domenica 18 ottobre 2015

San Paolo della Croce - Ovada (Alessandria), 3 gennaio 1694 - Roma, 18 ottobre 1775




San Paolo della Croce fondatore dei Passionisti, fu uno di quei grandi uomini, potenti in opere e parole che, nel secolo dell'enciclopedismo e della rivoluzione, Dio inviò alla sua Chiesa, perché con la virtù e la santità servissero di argine al vizio, e con la predicazione assidua del Vangelo richiamassero le anime dei traviati alla divina scuola delle verità rivelate. Per oltre quarant‘anni egli percorse ogni regione d'Italia, e con la luce della parola e degli esempi, sostenuta e corroborata dalla forza dei prodigi, convertì innumerevoli peccatori, ridusse gli erranti alla fede, e fu guida e sostegno alle anime chiamate a servire Dio nella più alta e più perfetta via dei consigli evangelici. Con ragione perciò la Chiesa, in un'antifona, lo saluta come cacciatore di anime, araldo del Vangelo e lucerna risplendente: animarum venator, Evangelii praeco et lucerna fulgeiis. Ma dove Paolo apprese la sapienza di cui fu ripieno? Da quale ricca sorgente attinse la forza e lo spirito che rese la sua parola di tanta efficacia per la conversione delle anime? Principalmente dalle Piaghe di Cristo: in Vulneribus Christi. Se Paolo infatti non trascurò di studiare sui libri degli uomini, più di tutto studiò sul Crocifisso, libro scritto intus et foris, che egli ebbe sempre sotto gli occhi, sempre meditò e portò nel cuore e prese a soggetto principale della sua predicazione, facendo suo, in tal modo, il programma del grande Apostolo delle genti: Nos autem praedicamus Christum Crucifixum (I Cor. I, 23).Croce, Il motto paolino “noi predichiamo Cristo Crocifisso” fu alla base della spiritualità del nostro Santo e costituisce anche il segreto del suo apostolato, caratterizzato da un ardente desiderio di vedere distrutto il regno di Satana e riconquistare le anime a Dio, anche a costo della vita. Un giorno rapitolo in estasi, Gesù lo nascose nelle sue piaghe adorabili e dopo averlo investito della Sua luce celeste, gli svelò l'orribile trama dei peccati del genere umano e fu allora che il cuore di S. Paolo si infiammò al punto che quando predicava la passione di Gesù, sembrava che da un momento all'altro la sua anima dovesse staccarsi dal corpo. Nessuno sapeva parlare della Passione di Cristo come il padre Paolo. Spesso diceva: “Vorrei, se mi fosse possibile, attaccar fuoco di carità per bruciare non solo chi ci passa vicino, ma anche i popoli lontani, perché tutti amino e conoscano il Sommo Bene” . 

Il suo modo di vivere era già una testimonianza viva del Mistero, ma quando alzava il dito in segno di ammirazione e indicava il Crocifisso dicendo: “Un Dio morto per me...” si sentiva il pianto della gente che ascoltava commossa. S. Paolo della Croce aveva ricevuto da Dio il dono di saper entrare in sintonia psicologica e spirituale con chi lo ascoltava e se piangeva lui, non poteva non piangere chi sentiva le sue parole. Paolo della Croce nacque il 3 gennaio 1694 in Ovada (Alessandria) soggetta in quel tempo alla repubblica di Genova. Suo padre, Luca Danei, era nativo del Castellazzo, ma discendeva dalla nobile famiglia Danei che fu tra le principali di Alessandria, in quest'epoca però era decaduta dal suo antico splendore. La madre, Anna Maria Massari, anch'essa di agiata famiglia, era nata a Rivarolo Ligure, ma fin dall'infanzia viveva in Ovada insieme alla famiglia. I due virtuosi giovani, degni l'uno dell'altro, avevano celebrato il loro matrimonio il 6 gennaio 1692. Avidi più dei beni del cielo che di quelli della terra, i due sposi non cercavano nel loro piccolo negozio, che il necessario sostentamento per la numerosa famiglia, e vivevano santamente uniti nel santo timore di Dio. Uomo di antica fede, di costumi intemerati e di rara pietà, Luca trovava le sue delizie nella preghiera, nella lettura