ne rimane sbalordita! Si potrebbe credere che, toccato così dalla grazia, Adolfo cambierà atteggiamento. Ora, nel pomeriggio del medesimo giorno, ad un amico che gli confida le sue preoccupazioni religiose, Retté risponde prendendo in giro la religione cattolica, denigrando la Santa Vergine con parole ignobili che non si possono neppur ripetere qui. Poco dopo, si rende conto con terrore che uno spirito del male l'ha fatto parlare contro la propria coscienza; tuttavia, non osa disdirsi davanti al suo amico.
Il giorno dopo, durante una passeggiata, passa in rassegna tutti gli errori in cui aveva creduto. Crollano l'uno dopo l'altro ed egli esclama: «E adesso, che mi rimane?» Una voce interiore gli risponde: «Dio». Si addossa al tronco di una quercia e continua la sua riflessione: «Perchè veniamo al mondo? Cento religioni hanno tentato di risolvere il problema. Hanno variato secondo le circostanze e soprattutto secondo i capricci dello spirito umano. Fra tale perpetua incostanza, la Chiesa cattolica rimane immutabile. E questo dura da diciannove secoli... Dunque, non avendo la Chiesa mai variato, la sua unità, la sua costanza devono avere una causa più che umana, poichè l'umanità, abbandonata a se stessa, è soltanto cambiamento. Inoltre, i precetti della sua morale sono salutari ed è certo che se li applicassimo, saremmo migliori. La Chiesa deve detenere la verità consolante e salvifica... e dunque Dio esiste...!» Cadendo allora in ginocchio, per la prima volta da quando aveva quindici anni, Adolfo prega: «Dio mio, poichè esisti, soccorrimi!»
Dovrebbe adesso andar a trovare un sacerdote, ma la prospettiva lo spaventa. Ora, ecco che un vecchio sacerdote si trova a passare sul sentiero, non lontano da lui, recitando il breviario. Retté lo sente mormorare le parole che l'evangelista Giovanni applica a Cristo: Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (1, 14). «Reverendo, la prego, gli dice. – Cosa desidera? – La supplico, preghi per me. – Sì, pregherò per lei, e lo farò immediatamente». Adolfo lo lascia andare senza aggiungere nulla, ripetendo senza posa fra sè e sè: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. La Santa Trinità ha impresso nel suo spirito l'adorabile mistero dell'Incarnazione. «Cominciavo a pregare il Buon Dio in tutte le circostanze in cui ero afflitto da pene morali e da noie materiali, scrive. Posso attestarlo, non avvenne mai che non fossi esaudito. Non era sempre nel modo che mi aspettavo; ma era sempre per il mio massimo bene».
«Il libero arbitrio esiste...»
Se è talvolta difficile per i cristiani conservare lo stato di grazia e respingere le tentazioni, che dire dell'uomo in marcia verso la conversione, sprovvisto del sacramento della Penitenza, e della santa Eucaristia! Adolfo ne fa l'esperienza in un combattimento spirituale che si intensifica. Discerne nella propria anima tre specie di pensieri; gli uni gli sono propri: sono le «riflessioni in cui si parla a se medesimi, in cui si pesa il pro e il contro di una decisione da prendere, in cui si analizzano i propri sentimenti e le proprie sensazioni...» Ma percepisce pure, senza sentire nulla con l'udito, delle «voci» interiori, «che lo lasciano consolato o triste, secondo che la voce venga da uno spirito buono o da uno malvagio... Nessuna teoria d'ordine umano basta a spiegare tale fenomeno... Ah! come, allora, ci si rende conto che il libero arbitrio esiste. Poichè l'anima, in preda ad un simile conflitto, rimane totalmente padrona di sottomettersi all'uno o all'altro dei belligeranti».
I suggerimenti che vengono dal demonio producono nell'anima le tenebre, il turbamento, varie agitazioni e tentazioni che la portano alla diffidenza, la lasciano senza speranza e senza amore, triste, tiepida, pigra e come separata dal suo Creatore e Signore (ved. Esercizi spirituali di sant'Ignazio, n. 317). Il demonio suggerisce ad Adolfo: «Se Dio permette che tu sia murato nella disperazione, è per mostrarti chiaramente che non hai più nulla da sperare da Lui... Peccatori della tua risma non si possono riscattare... Riprendi le tue abitudini... Poichè Dio ti respinge, poichè la tua esistenza è diventata un continuo tormento, quel che ti rimane di meglio da fare è annientarti nella morte. Prendi dunque un partito virile; ammetti che per te tutto è finito: salta nel buio...» Al contrario, l'angelo buono lo consola, gli dà coraggio e forza, gli invia ispirazioni buone (ved. Ibid. 315): «La misericordia di Dio è infinita nei riguardi di colui che si pente. Spera e prega... accetta con costanza questa prova, è necessaria... Va', umiliati, non temere nulla, sarai esaudito». Sotto tale influsso benefico, Retté sente tornare la fiducia: «In quei momenti lì, una grande pace si faceva in me; pensavo a Dio in un modo molto dolce e mi mettevo a pregare».
