Questi
sono i veri miracoli che Cristo continuamente compie, quando un cuore
gli apre umilmente la porta della libertà. È il miracolo della
Pasqua che si ripete nel tempo…(Mons.
Angelo Comastri)
Nel
1907, veniva pubblicato a Parigi un libro dal titolo suggestivo: Dal
diavolo a Dio. L'autore, Adolfo Retté, vi narra la sua
conversione al cattolicesimo. L'opera ebbe un successo considerevole;
ha contribuito alla conversione di numerose anime che vi hanno
trovato luce e incoraggiamento per le proprie lotte spirituali.
Nato
a Parigi il 25 luglio 1863, Adolfo Retté non conosce nell'infanzia
la gioia di una famiglia. Suo padre vive in Russia, precettore dei
figli di un granduca. Sua madre, musicista assorbita dalla sua arte,
si occupa del figlio solo per capriccio, per sperimentare su di lui
metodi di educazione contraddittori. Il piccolo riceve il battesimo
per iniziativa della nonna, cattolica pia e praticante. Suo nonno,
rettore dell'Università di Liegi, un anticlericale accanito, si
oppone a qualsiasi istruzione religiosa.
Adolfo
è un bambino sognatore, impressionabile, avido di letture e già
amico della solitudine. A quattordici anni, viene messo in collegio.
Suo padre esige che segua le pratiche del culto protestante: il
ragazzo ne ricava unicamente una vaga credenza in Dio, ed una
ripulsione per il cristianesimo. Ha diciotto anni, quando si arruola
volontario per cinque anni nell'esercito. La vita militare gli
insegna a frenare la sua natura imperiosa, ma si lascia andare alla
dissolutezza. Se un amico propone: «Andiamo a far bisboccia»,
esclama: «Non andiamoci, corriamoci!» Dopo aver ottenuto il congedo
militare, inizia una carriera letteraria. Si entusiasma per la
natura, soprattutto per la foresta, e si indirizza inizialmente verso
il panteismo (sistema che identifica Dio con il mondo).
Risparmi
dilapidati
Nel
1894, si innamora di una ragazza, generosa e retta, cui impone
un'unione puramente civile, ritenendo ipocrisia la richiesta della
benedizione di una Chiesa in cui non credeva. Malgrado l'amore per la
moglie, Adolfo, è un coniuge violento ed infedele. Un giorno, essa
riesce a mettere da parte un po' di denaro per comprargli alcuni
libri che egli desidera, nonchè un vestito per sè di cui ha
bisogno. Quando egli lo viene a sapere, esige che essa gli rimetta la
somma. Davanti al di lei rifiuto, gliela strappa brutalmente, e se ne
va a dilapidarla con una donna di cattivi costumi. Vittima di
numerose scene del genere, la Signora Retté muore prematuramente.
Adolfo si mette allora in concubinaggio con una donna senza morale,
che dilapida le loro magre risorse, moltiplicando litigi e ingiurie.
Solo l'ascendente che la donna esercita sui suoi sensi pervertiti,
trattiene Retté presso di lei, sempre più triste e disgustato, ma
troppo debole per rompere.
«Me
ne sarei voluto a morte»
Diventato
ateo, Adolfo è ossessionato da un'idea fissa: schernire la Chiesa.
Una sera, a Fontainebleau, vanta davanti a una trentina di operai i
progressi illimitati della scienza che spiega tutto: «A morte i
preti, a morte i capitalisti!...» esclama. Quando esce, quattro
ascoltatori lo prendono in disparte e uno di essi, un giardiniere,
gli dice: «Noi sappiamo che non c'è un buon Dio. Ma poichè il
mondo non è stato creato da nessuno, vorremmo sapere come «tutto»
è cominciato. La scienza deve essere al corrente di questo...»
