Gesù
ha vissuto esattamente la nostra vita. Vi è un rapporto tra quello
che egli ha compiuto e quello che noi compiamo, fra quello che ha
sofferto e quello che noi soffriamo, fra quello che è stato il suo
vivere fra gli uomini e quello che è il nostro vivere: un rapporto
non soltanto fondato sulla comune natura umana che agisce
abitualmente nel medesimo modo (infatti tutti gli uomini agiscono
conformemente a natura: e questo vuol dire che tutti gli uomini
mangiano, dormono, possono amare o possono odiare, conoscono la
sofferenza e conoscono la gioia), ma un rapporto più profondo: egli
è l’uomo che in sé, in qualche modo, tutti ci contiene.
La
vita nostra di oggi non può dunque non avere un legame intimo e
profondo con la sua vita di allora. La vita di Gesù, purcosì breve,
è veramente una vita che abbraccia tutta la storia, che contiene
tutti. Non soltanto siamo contenuti nel suo cuore perché Egli ci
ama, e nella sua intelligenza perché ci conosce: siamo contenuti
nella sua vita.
Si
capisce bene allora come sia naturale, facile, il vivere con Gesù.
Sarebbe stata una cosa impossibile, un'assurdità, pensare che noi
potessimo vivere con Dio: quale rapporto vi è mai fra Dio e l’uomo,
perché noi potessimo pensare alla possibilità di una comunione con
la pura Divinità? La Divinità non mangia, non dorme, non ha i nostri
sentimenti, non agisce come noi; che cosa vi è di comune perché noi
potessimo vivere in una comunione con Dio? E pur tuttavia siamo stati
chiamati a vivere una comunione con Dio: questo avviene attraverso la mediazione del Cristo, "per ipsum", per la
grazia che Lui ci ha meritato; «cum Ipso», in compagnia di Gesù,
vivendo in una comunione intima con Lui fatto uomo, perché in Lui
veramente anche l’uomo vive una comunione con Dio; in un’unione
ineffabile, in una identificazione con Cristo, «in Ipso». «Et
societas nostra sit cum Patre et cum Fílio eius»: «La nostra
comunione sia con il Padre e con il Figlio suo» (1Gv 1,3). Così è
possibile per noi vivere una comunione con Dio. Altrimenti l'abisso
infinito che separa la creatura dal Creatore non può essere
valicato: l’uomo rimane nella sua solitudine e Dio nella sua. Non
c’è possibilità di contatto. Solo per Cristo, solo col Cristo. E
noi dobbiamo vivere con Lui, con Gesù.
Come
si vive con nostro Signore? Che cosa vuol dire vivere con Lui?
Dobbiamo dare un certo ordine al nostro discorso: quale ordine?
Quello che ci impone la stessa natura: dobbiamo accettare la vita
così come la natura ce la dona, e viverla in unione con Lui. Ora, la
natura ci fa vivere in tal modo che la nostra vita ha un senso
compiuto, almeno nel disegno divino, anche se noi non riusciamo a
vedere la sua compiutezza. Così ogni nostra giornata ha un senso
compiuto, e ogni nostra giornata somiglia all’altra. Infatti, anche
ieri abbiamo dormito e ci siamo alzati; così anche oggi e
probabilmente, se non moriremo, anche domani ci alzeremo. Ogni giorno
si ripete. È una misura completa, la giornata dell’uomo. Così la
giornata dell’uomo in piccolo è tutta la vita e anche tutta la
storia. Ha un inizio e una fine, un progresso e un declinare; e in
questa parabola vi è tempo per mangiare e per dormire, per parlare e
per lavorare, per amare, come dice il Qoelet, e per ricrearci. Per
questo l'ordine che stabiliamo per le nostre meditazioni ci viene
dato precisamente dalla giornata. Qual è il primo atto della
giornata? L'alzarci.
Che
cosa vuol dire alzarci se dobbiamo vivere questo atto in unione con
Cristo? Prima di alzarci bisogna essere svegli. Il passaggio dal
sonno all’essere desti è un atto fra i più importanti della
giornata, perché è l'atto che la inizia. Fintanto che non sei
sveglio, evidentemente tu dormi, ma che cosa vuol dire dormire? Vuol
dire non esser capace di atti umani; vuol dire che tu non sei
consapevole di quello che fai e che non sei responsabile, perciò,
di quello che pensi, di quello che puoi sentire o volere nel sonno.