dei libri devoti e, soprattutto, nelle vite dei santi. Dall'esercizio delle virtù cristiane ritrasse una forza superiore a tutte le avversità e un amore ardente verso Dio, per il quale sacrificò volentieri i suoi più cari interessi, gli affetti più puri e la sua stessa vita. Fu tale la sua fede, che benché sposo e padre, aspirava al martirio. Col suo prossimo fu giusto, buono e indulgente; vicino a morte lo vedremo coronare la sua vita con la più eroica carità. La medesima virtù maschia con tutta la sua forza, ma nello stesso tempo col fascino, con la tenerezza e la pietà di sposa e di madre, si ritrovava nel cuore di Anna Maria.Se alle volte sentiva qualche moto di risentimento, sapeva reprimerlo così bene, che dalle sue labbra uscivano solo queste parole di benedizione: « Che Dio vi faccia tutti santi ». Nella morte del suo virtuoso sposo,avvenuta nell'agosto del 1727 , si dimostrò donna veramente forte. Da allora in poi, nonostante le sue continue sofferenze, ella porterà da sola e senza venir meno il peso della numerosa famiglia. Dopo una bimba che visse solo tre giorni, l'anno seguente nacque il nostro Paolo. I genitori di questo prediletto fanciullo poterono intravedere i segreti disegni della Provvidenza. La sua nascita, che avvenne quando era ancora buio, fu accompagnata da una luce misteriosa così risplendente, che le lampade parvero spente, Paolo fu battezzato il giorno dell'Epifania. Per questa madre che potrebbe esser modello di tutte le altre, la migliore educazione è quella eminentemente cristiana. Ella gli insegnò a conoscere Iddio, ad amarlo, a servirlo; Così nacque in lui quel gusto per la solitudine che non lo lascerà più per tutta la sua vita. Il ricordo di una madre così virtuosa restò profondamente scolpito nel cuore di Paolo; Fuggendo i giuochi dell'infanzia, in compagnia del fratellino Giovanni Battista che fu, come vedremo, il suo compagno fedele nella vita e nelle fatiche apostoliche, metteva tutto il suo piacere ad innalzar altarini con l'immagine di Gesù Bambino e della Madonna ed adornarli di fiori. Là passava lunghe ore, recitando il Rosario, pia pratica che mantenne per tutta la vita. Un giorno, mentre pagava questo tributo d'amore alla Madre del cielo, gli apparve un piccolo fanciullo, di bellezza incantevole: era Gesù stesso che voleva così ricompensare l'amore di Paolo. Ma anche la Madonna sì a lui che al fratello, Gian Battista, volle dare un segno straordinario di protezione. Mentre una volta da Ovada si recavano a Cremolino, ove i loro genitori avevano quasi un secondo domicilio, caddero, non si sa come, nell'Olba (20). Le acque sono profonde, la corrente è rapida e i due giovanetti, trasportati dalla corrente, sono vicini a perire. Ma all'improvviso ecco apparire una bellissima Signora, piena di maestà e di grazia che, camminando sopra le acque, stende loro la mano, li strappa dai flutti e li libera dalla morte. Questo segnalato favore infiammò maggiormente il cuore di Paolo alla riconoscenza ed all'amore verso la sua Liberatrice e quel celeste Bambino, la cui bellezza lo aveva rapito. Era ancora in tenera età e Dio già gli comunicava grandi lumi, il dono delle lacrime e quello d'orazione. Ignorando il metodo della meditazione e unicamente guidato dallo spirito del Signore, Paolo faceva frequenti e lunghe riflessioni sulla Passione di Gesù Cristo, di cui così spesso aveva sentito parlare dalla mamma che, senza saperlo, ispirandogli quella devozione, preparava le vie della Provvidenza divina. Il santo giovane, fissando il suo sguardo sull'immagine di Gesù Crocifisso, cominciava a considerare le crudeli sofferenze del Redentore e, a quella vista, non poteva trattenere le lacrime. Così Gesù stesso lo prepara adagio e da lontano alla sua provvidenziale missione: gli offre un'irresistibile attrattiva per la sua Passione e incomincia a dargli frequenti visioni della