«Che
cosa chiedi alla Chiesa di Dio? – La fede». Questo dialogo, che
inizia la liturgia del Battesimo di un adulto, prosegue con la
domanda del sacerdote: «Che cosa ti dona la fede? – La vita
eterna», risponde il catecumeno. Infatti, «la fede ci fa gustare
come in anticipo la gioia e la luce della visione beatifica, fine del
nostro pellegrinare quaggiù. Allora vedremo Dio faccia a faccia
(1 Cor. 13, 12), così come Egli è (1 Giov. 3, 2)»
(Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 163).
Ai
giorni nostri, la virtù di fede è molto spesso misconosciuta,
ridotta ad un semplice sentimento soggettivo o ad una vaga credenza
religiosa, considerata come un'opinione libera e facoltativa. Si
tratterebbe solo di una convinzione personale appartenente all'ambito
privato e non riguarderebbe nessuno, e meno di tutti la Chiesa.
Prendere
o lasciare?
Ma,
in realtà, che cos'è la fede? La fede è la virtù teologale per la
quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che Egli ci ha detto e
rivelato, e che la Santa Chiesa ci insegna, perchè Egli è la Verità
stessa. Con la sua Rivelazione, Dio, che è invisibile, si rivolge
agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli
alla comunione con Sè. Con la fede, l'uomo sottomette pienamente a
Dio che si rivela la propria intelligenza e la propria volontà (ved.
CCC, 1814, 142-143).
Lungi
dall'essere facoltativa, la fede è necessaria alla salvezza eterna.
Gesù Cristo l'ha affermato chiaramente: Chi crederà e sarà
battezzato sarà salvo (Mar. 16, 16). «Perchè senza la fede
è impossibile essere graditi a Dio (Eb. 11, 6) e giungere a
condividere la condizione di suoi figli, mai nessuno sarà
giustificato senza di essa, e nessuno, se non avrà perseverato in
essa sino alla fine (Matt. 10, 22), conseguirà la vita eterna»
(CCC, 161). Rifiutare la fede, che è un dono di Dio, vuol
dire rifiutare la salvezza, e perdersi per l'eternità: chi non
crederà sarà condannato (Mar. 16, 16). La fede non può dunque
essere un'opzione da «prendere o lasciare».
Lungi
dall'essere accessoria o senza importanza, la fede ha una
ripercussione profonda su tutta la vita del cristiano: Il giusto
vivrà mediante la fede (Rom. 1, 17). La Chiesa ha commemorata
l'anno scorso il centenario dell'entrata in Cielo di Santa Teresa di
Gesù Bambino. Quella che San Pio X ha chiamato «la più grande
santa dei tempi moderni», ha mostrato la potenza della fede in una
vita semplicissima. In età di appena quattro anni, viene interrogata
dalla sorella Celina, perplessa di fronte al mistero dell'Eucaristia:
«Come può mai essere che il Buon Dio si trovi in un'ostia così
piccola? chiede Celina. – Non c'è da stupirsi, risponde Teresa,
visto che il Buon Dio è onnipotente. – Cosa vuol dire onnipotente?
– Vuol dire che può fare tutto quel che vuole!» Stupenda logica
della fede di un bambino. Ma tale fede infantile può essere
ragionevole? Certo, poichè è ragionevole credere. Credere è un
atto autenticamente umano. Non è contrario nè alla libertà nè
all'intelligenza dell'uomo far credito a Dio e aderire alle verità
da lui rivelate. Anche nelle relazioni umane, non è contrario alla
nostra dignità credere a quel che altre persone ci dicono di sè e
delle loro intenzioni, e far credito alle loro promesse. Tuttavia, in
quanto adesione personale a Dio e assenso alla verità da Lui
rivelata, la fede cristiana differisce dalla fiducia in una persona
umana. È giusto ed è bene affidarsi totalmente a Dio e credere
assolutamente a quel che Egli dice. Sarebbe vano e fallace riporre
una simile fiducia in una creatura (ved. CCC, 150). «Se non
crediamo a Dio, fa notare Sant'Ambrogio, a chi crederemmo?»
Sentimento
cieco?