Con lo svegliarsi comincia la vita umana. Lo svegliarsi vuol dire,
per l’uomo, riprendere il pieno possesso di sé. Per che cosa? Lo
dice il Salmo 104(103),23: per impegnarsi al lavoro. L'uomo può
riprendere il suo compito umano, la sua missione, il suo lavoro, solo
da sveglio. È nella misura in cui è sveglio, che veramente può
uscire «ad opus suum». Il Salmo 104(103), 23 nell’Ora Sesta del
Sabato dice: «Exit homo ad opus suum et ad operationem suam usque ad
vesperum»: L'uomo esce al suo lavoro, per la sua fatica fino a sera.
Il contenuto della giornata è massimamente il lavoro, la missione
propria dell’uomo. -
Il
primo atto è proprio lo svegliarci. Ora, che cos'è lo svegliarsi
dal sonno, il passaggio dal sonno all’essere sveglio? Dobbiamo
chiedercelo. Vi è indubbiamente sempre un rapporto fra la natura
fisica e l’uomo, e poi fra l’uomo e Dio; Dio stesso l'ha
stabilito prima di tutto nella nostra stessa natura, poi nella sua
Incarnazione.
Che
cos'è il sonno? È, in qualche modo, l'assenza della vita, almeno
della vita umana: una sospensione di questa vita. Tu sei come
inghiottito dal caos primigenio, precipiti come nella morte ogni
qualvolta ti abbandoni al sonno. Di fatto, tu non vivi più una vita
umana. Può continuare la vita puramente vegetativa, animale, ma non
la vita umana: la vita umana è sospesa. Sul piano, dunque, della
vita spirituale qualche cosa si è interrotto per te che cosa fa la
tua intelligenza? Che cosa fa la tua volontà? Dal momento che sono
potenze legate a un organo corporco e agiscono attraverso di esso,
l’organo corporeo non è atto in quel momento a suscitare quelle
potenze, a far sì he l'uomo posa veramente volere e pensare, in un
modo libero e conciente. L'intelligenza e la volontà non trovano nel
Corpo, che pure animano (l'anima durante il sonno continua ad animare
il corpo umano) uno strumento che le faccia passare dalla potenza
all'atto, che dia all'uomo la possibilità, cioè, di essere libero e
cosciente di quello che fa, di esserne responabile. E' come morto.
Questo sul piano puramente umano. Anche sul piano soprannaturale, in
una sua trasposizione, il sonno è immagine della morte. Che cos'è
il sonno dell’anima se non precisamente una morte? L'uomo vive,
vegeta, ma non vive in Dio. E come chi dorme non vive una vita
pienamente umana, così chi è nel peccato vive, vegeta come uomo, ma
non vive come figlio di Dio. Tutta la Scrittura mette in rapporto il
sonno con lo stato di peccato: non col peccato che compio hic
et nunc
ma con l’effetto che segue al peccato.
La
nostra vita è talmente povera sul piano soprannaturale che la
liturgia può sempre invitarci a svegliarci dal sonno, come a un
risvegliarci dal peccato: non come avessimo commesso dei peccati nel
sonno, ma nel senso che veramente il nostro torpore è uno stato che
deriva dal peccato. L’incapacità per noi di usare immediatamente
le nostre potenze per metterle a servizio di Dio, l’incapacità di
applicarci immediatamente ad amare il Signore,
sono reliquie del peccato. Appena vi svegliate potete avere anche il
pensiero di Dio, ma prima di impegnare veramente tutte le vostre
potenze nell'amore di Dio, quale fatica!
Lo
svegliarsi deve essere precisamente l'atto dell'anima che si riprende
tutta per rispondere a Dio che è la Luce. «Ego sum lux mundi: qui
ambulat in taenebris, non habebit lumem vitae»: «Io sono la luce
del mondo: chi cammina nelle tenebre non avrà la luce della vita».
«Fintanto che avete la luce, camminate nella luce» dice Gesù nel
Vangelo (cfr. Gv 8,12; 12,35).
Ogni
qualvolta ci destiamo, la prima cosa che dobbiamo realizzare non è
soltanto questo trasporci dal sonno alla realtà della vita umana;
dal sonno, che non è soltanto fisico ma è anche l’espressione
stessa di uno stato di peccato, di torpore, di pigrizia, di lentezza
nel bene, di incapacità di amare. Dobbiamo realizzare immediatamente
il trasferimento in un piano di comunione con Dio.