Retté avrebbe potuto schiacciare il proprio interlocutore con un
vaniloquio impenetrabile. Ma la buonafede di quella povera gente lo
colpisce. «Me ne sarei voluto a morte se li avessi ingannati »,
scrive. «Ebbene? riprese il giardiniere. – Ebbene, dissi, spinto
dalla verità, la scienza non può spiegare in che modo ha avuto
inizio il mondo». Tuttavia, la domanda risuona nella testa di
Adolfo: «Chi ha creato il mondo?» La notte seguente non riesce a
dormire ed il mattino dopo ripete a se stesso: «Eppure! E se Dio
esistesse...?» Un secolo dopo questo riconoscimento di impotenza da
parte di Retté, la scienza ha fatto molti progressi nella conoscenza
dell'universo; ma più essa avanza, più sono ardue le difficoltà
che incontra, e non è tuttora in grado di rispondere alla domanda
del modesto giardiniere.
Comincia
allora per Adolfo un periodo di fluttuazioni, alla ricerca di una
convinzione che possa calmare l'inquietudine del cuore. Già in
gioventù era stato attirato dall'anarchia: «Abbattiamo tutto, Dio,
famiglia, proprietà, leggi, tradizioni. Allora gli uomini cadranno
nelle braccia l'uno dell'altro e, dividendo secondo le necessità di
ciascuno tutti i beni della terra, vivranno in una festa perpetua,
assolutamente liberi e solidali!» Ma, dopo una più ampia
riflessione, scrive: «Chi non ha la fede, può lasciarsi attirare,
per un certo tempo, dai tratti generosi e dalle illusioni poetiche
della dottrina anarchica... Ma non si sta molto ad accorgersi che la
società, quale auspicata dagli anarchici, potrebbe sussistere solo
se tutte le facoltà umane conservassero un equilibrio costante fra
di loro». Ora, l'esperienza insegna che è difficile resistere alla
schiavitù della collera, della lussuria e dell'orgoglio.
Per
un certo tempo, si avvicina a Clemenceau ed ai Radicali, di cui
condivide la passione antireligiosa. È l'epoca della sua vita in cui
bestemmia di più. Prova un'oscura gioia nel ridicolizzare la vita di
Gesù, che chiama sempre e soltanto il «Galileo». Paradossalmente,
in fondo a se stesso, si indigna della persecuzione contro le
Congregazioni religiose, le espulsioni, le vessazioni di ogni specie
inflitte alla Chiesa. Ma la sua ripulsione per il cristianesimo è
talmente grande, che non vuol manifestare i suoi veri sentimenti.
Alla fine, deluso, si ritira nella solitudine. La cara foresta di
Fontainebleau lo calma un po'. In casa, si mostra cupo, lugubre e
agitato: la donna con cui vive lo esaspera con le sue menzogne
proferite per il solo gusto di mentire, e con gli incessanti litigi.
Quando, in certi istanti, guarda la propria anima, la trova sozza
quanto una fogna. Prova il bisogno di un ideale elevato. Si rivolge a
Kant; ma la morale del filosofo lo delude. Si interessa al buddismo:
la prospettiva di un Nirvana in cui la personalità è annientata, e
quella di un'ascesi che dovrebbe praticare per arrivarvi, lo spingono
ben presto a chiudere i libri.
«Che
fortuna per me, se Dio esistesse!»