sua vita, dei suoi dolori e della sua morte. Si mostra a Paolo con la fronte coronata di spine, col volto livido, col corpo straziato da piaghe sanguinanti, con la carne a brandelli. Giovanissimo, sapeva mortificare tutti i suoi gusti e macerare il suo corpo. Usciva segretamente dal suo letto e prendeva il suo riposo sopra una tavola per assomigliarsi al Salvatore che, nella sua ultima agonia, non ebbe altro letto che il legno della croce. Spesso, in ginocchio, nel silenzio della notte, meditava le crudeli sofferenze di Gesù Crocifisso. Il venerdì soprattutto s'imponeva speciali penitenze: per tutto il giorno aveva lo spirito assorto nelle sofferenze del suo Dio; a tavola si vedeva mesto, pallido, con gli occhi pieni di lacrime, si riusciva a stento a fargli mangiare un pezzo di pane che bagnava col pianto. Usando delle corde, si era fatto uno strumento di penitenza col quale batteva il suo corpo innocente. Fu tale il suo spirito di penitenza e di orazione, da comunicarlo anche al fratello Gian Battista. La Passione di Gesù era, dunque, sempre presente allo spirito del nostro Santo e già fin d'allora voleva esserne apostolo. Spesso adunava nella sua camera i suoi fratellini e sorelline e parlava loro della Passione con una forza ed una unzione sorprendenti per la sua età (23). I suoi uditori ne erano commossi e vedendolo piangere, piangevano con lui. Verso la fine del 1709 la famiglia Danei da Ovada si trasferì nelle vicinanze di Genova (Campo Ligure) . Nella nuova dimora il nostro santo giovane non diminuì né il fervore, né il numero delle sue pratiche di pietà. Paolo aveva del sacerdozio un concetto così alto, che non osava aspirare a quella dignità. In seguito accetterà di essere ministro di Gesù Cristo, ma solo per obbedienza. Il suo unico e grande desiderio era di nascondersi in un deserto o in una solitudine inaccessibile e vivere alla maniera degli antichi anacoreti. Paolo non si lasciò trascinare dal fervore giovanile. Dotato di rara saggezza, si affidò interamente alle direttive del parroco e nella voce del suo Direttore riconobbe quella di Dio. Aspettò così l'ora di Dio che ben presto suonerà.Mentre Paolo nel fervore della sua vita, gustava le dolcezze dell'amore divino, il demonio scatenò contro di lui la più terribile tentazione. Dubbi contro la fede lo assalirono: non più serenità nel suo spirito; non più soavità inferiore, ma il turbamento, l'agitazione, la perplessità. Non sapendo come difendersene, Paolo cercava rifugio in chiesa; là, davanti al SS. Sacra mento effondeva il suo dolore ai piedi del Maestro divino, appoggiando la sua testa stanca alla balaustra. Noi non sappiamo quanto durasse questa prova, sappiamo però che il giorno della Pentecoste mentre egli era sotto il peso della più forte crisi e implorava ardentemente l'aiuto divino, sentì improvvisamente la sua anima elevarsi ad altissima orazione. Lo Spirito divino illuminò la sua intelligenza e ogni nube si dissipò. Da quel momento la sua fede non ebbe più il minimo attacco. Il freddo, il caldo, la fame, la sete, tutti i dolori del corpo gli sembravano così dolci e lo colmavano di tanta gioia, che li chiamava pegni di amore del suo Dio, pietre preziose del suo cuore. Non contento di flagellare, di martirizzare in ogni modo le sue membra innocenti, prese un giorno un ferro rovente e incise nel lato sinistro del suo petto una croce col santo Nome di Gesù, stigma immortale che lo seguì nell'eternità. Il divino sposo della sua anima, gli dava una sublime conoscenza dei più
