16
marzo 1945
La
via è tutta silenziosa. Solo una fontanella che ricade in un bacino
di pietra mette un suono in tanto silenzio. Lungo i muri delle case,
dal lato d'oriente, vi è ancora oscurità, mentre dall'altro lato la
luna comincia a fare bianco il sommo delle case e, dove la via
allarga in una piazzetta, ecco che il latteo argenteo della luna
scende a far belli anche i ciottoli e la terra della via. Ma sotto i
frequenti archivolti che vanno da casa a casa, simili a ponti levatoi
od a puntelli a queste vecchie case dalle scarsissime aperture sulle
vie, e che in quest'ora sono tutte chiuse e buie come fossero case
abbandonate, vi è l'oscurità perfetta, e il rossastro della torcia
portata da Simone acquista una singolare vivezza e un'ancora più
grande utilità. I visi, in quella luce rossa e mobile, si mostrano
con un rilievo netto e, tanti quanti sono, rivelano altrettanti e
diversi stati d'animo.
Il
più solenne e calmo è quello di Gesù. Per quanto una stanchezza lo
invecchi marcandolo di linee che solitamente non ha e che fanno già
apparire la futura effigie del suo volto ricomposto nella morte.
Giovanni,
che gli è al fianco, gira uno sguardo stupefatto, dolente, su tutto
quanto vede. Sembra un fanciullo terrorizzato da qualche racconto
udito o da qualche promessa paurosa e che invochi aiuto da chi sa di
più di lui. Ma chi gli può dare aiuto?
Simone,
che è all'altro fianco di Gesù, ha il viso chiuso, cupo, di chi
rimugina in sé pensieri atroci. Ed è ancora l'unico che, dopo Gesù,
mostri un aspetto dignitoso.
Gli
altri, in due gruppi che continuamente si alternano nella loro
formazione, sono tutto un fermento. E ogni tanto la voce rauca di
Pietro o quella baritonale di Tommaso si elevano con risonanza
strana. Poi si riabbassano, come paurosi di quello che dicono.
Discutono sul da farsi, e chi propone l'una e chi l'altra cosa. Ma
cadono tutte le proposte, perché realmente sta per iniziarsi "l'ora
delle tenebre" e i giudizi umani restano oscurati e confusi.
«Bisognava
dirmelo prima», arrangola Pietro. «Ma non uno ha parlato. Non il
Maestro...», dice Andrea. «Sì! Proprio Lui te lo diceva. Ma
fratello! Sembra che tu non lo conosca!...», gli risponde Pietro.
«Io
sentivo qualche cosa di turbato. E l'ho detto: "Andiamo a morire
con Lui". Ve lo ricor- date? Ma, per il nostro santissimo Iddio,
se avessi saputo che era Giuda di Simone!...», tuona Tommaso
minaccioso.
«E
che volevi fare?», chiede Bartolomeo. «Io? Io farei anche ora se mi
aiutaste!». «Cosa? Partiresti per ucciderlo? E dove?». «No.
Porterei via il Maestro. È più semplice». «Non verrebbe!». «Non
gli chiederei se verrebbe. Lo rapirei come si rapisce una donna».
«Non sarebbe una malvagia idea!», dice Pietro. E impulsivo torna
indietro, si mette nel gruppo dei due figli di Alfeo che con Matteo e
Giacomo bisbigliano piano come congiurati.
«Sentite,
dice Tommaso di portare via Gesù. Tutti insieme. Si potrebbe... dal
GetSamnì per Betfage a Betania e di là... vela per qualche posto.
Lo facciamo? Messo in salvo Lui, si torna e si stermina Giuda».
«È inutile. Israele è tutta una trappola», dice Giacomo d'Alfeo. «Ed ora è prossima a chiudersi. Lo si capiva. Troppo odio!». «Ma, Matteo! Mi fai rabbia! Avevi più coraggio quando eri peccatore! Di' tu, Filippo». Filippo, che viene solo solo e pare monologare fra sé, alza il viso e si ferma. Pietro lo rag- giunge e bisbigliano fra loro. Poi raggiungono il gruppo di prima: «Io direi che il posto migliore è nel Tempio», dice Filippo.
«Sei
matto?», urlano i cugini, Matteo e Giacomo. «Ma se là lo vogliono
morto!». «Sss! Quanto baccano! So quello che mi dico. Lo
cercheranno da per tutto. Ma non lì. Tu e Giovanni avete buone
amicizie fra i servi di Anna. Si dà un bel boccone d'oro... e tutto
è fatto. Credete! Il posto migliore per nascondere uno ricercato è
in casa dei carcerieri».
«Io
non lo faccio», dice Giacomo di Zebedeo. «Però, senti anche gli
altri. Giovanni per pri- mo. E se poi lo arrestano? Non voglio che si
dica che sono io il traditore...».
«Non
ci avevo pensato. E allora?». Pietro è annichilito. «E allora io
direi che è pietoso fare una cosa. L'unica che possiamo. Portare via
la Madre...», dice Giuda d'Alfeo.
«Già!...
Ma... Chi ci va? Che le si dice? Va' tu, parente». «Io resto con
Gesù. È mio diritto. Va' tu». «Io?! Mi sono armato di spada per
morire come Eleazaro di Saura. Traverserò legioni per difendere il
mio Gesù e colpirò senza ritegno. Se la forza dei più mi ucciderà,
non importa. Lo avrò difeso», proclama Pietro.
«Ma
sei proprio sicuro che è l'Iscariota?», chiede Filippo al Taddeo.
«Ne sono sicuro. Nessuno di noi ha cuore di serpe. Solo lui... Va'
tu, Matteo, da Maria e dille...».
«Io?
Ingannarla? Vederla al mio fianco ignara, e poi?... Ah! no. Sono
pronto alla morte, ma non a tradire quella colomba...».
Le
voci si mischiano in un sussurro. «Odi? Maestro, noi ti amiamo»,
dice Simone. «Lo so. Non ho bisogno di quelle parole per saperlo. E
se danno pace al cuore del Cristo esse feriscono la sua anima».
