mercoledì 30 settembre 2015

Santa Teresa di Gesù Bambino Tema: Fede



«Che cosa chiedi alla Chiesa di Dio? – La fede». Questo dialogo, che inizia la liturgia del Battesimo di un adulto, prosegue con la domanda del sacerdote: «Che cosa ti dona la fede? – La vita eterna», risponde il catecumeno. Infatti, «la fede ci fa gustare come in anticipo la gioia e la luce della visione beatifica, fine del nostro pellegrinare quaggiù. Allora vedremo Dio faccia a faccia (1 Cor. 13, 12), così come Egli è (1 Giov. 3, 2)» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 163).
Ai giorni nostri, la virtù di fede è molto spesso misconosciuta, ridotta ad un semplice sentimento soggettivo o ad una vaga credenza religiosa, considerata come un'opinione libera e facoltativa. Si tratterebbe solo di una convinzione personale appartenente all'ambito privato e non riguarderebbe nessuno, e meno di tutti la Chiesa.
Prendere o lasciare?
Ma, in realtà, che cos'è la fede? La fede è la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che Egli ci ha detto e rivelato, e che la Santa Chiesa ci insegna, perchè Egli è la Verità stessa. Con la sua Rivelazione, Dio, che è invisibile, si rivolge agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli alla comunione con Sè. Con la fede, l'uomo sottomette pienamente a Dio che si rivela la propria intelligenza e la propria volontà (ved. CCC, 1814, 142-143).
Lungi dall'essere facoltativa, la fede è necessaria alla salvezza eterna. Gesù Cristo l'ha affermato chiaramente: Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo (Mar. 16, 16). «Perchè senza la fede è impossibile essere graditi a Dio (Eb. 11, 6) e giungere a condividere la condizione di suoi figli, mai nessuno sarà giustificato senza di essa, e nessuno, se non avrà perseverato in essa sino alla fine (Matt. 10, 22), conseguirà la vita eterna» (CCC, 161). Rifiutare la fede, che è un dono di Dio, vuol dire rifiutare la salvezza, e perdersi per l'eternità: chi non crederà sarà condannato (Mar. 16, 16). La fede non può dunque essere un'opzione da «prendere o lasciare».

Lungi dall'essere accessoria o senza importanza, la fede ha una ripercussione profonda su tutta la vita del cristiano: Il giusto vivrà mediante la fede (Rom. 1, 17). La Chiesa ha commemorata l'anno scorso il centenario dell'entrata in Cielo di Santa Teresa di Gesù Bambino. Quella che San Pio X ha chiamato «la più grande santa dei tempi moderni», ha mostrato la potenza della fede in una vita semplicissima. In età di appena quattro anni, viene interrogata dalla sorella Celina, perplessa di fronte al mistero dell'Eucaristia: «Come può mai essere che il Buon Dio si trovi in un'ostia così piccola? chiede Celina. – Non c'è da stupirsi, risponde Teresa, visto che il Buon Dio è onnipotente. – Cosa vuol dire onnipotente? – Vuol dire che può fare tutto quel che vuole!» Stupenda logica della fede di un bambino. Ma tale fede infantile può essere ragionevole? Certo, poichè è ragionevole credere. Credere è un atto autenticamente umano. Non è contrario nè alla libertà nè all'intelligenza dell'uomo far credito a Dio e aderire alle verità da lui rivelate. Anche nelle relazioni umane, non è contrario alla nostra dignità credere a quel che altre persone ci dicono di sè e delle loro intenzioni, e far credito alle loro promesse. Tuttavia, in quanto adesione personale a Dio e assenso alla verità da Lui rivelata, la fede cristiana differisce dalla fiducia in una persona umana. È giusto ed è bene affidarsi totalmente a Dio e credere assolutamente a quel che Egli dice. Sarebbe vano e fallace riporre una simile fiducia in una creatura (ved. CCC, 150). «Se non crediamo a Dio, fa notare Sant'Ambrogio, a chi crederemmo?»