Le
verità rivelate possono sembrare oscure alla ragione ed
all'esperienza umana. La fede non sopprime il mistero, ma permette di
aderirvi con certezza, nella fiducia in Dio «che non può nè
ingannarsi, nè ingannarci». «La fede è certa, più certa di ogni
conoscenza umana, perchè si fonda sulla Parola stessa di Dio, il
quale non può mentire» (CCC, 157).
Tuttavia,
la fede non è un sentimento cieco e puramente soggettivo, senza
nessun fondamento accessibile alla ragione. Al contrario, «perchè
l'ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha
voluto che agli aiuti interiori dello Spirito Santo si
accompagnassero anche prove esteriori della Rivelazione. Così i
miracoli di Cristo e dei santi, le profezie, la diffusione e la
santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità sono
segni certi della Rivelazione, adatti ad ogni intelligenza, motivi di
credibilità che mostrano che l'assenso della fede non è affatto un
cieco moto dello spirito» (CCC, 156). Nella nostra epoca di
scetticismo e di relativismo, in cui tutte le religioni sono
presentate come equivalenti, è importante esaminare con cura le
«prove esteriori della Rivelazione», e conoscere bene le nostre
«ragioni di credere» (Ved. Don Ferbeck, Jésus-Christ et son Église
(libro di apologetica in francese), ristampa, Tradizioni Monastiche,
Flavigny, 1997, in vendita presso l'Abbazia di San Giuseppe).
«A
che cosa pensi?»
Illuminata
dalla fede, Santa Teresa vive familiarmente con il mondo invisibile:
Dio, i santi, gli angeli, le sono vicini quanto suo padre, sua madre
o le sorelle. Un giorno, quando non ha ancora tre anni, si rivolge a
sua madre per esprimerle la profondità del suo amore: «Oh! Quanto
vorrei che morissi, povera mammina mia! – Ma, Teresa, a che cosa
pensi? Non si dicono cose simili! – Eppure è perchè tu vada in
Cielo, visto che dici che bisogna morire per andarci!» Il Cielo, per
Teresa, è una realtà. Lì, a Alençon, ci sono il suo papà, la sua
mamma, le sue sorelle. A Le Mans, c'è sua zia suora. A Lisieux, ci
sono gli zii Guérin. In Cielo, ci sono i quattro fratellini e
sorelline morti in tenera età. Perchè Teresa non potrebbe augurare
il Cielo a coloro che ama di più al mondo? Tutto questo è
semplicissimo. Più tardi, alla domanda: «Come fai per pensare
sempre al Buon Dio?», Teresa risponderà: «Non è difficile... si
pensa naturalmente a qualcuno cui si vuol bene!» Là dov'è il
tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore (Matt. 6, 21) diceva Gesù.
Un
braciere ardente
La
grazia della fede, ricevuta con il Battesimo, ha trovato un terreno
propizio nella famiglia della santa. I Signori Martin sono coscienti
del loro compito di genitori cristiani e, con l'aiuto di Dio, situano
tutto nella prospettiva del Vangelo. «Dalla grazia del sacramento
del matrimonio, i genitori hanno ricevuto la responsabilità e il
privilegio di evangelizzare i loro figli. Li inizieranno, fin dai
primi anni di vita, ai misteri della fede, dei quali essi, per i
figli, sono i primi annunziatori. Li faranno partecipare alla vita
della Chiesa, fin dalla più tenera età. I modi di vivere in
famiglia possono sviluppare le disposizioni affettive che, per
l'intera esistenza, costituiscono autentiche condizioni preliminari e
sostegni di una fede viva... La catechesi familiare precede,
accompagna e arricchisce le altre forme d'insegnamento della fede. I
genitori hanno la missione di insegnare ai figli a pregare ed a
scoprire la loro vocazione di figli di Dio» (CCC, 2225-2226).