«Perché,
Signor mio? Sono parole d'amore». «Di tutto umano amore. In verità,
in questi tre anni non ho fatto nulla, perché voi siete ancora più
umani della prima ora. Lievitano in voi tutti i fermenti più
fangosi, questa sera. Ma non è colpa vostra...».
«Salvati,
Gesù!», geme Giovanni. «Mi salvo». «Sì? Oh! Mio Dio, grazie!».
Giovanni pare un fiore piegato da arsione e che torni fresco sullo
stelo. «Lo dico agli altri. Dove andiamo?».
«Io
alla morte. Voi alla Fede». «Ma non avevi detto ora che ti
salvavi?». Il prediletto si accascia di nuovo. «Mi salvo, infatti,
mi salvo. Se non ubbidissi al Padre mi perderei. Ubbidisco. Perciò
mi salvo. Ma non piangere così! Sei meno bravo dei discepoli di quel
filosofo greco di cui ti parlai un giorno. Essi rimasero presso il
maestro morente per cicuta, confortandolo col loro virile dolore.
Tu... tu sembri un pargolo che abbia perduto suo padre».
«E
non è forse così? Più che se perdessi il padre, io perdo! Perdo
Te...». «Non mi perdi poiché continui a volermi bene. È perduto
uno che è da noi separato dalla dimenticanza sulla Terra e dal
giudizio di Dio nell'aldilà. Ma noi non saremo separati. Mai. Né da
questo, né da quello».
Ma
Giovanni non intende ragioni. Simone si fa ancora più vicino a Gesù
e gli confida sottovoce: «Maestro... io... io e Simon Pietro
speravamo di fare qualche cosa di buono... Ma... Tu che sai tutto,
dimmi: fra quante ore pensi essere catturato?».
«Non
appena la luna è al colmo del suo arco». Simone ha un atto di
dolore e di impazienza, per non dire di stizza. «Allora tutto fu
inutile... Maestro, ora ti spiego. Tu hai quasi rimproverato me e
Simon Pietro per averti lasciato tanto solo in questi ultimi
giorni... Ma eravamo lontani per Te... per amore di Te. Pietro, nella
notte del lunedì, impressionato dalle tue parole, è venuto da me
mentre dormivo e mi ha det- to: "Io e te, di te mi fido,
dobbiamo fare qualche cosa per Gesù. Anche Giuda ha detto di
volersene occupare". Oh! perché non abbiamo capito allora?
Perché non ci hai detto nulla Tu? Ma, dimmi, a nessuno lo hai detto?
Proprio a nessuno? Forse lo hai compreso solo poche ore fa?».
«L'ho
sempre saputo. Prima ancora che egli fosse nei discepoli. E perché
il suo delitto non fosse perfetto, e nel divino e nell'umano, ho
cercato in tutti i modi di allontanarlo da Me. Colo- ro che vogliono
che Io muoia sono i carnefici di Dio. Questo, mio discepolo e amico,
è anche il traditore, il carnefice dell'Uomo. Il mio primo
carnefice, perché mi ha già fatto morto con lo sforzo di averlo al
fianco, alla mensa, e di doverlo proteggere con Me stesso contro
voi».
«E
nessuno lo sa?». «Giovanni. Gliel'ho detto alla fine della Cena. Ma
che avete fatto?». «E Lazzaro? Non sa proprio nulla Lazzaro? Oggi
fummo da lui, perché egli è venuto di prima mattina, ha sacrificato
ed è ripartito senza neppure fermarsi al suo palazzo né andare al
Pretorio. Perché lui ci va sempre, per consuetudine presa dal padre.
E Pilato, lo sai, c'è in città,in questi giorni...».
«Sì.
Tutti ci sono. C'è Roma, la nuova Sionne, con Pilato. C'è Israele
con Caifa ed Erode. C'è tutto Israele, perché la Pasqua ha raccolto
i figli di questo popolo ai piedi dell'altare di Dio... 5Hai visto
Gamaliele?».
«Sì.
Perché questa domanda? Lo devo rivedere anche domani...».
«Gamaliele questa sera è a Betfage. Lo so. Quando saremo giunti al
Getsemani tu andrai da Gamaliele e gli dirai: "Fra poco avrai il
segno che attendi da ventun anni". Null'altro. Poi tornerai coi
compagni».
«Ma
come lo sai? Oh! Maestro mio, povero Maestro che non hai neppure il
conforto di igno- rare le opere altrui!».
«Dici
bene! Il conforto di ignorare!. Povero Maestro! Perché sono più le
opere malvagie delle buone. Ma vedo anche quelle buone e ne giubilo».
«Allora
Tu sai che...». «Simone, è la mia ora di passione. Per renderla
più completa il Padre mi ritira la luce man mano che si approssima.
Fra poco non avrò che tenebre e la contemplazione di ciò che è
tenebre: ossia tutti i peccati degli uomini. Non puoi, non potete
capire. Nessuno, meno chi sarà a ciò chiamato da Dio per speciale
missione, comprenderà questa passione nella grande Passione e, poi
che l'uomo è materiale anche nell'amare e nel meditare, ci sarà chi
piangerà e soffrirà per le mie battiture, per le torture del
Redentore, ma non si misurerà questa spirituale tortura che,
credetelo voi che mi udite, sarà la più atroce... Parla, perciò,
Simone. Guidami sui sentieri dove la tua amicizia andò per Me,
perché Io sono un povero che accieca e che vede fantasmi, non cose
reali...».
Giovanni
lo stringe e chiede: «Che? Non vedi più il tuo Giovanni?». «Ti
vedo. Ma i fantasmi sorgono dalle nebbie di Satana. Visioni d'incubo
e dolore. Tutti siamo avvolti in questo miasma d'inferno, questa
sera. In Me cerca di creare viltà, disubbidienza e dolore. In voi
creerà delusione e paura. In altri, che pure non sono né paurosi né
delinquenti, darà delinquenza e pavidità. In altri, che già sono
di Satana, darà il pervertimento soprannaturale. Dico così perché
la loro perfezione nel male sarà tale da superare le umane pos-
sibilità e raggiungere il perfetto che è sempre nel sopraumano.