«Non posso, ho paura...»
Durante una passeggiata nella foresta di Fontainebleau, scorge, in cima alla rupe di Cornebiche, una piccola cappella sormontata da una statua di Nostra Signora della Grazia. Senza esitare, comincia a scalare la rupe e supplica Maria: «O te, che non ho ancora invocata, prega il tuo divino Figlio di ispirarmi quel che devo fare». Una voce dolcissima gli risponde in fondo al cuore: «Va' a trovare un sacerdote. Confessati, entra nella Chiesa». A tale prospettiva, si inalbera: «Non posso, ho paura ad aprirmi così».
Verso la stessa epoca, Adolfo si separa dalla sua concubina. Ma, ben presto, il demonio lo investe con violenza e, per portarlo alla disperazione, gli ricorda tanti libri ed articoli in cui ha seminato copiosamente la bestemmia. Una sera, spossato dagli assalti dello spirito malvagio, Adolfo si corica, ma non riesce a trovare il sonno. Una nuova lotta accanita contro il demonio lo inzuppa di sudore. «Improvvisamente, scriverà, sentii, sì sentii – lo affermo sulla mia salvezza eterna – sentii la voce celeste e ben nota che mi gridava: «Dio! Dio è presente!» Fulminato dalla grazia, caddi in gnocchio, e, nello stesso momento, credetti di vedere dentro di me l'immagine di Nostro Signore Gesù Cristo in croce che mi sorrideva con un'espressione d'ineffabile misericordia. Un'immensa pace penetrò nella mia anima... Rimasi lì, estasiato, stupefatto, traboccante di riconoscenza, senza cessar di ripetere: «Grazie, Dio mio, mi hai salvato!»» All'alba del giorno dopo, torna presso la statua della Santa Vergine, per ringraziarla.
Un sorriso confortante
Poco dopo, si reca a Parigi e chiede ad uno dei suoi amici, il poeta Francesco Coppée, di indicargli un sacerdote, «perchè, dice, non posso più camminare da solo. Ho bisogno di un sostegno...» Pieno di gioia, Coppée lo manda da un viceparroco della parrocchia di San Sulpizio, che lo riceve il giorno stesso: «La semplicità della sua accoglienza mi rassicurò completamente, scrive Adolfo, in modo che non provai alcun imbarazzo a ritracciargli la mia vita... Poi, ansioso, gli chiesi: «Ed ora, Reverendo, crede che possa esser salvato?» Un buon sorriso gli illuminò il viso: «Caro amico, mi disse, la cosa è per tre quarti fatta. Lei si pente; ha pianto lacrime di sangue sui suoi peccati. Sia certo che è stato inteso Lassù. Quanto a me, mi rimane solo più da istruirla sulle verità essenziali della nostra santa religione. Fra qualche giorno, farà una confessione generale e si comunicherà. E vedrà che tutto andrà bene». Fui sbalordito, poichè mi ero messo in testa l'idea che ci sarebbero voluti lunghi mesi prima che fossi giudicato degno dei sacramenti». Ed il viceparroco concluse: «Ringrazi la Santa Vergine».
Il sacerdote gli dà un catechismo, chiedendogli di imparare prima di tutto gli atti di fede, di speranza e di carità, il «Padrenostro», l' «Avemaria», il «Credo», poi aggiunge: «Sa fare il segno della croce? – Purtroppo, non. – Adesso glielo insegno...» Finito il colloquio, il sacerdote congeda il penitente: «Vada in pace, caro figlio. Fiducia e preghiera: è tutto». Adolfo rimane pensoso e felice di aver scelto il partito buono: «Chi avrebbe detto, pensavo, che sarebbe stato tanto facile? Poi, ammiravo la bontà della Provvidenza che mi aveva condotto, come tenendomi per mano, al sacerdote che mi ci voleva... Ora, conclusi coricandomi, non ho più che da lasciarmi guidare...Uff, che liberazione!... O Madre del mio Dio, mi rimetto interamente a te... Allora, dopo aver fatto il segno della croce, mi addormentai di un sonno tranquillo, quale non avevo conosciuto da giorni e giorni».
Un raccolto rigoglioso
I giorni seguenti, Adolfo si applica allo studio del catechismo e fa l'inventario dei suoi peccati, spaventato dal numero e dalla gravità, ma rassicurato all'idea che ben presto sarà sbarazzato di tali sozzure. Legge assiduamente i capitoli del Vangelo che narrano la Passione di Gesù Cristo, rivolgendo a quest'ultimo atti ferventi d'amore. «Mi sentivo penetrato da una contrizione perfettamente salutare. Era un miscuglio di vergogna a causa dei miei peccati e di rimpianto cocente per aver contribuito, per tanti anni, a rimettere sulla croce l'Agnello redentore».