segreti misteri del cielo. Un giorno possedendo Gesù Eucaristia nel suo cuore e profondamente raccolto, sentì ad un tratto la sua anima rapita in Dio unita dal legame di amore della santissima Umanità di Gesù Cristo e nello stesso tempo, innalzata a una conoscenza altissima e molto sensibile della divinità.... Nel Bene sommo, infinito gustò un istante le inenarrabili attrattive del santo amore. Questa unione e questa conoscenza arricchirono la sua anima di sapienza celeste; comprese tra le altre cose che il divin Crocifisso è la porta per la quale l'anima entra nel tempio del santo amore, arriva alla trasformazione in Dio e si perde nell'Infinito. Comprese anche come dal puro amore di Dio l'anima, per così esprimersi, ritorna a Gesù Crocifisso. Questo segreto lo penetrò con tale profondità, che ne seppe parlare con linguaggio divino. L'amore per Gesù Crocifisso investì talmente il nostro Santo, da riportarne segni sensibili anche nel corpo. Il suo volto era alle volte così acceso che pareva tramandasse raggi di luce; il cuore era tanto infuocato, da lasciare abbrustoliti, come se fossero stati avvicinati al fuoco, gl'indumenti che vi stavano a contatto. Se questo era, diciamo così, il focolaio del suo amore, quale sarà stata la sua intensità? E' ben documentato il fatto di quella misteriosa palpitazione che, specialmente il venerdì, si manifestava con particolare violenza. Crescendo con l'amore la violenza dei palpiti, il suo cuore non potè più contenersi entro i suoi limiti e nel punto dove Paolo aveva inciso il Nome di Gesù, si curvarono tre costole. Lo stesso medico curante si meravigliò di quel fenomeno che non poteva spiegarsi naturalmente, ma solo con un amore di violenza eccezionale. Tra le sue devozioni il Servo di Dio aveva quella di passare la notte dal giovedì al venerdì santo davanti a Gesù Sacramentato per tutto il tempo che restava esposto nel Sepolcro, rimanendo sempre in ginocchio, immobile, meditando le sofferenze e la morte del Salvatore. Un venerdì santo, mentre davanti al sepolcro effondeva il suo amore con abbondanti lacrime, fu rapito in estasi piena di dolori e di gioie. Gesù gl'impresse nel cuore un segno simile a quello che portava sul petto, con gli strumenti della Passione e insieme i dolori della Madonna. Da quel momento gli si sollevarono anche le costole. La vita di Paolo divenne così un continuo prodigio. Il corpo divenne per lui una pesante catena che teneva schiava la sua anima. Oh, come avrebbe voluto spezzarla e spiccare il volo verso l'unico centro della sua vita, Gesù Cristo, al quale lo sospingeva una forza irresistibile! Quest'infuocata preghiera che il Servo di Dio avrà rivolta chi sa quante volte a Colui che disse: — Chi ha sete, venga a me... — poteva non essere esaudita? E Gesù l'esaudì più di quanto Paolo desiderava. Un giorno, avendo ricevuto una partecipazione più abbondante delle sofferenze della Passione, sentì quei palpiti più violenti del solito e la sua sete ancora più ardente. Torrenti di lacrime non furono più sufficienti a refrigerarlo. Pensando che non avrebbe più la forza di sopportare lungamente questo martirio, cercò un ristoro ai suoi ardori, un sostegno ai suoi languori mortali. Cadde in ginocchio davanti a un grande Crocifisso e, non potendo resistere alle sue angosce, supplicò lo sposo divino di nasconderlo nelle sue piaghe adorabili. O Dio d'amore, che non fate voi per l'amore? In quell'istante la santa immagine si trasfigura...! Al suo posto appare Colui che essa rappresenta, Gesù Crocifisso, che stacca le sue braccia dalla croce, le abbassa verso Paolo che gli va incontro estatico, lo stringe alla piaga del S. Costato e lo disseta a quella sorgente di vita, inebriando la sua anima delle più segrete delizie del cielo. Il Santo stette in estasi tre ore e, per tutto quel tempo, confidò a un'anima pia, gli parve di essere in paradiso.Durante i suoi viaggi apostolici o quando andava a visitare i conventi, gli sembrava che tutte le creature fossero altrettante voci che l'invitavano ad amare Iddio. Alla vista dei fiori che smaltano i prati e i campi, il suo volto s'infiammava e, come se non avesse potuto sopportare gl'inebrianti trasporti che il loro canto d'amore eccitava in lui, toccava quei