Parla, Simone».
«Sì.
Da martedì non facciamo che andare per sapere, per prevenire, per
cercare aiuti». «E che avete potuto fare?». «Nulla. O ben poco».
«E il poco sarà "nulla" quando la paura paralizzerà i
cuori». «Mi sono anche urtato con Lazzaro... La prima volta che mi
avviene... Urtato, perché mi parve inerte... Lui potrebbe fare. È
amico del Governatore. È sempre il figlio di Teofilo! Ma Lazzaro ha
respinto ogni mia proposta. L'ho lasciato urlando: "Io penso che
l'amico di cui parla il Maestro sia tu. Mi fai orrore!", e non
volevo più tornare da lui... Ma questa mattina egli mi ha chiamato e
detto: "Puoi ancora pensare che sia io il suo traditore?".
Io avevo già visto Gamaliele e Giuseppe e Cusa, e Nicodemo e
Mannaen, ed infine tuo fratello Giuseppe... e non potevo più credere
questo. Gli ho detto: "Perdona, Lazzaro. Ma mi sento la mente
sconvolta più di quando ero io stesso un condannato". Ed è
così, Maestro... Io non sono più io... Ma perché sorridi?».
«Perché
ciò conferma quanto Io ti ho detto prima. La nebbia di Satana ti
avvolge e turba. Che ha risposto Lazzaro?».
«Ha
detto: "Ti capisco. Vieni oggi, con Nicodemo. Ho bisogno di
vederti". E sono andato, mentre Simon Pietro è andato dai
galilei. Perché tuo fratello, lui, da tanto lontano, ne sa più di
noi. Dice che lo ha saputo per caso parlando con un vecchio galileo,
amico di Alfeo e Giuseppe, che abita vicino ai mercati».
«Ah!...
sì... Un grande amico della casa...». «Egli è là con Simone e le
donne. Vi è anche la famiglia di Cana». «Ho visto Simone».
«Ebbene, Giuseppe da questo suo amico e amico di uno del Tempio, che
è divenuto suo parente per donne, ha saputo che è decisa la tua
cattura e ha detto a Pietro: "Io l'ho sempre combattuto. Ma per
amore. E finché Egli era ancora forte. Ma, ora che diventa come un
bambi- no in preda dei suoi nemici, io, parente che sempre l'ho
amato, sono con Lui. È dovere di sangue e di cuore"».
Gesù
sorride, riavendo per un attimo il viso sereno delle ore di gioia. «E
Giuseppe ha detto a Pietro: "I farisei di Galilea sono aspidi
come tutti i farisei. Ma la Galilea non è tutta farisei. E qui sono
molti galilei che lo amano. Andiamo a dire loro di radunarsi per
difenderlo. Non abbiamo che i coltelli. Ma anche i bastoni sono armi,
se ben maneggiati. E, se non vengono le milizie romane, avremo presto
ragione di quella canaglia vile che sono gli sgherri del Tempio".
E Pietro è andato con lui. Io intanto andavo da Lazzaro. Con
Nicodemo. Avevamo deciso di persuadere Lazzaro a venire con noi e ad
aprire la sua casa per stare con Te. Ci ha detto: "Devo ubbidire
a Gesù e stare qui. A soffrire il doppio...". È vero?».
«È
vero. Io gli ho dato questo ordine». «Però mi ha dato le spade.
Sono sue. Una per me, una per Pietro. Anche Cusa voleva dar- mi le
spade. Ma... Che sono due pezzi di ferro contro tutto un mondo? Cusa
non può credere che sia vero quanto Tu dici. Giura che egli non sa
nulla e che nella corte non c'è che il pensiero di godere della
festa... Un bagordo come al solito. Tanto che egli ha detto a
Giovanna di ritirarsi in una loro casa in Giudea. Ma Giovanna vuole
rimanere qui. Chiusa nel suo palazzo, come se non ci fosse. Ma non si
allontana. E con lei Plautina, Anna, Niche e due dame romane della
casa di Claudia. Piangono, pregano e fanno pregare gli innocenti. Ma
non è tempo di preghiere. Di sangue è tempo. Io sento tornare vivo
lo "zelote" e ardo di uccidere per fare vendetta!...».
«Simone!
Se volevo farti morire maledetto, non ti levavo alla
desolazione!...». Gesù è severissimo.
«Oh!
perdono, Maestro... Perdono! Sono come un ebbro, un delirante». «E
Mannaen che dice?». «Mannaen dice che non può essere vero e che,
se lo fosse, egli ti seguirà anche nel supplizio».
«Come
tutti fidate di voi!... Quanta superbia è nell'uomo! E Nicodemo e
Giuseppe? Che sanno?».
«Nulla
più di me. Tempo fa in una assemblea Giuseppe si prese col Sinedrio,
perché li chiamò assassini volendo uccidere un innocente, e disse:
"Tutto è illegale qui dentro. Lui dice bene. L'abbominio è
nella casa del Signore. Questo altare va distrutto perché
profanato". Non lo lapidarono perché è lui. Ma da allora lo
hanno tenuto all'oscuro di tutto. Solo Gamaliele e Nicodemo gli si
sono conservati amici. Ma il primo non parla. E il secondo... Né lui
né Giuseppe furono più chiamati al Sinedrio per le decisioni più
vere. Esso si aduna illegalmente qua e là, ad ore diverse, per paura
di loro e di Roma. Ah! dimenticavo!... I pastori. Anche loro sono coi
gali- lei. Ma pochi siamo! Se Lazzaro avesse voluto ascoltarci e
venire dal Pretore! Ma non ci ascoltò... Questo abbiamo fatto...