Un
giorno di giugno del 1905, mentre legge nei versi di Dante la letizia
dei fedeli del Purgatorio, sicuri di essere ammessi in Paradiso dopo
una giusta espiazione, è abbagliato da una luce interiore: vede i
propri vizi come rospi nel fango del suo cuore; un rimorso e nello
stesso tempo una gioia indicibile lo penetrano totalmente. «Ma come,
dice fra sè e sè, la religione cattolica avrebbe ragione quando
afferma che un peccatore che si pente ed accetta con gioia la
penitenza dei suoi peccati diventa degno del Cielo? Potrei lavarmi
delle mie colpe ed essere salvato? Ma allora... Vuol dunque dire che
Dio esisterebbe!... Oh! Che fortuna per me, se Dio esistesse!» Ma
subito dopo una voce ingannatrice si alza dentro di lui e gli
mormora: «Tutto questo, è soltanto letteratura. Sai bene che il
cattolicesimo è solo una vecchia favola!...» Torna a casa. Alla
concubina, di umore litigioso, non risponde nulla. Essa ne rimane
sbalordita! Si potrebbe credere che, toccato così dalla grazia,
Adolfo cambierà atteggiamento. Ora, nel pomeriggio del medesimo
giorno, ad un amico che gli confida le sue preoccupazioni religiose,
Retté risponde prendendo in giro la religione cattolica, denigrando
la Santa Vergine con parole ignobili che non si possono neppur
ripetere qui. Poco dopo, si rende conto con terrore che uno spirito
del male l'ha fatto parlare contro la propria coscienza; tuttavia,
non osa disdirsi davanti al suo amico.
Il
giorno dopo, durante una passeggiata, passa in rassegna tutti gli
errori in cui aveva creduto. Crollano l'uno dopo l'altro ed egli
esclama: «E adesso, che mi rimane?» Una voce interiore gli
risponde: «Dio». Si addossa al tronco di una quercia e continua la
sua riflessione: «Perchè veniamo al mondo? Cento religioni hanno
tentato di risolvere il problema. Hanno variato secondo le
circostanze e soprattutto secondo i capricci dello spirito umano. Fra
tale perpetua incostanza, la Chiesa cattolica rimane immutabile. E
questo dura da diciannove secoli... Dunque, non avendo la Chiesa mai
variato, la sua unità, la sua costanza devono avere una causa più
che umana, poichè l'umanità, abbandonata a se stessa, è soltanto
cambiamento. Inoltre, i precetti della sua morale sono salutari ed è
certo che se li applicassimo, saremmo migliori. La Chiesa deve
detenere la verità consolante e salvifica... e dunque Dio
esiste...!» Cadendo allora in ginocchio, per la prima volta da
quando aveva quindici anni, Adolfo prega: «Dio mio, poichè esisti,
soccorrimi!»
Dovrebbe
adesso andar a trovare un sacerdote, ma la prospettiva lo spaventa.
Ora, ecco che un vecchio sacerdote si trova a passare sul sentiero,
non lontano da lui, recitando il breviario. Retté lo sente mormorare
le parole che l'evangelista Giovanni applica a Cristo: Il Verbo si
fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (1, 14). «Reverendo, la
prego, gli dice. – Cosa desidera? – La supplico, preghi per me. –
Sì, pregherò per lei, e lo farò immediatamente». Adolfo lo lascia
andare senza aggiungere nulla, ripetendo senza posa fra sè e sè: E
il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. La Santa
Trinità ha impresso nel suo spirito l'adorabile mistero
dell'Incarnazione. «Cominciavo a pregare il Buon Dio in tutte le
circostanze in cui ero afflitto da pene morali e da noie materiali,
scrive. Posso attestarlo, non avvenne mai che non fossi esaudito. Non
era sempre nel modo che mi aspettavo; ma era sempre per il mio
massimo bene».
«Il
libero arbitrio esiste...»
Se
è talvolta difficile per i cristiani conservare lo stato di grazia e
respingere le tentazioni, che dire dell'uomo in marcia verso la
conversione, sprovvisto del sacramento della Penitenza, e della santa
Eucaristia! Adolfo ne fa l'esperienza in un combattimento spirituale
che si intensifica. Discerne nella propria anima tre specie di
pensieri; gli uni gli sono propri: sono le «riflessioni in cui si
parla a se medesimi, in cui si pesa il pro e il contro di una
decisione da prendere, in cui si analizzano i propri sentimenti e le
proprie sensazioni...» Ma percepisce pure, senza sentire nulla con
l'udito, delle «voci» interiori, «che lo lasciano consolato o
triste, secondo che la voce venga da uno spirito buono o da uno
malvagio... Nessuna teoria d'ordine umano basta a spiegare tale
fenomeno... Ah! come, allora, ci si rende conto che il libero
arbitrio esiste. Poichè l'anima, in preda ad un simile conflitto,
rimane totalmente padrona di sottomettersi all'uno o all'altro dei
belligeranti».