fiorellini col suo bastone e diceva: « Tacete, tacete ». Volendo comunicare anche ad altri i suoi sentimenti, insegnava: « Se andate in giardino e vedete dei fiori, domandate ad uno di essi: Chi sei tu? Non vi risponderà certamente: sono un fiore, no, ma vi dirà: sono un predicatore; predico la potenza, la sapienza, la bontà, la prudenza del nostro grande Iddio. Immaginatevi che vi dia tale risposta e lasciate che il vostro cuore rimanga penetrato e imbevuto interamente ». Ripresa la via romana, quasi volesse infiammare di amore tutti gli uomini dell'universo, diceva a coloro che incontrava: « Fratelli, amate Iddio, amate Iddio che lo merita tanto! Non sentite che anche le foglie degli alberi vi dicono di amare Dio? O amore di Dio! 0 amore di Dio!» (15). I Religiosi del Ritiro di S. Angelo sospiravano da molto tempo di rivedere il loro amatissimo Padre per la cui prolungata assenza erano in viva trepidazione. Il buon Padre volle contentarli, ma appena li ebbe abbracciati, fu assalito da febbre violenta, sintomo di un'acuta malattia. Chiamato il medico, il malato si mise nelle sue mani con la docilità di un fanciullo, assoggettandosi alla cura prescritta, pur sapendo, per esperienza, che era contraria al suo temperamento. I rimedi infatti gli cagionarono tale rivoluzione nell'organismo, che si risvegliarono con violenza i dolori di gotta, di sciatica e di reumatismo. Ne aveva sofferto di tanto in tanto gli attacchi, ma questa volta lo martirizzarono crudelmente senza tregua per quaranta giorni. Arrivò al punto, che il povero vecchio non poteva sopportare neppure il più leggero nutrimento. Più volte e per l'età avanzata e per la gravita del male si temette di perderlo. Ma le sofferenze del corpo erano un nulla in confronto alle torture dell'anima, agli orribili abbandoni da parte di Dio e ai furiosi assalti da parte del demonio. La Provvidenza spesso si serve anche del demonio per formare i suoi santi; Sapendo Iddio che Paolo era un generoso atleta, lo scelse per umiliare il genio superbo di Satana che freme di rabbia quando si vede vinto da una debole creatura. Per prepararlo al combattimento il Signore disse un giorno al nostro Santo nel segreto dell'anima: «Ti voglio far calpestare dai diavoli ». Gli spiriti maligni, per vendicarsi della santità di Paolo che tanto l'irritava, approfittarono largamente del permesso avuto da Dio per scaricargli addosso tutto il loro furore. Gli attacchi satanici, sempre ispirati da una malizia profonda, rivestono talvolta degli andamenti rumorosi, meschini e puerili. Spesso, dunque, i demoni apparivano al nostro Santo sotto forme orribili di gatti selvatici, di mastini arrabbiati, di uccellarci da preda. Per rendere più dolorose le loro vessazioni, sapevano abilmente cogliere le occasioni: il tempo delle sue malattie e degli abbandoni divini. Nella terribile malattia che soffrì ad Orbetello furono così atroci i dolori, che per quaranta giorni e altrettante notti non potè chiudere occhio. Una notte, calmati un poco i dolori, incominciò ad assopirsi. Fu un riposo brevissimo: improvvisamente il diavolo si mise ad aprire e chiudere con violenza uno scaldaletto che stava in camera. Il povero malato si svegliò e armato di pazienza, preso il bastoncello che aveva vicino al letto, e rivolto verso il demonio, minacciandolo disse: « Questa è quella notte che ti spezzo le corna». Satana nel suo orgoglio ne fu sconcertato e prese la fuga, lasciandolo per un po' di tempo senza più molestarlo. Un'altra volta il Santo stava a letto tormentato dalla gotta. Il demonio per farlo soffrire più crudelmente, gli afferrò il pollice del piede che era il più addolorato e glielo torse con tanta violenza, che il Servo di Dio credette provare un tormento d'inferno . Nel luglio del 1770, mentre stava lavorando col più grande zelo per fondare le religiose della Passione, il demonio gli cagionava