Nel giorno stabilito per la confessione, Adolfo si presenta davanti al sacerdote che lo aveva istruito. «A mano a mano che confessavo i miei peccati, scrive, mi sembrava che Nostro Signore stesso fosse presente. Mi pareva che, con mano dolce ed imperiosa insieme, cogliesse i peccati nella mia anima e li sparpagliasse come polvere davanti ai propri piedi adorabili. In pari tempo, sentivo la mia povera anima, tutta piegata sotto il peso del male, raddrizzarsi a poco a poco, riprendere finalmente la sua rettitudine, poi espandersi in torrenti d'amore e di riconoscenza. Quando ebbi finito, quando il sacerdote ebbe pronunciato sul mio capo la sublime formula dell'assoluzione, mi rialzai. Mi aprì le braccia e mi vi precipitai piangendo a calde lacrime. Certo, eravamo entrambi altrettanto commossi... Parlammo poi per qualche minuto, quindi mi ritirai... Per la strada, camminavo tutto allegro. Mi dicevo: «Sono stato perdonato, che gioia!» Mi sembrava di essere ringiovanito di dieci anni... La mattina dopo, mi preparai alla Comunione... Provavo una gioia serena ed ammiravo a che punto tutti gli ostacoli si fossero appianati... A mano a mano che si avvicinava il momento della Comunione, mi sentivo trasportato da slanci di adorazione... Nè i più raffinati piaceri dei sensi, e neppure le ebbrezze cerebrali che procurano l'arte e la poesia si avvicinano all'estasi in cui l'anima, che si unisce a Dio, fonde integralmente. Nel corso dell'azione di grazia, assaporai pienamente la pace radiosa che regnava in me». Siamo nel 1906; Adolfo ha 43 anni.
Mostrare Dio
Ogni conversione è una storia unica. Nel caso di Retté, il dominio dei vizi aveva assunto proporzioni tali che il male poteva sembrare irrimediabile. Il suo esempio è una prova straordinaria dell'infinita misericordia di Dio e dell'onnipotenza della grazia. Manifesta il carattere universale della Redenzione di Cristo nel quale tutti, perfino i massimi peccatori, possono trovare la salvezza e la pace. San Benedetto ci esorta a «non disperare mai della misericordia di Dio... perchè il Signore nella sua bontà dice: Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva (Ez. 18, 23)» (Regola, cap. 4 e Prologo). L'itinerario di Adolfo Retté l'ha condotto dal falso al vero, dal peccato allo stato di grazia, dalla bestemmia alla preghiera.
Poco dopo la prima Comunione, Adolfo si ritira nella solitudine, dividendo il suo tempo fra la preghiera e la redazione del libro Dal diavolo a Dio, punto di partenza di una nuova attività che così definisce: «Mostrare Dio ai miei contemporanei». Dal 1907 alla morte, nel 1930, scrive una ventina di volumi in cui invita i lettori a vivere sotto lo sguardo di Dio, in una generosa unione a Cristo nella Passione. Lui stesso attinge la propria forza in Gesù-Ostia: «Santa Eucaristia, quanto sono da compiangere gli ignoranti e coloro che, smarriti, misconoscono le tue virtù! scrive. Quanto a me, so che sei la sorgente di ogni bene, la fonte di speranza e di energia in cui, nei giorni di tristezza e di scoraggiamento, l'anima attinge il conforto e la gioia». Trova, per esprimere il suo amore per la Vergine ed il suo attaccamento alla Chiesa, parole semplici che toccano i cuori. Le sue opere gli procurano un'abbondante corrispondenza. Sotto la sua influenza, perfino sua madre, che viveva nell'indifferenza, torna a praticare la religione; parecchi medici, professori della pubblica istruzione, e numerose altre persone si rimettono sulla via del Cielo. Rende ferventi, cristiani tiepidi, e suscita vocazioni. Lungi dall'essere solo un passo personale di purificazione, la sua conversione ha un carattere apostolico, tanto è vero che la salvezza si compie dedicandosi anche a quella degli altri.
Tuttavia, dopo una vita tanto tormentata, uno sforzo costante di mortificazione è necessario per rimanere fedeli al Vangelo. Adolfo resta debole e soffre molto. «A sessantun anni, scrive nel 1924, sono un uomo stanco che, avendo sofferto molto e studiato moltissimo, comincia a cedere; inoltre, pago equamente gli eccessi della mia folle gioventù». Avrebbe desiderato ritirarsi in un monastero per finirvi i suoi giorni, ma tale non era la volontà di Dio.
Muore a Beaune l'8 dicembre 1930, il giorno della festa dell'Immacolata Concezione della Santissima Vergine Maria. La sua lapide porta l'iscrizione: In te Domine speravi... In te, Signore, ho posto la mia speranza... Tale speranza non fu delusa. Chiediamo a san Giuseppe che una simile speranza ci sostenga tutti, in mezzo ai flutti tempestosi di questa vita, fino al porto della beata eternità.
Dom Antoine Marie osb

"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"


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