Sentimento cieco?
Le verità rivelate possono sembrare oscure alla ragione ed all'esperienza umana. La fede non sopprime il mistero, ma permette di aderirvi con certezza, nella fiducia in Dio «che non può nè ingannarsi, nè ingannarci». «La fede è certa, più certa di ogni conoscenza umana, perchè si fonda sulla Parola stessa di Dio, il quale non può mentire» (CCC, 157).
Tuttavia, la fede non è un sentimento cieco e puramente soggettivo, senza nessun fondamento accessibile alla ragione. Al contrario, «perchè l'ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli aiuti interiori dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della Rivelazione. Così i miracoli di Cristo e dei santi, le profezie, la diffusione e la santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità sono segni certi della Rivelazione, adatti ad ogni intelligenza, motivi di credibilità che mostrano che l'assenso della fede non è affatto un cieco moto dello spirito» (CCC, 156). Nella nostra epoca di scetticismo e di relativismo, in cui tutte le religioni sono presentate come equivalenti, è importante esaminare con cura le «prove esteriori della Rivelazione», e conoscere bene le nostre «ragioni di credere» (Ved. Don Ferbeck, Jésus-Christ et son Église (libro di apologetica in francese), ristampa, Tradizioni Monastiche, Flavigny, 1997, in vendita presso l'Abbazia di San Giuseppe).
«A che cosa pensi?»
Illuminata dalla fede, Santa Teresa vive familiarmente con il mondo invisibile: Dio, i santi, gli angeli, le sono vicini quanto suo padre, sua madre o le sorelle. Un giorno, quando non ha ancora tre anni, si rivolge a sua madre per esprimerle la profondità del suo amore: «Oh! Quanto vorrei che morissi, povera mammina mia! – Ma, Teresa, a che cosa pensi? Non si dicono cose simili! – Eppure è perchè tu vada in Cielo, visto che dici che bisogna morire per andarci!» Il Cielo, per Teresa, è una realtà. Lì, a Alençon, ci sono il suo papà, la sua mamma, le sue sorelle. A Le Mans, c'è sua zia suora. A Lisieux, ci sono gli zii Guérin. In Cielo, ci sono i quattro fratellini e sorelline morti in tenera età. Perchè Teresa non potrebbe augurare il Cielo a coloro che ama di più al mondo? Tutto questo è semplicissimo. Più tardi, alla domanda: «Come fai per pensare sempre al Buon Dio?», Teresa risponderà: «Non è difficile... si pensa naturalmente a qualcuno cui si vuol bene!» Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore (Matt. 6, 21) diceva Gesù.
Un braciere ardente
La grazia della fede, ricevuta con il Battesimo, ha trovato un terreno propizio nella famiglia della santa. I Signori Martin sono coscienti del loro compito di genitori cristiani e, con l'aiuto di Dio, situano tutto nella prospettiva del Vangelo. «Dalla grazia del sacramento del matrimonio, i genitori hanno ricevuto la responsabilità e il privilegio di evangelizzare i loro figli. Li inizieranno, fin dai primi anni di vita, ai misteri della fede, dei quali essi, per i figli, sono i primi annunziatori. Li faranno partecipare alla vita della Chiesa, fin dalla più tenera età. I modi di vivere in famiglia possono sviluppare le disposizioni affettive che, per l'intera esistenza, costituiscono autentiche condizioni preliminari e sostegni di una fede viva... La catechesi familiare precede, accompagna e arricchisce le altre forme d'insegnamento della fede. I genitori hanno la missione di insegnare ai figli a pregare ed a scoprire la loro vocazione di figli di Dio» (CCC, 2225-2226).