I
suggerimenti che vengono dal demonio producono nell'anima le tenebre,
il turbamento, varie agitazioni e tentazioni che la portano alla
diffidenza, la lasciano senza speranza e senza amore, triste,
tiepida, pigra e come separata dal suo Creatore e Signore (ved.
Esercizi spirituali di sant'Ignazio, n. 317). Il demonio
suggerisce ad Adolfo: «Se Dio permette che tu sia murato nella
disperazione, è per mostrarti chiaramente che non hai più nulla da
sperare da Lui... Peccatori della tua risma non si possono
riscattare... Riprendi le tue abitudini... Poichè Dio ti respinge,
poichè la tua esistenza è diventata un continuo tormento, quel che
ti rimane di meglio da fare è annientarti nella morte. Prendi dunque
un partito virile; ammetti che per te tutto è finito: salta nel
buio...» Al contrario, l'angelo buono lo consola, gli dà coraggio e
forza, gli invia ispirazioni buone (ved. Ibid. 315): «La
misericordia di Dio è infinita nei riguardi di colui che si pente.
Spera e prega... accetta con costanza questa prova, è necessaria...
Va', umiliati, non temere nulla, sarai esaudito». Sotto tale
influsso benefico, Retté sente tornare la fiducia: «In quei momenti
lì, una grande pace si faceva in me; pensavo a Dio in un modo molto
dolce e mi mettevo a pregare».
«Non
posso, ho paura...»
Durante
una passeggiata nella foresta di Fontainebleau, scorge, in cima alla
rupe di Cornebiche, una piccola cappella sormontata da una statua di
Nostra Signora della Grazia. Senza esitare, comincia a scalare la
rupe e supplica Maria: «O te, che non ho ancora invocata, prega il
tuo divino Figlio di ispirarmi quel che devo fare». Una voce
dolcissima gli risponde in fondo al cuore: «Va' a trovare un
sacerdote. Confessati, entra nella Chiesa». A tale prospettiva, si
inalbera: «Non posso, ho paura ad aprirmi così».
Verso
la stessa epoca, Adolfo si separa dalla sua concubina. Ma, ben
presto, il demonio lo investe con violenza e, per portarlo alla
disperazione, gli ricorda tanti libri ed articoli in cui ha seminato
copiosamente la bestemmia. Una sera, spossato dagli assalti dello
spirito malvagio, Adolfo si corica, ma non riesce a trovare il sonno.
Una nuova lotta accanita contro il demonio lo inzuppa di sudore.
«Improvvisamente, scriverà, sentii, sì sentii – lo affermo sulla
mia salvezza eterna – sentii la voce celeste e ben nota che mi
gridava: «Dio! Dio è presente!» Fulminato dalla grazia, caddi in
gnocchio, e, nello stesso momento, credetti di vedere dentro di me
l'immagine di Nostro Signore Gesù Cristo in croce che mi sorrideva
con un'espressione d'ineffabile misericordia. Un'immensa pace penetrò
nella mia anima... Rimasi lì, estasiato, stupefatto, traboccante di
riconoscenza, senza cessar di ripetere: «Grazie, Dio mio, mi hai
salvato!»» All'alba del giorno dopo, torna presso la statua della
Santa Vergine, per ringraziarla.