le più penose insonnie. Una notte, essendosi alzato un pochino perché non dormiva, una mano invisibile gli afferrò la testa e la batté con forza contro il muro. Il rumore fu così forte, che svegliò perfino l'infermiere nella camera vicina. Alla domanda rivoltagli dal confessore, come stesse, Paolo rispose sorridendo: « Iddio non permette che le operazioni del demonio facciano molto nocumento, ma del bene non te ne fanno ». E continuò: «.Adesso al diavolo scotta questo Monastero». Qualche volta lo levavano a forza dal suo letto e trascinandolo lontano dalla camera, gli dicevano: «.Tu sei venuto a tormentarmi... mi hai rubato già un grande numero di anime...! ». Le sue meditazioni sulla Passione cagionavano ad essi le più profonde ferite; dovettero confessarlo per bocca di un ossesso mentre veniva esorcizzato da un santo sacerdote. Detto che la Messa del P. Paolo era la loro tortura, furono interrogati se ci fosse qualche altra cosa che tanto scottasse nel Servo di Dio. Il demonio con un grido di rabbia rispose: «La Passione..., la Passione....' » (12). Durante la notte battevano il suo corpo con sì terribili colpi, che, fatto giorno, si trovava il pover'uomo pallido in volto, con le gambe livide e costretto arimanere a letto senza potersi muovere. Accadde pure di vederlo arrivare in convento quasi trascinandosi. Un giorno, mentre si recava al Monte Argentario, giunto alla Feniglia, ai piedi del monte, fu assalito in forma visibile dai demoni che gli fecero ala, ma nel passare in mezzo, lo battevano crudelmente con verghe. Non è possibile raccontare tutti i maltrattamenti che il terribile nemico fece al nostro Santo, l'importante però è questo, che più diminuiva le forze al suo corpo e più aumentava
il vigore della sua anima. Il nostro apostolo diventava sempre più ardente nel combattimento; Satana gli dava occasione di affilare sempre più la spada contro se stesso. Per timore che in tali circostanze gli sfuggisse qualche parola d'impazienza, se ne stava solo e chiuso nel suo silenzio, soffriva tutto per amor di Dio, benché la tentazione lo provocasse orribilmente e alla bestemmia e al suicidio e alla disperazione. Parlando col suo direttore gli disse un giorno che era stato tentato fortemente di gettarsi dalla finestra. Ma gli sforzi maggiori i demoni li facevano suscitandogli dubbi intorno alla sua salvezza. Ma tutte queste tentazioni non facevano che moltiplicare i suoi meriti, le sue corone e nello stesso tempo renderlo un abilissimo maestro nell'arte di dirigere le anime. Per circa cinquantanni Dio lasciò Paolo nelle tenebre, nelle aridità, nelle desolazioni interne le più dolorose; soltanto a rari intervalli faceva discendere nella sua anima un raggio di cielo, come nella prigione dei martiri. Volendo essere cercato con premura e con desiderio ardente dal suo Servo, il Signore, dopo avergli fatto gustare le più ineffabili gioie, gli aveva sottratto le sue comunicazioni e l'abbondanza dei suoi lumi. Sì, abitava in fondo al suo cuore e Paolo non ne dubitava, ma, fenomeno misterioso dei santi! a Paolo sembrava che Iddio fosse fortemente irritato contro di lui. Era il culmine della Passione, l'ultimo tratto di rassomiglianza con Gesù nell'abbandono del Calvario. La pace, la luce, l'amore, tutto pareva che fosse sparito! La sua anima era immersa in un oceano di tristezza, era avvolta nell'oscurità. Paolo non vedeva più Iddio nella sua anima, non lo sentiva più nel suo cuore. La fede viva di una volta sembrava svanita in una notte di fitte tenebre. Pareva che il cielo non fosse più per lui e l'inferno gli si aprisse sotto i piedi. Senza appoggio né in cielo, né in terra, invocava un sostegno, implorava un raggio di luce...! Era stato tormentato dai demoni, perseguitato dagli uomini, provato da Dio con dolorose infermità, ma non era questa la parte più acuta delle sue pene; la spada che maggiormente