La fede rivela a Santa Teresa la paternità di Dio ed il suo amore misericordioso. «Sempre il Signore è stato per me compassionevole e pieno di tenerezza... lento a punire e abbondante nella misericordia, scriverà verso la fine della sua vita... Mi ha dato la sua Misericordia infinita, ed è attraverso essa che contemplo le altre perfezioni divine!... Allora, tutte mi appaiono sfavillanti d'amore, la giustizia stessa (e forse ancor più di qualsiasi altra), mi sembra aureolata d'amore». Essa ha capito che la debolezza, l'impotenza, il peccato stesso, purchè ci se ne penta, lungi dall'ostacolare la misericordia di Dio, la suscitano e la attirano: «Sì, lo sento, anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, andrei, con il cuore spezzato dal pentimento, a buttarmi fra le braccia di Gesù, perchè so quanto teneramente Egli ama il figliol prodigo che torna da lui... Sento che questa moltitudine di offese sarebbe come una goccia d'acqua gettata in un braciere ardente».
Come voltando il capo dall'altra parte
Con la sua fede viva, la santa scopre la misericordia di Dio anche attraverso la sofferenza. Il piano di Dio le appare chiaramente: far servire le conseguenze del peccato non solo per la salvezza dell'uomo, ma per il suo perfezionamento, fino alla santità. Il segreto della santità, Teresa lo trova nella sofferenza, mezzo per uscire da sè onde unirsi a Dio, altrimenti detto, mezzo per amare. Poichè nulla è più caro a Dio della nostra obbedienza, manifestata attraverso l'accettazione della sofferenza. Lasciata all'uomo dopo il peccato, essa è stata santificata dalla Passione di Cristo. La prova dolorosa è, agli occhi di Santa Teresa, il mezzo per dare a Dio «una più grande testimonianza di abbandono e di amore»; scrive: «Sotto il torchio della sofferenza, ti proverò il mio amore».
Ma, «come può il Buon Dio che ci ama essere lieto quando noi soffriamo?», si chiede. Ed il suo amore le detta questa risposta: «No, la nostra sofferenza non lo rende mai lieto, ma questa sofferenza ci è necessaria. Allora, la permette come voltando il capo dall'altra parte». Avendo il peccato reso necessaria la sofferenza, Dio la vuole, ma per amore, come mezzo per riportare l'uomo ad amarLo. Rimedio amaro, ma, visto l'egoismo dell'uomo, rimedio necessario alla santità ed alla felicità dell'anima. « Costa a Dio abbeverarci alla fonte delle lacrime, scrive anche; ma sa che è l'unico mezzo per prepararci a conoscerLo come Egli medesimo si conosce e a diventare dei noi stessi!...»
«Bisognerà farlo sapere»
Infatti, la sofferenza sottolinea ogni tappa della vita di Santa Teresa. «Ho sofferto molto quaggiù, confesserà; bisognerà farlo sapere...» Questa confessione la rende vicina a tutti coloro che conoscono dure prove. A quattro anni, perde sua madre, che muore a seguito di un lungo e penoso cancro. «A partire dalla morte della mamma, scriverà, il mio bel carattere cambiò totalmente; io, così vivace, così espansiva, diventai timida e dolce, eccessivamente sensibile. Bastava uno sguardo a farmi scoppiare in lacrime, bisognava che nessuno badasse a me, perchè fossi contenta, non potevo sopportare la compagnia di persone estranee e ritrovavo l'allegria solo nell'intimità della famiglia».
Ha otto anni, quando sua sorella Paolina, che ha scelto come «seconda mamma», entra nel convento delle Carmelitane di Lisieux. Quel giorno, le sue lacrime scorrono abbondantemente. «Visto che scrivo la storia della mia anima, devo dire tutto, e confesso che le sofferenze che avevano preceduto la sua ammissione non furono niente paragonate a quelle che seguirono». Si ammala, di una strana malattia nervosa. Di fronte alle proporzioni allarmanti che prende tale malattia, il Signor Martin pensa che «la sua figlioletta stia per impazzire o per morire». Ci vorrà l'intervento miracoloso della Santa Vergine per renderle la salute. Tuttavia, questa guarigione non pone fine alle sofferenze di Santa Teresa. Scrive, infatti: «A lungo, dopo la guarigione, ho creduto di averlo fatto apposta ad ammalarmi, e ciò fu un vero martirio per la mia anima... Il Buon Dio mi lasciò quel martirio intimo fino alla mia ammissione fra le Carmelitane».