La
luce del giorno che viene, ci fa alzare, ci risveglia, ci ridona una
nuova capacità di applicarci al lavoro, di continuare la nostra
vita, di impegnarci nei compiti che sono propri della nostra
esistenza. Immediatamente lo svegliarmi dal sonno mi mette di nuovo
in contatto con i miei doveri. Finora io non ero sollecitato da essi:
dormivo! Anche una mamma che vuol bene al suo figliolo, fintanto che
dorme non ci pensa; bisogna che il figliolo stesso, piagnucolando, la
svegli: se poi, piagnucolando, la sveglia, allora ella è pronta a
compiere il suo dovere di madre, ad allattare il piccino, a cullarlo.
Da
questo torpore in cui l'anima vive, e di cui è espressione concreta
il sonno fisico, l'anima si risveglia immediatamente per riprendere
la sua missione di vita soprannaturale, vita divina di amore, di
impegno per Dio. Immediatamente l’anima riprende tutte le sue
potenze per metterle al servizio divino. Dice l’apostolo Paolo: «È
ormai ora che vi svegliate dal sonno, perché la salvezza è a noi
più vicina ora di quando abbiamo creduto. La notte è già
inoltrata, il giorno si avvicina. Svestiamoci dunque delle opere
delle tenebre e indossiamo le armi della luce» (Rom 13,11-12). E
dice ancora nella Lettera agli Efesini, probabilmente riportando
l’inizio di un inno della liturgia cristiana primitiva: «Tutte le
cose che sono confutate vengono rese manifeste dalla luce, perché
tutto ciò che è reso manifesto è luce. Per questo è detto:
“Svegliati, o tu che dormi, sorgi dai morti e su di te splenderà
il Cristo”» (Ef 5,13-14).
Il
primo atto della nostra vita umana è uno svegliarci, un riprendere
pieno possesso di tutte le nostre potenze. Tante volte, è vero, lo
svegliarci avviene così lentamente! Che questo non dipenda da un
nostro rilassamento! Se veramente abbiamo dormito, è l’ora di
svegliarci del tutto, di non stare a poltrire, ma di riprendere pieno
possesso di tutte le nostre energie, per metterle a servizio di
quello che è il dovere, il compito del giorno, il nostro lavoro.
Prima
ancora del nostro lavoro, o – meglio – insieme al nostro lavoro
perché è una cosa sola con esso, si impone per noi il metterci a
servizio di Cristo. È il sole che fa il giorno, e Cristo è il sole
che fa la giornata della tua vita, che illumina la tua vita: le dà
un contenuto, le impone una missione. Via via che sorge il sole,
cresce in te l’esigenza di un impegno anche religioso, perché via
via che sorge il sole, anche la grazia si effonde in te: è quello
che ci insegnano le Ore minori della liturgia. Non si prega sempre
nello stesso modo: la preghiera del Breviario non è una preghiera
uniforme. Non si può dire l'Ora di Prima la sera, quando si va a
letto; non si può dire Sesta al mattino, perché sesta è la
preghiera del mezzogiorno: vi si parla infatti del calore torrido che
può essere nocivo allo spirito, dell’immobilità che nasce da una
pienezza della luce. La nostra vita religiosa è legata al ritmo
della giornata. Perché? Perché Dio non agisce sull’uomo
indipendentemente dai segni, da quei mezzi che egli si è scelto e
che sono i mezzi che offre la natura stessa dell’uomo, la natura
delle cose. Proprio per il fatto che per noi la vita religiosa è
divisa da quella della natura, la nostra vita soprannaturale è
intermittente, si passa dal profano al sacro, si fa nella vita
religiosa come nelle “montagne russe”: si va su e giù
continuamente, senza mai rimanere fermi, stabili nel servizio di Dio.
Tutto questo avviene perché, ad esempio, non viviamo a Sesta quello
spirito religioso che il segno del sole, nella sua piena luce, ci fa
vivere di Dio.