feriva il suo cuore, la suprema agonia della sua anima era il timore di aver perduto il suo Dio, di non più vedere il suo volto divino. Ormai la vita del nostro Santo è amore senza combattimento; pace senza timore; luce senz'ombra. Non ci sono più nubi che turbino la costante serenità della sua anima; si direbbe l'aurora di quella gloria e di quella felicità che non conosce tramonto. Seduto nella sua poltrona o steso sul suo giaciglio, Paolo faceva chiudere la porta e la finestra della sua camera; si vedeva chiaro che la sua conversazione era con Dio. Ma quelli che domandavano di vederlo erano in sì gran numero, che spesso i religiosi, quantunque a malincuore, erano obbligati ad introdurre or l'uno or l'altro, soprattutto ecclesiastici e persone di riguardo. Il venerando vecchio, senza dare il minimo segno di noia, accoglieva tutti con affabilità, ma l'argomento della conversazione, chiunque fosse il personaggio, anche se alti prelati, scivolava spontaneamente alla Passione di Gesù che il Santo proponeva e raccomandava con grande zelo come l'alimento più sostanzioso della loro vita spirituale; e perché l'insegnamento fosse più fruttuoso, dava in dono un piccolo crocifisso. Il buon vecchio, dal canto suo, quando era richiesto di una loro visita, accettava tanto volentieri quasi per trasfondere nelle loro anime il suo zelo. In questi incontri alle volte diceva: « Abituatevi figliuoli, a soffrire per amore di Gesù ed eccitate in voi il desiderio di spargere il sangue e dare la vita per la sua fede ». Senza questa preparazione che doveva essere di tutti i giorni, non avrebbero potuto avere, all'occorrenza, il coraggio dei martiri. Altre volte domandava con grande tenerezza se volevano bene alla Madonna. Avuta la risposta affermativa, Paolo proseguiva: « Oh, amatela, amatela sempre più, perché è la nostra Madre che ci ha dato la vita ai piedi della Croce. Ricordatevi spesso, figliuoli, dei suoi dolori e compatitela con grande affetto ». Finché gli ressero le ultime forze volle salire il santo altare per la celebrazione della Messa nella cappellina attigua alla sua cella; non potendo più, ascoltava quella che celebrava un religioso dalla voce chiara e distinta, contentandosi di ricevere il pane della vita. Però il 15 giugno, festa delCorpus Domini, non potè trattenersi e, sostenuto dallo sforzo supremo del suo amore, volle celebrare egli stesso. Fu la sua ultima Messa; la sua vita sacerdotale non si poteva chiudere meglio. Da quel giorno la sua debolezza andò sempre crescendo fino alla morte. In mezzo a tutte queste sofferenze come era edificante vederlo conservare la serenità del volto e la tranquillità dello spirito! «lo non voglio né vivere, né morire, diceva affabilmente, ma solo quello che vuole il mio buon Dio ». Se qualche religioso mostrava compassione del suo stato, il santo vecchio dopo aver ringraziato, proseguiva: « Dispiace a voi il mio male? a me per niente; io me ne sto nelle piaghe di Gesù-». Persuaso che il supremo sacrificio della vita non tarderebbe a compiersi, esclamava: «La terra chiama la terra»; e a chi gli augurava di guarire, rispose: « No, no ». Tanto era chiara la conoscenza che aveva delle disposizioni di Dio a suo riguardo. Vedendo il santo vecchio declinare ogni giorno più, il medico che temeva da un momento all'altro qualche crisi, suggerì che gli si amministrasse il santo viatico. Il buon Padre sapeva che la sua morte era ancora lontana, pure accolse con gioia il suggerimento e manifestò il desiderio di comunicarsi alla presenza di tutta la comunità raccolta intorno al suo letto. E alzando la sua mano scarna e tremante benedì i suoi figli che non potevano trattenere i singhiozzi. Poi rivolto verso il SS. Sacramento, aprendo le braccia in atto di dargli un tenerissimo abbraccio, esclamò: « Vieni, o Signore Gesù! » Si batté il petto con sentimenti di profondissima umiltà