Molto... e nulla... e io sono tanto accasciato che vorrei andare per
la campagna urlando come uno sciacallo, abbrutendomi in un'orgia,
uccidendo come un brigan- te, pur di levarmi questo pensiero che è
"tutto inutile", come ha detto Lazzaro, come ha detto
Giuseppe e Cusa e Mannaen e Gamaliele...». Lo Zelote non sembra più
lui...
«Che
ha detto il rabbi?». «Ha detto: "Io non so esattamente i
propositi di Caifa. Ma vi dico che solo per il Cristo è profetizzato
quanto dite. E siccome io non ammetto in questo profeta il Cristo,
non trovo ci sia da agitarsi. Verrà ucciso un uomo, buono, amico di
Dio. Ma di quanti suoi simili ha bevuto il sangue Sionne?!" E
poiché noi insistevamo sulla tua divina Natura, ha ripetuto
cocciuto: "Quando vedrò il segno, crederò". Ed ha
promesso di astenersi dal votare la tua morte, e anzi, se sarà
possibile, di persuadere gli altri a non condannarti. Questo, non
più. Non crede! Non crede! Se si potesse giungere a domani... Ma Tu
dici di no. 8Oh! che faremo noi?!».
«Tu
andrai da Lazzaro e cercherai di portare con te quanti più puoi. Non
solo degli apostoli. Ma anche dei discepoli che troverai vaganti per
le vie della campagna. Cerca di vedere i pastori e da' loro questo
ordine. La casa di Betania è più che mai la casa di Betania, la
casa della buona ospitalità. Quelli che non hanno coraggio di
affrontare l'odio di tutto un popolo si rifugino là. Ad
attendere...».
«Ma
noi non ti lasceremo». «Non vi separate... Divisi, sareste un
nulla. Uniti, sarete ancora una forza. Simone, pro- mettimi questo.
Tu sei pacato, fedele, hai parola e impero anche su Pietro. E hai un
grande obbligo con Me. Te lo ricordo per la prima volta, per importi
l'ubbidienza. Guarda, siamo al Ce- dron. Di lì sei salito a Me
lebbroso e di lì sei partito mondato. Per quello che ti ho dato,
dammi. Dallo all'Uomo ciò che Io ho dato all'uomo. Ora il lebbroso
sono Io...».
«Nooo!
Non lo dire!», gemono insieme i due discepoli. «Così è! Pietro, i
fratelli miei saranno i più accasciati. Come un delinquente si
sentirà l'one- sto mio Pietro e non avrà pace. E i fratelli... Non
avranno cuore di guardare la loro e la mia Madre... Te li
raccomando...».
«Ed
io, Signore, di chi sarò? A me non pensi?». «O mio fanciullo! Tu
sei affidato al tuo amore. È tanto forte che ti guiderà come una
madre. Non ti do ordine né guida. Ti lascio sulle acque dell'amore.
Sono in te un fiume tanto calmo e profondo che non mi mettono dubbio
sul tuo domani. Simone, hai inteso? Promettimi, promettimi!». È
penoso vedere Gesù tanto angosciato... Riprende: «Prima che vengano
gli altri! Oh! grazie! Sii benedetto!».
Tutto
il gruppo si riunisce. «Ora dividiamoci. Io salgo in alto, a
pregare. Con Me voglio Pietro, Giovanni e Giacomo. Voi rimanete qui.
E, se foste sopraffatti, chiamate. E non temete. Non vi sarà torto
un capello. Pregate per Me. Deponete odio e paura. Non sarà che un
attimo... e poi la gioia sarà piena. Sorridete. Che Io abbia nel
cuore i vostri sorrisi. E ancora grazie di tutto, amici. Addio. Il
Signore non vi abbandoni...».
Gesù
si separa dagli apostoli e va avanti, mentre Pietro si fa dare da
Simone la torcia dopo che questo ha acceso con essa degli sterpi
resinosi, che bruciano scoppiettando sul limite dell'uliveto e
spandendo un odore di ginepro. Mi fa pena vedere il Taddeo che guarda
con uno sguardo talmente intenso e doloroso Gesù che questo si volge
e cerca chi lo ha guardato. Ma il Taddeo si nasconde dietro a
Bartolomeo e si morde le labbra per frenarsi.
Gesù
fa un gesto con la mano, fra la benedizione e l'addio, e poi prosegue
il suo cammino. La luna, ormai ben alta, circonda della sua luce la
sua alta figura e pare renderla anche più alta, spiritualizzandola,
facendone più chiara la veste rossa e più pallido l'oro dei
capelli. Dietro a Lui affrettano il passo Pietro con la torcia e i
due figli di Zebedeo.
Proseguono
sino a raggiungere il limite della prima balza del rustico anfiteatro
dell'uliveto, a cui fa da entrata la piazzuola irregolare e da
gradinate le diverse balze che ascendono a scaglioni di ulivi sul
monte, poi Gesù dice: «Fermatevi, attendetemi qui, mentre Io prego.
Ma non dormite. Potrei avere bisogno di voi. E, ve lo chiedo per
carità, pregate! Il vostro Maestro è molto accasciato».
È
infatti di un accasciamento già profondo. Pare già aggravato da un
peso. Dove è più il virile Gesù che parlava alle folle, bello,
forte, dall'occhio dominatore, il pacato sorriso, la voce sonora e
bellissima? Pare già preso da un affanno. È come uno che ha corso o
che ha pianto. Ha una voce stanca e affannata. Triste, triste,
triste...
Pietro
risponde per tutti: «Sta' tranquillo, Maestro. Vigileremo e
pregheremo. Non hai che chiamarci, che verremo».
E
Gesù li lascia, mentre i tre si curvano a radunare foglie e sterpi
per fare un fuocherello che serva a tenerli desti e anche a
combattere la guazza che comincia a scendere abbondante.