Efficacia straordinaria
Appena un anno dopo l'entrata di Teresa nel convento delle Carmelitane, il Signor Martin, colpito da una malattia cerebrale, deve essere internato nell'ospedale psichiatrico del Buon Salvatore di Caen. Ci rimarrà per tre lunghi anni. «Come i dolori di Gesù trafissero con una spada il cuore della sua Divina Madre, scrive la santa, così i nostri cuori risentirono le sofferenze di colui che amavamo più teneramente al mondo... Mi ricordo che nel giugno del 1888, nel momento delle nostre prime prove, dicevo: «Sento che posso sopportare prove ancora più grandi». Non sapevo che un mese dopo la vestizione, il nostro caro padre avrebbe bevuto il più amaro, il più umiliante di tutti i calici... Ah! quel giorno lì, non ho detto che avrei potuto soffrire di più!!!». La fiducia di Santa Teresa non è tuttavia intaccata. Volge uno sguardo positivo a quel calice amaro. In una visione di fede, potrà scrivere più tardi: «Un giorno, in Cielo, saremo lieti di parlare delle nostre prove gloriose... Sì, i tre anni del martirio di papà mi sembrano i più dolci, i più fruttiferi di tutta la nostra vita; non li scambierei con tutte le estasi e le rivelazioni dei santi, il mio cuore straripa pensando a quel tesoro inestimabile». Intanto, la sua inclinazione per le sofferenze non diminuisce. «L'aridità era il mio pane quotidiano; priva di qualsiasi consolazione, ero tuttavia la più felice delle creature, poichè tutti i miei desideri erano soddisfatti». Uno di tali desideri era quello di offrire le sue prove per la salvezza dei peccatori: «Ardevo dal desiderio di strapparli alle fiamme eterne». Ora, «solo la sofferenza può generare le anime», scrive. Unendosi così alla Passione di Gesù, la santa ha saputo partecipare all'opera della Redenzione, nell'ambito della vita contemplativa. «I claustrali si offrono con Gesù per la salvezza del mondo... Come espressione dell'amore puro che vale più di qualsiasi azione, la vita contemplativa possiede un'efficacia apostolica e missionaria straordinaria» (Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 25 marzo 1996, n. 59).
«Mostrarla imitabile»
Dopo esser entrata nel convento delle Carmelitane, il 9 aprile 1888, Santa Teresa non apprezza più la presenza di Dio, che era per lei così dolce. Le diventa difficile pregare. «La recita del rosario, scrive, mi costa più che portare uno strumento di penitenza... Sento che lo recito talmente male; ho un bello sforzarmi di meditare i misteri del Rosario, non riesco a fissare lo spirito... A lungo mi sono avvilita per questa mancanza di devozione che mi stupiva, perchè amo tanto la Santa Vergine che dovrebbe essermi facile dire in suo onore preghiere che le sono gradite. Ora, mi avvilisco meno, penso che, essendo la Regina dei Cieli mia Madre, deve vedere la mia buona volontà e che si accontenta così».
Santa Teresa conosce anche l'abbattimento: «Sì, la vita costa, scrive, è penoso cominciare una giornata di fatica... Se almeno si sentisse Gesù, si farebbe volentieri tutto per lui, ma no, sembra a mille miglia, si è soli con se stessi... Ma che fa mai il dolce Amico, non vede forse la mia angoscia, il peso che mi opprime? Dov'è, perchè non viene a consolarmi, poichè ho solo Lui come amico?» Si ricorda allora queste parole di Gesù: Non mettetevi in pena per il domani: il domani avrà cura di se stesso; a ciascun giorno basta il suo affanno (Matt. 6, 34), e, portando giorno per giorno la sua croce, canta:
Se penso al domani, temo la mia incostanza,
Sento nascermi in cuore la tristezza e la noia.
Ma accetto, Dio mio, la prova, la sofferenza
Solo per oggi.