Così
all’inizio vivi lo svegliarti dal sonno in un riprenderti totale,
per metterti a servizio del Signore. Ti metterai a servizio di Dio in
un risveglio totale, solo nella misura in cui avrai la percezione di
una tua impotenza, di un torpore che ti lega, ti paralizza. Siamo
come paralizzati quando ci destiamo, ci sentiamo come tutti legati e
ci si stira. Ebbene, bisogna riprenderci con decisione e fermezza. Se
destandoti tu veramente hai di nuovo il potere di agire sulla tua
volontà e sulla tua intelligenza, e sei consapevole dei tuoi doveri,
allora devi riprenderti totalmente e metterti fin dall'inizio a
servizio di Dio, del Cristo. Svegliarci che cosa dunque vuol dire?
Vuol dire sentire il bisogno di metterci a servizio di Dio, ma
sentirci anche impotenti a farlo a causa di un torpore naturale che
ci paralizza. Anche la liturgia parla di uno stato di peccato, di un
sentimento di impotenza nel metterci a servizio di Dio, e ce ne parla
con gli inni del Martutino e delle Lodi, con le preghiere cioè che
si dovrebbero dire di notte – perché il Mattutino si dovrebbe dire
di notte – e le Lodi al primo barlume del giorno. L’uomo, nelle
ore di notte, svegliandosi dal sonno, si sente così intorpidito,
così fiacco, che realizza la propria impotenza nei confronti di Dio,
la propria debolezza, il proprio stato di umiliazione. Siamo davvero
della materia grezza, siamo della mota: non riusciamo mai a prenderci
totalmente in mano per metterci a servizio di Dio. L'anima lo sente e
implora l’aiuto divino.
Come
ci si sveglia? Ci si sveglia nella consapevolezza di doveri nuovi che
s’impongono e nel sentimento della nostra impotenza ad adempierli.
Ci si sveglia col desiderio o almeno con una certa visione di quelle
che possono essere le esigenze di Dio sulla nostra vita, sul nostro
spirito; ma anche col riconoscimento che non potremmo far nulla per
amarlo veramente come Egli vuole essere amato da noi.
Quando
sarai pienamente sveglio ti sembrerà di poter fare qualcosa per Lui.
Appena desto, ti sembra invece che, se la grazia non ti soccorre, tu
sia del tutto impotente a rispondere. E allora che cosa si impone?
Che tu viva con Cristo questo bisogno perché Egli ti risani. Se
destandoci ci alziamo, e lo svegliarci ci impone che ci alziamo, noi
possiamo paragonare il nostro primo atto della giornata all'atto del
paralitico, cui Gesù si rivolge. Non il letto deve dominare te, ma
tu dominare il letto: «Prendi il tuo letto e cammina» (Lc 5,24).
Ecco
come si vive in compagnia del Signore. Nel sentimento di un'impotenza
assoluta, pure sveglio, pur destato dal sonno, ti senti come incapace
di muoverti, di riprendere il tuo cammino. Sempre lo stesso: la
stessa fatica, la noia, l’inefficacia del tuo lavoro... Perché
riprendere questo cammino senza fine e senza perché? E tu staresti
così volentieri a letto a lasciar passare tutto il tempo, senza più
doverti risvegliare per riprendere il lavoro! E il lavoro è anche
l'impegno di una tua santificazione, di una perfezione cristiana, che
sembra sempre più allontanarsi da te quanto più veramente ti
impegni. E allora perché riprendere la fatica, ricominciare il
cammino? Sembra così inutile! Dopo tanti anni che si vive, sembra
soltanto di Vegetare: siamo sempre allo stesso punto e ci verrebbe di
dire: «Sì, sono sveglio, ma avrei voglia di riaddormentarmi;
l'unica cosa buona è di addormentarmi e dormire».
In
questo sentimento della tua povertà e della tua impotenza devi
rivolgerti a Cristo. Anche il paralitico aspettava uno che lo calasse
nell'acqua; e non c'era nessuno con lui. Credevi di essere solo nella
tua impotenza? Credevi di essere solo nella tua fiacchezza, in questo
tuo torpore? No, Gesù è accanto a te e ti dice: «che fai?»Tu devi
sentirlo vicino, perché Egli è con te, tu sei con Lui. È con te
anche allora, vicino al tuo letto e ti dice: «alzati!». È la sua
parola che ti dice di alzarti. Prima che tu possa udire la sua voce
sei fiacco, non riesci a muoverti. Ma se ascolti la sua voce, se
veramente vivi con nostro Signore, allora ti sembra di essere rinato
e ti riesce, prima un piede e poi l'altro, di metterti fuori. Il
freddo poi che senti nell’uscire dal letto ha anch'esso la sua
parte nello stimolarti e risvegliarti totalmente: «Alzati e
cammina».