Cammina,
volgendo loro le spalle, da occidente a oriente, avendo perciò in
faccia la luce lunare. Vedo che un grande dolore fa ancor più
dilatato l'occhio, forse è un bistro di stanchezza che lo allarga,
forse è l'ombra dell'arco sopraccigliare. Non so. So che ha l'occhio
più aperto e incavato. Sale a testa china, solo ogni tanto la alza
con un sospiro, come facesse fatica e anelasse, e allora gira il suo
occhio tanto triste sul placido uliveto. Fa qualche metro in salita,
poi gira intorno ad uno scaglione, che rimane così fra Lui e i tre
lasciati più in basso.
Lo
scaglione, alto pochi decimetri all'inizio, sale sempre più e dopo
poco è alto più di due metri, di modo che ripara completamente Gesù
da ogni sguardo più o meno discreto e amico. Gesù prosegue sino ad
un grosso masso che ad un certo punto sbarra il sentieruolo, forse
messo a sostegno alla costa che in giù scoscende più ripida e nuda
sino ad una desolata macia, che precede le mura oltre le quali è
Gerusalemme, e in su continua a salire con altri balzi e altri ulivi.
Proprio sopra al grosso sasso si spenzola un ulivo tutto nodoso e
contorto. Pare un bizzarro punto interrogativo messo dalla natura a
chiedere qualche perché. I rami folti sulla cima danno risposta alla
domanda del tronco, dicendo ora di sì col piegarsi verso terra, ora
di no dimenandosi da destra a manca, sotto un vento lieve che passa a
ondate fra le fronde e che a volte sa soltanto di terra, a volte di
quell'odore amarognolo dell'ulivo, alle volte di un misto profumo di
rose e mughetti che non si sa da dove possa venire. Oltre il
sentieruolo, in basso, sono altri ulivi, ed uno, proprio sotto al
masso, fenduto da qualche fulmine eppure sopravvissuto, o scosciato
per non so che causa, ha del tronco iniziale fatto due tronchi che
salgono come le due aste di un grande V in stampatello, e le due
chiome si affacciano al di qua e al di là del masso, come volessero
vedere e velare nello stesso tempo, o fare ad esso masso una base di
un grigio argento tutto pace.
Gesù
si ferma lì. Non guarda la città che appare là in basso, tutta
bianca nella luce lunare. Anzi le volge le spalle e prega a braccia
aperte a croce, col volto alzato verso il cielo. E non vedo il volto
suo perché è nell'ombra, avendo la luna quasi a perpendicolo sul
capo, è vero, ma anche la folta ramaglia dell'ulivo fra Lui e la
luna, che appena filtra fra foglia e foglia con oc- chiellini ed aghi
di luce in perpetuo movimento. Una lunga, ardente preghiera. Ogni
tanto ha un sospiro e qualche parola più netta. Non è un salmo, non
è il Pater. È una preghiera fatta dallo sgorgare del suo amore e
del suo bisogno. Un vero discorso fatto al Padre suo. Lo comprendo
per le poche parole che afferro: «Tu lo sai... Sono il tuo Figlio...
Tutto, ma aiutami... L'ora è venuta... Io non sono più della Terra.
Cessa ogni bisogno di aiuto al tuo Verbo... Fa' che l'Uomo ti
soddisfi come Redentore come ti fu ubbidiente la Parola... Ciò che
Tu vuoi... Per loro ti chiedo pietà... Li farò salvi? Questo ti
chiedo. Voglio così: dal mondo salvi, dalla carne, dal demonio...
Posso chiedere ancora? È giusta domanda, Padre mio. Non per Me. Per
l'uomo, che è tua creazione e che volle rendere fango an- che la sua
anima. Io getto nel mio dolore e nel mio Sangue questo fango, perché
torni l'incorruttibile essenza dello spirito a Te gradito... Ed è
dovunque. Egli è il re questa sera. Nella reg- gia e nelle case. Fra
le milizie e nel Tempio... La città ne è colma, e domani sarà un
inferno...». Gesù si volge, si appoggia con la schiena al masso e
incrocia le braccia. Guarda Gerusalemme. Il viso di Gesù si fa
sempre più mesto. Mormora: «Pare di neve... ed è tutta un peccato.
Anche in essa quanti ho guarito! Quanto ho parlato!... Dove sono
quelli che mi parevano fedeli?»...
Gesù
curva il capo e guarda fisso il terreno coperto di una erbetta corta
e lucida di guazza. Ma, per quanto abbia il capo chino, comprendo che
piange, perché delle gocce lucono nel cadere dal volto al suolo. Poi
alza il capo, disserra le braccia, le congiunge tenendole al disopra
del capo e agitandole così unite. Poi si incammina. Torna verso i
tre apostoli seduti intorno al loro fuocherello di sterpi. E li trova
mezzo addormentati. Pietro si è addossato ad un tronco con le spalle
e, con le braccia conserte sul petto, ciondola con la testa nelle
prime caligini di un robusto sonno. Giacomo è seduto, con il
fratello, su un radicone che affiora e sul quale hanno messo i
mantelli per sentirne meno le gobbe, ma, nonostante siano scomodi più
di Pietro, sono anche loro sonnecchianti. Giacomo ha abbandonato la
testa sulla spalla di Giovanni e questo ha piegato la sua su quella
del fratello, come se il dormiveglia li avesse immobilizzati in
quella posa.
«Dormite?
Non avete saputo vegliare un'ora sola? Ed Io ho tanto bisogno del
vostro conforto e delle vostre preghiere!».
I
tre sobbalzano confusi. Si sfregano gli occhi. Mormorano una scusa,
accusando lo sforzo del digerire come causa prima di questo loro
sonnecchiare: «È il vino... il cibo... Ma ora passa. Un momento è
stato. Non avevamo voglia di parlare e questo ci ha portati al sonno.
Ma ora pregheremo a voce alta e non succederà più».
«Sì.
Pregate e vigilate. Anche per voi ne avete bisogno». «Sì, Maestro.
Ti ubbidiremo». Gesù torna via. La luna che gli batte in volto,
così forte nel suo chiarore d'argento che rende sempre più pallida
la veste rossa come la velasse di una polvere bianco lucente, mi fa
vedere il suo volto sconfortato, addolorato, invecchiato. Lo sguardo
è sempre dilatato, ma pare appannato. La bocca ha una piega di
stanchezza.