Un
sorriso confortante
Poco
dopo, si reca a Parigi e chiede ad uno dei suoi amici, il poeta
Francesco Coppée, di indicargli un sacerdote, «perchè, dice, non
posso più camminare da solo. Ho bisogno di un sostegno...» Pieno di
gioia, Coppée lo manda da un viceparroco della parrocchia di San
Sulpizio, che lo riceve il giorno stesso: «La semplicità della sua
accoglienza mi rassicurò completamente, scrive Adolfo, in modo che
non provai alcun imbarazzo a ritracciargli la mia vita... Poi,
ansioso, gli chiesi: «Ed ora, Reverendo, crede che possa esser
salvato?» Un buon sorriso gli illuminò il viso: «Caro amico, mi
disse, la cosa è per tre quarti fatta. Lei si pente; ha pianto
lacrime di sangue sui suoi peccati. Sia certo che è stato inteso
Lassù. Quanto a me, mi rimane solo più da istruirla sulle verità
essenziali della nostra santa religione. Fra qualche giorno, farà
una confessione generale e si comunicherà. E vedrà che tutto andrà
bene». Fui sbalordito, poichè mi ero messo in testa l'idea che ci
sarebbero voluti lunghi mesi prima che fossi giudicato degno dei
sacramenti». Ed il viceparroco concluse: «Ringrazi la Santa
Vergine».
Il
sacerdote gli dà un catechismo, chiedendogli di imparare prima di
tutto gli atti di fede, di speranza e di carità, il «Padrenostro»,
l' «Avemaria», il «Credo», poi aggiunge: «Sa fare il segno della
croce? – Purtroppo, non. – Adesso glielo insegno...» Finito il
colloquio, il sacerdote congeda il penitente: «Vada in pace, caro
figlio. Fiducia e preghiera: è tutto». Adolfo rimane pensoso e
felice di aver scelto il partito buono: «Chi avrebbe detto, pensavo,
che sarebbe stato tanto facile? Poi, ammiravo la bontà della
Provvidenza che mi aveva condotto, come tenendomi per mano, al
sacerdote che mi ci voleva... Ora, conclusi coricandomi, non ho più
che da lasciarmi guidare...Uff, che liberazione!... O Madre del mio
Dio, mi rimetto interamente a te... Allora, dopo aver fatto il segno
della croce, mi addormentai di un sonno tranquillo, quale non avevo
conosciuto da giorni e giorni».
Un
raccolto rigoglioso
I
giorni seguenti, Adolfo si applica allo studio del catechismo e fa
l'inventario dei suoi peccati, spaventato dal numero e dalla gravità,
ma rassicurato all'idea che ben presto sarà sbarazzato di tali
sozzure. Legge assiduamente i capitoli del Vangelo che narrano la
Passione di Gesù Cristo, rivolgendo a quest'ultimo atti ferventi
d'amore. «Mi sentivo penetrato da una contrizione perfettamente
salutare. Era un miscuglio di vergogna a causa dei miei peccati e di
rimpianto cocente per aver contribuito, per tanti anni, a rimettere
sulla croce l'Agnello redentore».
Nel
giorno stabilito per la confessione, Adolfo si presenta davanti al
sacerdote che lo aveva istruito. «A mano a mano che confessavo i
miei peccati, scrive, mi sembrava che Nostro Signore stesso fosse
presente. Mi pareva che, con mano dolce ed imperiosa insieme,
cogliesse i peccati nella mia anima e li sparpagliasse come polvere
davanti ai propri piedi adorabili. In pari tempo, sentivo la mia
povera anima, tutta piegata sotto il peso del male, raddrizzarsi a
poco a poco, riprendere finalmente la sua rettitudine, poi espandersi
in torrenti d'amore e di riconoscenza. Quando ebbi finito, quando il
sacerdote ebbe pronunciato sul mio capo la sublime formula
dell'assoluzione, mi rialzai. Mi aprì le braccia e mi vi precipitai
piangendo a calde lacrime. Certo, eravamo entrambi altrettanto
commossi... Parlammo poi per qualche minuto, quindi mi ritirai... Per
la strada, camminavo tutto allegro. Mi dicevo: «Sono stato
perdonato, che gioia!» Mi sembrava di essere ringiovanito di dieci
anni... La mattina dopo, mi preparai alla Comunione... Provavo una
gioia serena ed ammiravo a che punto tutti gli ostacoli si fossero
appianati... A mano a mano che si avvicinava il momento della
Comunione, mi sentivo trasportato da slanci di adorazione... Nè i
più raffinati piaceri dei sensi, e neppure le ebbrezze cerebrali che
procurano l'arte e la poesia si avvicinano all'estasi in cui l'anima,
che si unisce a Dio, fonde integralmente. Nel corso dell'azione di
grazia, assaporai pienamente la pace radiosa che regnava in me».