La pazienza di Santa Teresa si è quasi sempre esercitata su sofferenze simili a quelle che noi tutti troviamo, ogni giorno, sulla nostra strada. Piccole sofferenze, celate, che ci feriscono e, in mancanza di una fede viva e amante, ci abbattono, e ci rendono cupi, un carico per noi e per gli altri. Per sopportare tali pene, Santa Teresa ricorre, molto spesso, alla Santissima Vergine, la sua «Mamma del Cielo»: «Non manca mai di proteggermi, appena la invoco».
Trova in Nostra Signora un conforto materno ed un modello di fede e d'amore, attraverso una vita assolutamente ordinaria. «Quanto mi sarebbe piaciuto esser sacerdote per predicare sulla Santa Vergine!... Perchè una predica sulla Santa Vergine mi piaccia e mi faccia bene, bisogna che veda la sua vita reale, non la sua vita supposta; e sono sicura che la sua vita reale doveva essere molto semplice. La si mostra inaccessibile, bisognerebbe mostrarla imitabile, mettere in risalto le sue virtù, dire che viveva di fede come noi, darne delle prove attraverso il Vangelo, in cui leggiamo: Essi non compresero quel che diceva loro (Luca 2, 50). E quest'altra frase, non meno misteriosa: I suoi genitori erano meravigliati di quanto si diceva di lui (Luca 2, 33). Quest'ammirazione suppone un certo stupore».
Uragano di gloria
Il 2 aprile 1896, durante la Settimana Santa, due sbocchi di sangue rivelano a Santa Teresa che è affetta da tubercolosi. Con serenità, considera la morte prossima: «Era come un dolce sussurro lontano che mi annunciava l'arrivo dello Sposo». Ma, nel corso dell'ultimo anno di vita, la sua anima è invasa dalle tenebre più dense, il Cielo si sottrae ai suoi sguardi e la assalgono forti tentazioni contro la fede. In questa prova, si rende conto che condivide la sorte dei miscredenti: «Gesù mi ha fatto sentire che ci sono veramente anime che non hanno la fede, che, attraverso l'abuso delle grazie, perdono questo prezioso tesoro, fonte delle sole gioie pure e vere», scrive. Per amore, accetta questa prova: «Dico a Gesù che sono lieta di non godere del bel Cielo sulla terra, affinchè Egli lo apra per l'eternità ai poveri miscredenti». La sua agonia, il 30 settembre 1897, assomiglia a quella di Gesù, «senza nessuna consolazione». Ma le sue ultime parole esprimono la vittoria della fede e dell'amore:«Oh!... lo amo... Dio mio..., ti amo».
Questa passione sfocia sulla sua entrata in Cielo e, quaggiù, su un uragano di gloria senza pari! La piccola carmelitana attirerà ben presto le folle. Da tutte le parti, si accorre per implorare o ringraziare quella che spande una vera «Pioggia di rose», grazie temporali o spirituali che sono la ricompensa della sua fede incrollabile nell'Amore Misericordioso. Le parole di Gesù: Se il granello di frumento, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Giov. 12, 24) si realizzano letteralmente. Il 17 maggio 1925, parecchie centinaia di migliaia di pellegrini di tutto il mondo assistono al «trionfo» della Piccola Teresa, glorificata e canonizzata. E l'anno scorso, Papa Giovanni Paolo II non ha esitato a dichiararla Dottore della Chiesa! Sempre, ormai, quest'onore eccezionale cadrà come un soprappiù di gloria sulla Patrona delle Missioni. La Chiesa vede in lei una luce per la nuova evangelizzazione.
Santa Teresa aveva promesso di «passare il suo Cielo a fare del bene sulla terra». Chiediamole di comunicarci la sua fede viva e la sua fiducia incrollabile nell'Amore Misericordioso. Trasformeranno le nostre vite e ci guideranno sulla strada del Cielo. Preghiamo per tutti coloro che Le sono cari, vivi e defunti.
Dom Antoine Marie osb

"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)".


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