Torna
al suo masso ancor più lento e curvo. Si inginocchia appoggiando le
braccia al masso, che non è liscio ma a mezza altezza ha come un
seno, quasi fosse stato lavorato apposta così, e su questo breve
seno è nata una pianticina, che mi pare di quei fioretti simili a
piccoli gigli che ho visto anche in Italia, dalle fogliette piccole,
tonde ma dentellate agli orli e polpute e i fiorellini minuti sugli
esilissimi steli. Sembrano piccoli fiocchi nevosi spruzzanti il
grigio del masso e le fogliette verde scuro. Gesù appoggia le mani
lì presso e i fiorellini gli vellicano la guancia, perché Egli
appoggia il capo sulle mani giunte e prega. Dopo un poco sente il
fresco delle piccole corolle, alza il capo. Le guarda. Le carezza.
Parla loro: «Voi siete pure!... Voi mi date ristoro! C'erano anche
nella grotticella della Mamma questi fiorellini... e Lei li amava
perché diceva: "Quando ero piccina, diceva mio padre: 'Tu sei
un giglio così piccino e tutto pieno di rugiada celeste'"... La
Mamma! Oh! Mamma mia!». Ha uno scoppio di pianto. Col capo sulle
mani congiunte, ricaduto un poco sui calcagni, lo vedo e l'odo
piangere, mentre le mani stringono le dita e le tormentano l'una
all'altra. Sento che dice: «Anche a Betlemme... e te li ho portati,
Mamma. Ma questi, chi te li porterà più?...».
Poi
riprende a pregare e a meditare. Deve essere ben triste la sua
meditazione, ango- sciosa più che triste, perché per sfuggirla Egli
si alza, va avanti e indietro mormorando parole che non afferro,
alzando il volto, abbassandolo, gestendo, passandosi sugli occhi,
sulle gote, sui capelli, le mani con mosse macchinali e agitate,
proprie di chi è in grande angoscia. Dirlo non è niente.
Descriverlo è impossibile. Vederlo è andare nella sua angoscia.
Gestisce
verso Gerusalemme. Poi torna ad alzare le braccia verso il cielo come
per invocare aiuto. Si leva il mantello come avesse caldo. Lo
guarda... Ma che vede? I suoi occhi non guardano altro che la sua
tortura, e tutto serve a questa tortura, ad aumentarla. Anche il
mantello tessuto dalla Madre. Lo bacia e dice: «Perdono, Mamma!
Perdono!». Pare lo chieda alla stoffa filata e tessuta dall'amore di
mamma... Se lo rimette. È in uno strazio. Vuole pregare per
superarlo. Ma con la preghiera tornano i ricordi, le apprensioni, i
dubbi, i rimpianti... È una valanga di nomi... città... persone...
fatti... Non posso seguirlo perché è veloce e saltuario. E la sua
vita evangelica che gli sfila davanti... e gli riporta Giuda
traditore.
È
tanto l'affanno che urla, per vincerlo, il nome di Pietro e Giovanni.
E dice: «Ora verranno. Sono ben fedeli loro!». Ma "loro"
non vengono. Chiama di nuovo. Pare terrorizzato come vedesse chissà
che. Fugge veloce verso il luogo dove è Pietro e i due fratelli. E
li trova più comodamente e pesantemente addormentati intorno a poche
bragie che, ormai morenti, hanno solo dei zig e zag di rosso fra il
grigio della cenere.
«Pietro!
Vi ho chiamati tre volte! Ma che fate? Dormite ancora? Ma non sentite
quanto soffro? Pregate. Che la carne non vinca, non vi vinca. In
nessuno. Se lo spirito è pronto, la carne è debole. Aiutatemi...».
I
tre sono più lenti a svegliarsi. Ma infine lo fanno e, con occhi
imbambolati, si scusano. Si alzano, prima mettendosi seduti, poi
mettendosi proprio ritti.
«Ma
guarda!», mormora Pietro. «Non ci è mai accaduto! Deve essere
proprio stato quel vino. Era forte. E anche questo fresco. Ci si è
coperti per non sentirlo (infatti si erano coperti coi mantelli anche
sul capo) e non si è più visto il fuoco, non si è avuto più
freddo, ed ecco che il sonno è venuto. Dici che hai chiamato? Eppure
non mi pareva di dormire tanto forte... Su, Giovanni, cerchiamo dei
rametti, muoviamoci. Ci passerà. Sta' sicuro, Maestro, che ora
poi!... Resteremo in piedi...», e getta una manata di fogliette
secche sulle bragie, e soffia finché la fiamma risuscita, e la
alimenta con i rami di rovo portati da Giovanni, mentre Giacomo porta
un grosso ramo di ginepro, o simile pianta, che ha tagliato da un
macchione poco discosto, e lo unisce al resto.
La
fiamma si alza alta e gioconda illuminando il povero viso di Gesù.
Un viso veramente di una tristezza che non si può guardare senza
piangere. Ogni fulgore di quel volto è annullato in una stanchezza
mortale. Dice: «Sono in un'angoscia che mi uccide! Oh! sì! L'anima
mia è triste sino a morirne. Amici!... Amici! Amici!». Ma, se anche
così non dicesse, il suo aspetto direbbe che Egli è proprio come
uno che muore, e nel più angoscioso e desolato abbandono. Pare che
ogni parola sia un singhiozzo...
Ma
i tre sono troppo carichi di sonno. Sembrano quasi ebbri tanto vanno
traballando ad occhi semichiusi... Gesù li guarda... Non li
mortifica con rimproveri. Scuote il capo, sospira e tor- na via. Al
posto di prima.
Prega
di nuovo in piedi, con le braccia in croce. Poi in ginocchio come
prima, col volto curvo sui piccoli fiori. Pensa. Tace... Poi si dà a
gemere e singhiozzare forte, quasi prostrato tanto è rilassato sui
calcagni. Chiama il Padre. Sempre più affannosamente...