Proprio
perché ci alziamo possiamo anche camminare; proprio perché ci
liberiamo dal nostro torpore, possiamo subito metterci all’opera.
Fintanto che rimani a letto sveglio, certo non puoi camminare e
nemmeno lavorare. Ti riprende di nuovo il sonno, vivi nel
dormiveglia, ti abbandoni al tuo torpore, alla fiacchezza, a un senso
di impotenza. Basta che tu risponda alla parola di Dio che ti chiama
e che ti getti fuori dal letto: allora per te si rende possibile
subito pensare a una cosa e all’altra. Gettatevi fuori e vedrete.
Urgono subito tanti doveri, tante necessità: bisogna far questo,
quello... Bisogna andare a far la spesa, vedere la tale persona,
scrivere la tale lettera, rimettere a posto la tale stanza. Subito,
immediatamente!
«Cammina!»,
dice Gesù. Al primo atto dell’anima che risponde a Cristo che l’ha
chiamata, segue poi tutta la giornata come frutto. Il primo atto
della giornata è quello dal quale tutto dipende. Se si comincia col
nicchiare, si nicchia poi tutto il giorno. Se non si nicchia nel
lavoro perché c'è l’urgenza di quelli che ti vengono a richiedere
quello che tu avevi promesso, si nicchia nella vita spirituale: si
rimanda a domani, «tanto c'è sempre tempo» si dice. E allora si
continua a dormicchiare anche se siamo svegli, si continua a rimanere
nel dormiveglia anche se camminiamo, anche se lavoriamo. Si sta così
bene in questo dormiveglia spirituale in cui non avvertiamo chiara,
precisa, la parola di Gesù: «Alzati e cammina!». «E cammina!». E
anche se portiamo il nostro corpo attraverso le strade, la nostra
anima spesso continua a rimanere nella sua sonnolenza, perché fin
dall’inizio non ha risposto, e non rispondendo subito non ha
ottenuto il potere, la grazia di rispondere poi, Che cosa sarebbe
successo al paralitico se non avesse risposto a Gesù? Sarebbe
rimasto paralitico, Che cosa può succedere a noi se non rispondiamo
alla parola del Cristo che ci chiama? Rimaniamo quelli che siamo.
Continueremo a lavorare sul piano naturale ed umano, ma vivremo la
nostra giornata priva di luce sul piano soprannaturale. Vivremo la
nostra giornata non in compagnia di Gesù, «cum ipso», ma soli
perché fin dall'inizio abbiamo rifiutato di ascoltarlo, per vivere
con Lui.
Mi
sembra che sia questo che ci dice lo svegliarci al mattino in
compagnia del Cristo: nel torpore, nell'impotenza a muoverci, il
bisogno che un altro ci chiami e ci dia il potere. Qualche cosa di
simile avviene anche sul piano puramente umano e naturale. Quando
noi, per esempio, siamo mezzi addormentati, può essere veramente che
la parola di un altro ci aiuti a svegliarci. Non perché sia un
taumaturgo: tutte le mamme non fanno miracoli quando fanno alzare i
loro figlioli da letto perché vadano a scuola! Ma il fatto che la
mamma chiami il figliolo, dà al figliolo il potere di rispondere, di
gettarsi fuori.
Tanto
più la parola del Cristo ha il potere di svegliarci, di richiamarci,
di darci forza per cominciare la nostra giornata. E Cristo è con te:
ascoltalo perché s'inizi bene la giornata, perché fin dal principio
sia una risposta a Colui che chiama. Allora tutta la giornata sarà
un seguire Lui, sarà un andar con Lui, sarà un vivere la sua
medesima vita.
Infatti
non si può vivere con Gesù pensando che Gesù voglia adattarsi alla
nostra miseria: vivere con Lui imporrà sempre, più o meno, che noi
ci adattiamo a vivere la sua medesima vita. «Exsurge a mortuis»,
come dice l'apostolo Paolo: «Svegliati, o tu che dormi, sorgi dai
morti, e su di te splenderà il Cristo!»
(Ef
5,14).
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