Dice
Gesù:
«Ed ora vieni. Per quanto tu sia questa sera come uno prossimo a spirare, vieni, ché Io ti conduca verso le mie sofferenze. Lungo sarà il cammino che dovremo fare insieme, perché nessun dolore mi fu risparmiato. Non dolore della carne, non della mente, non del cuore, non dello spirito. Tutti li ho assaggiati, di tutti mi sono nutrito, di tutti dissetato, fino a morirne.
«Ed ora vieni. Per quanto tu sia questa sera come uno prossimo a spirare, vieni, ché Io ti conduca verso le mie sofferenze. Lungo sarà il cammino che dovremo fare insieme, perché nessun dolore mi fu risparmiato. Non dolore della carne, non della mente, non del cuore, non dello spirito. Tutti li ho assaggiati, di tutti mi sono nutrito, di tutti dissetato, fino a morirne.
Se
tu appoggiassi sul mio labbro la tua bocca, sentiresti che essa
ancora conserva l'ama rezza di tanto dolore. Se tu potessi vedere la
mia Umanità nella sua veste, ora fulgida, vedresti che quel fulgore
emana dalle mille e mille ferite che coprirono con una veste di
porpora viva le mie membra lacerate, dissanguate, percosse, trafitte
per amore di voi.
Ora
è fulgida la mia Umanità. Ma fu un giorno che fu simile a quella
d'un lebbroso, tanto era percossa ed umiliata. L'Uomo-Dio, che aveva
in Sé la perfezione della bellezza fisica, perché Figlio di Dio e
della Donna senza macchia, apparve allora, agli occhi di chi lo
guardava con amore, con curiosità o con occhio sprezzante, brutto:
un "verme", come dice Davide, l'obbrobrio degli uomini, il
rifiuto della plebe.
L'amore per il Padre e per le creature del Padre mio mi ha portato ad abbandonare il mio corpo a chi mi percoteva, ad offrire il mio volto a chi mi schiaffeggiava e sputacchiava, a chi credeva fare opera meritoria strappandomi le chiome, svellendomi la barba, trapassandomi la testa con le spine, rendendo complice anche la terra e i suoi frutti dei tormenti inflitti al suo Salvatore, slogandomi le membra, scoprendo le mie ossa, strappandomi le vesti e dando così alla mia purezza la più grande delle torture, configgendomi ad un legno e innalzandomi come agnello sgozzato sugli uncini di un beccaio, e abbaiando, intorno alla mia agonia, come torma di lupi famelici che l'odore del sangue fa ancora più feroci.
Accusato,
condannato, ucciso. Tradito, rinnegato, venduto. Abbandonato anche da
Dio perché su Me erano i delitti che m'ero addossato. Reso più
povero del mendico derubato da briganti, perché non mi fu lasciata
neppur la veste per coprire la mia livida nudità di martire. Non
risparmiato neppur oltre la morte dall'insulto di una ferita e dalle
calunnie dei nemici. Sommerso sotto il fango di tutti i vostri
peccati, precipitato sino in fondo al buio del dolore, senza più
luce del Cielo che rispondesse al mio sguardo morente, né voce
divina che rispondesse al mio invocare estremo.
Isaia
la dice la ragione di tanto dolore: "Veramente Egli ha preso su
di Sé i nostri mali ed ha portato i nostri dolori".
I
nostri dolori! Sì, per voi li ho portati! Per sollevare i vostri,
per addolcirli, per annullarli, se mi foste stati fedeli. Ma non
avete voluto esserlo. E che ne ho avuto? Mi avete "guardato come
un lebbroso, un percosso da Dio". Sì, era su Me la lebbra dei
vostri peccati infiniti, era su Me come una veste di penitenza, come
un cilicio; ma come non avete visto tralucere Dio, nella sua infinita
carità, da quella veste indossata per voi sulla sua santità?
"Piagato
per le nostre iniquità, trafitto per le nostre scelleratezze"
dice Isaia, che coi suoi occhi profetici vedeva il Figlio dell'uomo
divenuto tutta una lividura per sanare quelle degli uomini. E fossero
state unicamente ferite alla mia carne!
Ma
ciò che più m'avete ferito fu il sentimento e lo spirito. Dell'uno
e dell'altro avete fatto zimbello e bersaglio; e mi avete colpito
nell'amicizia, che avevo posto in voi, attraverso Giuda; nella
fedeltà, che speravo da voi, attraverso Pietro che rinnega; nella
riconoscenza per i miei benefici, attraverso coloro che mi gridavano:
"Muori!", dopo che Io li avevo risorti da tante malattie;
attraverso l'amore, per lo strazio inflitto a mia Madre; attraverso
alla religione, dichiarandomi bestemmiatore di Dio, Io che per lo
zelo della causa di Dio m'ero messo nelle mani dell'uomo
incarnandomi, patendo per tutta la vita e abbandonandomi alla ferocia
umana senza dire parola o lamento.
Sarebbe
bastato un volgere di occhi per incenerire accusatori, giudici e
carnefici. Ma ero venuto volontariamente per compiere il sacrificio,
e come agnello, perché ero l'Agnello di Dio e lo sono in eterno, mi
sono lasciato condurre per essere spogliato e ucciso e per fare della
mia Carne la vostra Vita.
Quando
fui innalzato ero già consumato da patimenti senza nome, con tutti i
nomi. Ho cominciato a morire a Betlemme nel vedere la luce della
Terra, così angosciosamente diversa per Me che ero il Vivente del
Cielo. Ho continuato a morire nella povertà, nell'esilio, nella
fuga, nel lavoro, nell'incomprensione, nella fatica, nel tradimento,
negli affetti strappati, nelle torture, nelle menzogne, nelle
bestemmie. Questo ha dato l'uomo a Me che venivo a riunirlo con Dio!
Maria,
guarda il tuo Salvatore. Non è bianco nella veste e biondo nel capo.
Non ha lo sguardo di zaffiro che tu gli conosci. Il suo vestito è
rosso di sangue, è lacero e coperto di immondezze e di sputi. Il suo
volto è tumefatto e stravolto, il suo sguardo velato dal sangue e
dal pianto, e ti guarda attraverso la crosta di questi e della
polvere che appesantiscono le palpebre. Le mie mani lo vedi? - sono
già tutte una piaga e attendono la piaga ultima.
Guarda,
piccolo Giovanni, come mi guardò tuo fratello Giovanni. Dietro il
mio andare restano impronte sanguigne. Il sudore dilava il sangue che
geme dalle lacerazioni dei flagelli, che ancor resta dall'agonia
dell'Orto. La parola esce, nell'anelito dell'affanno di un cuore già
moren- te per tortura d'ogni nome, dalle labbra arse e contuse.
D'ora
in poi mi vedrai sovente così. Sono il Re del Dolore e verrò a
parlarti del dolore mio con la mia veste regale. Seguimi, nonostante
la tua agonia. Saprò, poiché sono il Pietoso, mettere davanti alle
tue labbra, attossicate dal mio dolore, anche il miele profumato di
più serene contemplazioni. Ma devi ancor più preferire queste di
sangue, perché per esse tu hai la Vita e con esse porterai altri
alla Vita. Bacia la mia mano sanguinosa e vigila meditando su Me Redentore».
Vedo
Gesù così come Egli si descrive. Questa sera, dalle 19 in poi (sono
le 1,15 dell'11, ormai) sono proprio in agonia.
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