«Oh!»,
dice. «È troppo amaro questo calice! Non posso! Non posso! È al di
sopra di quanto Io posso. Tutto ho potuto! Ma non questo...
Allontanalo, Padre, dal tuo Figlio! Pietà di Me!... Che ho fatto per
meritarlo?». Poi si riprende e dice: «Però, Padre mio, non
ascoltare la mia voce se essa chiede ciò che è contrario alla tua
volontà. Non ricordarti che ti sono Figlio, ma solo servo tuo. Non
la mia, ma la tua volontà sia fatta».
Rimane
così qualche tempo. Poi ha un grido soffocato e alza un viso
sconvolto. Un attimo solo, poi piomba al suolo, proprio volto a
terra, e resta così. Uno straccio d'uomo su cui preme tutto il
peccato del mondo, su cui si abbatte tutta la Giustizia del Padre, su
cui scende la tene- bra, la cenere, il fiele, quella tremenda,
tremenda, tremendissima cosa che è l'abbandono di Dio mentre Satana
ci tortura... È l'asfissia dell'anima, è l'essere sepolti vivi in
questa carcere che è il mondo, quando non si può più sentire che
fra noi e Dio vi è un legame, è l'essere incatenati, imbavagliati,
lapidati dalle nostre preghiere stesse che ci ricadono addosso irte
di punte e sparse di fuoco, è il dare di cozzo contro un Cielo
chiuso in cui non penetrano né voce né sguardi della nostra
angoscia, è l'essere "orfani di Dio", è la pazzia,
l'agonia, il dubbio d'essersi sino allora ingannati, è la
persuasione di essere scacciati da Dio, di esser dannati. E'
l'inferno!...
Oh!
lo so! e non posso, non posso vedere lo spasimo del mio Cristo, e
sapere che esso è un milione di volte più atroce di quello che mi
ha consumata lo scorso anno e che, quando mi torna alla mente, mi
sconvolge ancora...
Gesù
geme, fra rantoli e sospiri proprio d'agonia: «Niente!... Niente!...
Via!... La volontà del Padre! Quella! Quella sola!... La tua
volontà, Padre. La tua, non la mia... Inutile. Non ho che un
Signore: Iddio Santissimo. Una legge: l'ubbidienza. Un amore: la
redenzione... No. Non ho più Madre. Non ho più vita. Non ho più
divinità. Non ho più missione. Inutilmente mi tenti, demonio, con
la Madre, la vita, la mia divinità, la mia missione. Ho per madre
l'Umanità e l'amo sino a morire per lei. La vita la rendo a Chi me
l'ha data e me la chiede, supremo Padrone di ogni vivente. La
divinità l'affermo essendo capace di questa espiazione. La missione
la compio con la mia morte. Nulla ho più. Fuorché fare la volontà
del Signore, mio Dio. Va' indietro, Satana! L'ho detto la prima e la
seconda volta. Lo ridico per la terza: "Padre, se è possibile
passi da Me questo calice. Ma però non la mia, la tua volontà sia
fatta". Va' indietro, Satana. Io sono di Dio».
Poi
non parla più altro che per dire fra gli ansiti: «Dio! Dio! Dio!».
Lo chiama ad ogni battito di cuore, e pare che ad ogni battito il
sangue trabocchi. La stoffa tesa sulle spalle se ne imbibisce e torna
scura, nonostante il grande chiarore lunare che lo fascia tutto.
Pure
un chiarore più vivo si forma sul suo capo, sospeso a circa un metro
da Lui, un chiarore così vivo che anche il Prostrato lo vede
filtrare fra le onde dei capelli, già pesanti di san- gue, e il velo
che il sangue fa agli occhi. Alza il capo... Splende la luna sul
povero volto, e ancora più splende la luce angelica simile a quella
del diamante bianco azzurro della stella Venere. E appare tutta la
tremenda agonia nel sangue che trasuda dai pori. Le ciglia, i
capelli, i baffi, la barba sono aspersi e cospersi di sangue. Sangue
cola dalle tempie, sangue sgorga dalle vene del collo, sangue
gocciano le mani, e quando Egli tende le mani verso la luce angelica
e le ampie maniche scorrono in su, verso i gomiti, appaiono tutti
sudanti sangue gli avambracci di Cristo. Nel viso, solo le lacrime
fanno due righe nette fra la maschera rossa.
Si
torna a levare il mantello e si asciuga le mani, il volto, il collo,
gli avambracci. Ma il sudore continua. Egli si preme più e più
volte la stoffa sul volto tenendola premuta con le mani, ed ogni
volta che cambia posto, sulla stoffa rosso scura appaiono nette le
impronte che, umide come sono, sembrano essere nere. L'erba del suolo
è rossa di sangue.
Gesù
pare prossimo a mancare. Si slaccia la veste al collo come si
sentisse soffocare. Si porta la mano al cuore e poi al capo e se
l'agita davanti al volto come per farsi vento, tenendo la bocca
dischiusa. Si trascina contro il masso, ma più verso lo scrimolo del
balzo, e si appog- gia con la schiena ad esso, stando con le braccia
pendenti lungo il corpo come fosse già morto, la testa penzoloni sul
petto. Non si muove più.
La
luce angelica decresce piano piano. Poi viene come assorbita nel
chiarore lunare. Gesù riapre gli occhi. Alza a fatica il capo.
Guarda. È solo. Ma è meno angosciato. Allunga una mano. Tira a Sé
il mantello, lasciato abbandonato sull'erba, e torna ad asciugarsi il
volto, le mani, il collo, la barba, i capelli. Prende una larga
foglia, nata proprio in riva al ciglio, tutta bagnata di guazza, e
con quella finisce di pulirsi, bagnandosi volto e mani e poi
asciugandosi da capo. E ripete, ripete con altre foglie, finché ha
cancellato le tracce del suo tremendo sudore. Solo la veste, e specie
sulle spalle e alle pieghe dei gomiti, al collo e alla cintura, ai
ginocchi, è macchiata. Se la guarda e scuote il capo. Guarda anche
il mantello. Ma lo vede troppo macchiato. Lo piega e lo pone sul
masso, là dove esso fa cuna, presso i fioretti.