La
fede rivela a Santa Teresa la paternità di Dio ed il suo amore
misericordioso. «Sempre il Signore è stato per me compassionevole e
pieno di tenerezza... lento a punire e abbondante nella misericordia,
scriverà verso la fine della sua vita... Mi ha dato la sua
Misericordia infinita, ed è attraverso essa che contemplo le altre
perfezioni divine!... Allora, tutte mi appaiono sfavillanti d'amore,
la giustizia stessa (e forse ancor più di qualsiasi altra), mi
sembra aureolata d'amore». Essa ha capito che la debolezza,
l'impotenza, il peccato stesso, purchè ci se ne penta, lungi
dall'ostacolare la misericordia di Dio, la suscitano e la attirano:
«Sì, lo sento, anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati che
si possono commettere, andrei, con il cuore spezzato dal pentimento,
a buttarmi fra le braccia di Gesù, perchè so quanto teneramente
Egli ama il figliol prodigo che torna da lui... Sento che questa
moltitudine di offese sarebbe come una goccia d'acqua gettata in un
braciere ardente».
Come
voltando il capo dall'altra parte
Con
la sua fede viva, la santa scopre la misericordia di Dio anche
attraverso la sofferenza. Il piano di Dio le appare chiaramente: far
servire le conseguenze del peccato non solo per la salvezza
dell'uomo, ma per il suo perfezionamento, fino alla santità. Il
segreto della santità, Teresa lo trova nella sofferenza, mezzo per
uscire da sè onde unirsi a Dio, altrimenti detto, mezzo per amare.
Poichè nulla è più caro a Dio della nostra obbedienza, manifestata
attraverso l'accettazione della sofferenza. Lasciata all'uomo dopo il
peccato, essa è stata santificata dalla Passione di Cristo. La prova
dolorosa è, agli occhi di Santa Teresa, il mezzo per dare a Dio «una
più grande testimonianza di abbandono e di amore»; scrive: «Sotto
il torchio della sofferenza, ti proverò il mio amore».
Ma,
«come può il Buon Dio che ci ama essere lieto quando noi
soffriamo?», si chiede. Ed il suo amore le detta questa risposta:
«No, la nostra sofferenza non lo rende mai lieto, ma questa
sofferenza ci è necessaria. Allora, la permette come voltando il
capo dall'altra parte». Avendo il peccato reso necessaria la
sofferenza, Dio la vuole, ma per amore, come mezzo per riportare
l'uomo ad amarLo. Rimedio amaro, ma, visto l'egoismo dell'uomo,
rimedio necessario alla santità ed alla felicità dell'anima. «
Costa a Dio abbeverarci alla fonte delle lacrime, scrive anche; ma sa
che è l'unico mezzo per prepararci a conoscerLo come Egli medesimo
si conosce e a diventare dei noi stessi!...»
«Bisognerà
farlo sapere»
Infatti,
la sofferenza sottolinea ogni tappa della vita di Santa Teresa. «Ho
sofferto molto quaggiù, confesserà; bisognerà farlo sapere...»
Questa confessione la rende vicina a tutti coloro che conoscono dure
prove. A quattro anni, perde sua madre, che muore a seguito di un
lungo e penoso cancro. «A partire dalla morte della mamma, scriverà,
il mio bel carattere cambiò totalmente; io, così vivace, così
espansiva, diventai timida e dolce, eccessivamente sensibile. Bastava
uno sguardo a farmi scoppiare in lacrime, bisognava che nessuno
badasse a me, perchè fossi contenta, non potevo sopportare la
compagnia di persone estranee e ritrovavo l'allegria solo
nell'intimità della famiglia».
Ha
otto anni, quando sua sorella Paolina, che ha scelto come «seconda
mamma», entra nel convento delle Carmelitane di Lisieux. Quel
giorno, le sue lacrime scorrono abbondantemente. «Visto che scrivo
la storia della mia anima, devo dire tutto, e confesso che le
sofferenze che avevano preceduto la sua ammissione non furono niente
paragonate a quelle che seguirono». Si ammala, di una strana
malattia nervosa. Di fronte alle proporzioni allarmanti che prende
tale malattia, il Signor Martin pensa che «la sua figlioletta stia
per impazzire o per morire». Ci vorrà l'intervento miracoloso della
Santa Vergine per renderle la salute. Tuttavia, questa guarigione non
pone fine alle sofferenze di Santa Teresa. Scrive, infatti: «A
lungo, dopo la guarigione, ho creduto di averlo fatto apposta ad
ammalarmi, e ciò fu un vero martirio per la mia anima... Il Buon Dio
mi lasciò quel martirio intimo fino alla mia ammissione fra le
Carmelitane».