alle parole del sacerdote: « Domine, non sum dignus » e con la devozione di un serafino ricevette nel suo cuore l'amabilissimo Gesù. Dopo la S. Comunione tutti si ritirarono; il Santo aveva bisogno di silenzio per immergersi nell'adorazione e nel ringraziamento. Il sacerdote continua le preghiere: « Sollevati gli occhi al cielo, Gesù disse: Padre, è venuta l'ora, glorifica il tuo figlio ». Parevano riservate di proposito per questo momento. Il nostro Padre non dava più segni di vita, era volato al cielo, a contemplare Colui per il quale aveva tanto lavorato e tanto sofferto; era andato a raggiungere quel Gesù che nei suoi lunghi anni era stato l'unico oggetto del suo amore. Erano le 4 pomeridiane del 18 ottobre 1775, un mercoledì; aveva 81 anni 9 mesi e 15 giorni. I religiosi, come poveri orfani, si strinsero intorno a quel santo corpo, baciarono quelle mani che tante volte li aveva benedetti, posarono il loro capo su quel petto che era stato sì ardente di amore per Gesù Crocifisso, fiduciosi di attingervi quella pienezza di spirito che deve animare un figlio della Passione. Mentre il nostro Santo usciva dal mondo per entrare nell'eternità, la sua penitente, Rosa Calabresi, pregava a Cerveteri ritirata nella sua camera. Era tutta assorta in preghiera, quando all'improvviso vide la camera rischiarata da una luce straordinaria in mezzo alla quale un uomo elevato in aria, vestito con abiti sacerdotali e così risplendente, che non si poteva fissare. La chiamò tre volte: Rosa..., ma la giovane, temendo che si trattasse di qualche illusione diabolica, non rispose. Allora la persona che vedeva in mezzo alla luce disse espressamente: « Io son il P. Paolo; sono venuto a portarvi la nuova notizia che sono morto poco fa e adesso vado in cielo a godere Iddio...,
a rivederci in Paradiso ». Rosa gli disse che avesse pregato Iddio affinchè anch'essa fosse fatta degna di andare a goderlo in cielo. E la visione disparve. La notizia della morte del Ven. Padre si diffuse in un baleno per la città, strappando a tutti il grido: « E' morto il Santo ». Erano passate ormai parecchie ore dalla morte, eppure si conservava ancora così flessibile, che gli si faceva stringere con le mani oggetti di devozione. Visto che tramandava abbondante sudore dalla faccia, fu asciugato dai presenti, conservando poi quei fazzoletti come preziose reliquie. Tra i devoti che accorsero a venerare il santo Missionario vi fu Geltrude Marini che aveva un tumore maligno in una guancia. Aveva usato tutte le cure, ma a nulla giovarono e il male era andato peggiorando. Erano tre mesi che stava a letto tormentata giorno e notte. Appresa la morte del nostro Santo, fu esortata dalla madre e dalla sorella di andare anch'essa a visitarlo. Geltrude dopo qualche resistenza si lasciò persuadere e andarono alla basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, ma dovette aspettare parecchio prima di arrivare vicino alla salma. Finalmente però le riuscì di baciargli la mano e posar sopra di essa la guancia malata. All'improvviso risuonò per la basilica un grido: « Miracolo, miracolo ». Era perfettamente guarita. E come questo avvennero tanti altri miracoli. Rivestito di una nuova tunica perché la prima tagliata dai fedeli, il notaio, presente Mons. Marcucci, la comunità ed altre persone, stese l'atto di ricognizione. Il corpo era ancora perfettamente flessibile, tanto che alcune persone gli facevano chiudere senza la minima difficoltà la corona nelle mani. In questa circostanza si potè osservare il Nome di Gesù che il Servo di Dio si era impresso sul cuore con un ferro arroventato. Più di un testimonio fa notare con meraviglia la bellezza del suo volto che pareva mandasse raggi. Anche Mons. Vicegerente non si stancava di rimirarlo e a un certo punto esclamò: « Quanto è bello; quanto è bello!-».



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