Con
fatica, come per debolezza, si rigira mettendosi in ginocchio. Prega
appoggiando il capo sul mantello, su cui sono già le mani. Poi si
puntella al masso, si alza e, ancora lievemen- te barcollando, va dai
discepoli. Il suo viso è pallidissimo. Ma non è più turbato. È un
viso pieno di divina bellezza, pure essendo esangue e mesto oltre il
solito.
I
tre dormono saporitamente. Tutti avvolti nei mantelli, sdraiati
affatto, presso il fuoco spento, si sentono respirare profondamente
in un principio di sonoro russare.
Gesù
li chiama. Inutile. Deve chinarsi e scuotere generosamente Pietro.
«Cosa è? Chi mi arresta?», dice questo emergendo, sbalordito e
spaventato, dal suo mantello verde scuro.
«Nessuno.
Sono Io che ti chiamo». «È mattina?». «No. È quasi terminata la
seconda vigilia». Pietro è tutto ingranchito. Gesù scuote
Giovanni, che ha un grido di terrore vedendo su di lui curvo un volto
di fantasma tanto è marmoreo. «Oh!... Mi parevi morto!».
Scuote
Giacomo, e questo, che crede che sia il fratello che lo chiama, dice:
«Hanno preso il Maestro?».
«Non
ancora, Giacomo», risponde Gesù. «Ma alzatevi ormai e andiamo. Chi
mi tradisce è vicino».
I
tre, ancora imbambolati, si alzano. Si guardano intorno... Ulivi,
luna, usignoli, venticello, pace... Null'altro. Seguono però Gesù
senza parlare. Anche gli altri otto sono più o meno addormentati
intorno al fuoco spento.
«Sorgete!»,
tuona Gesù. «Mentre Satana viene, mostrate all'insonne e ai suoi
figli che i figli di Dio non dormono!».
«Sì,
Maestro». «Dove è, Maestro?». «Gesù, io...». «Ma che è
stato?». E fra arruffate domande e risposte si rimettono i
mantelli... Appena in tempo per apparire in ordine alla sbirraglia
capitanata da Giuda, che irrompe nella quieta piazzuola illuminandola
violentemente con molte torce accese. Sono un'orda di banditi
camuffati da soldati, facce da galera torte in ghigni da demoni. Vi è
anche qualche campione del Tempio.
Gli
apostoli balzano tutti in un angolo. Pietro davanti, e dietro in
gruppo gli altri. Gesù resta dove è.
Giuda
si accosta sostenendo lo sguardo di Gesù, che è tornato il
lampeggiante sguardo dei suoi giorni migliori. E non abbassa il
volto. Anzi si fa vicino con un sorriso da iena e lo bacia sulla
guancia destra.
«Amico,
e che sei venuto a fare? Con un bacio mi tradisci?».
Giuda
curva per un attimo la testa, poi la rialza... Morto al rimprovero
come ad ogni invito al pentimento. Gesù, dopo le prime parole ancora
dette con imponenza di Maestro, prende il tono accorato di chi si
rassegna ad una sventura.
La
sbirraglia, con un clamore di urla, viene avanti con funi e bastoni e
cerca di impadro- nirsi degli apostoli, oltre che di Cristo. Meno
Giuda Iscariota, si intende.
«Chi
cercate?», chiede Gesù calmo e solenne. «Gesù Nazareno». «Sono
Io». La voce è un tuono. Davanti al mondo assassino e a quello
innocente, davanti alla natura e alle stelle, Gesù si rende questa
testimonianza, aperta, leale, sicura, direi che è lieto di potersela
dare.
Ma,
se avesse sprigionato un fulmine, non avrebbe potuto fare di più.
Come un fascio di spighe falciate, tutti cadono al suolo. Restano in
piedi solo Giuda, Gesù e gli apostoli, che da- vanti allo spettacolo
dei soldati abbattuti riprendono fiato, tanto che si avvicinano a
Gesù con delle minacce così esplicite per Giuda che questo fa un
balzo, appena in tempo per sfuggire al colpo maestro della spada di
Simone, e invano inseguito da pietre e bastoni, lanciatigli dietro
dagli apostoli non armati di spada, fugge oltre il Cedron e si
infosca nel nero di un viottolo.
«Alzatevi.
Chi cercate? Torno a chiedervi». «Gesù Nazareno». «Ve l'ho detto
che sono Io», dice con dolcezza Gesù. Sì, con dolcezza. «Lasciate
dunque li- beri questi altri. Io vengo. Riponete le spade e i
bastoni. Non sono un ladrone. Stavo sempre fra voi. Perché non mi
avete preso allora? Ma questa è la vostra ora e quella di
Satana...».
Ma,
mentre parla, Pietro si accosta all'uomo che già tende le funi per
legare Gesù e mena un maldestro colpo di spada. Se l'avesse usata di
punta, lo sgozzava come un montone. Così non fa che staccargli quasi
l'orecchio, che resta penzoloni fra un gran gemere di sangue. L'uomo
grida dicendosi morto. Vi è tumulto fra chi vuol venire avanti e chi
ha paura vedendo lucci- care spade e pugnali. «Riponete quelle armi.
Ve lo comando. Se volessi, avrei gli angeli del Padre a difendermi. E
tu, guarisci. Nell'anima per prima cosa, se puoi». E, prima di
tendere le mani alle corde, tocca l'orecchio e lo rende sano.
Gli
apostoli hanno urli scomposti... Sì. Mi spiace dirlo ma è così.
Chi dice una cosa, chi l'altra. Chi urla: «Ci hai traditi!», e chi:
«Ma è folle!», e chi dice: «E chi ti può credere?». Chi non
urla, fugge...
E
Gesù resta solo... Lui e gli sgherri... E incomincia il cammino...
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