Efficacia
straordinaria
Appena
un anno dopo l'entrata di Teresa nel convento delle Carmelitane, il
Signor Martin, colpito da una malattia cerebrale, deve essere
internato nell'ospedale psichiatrico del Buon Salvatore di Caen. Ci
rimarrà per tre lunghi anni. «Come i dolori di Gesù trafissero con
una spada il cuore della sua Divina Madre, scrive la santa, così i
nostri cuori risentirono le sofferenze di colui che amavamo più
teneramente al mondo... Mi ricordo che nel giugno del 1888, nel
momento delle nostre prime prove, dicevo: «Sento che posso
sopportare prove ancora più grandi». Non sapevo che un mese dopo la
vestizione, il nostro caro padre avrebbe bevuto il più amaro, il più
umiliante di tutti i calici... Ah! quel giorno lì, non ho detto che
avrei potuto soffrire di più!!!». La fiducia di Santa Teresa non è
tuttavia intaccata. Volge uno sguardo positivo a quel calice amaro.
In una visione di fede, potrà scrivere più tardi: «Un giorno, in
Cielo, saremo lieti di parlare delle nostre prove gloriose... Sì, i
tre anni del martirio di papà mi sembrano i più dolci, i più
fruttiferi di tutta la nostra vita; non li scambierei con tutte le
estasi e le rivelazioni dei santi, il mio cuore straripa pensando a
quel tesoro inestimabile». Intanto, la sua inclinazione per le
sofferenze non diminuisce. «L'aridità era il mio pane quotidiano;
priva di qualsiasi consolazione, ero tuttavia la più felice delle
creature, poichè tutti i miei desideri erano soddisfatti». Uno di
tali desideri era quello di offrire le sue prove per la salvezza dei
peccatori: «Ardevo dal desiderio di strapparli alle fiamme eterne».
Ora, «solo la sofferenza può generare le anime», scrive. Unendosi
così alla Passione di Gesù, la santa ha saputo partecipare
all'opera della Redenzione, nell'ambito della vita contemplativa. «I
claustrali si offrono con Gesù per la salvezza del mondo... Come
espressione dell'amore puro che vale più di qualsiasi azione, la
vita contemplativa possiede un'efficacia apostolica e missionaria
straordinaria» (Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 25 marzo
1996, n. 59).
«Mostrarla
imitabile»
Dopo
esser entrata nel convento delle Carmelitane, il 9 aprile 1888, Santa
Teresa non apprezza più la presenza di Dio, che era per lei così
dolce. Le diventa difficile pregare. «La recita del rosario, scrive,
mi costa più che portare uno strumento di penitenza... Sento che lo
recito talmente male; ho un bello sforzarmi di meditare i misteri del
Rosario, non riesco a fissare lo spirito... A lungo mi sono avvilita
per questa mancanza di devozione che mi stupiva, perchè amo tanto la
Santa Vergine che dovrebbe essermi facile dire in suo onore preghiere
che le sono gradite. Ora, mi avvilisco meno, penso che, essendo la
Regina dei Cieli mia Madre, deve vedere la mia buona volontà e che
si accontenta così».
Santa
Teresa conosce anche l'abbattimento: «Sì, la vita costa, scrive, è
penoso cominciare una giornata di fatica... Se almeno si sentisse
Gesù, si farebbe volentieri tutto per lui, ma no, sembra a mille
miglia, si è soli con se stessi... Ma che fa mai il dolce Amico, non
vede forse la mia angoscia, il peso che mi opprime? Dov'è, perchè
non viene a consolarmi, poichè ho solo Lui come amico?» Si ricorda
allora queste parole di Gesù: Non mettetevi in pena per il
domani: il domani avrà cura di se stesso; a ciascun giorno basta il
suo affanno (Matt. 6, 34), e, portando giorno per giorno la sua
croce, canta:
Se
penso al domani, temo la mia incostanza,
Sento
nascermi in cuore la tristezza e la noia.
Ma
accetto, Dio mio, la prova, la sofferenza
Solo
per oggi.