Siamo nel 1906; Adolfo ha 43 anni.
Mostrare
Dio
Ogni
conversione è una storia unica. Nel caso di Retté, il dominio dei
vizi aveva assunto proporzioni tali che il male poteva sembrare
irrimediabile. Il suo esempio è una prova straordinaria
dell'infinita misericordia di Dio e dell'onnipotenza della grazia.
Manifesta il carattere universale della Redenzione di Cristo nel
quale tutti, perfino i massimi peccatori, possono trovare la salvezza
e la pace. San Benedetto ci esorta a «non disperare mai della
misericordia di Dio... perchè il Signore nella sua bontà dice: Non
voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva (Ez. 18,
23)» (Regola, cap. 4 e Prologo). L'itinerario di Adolfo Retté
l'ha condotto dal falso al vero, dal peccato allo stato di grazia,
dalla bestemmia alla preghiera.
Poco
dopo la prima Comunione, Adolfo si ritira nella solitudine, dividendo
il suo tempo fra la preghiera e la redazione del libro Dal diavolo
a Dio, punto di partenza di una nuova attività che così
definisce: «Mostrare Dio ai miei contemporanei». Dal 1907 alla
morte, nel 1930, scrive una ventina di volumi in cui invita i lettori
a vivere sotto lo sguardo di Dio, in una generosa unione a Cristo
nella Passione. Lui stesso attinge la propria forza in Gesù-Ostia:
«Santa Eucaristia, quanto sono da compiangere gli ignoranti e coloro
che, smarriti, misconoscono le tue virtù! scrive. Quanto a me, so
che sei la sorgente di ogni bene, la fonte di speranza e di energia
in cui, nei giorni di tristezza e di scoraggiamento, l'anima attinge
il conforto e la gioia». Trova, per esprimere il suo amore per la
Vergine ed il suo attaccamento alla Chiesa, parole semplici che
toccano i cuori. Le sue opere gli procurano un'abbondante
corrispondenza. Sotto la sua influenza, perfino sua madre, che viveva
nell'indifferenza, torna a praticare la religione; parecchi medici,
professori della pubblica istruzione, e numerose altre persone si
rimettono sulla via del Cielo. Rende ferventi, cristiani tiepidi, e
suscita vocazioni. Lungi dall'essere solo un passo personale di
purificazione, la sua conversione ha un carattere apostolico, tanto è
vero che la salvezza si compie dedicandosi anche a quella degli
altri.
Tuttavia,
dopo una vita tanto tormentata, uno sforzo costante di mortificazione
è necessario per rimanere fedeli al Vangelo. Adolfo resta debole e
soffre molto. «A sessantun anni, scrive nel 1924, sono un uomo
stanco che, avendo sofferto molto e studiato moltissimo, comincia a
cedere; inoltre, pago equamente gli eccessi della mia folle
gioventù». Avrebbe desiderato ritirarsi in un monastero per finirvi
i suoi giorni, ma tale non era la volontà di Dio.
Muore
a Beaune l'8 dicembre 1930, il giorno della festa dell'Immacolata
Concezione della Santissima Vergine Maria. La sua lapide porta
l'iscrizione: In te Domine speravi... In te, Signore, ho posto la mia
speranza... Tale speranza non fu delusa. Chiediamo a san Giuseppe che
una simile speranza ci sostenga tutti, in mezzo ai flutti tempestosi
di questa vita, fino al porto della beata eternità.
Dom
Antoine Marie osb
"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
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