La
pazienza di Santa Teresa si è quasi sempre esercitata su sofferenze
simili a quelle che noi tutti troviamo, ogni giorno, sulla nostra
strada. Piccole sofferenze, celate, che ci feriscono e, in mancanza
di una fede viva e amante, ci abbattono, e ci rendono cupi, un carico
per noi e per gli altri. Per sopportare tali pene, Santa Teresa
ricorre, molto spesso, alla Santissima Vergine, la sua «Mamma del
Cielo»: «Non manca mai di proteggermi, appena la invoco».
Trova
in Nostra Signora un conforto materno ed un modello di fede e
d'amore, attraverso una vita assolutamente ordinaria. «Quanto mi
sarebbe piaciuto esser sacerdote per predicare sulla Santa
Vergine!... Perchè una predica sulla Santa Vergine mi piaccia e mi
faccia bene, bisogna che veda la sua vita reale, non la sua vita
supposta; e sono sicura che la sua vita reale doveva essere molto
semplice. La si mostra inaccessibile, bisognerebbe mostrarla
imitabile, mettere in risalto le sue virtù, dire che viveva di fede
come noi, darne delle prove attraverso il Vangelo, in cui leggiamo:
Essi non compresero quel che diceva loro (Luca 2, 50). E
quest'altra frase, non meno misteriosa: I suoi genitori erano
meravigliati di quanto si diceva di lui (Luca 2, 33).
Quest'ammirazione suppone un certo stupore».
Uragano
di gloria
Il
2 aprile 1896, durante la Settimana Santa, due sbocchi di sangue
rivelano a Santa Teresa che è affetta da tubercolosi. Con serenità,
considera la morte prossima: «Era come un dolce sussurro lontano che
mi annunciava l'arrivo dello Sposo». Ma, nel corso dell'ultimo anno
di vita, la sua anima è invasa dalle tenebre più dense, il Cielo si
sottrae ai suoi sguardi e la assalgono forti tentazioni contro la
fede. In questa prova, si rende conto che condivide la sorte dei
miscredenti: «Gesù mi ha fatto sentire che ci sono veramente anime
che non hanno la fede, che, attraverso l'abuso delle grazie, perdono
questo prezioso tesoro, fonte delle sole gioie pure e vere», scrive.
Per amore, accetta questa prova: «Dico a Gesù che sono lieta di non
godere del bel Cielo sulla terra, affinchè Egli lo apra per
l'eternità ai poveri miscredenti». La sua agonia, il 30 settembre
1897, assomiglia a quella di Gesù, «senza nessuna consolazione».
Ma le sue ultime parole esprimono la vittoria della fede e
dell'amore:«Oh!... lo amo... Dio mio..., ti amo».
Questa
passione sfocia sulla sua entrata in Cielo e, quaggiù, su un uragano
di gloria senza pari! La piccola carmelitana attirerà ben presto le
folle. Da tutte le parti, si accorre per implorare o ringraziare
quella che spande una vera «Pioggia di rose», grazie temporali o
spirituali che sono la ricompensa della sua fede incrollabile
nell'Amore Misericordioso. Le parole di Gesù: Se il granello di
frumento, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto (Giov. 12, 24) si realizzano letteralmente.
Il 17 maggio 1925, parecchie centinaia di migliaia di pellegrini di
tutto il mondo assistono al «trionfo» della Piccola Teresa,
glorificata e canonizzata. E l'anno scorso, Papa Giovanni Paolo II
non ha esitato a dichiararla Dottore della Chiesa! Sempre, ormai,
quest'onore eccezionale cadrà come un soprappiù di gloria sulla
Patrona delle Missioni. La Chiesa vede in lei una luce per la nuova
evangelizzazione.
Santa
Teresa aveva promesso di «passare il suo Cielo a fare del bene sulla
terra». Chiediamole di comunicarci la sua fede viva e la sua fiducia
incrollabile nell'Amore Misericordioso. Trasformeranno le nostre vite
e ci guideranno sulla strada del Cielo. Preghiamo per tutti coloro
che Le sono cari, vivi e defunti.
Dom
Antoine Marie osb
"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)".
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