Se
diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità
non è in noi, scrive l'Apostolo San Giovanni (I Giov. I, 8).
Abbiamo tutti, infatti, bisogno della misericordia di Dio. Ora, ed è
cosa tremenda, il flusso della divina misericordia non può giungere
al nostro cuore, finchè non abbiamo perdonato a chi ci ha offeso;
poichè, nel rifiuto di perdonare ai nostri fratelli e alle nostre
sorelle, il nostro cuore si chiude, la sua durezza lo rende
impermeabile all'amore misericordioso del Padre (ved. Catechismo
della Chiesa Cattolica, CCC, 2840). Così, nel Padrenostro,
Gesù ci fa chiedere: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li
rimettiamo... Nostro Signore dà talmente tanta importanza a
questa richiesta, che è la sola che riprenda nel discorso della
montagna: Perchè, se perdonate agli uomini i loro falli, il
vostro Padre celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonate
agli uomini, nemmeno il Padre vostro vi perdonerà i vostri peccati
(Matt. 6, 12, 14).
Una
grande vittoria
Il
perdono è una grande vittoria sull'odio e sullo scatenarsi degli
istinti umani. Attraverso esso, una nuova forza entra nella vita
degli uomini, più potente del male. «Il perdono sta a testimoniare
che, nel nostro mondo, l'amore è più forte del peccato» (Giovanni
Paolo II, enciclica Dives in misericordia, DM, 14). Il valore
inestimabile del perdono cristiano appare in modo sorprendente nella
seguente narrazione. La storia, riferita da un missionario in Cina,
si svolge in un villaggio cinese, dopo una sanguinosa persecuzione
contro i cristiani.
«Nel
giorno del massacro, racconta il missionario, tutta una famiglia di
otto persone perì, all'infuori di due vecchi che erano assenti.
Quando, dopo la tormenta, poterono ritrovare la loro capanna, essa
era vuota. Il vecchio nonno credette di impazzire. Correva per le
strade del paese, con gli occhi stralunati, alla ricerca dei figli e
dei nipotini: il colpo era stato talmente forte, che ne conservò un
tremito nervoso fino alla morte.
Il
fatto che l'assassino della sua famiglia fosse uno dei suoi ex
alunni, uno dei suoi alunni prediletti, a cui aveva fatto molto del
bene, lo metteva fuori di sè, ed aumentava, ai suoi occhi, l'orrore
del delitto. Apprendendo il ritorno dei cristiani, il criminale era
fuggito, giudicando che il primo che lo avesse incontrato, non
avrebbe onestamente potuto non ucciderlo.
Si
è o non si è cristiani
Cinque
mesi più tardi, mi trovavo nel paese, quando un giorno, il
catechista, capo della comunità dei cristiani, venne a trovarmi:
«Padre, una cattiva notizia. L'assassino chiede di essere
autorizzato a tornare in paese. Non posso dirgli di no. Non abbiamo
il diritto di impedirglielo, e poi, mica ci possiamo vendicare. Si è
o non si è cristiani. Avvertirò le famiglie cristiane e sono certo
che tutti gli perdoneranno di buon cuore. Non c'è che quel povero
vecchio Wang. Come fargli sopportare il colpo? – Allora, che posso
fare?... – Bisognerebbe che lei, Reverendo, lo persuadesse a
perdonare. – Ecco un bel lavoro, caro mio; insomma, mi ci proverò».
Chiamai
il buon Wang: «Amico, nobiltà fa obbligo: hai santi nella tua
stirpe, devi essere degno di loro. – Che vuol dire, Reverendo? –
Se l'assassino della tua famiglia tornasse in paese e lo vedessi,
cosa faresti? – Gli salterei alla gola».
Faceva
veramente pena. Gli presi le mani: «Sai bene quel che diciamo
sempre: si è o non si è cristiani... Non gli salterai alla gola...»
Ebbe come un singhiozzo, esitò un istante, si asciugò due lacrime e
disse: «Andiamo, Padre, lo faccia tornare». E, siccome lo guardavo
senza parlare, aggiunse: «Sì, sì, gli dica di tornare: vedrà se
sono cristiano».
La
sera, la comunità dei cristiani era riunita attorno a me, come tutte
le sere, nel cortile del catechista. Discutevamo insieme, bevendo il
tè e fumando lunghe pipe. Era il miglior momento della giornata.
Ora, c'era nell'aria qualcosa di pesante; non avevamo il coraggio di
parlare della cosa. Il povero Wang mi stava accanto, tremante e
pallido. Gli altri facevano cerchio davanti a me, molto commossi.
L'assassino doveva venire e tutti lo sapevano.
Ad
un tratto, il cerchio si apre. In fondo, alla luce tremolante delle
lanterne appese agli alberi del cortile, vedo l'assassino che viene
avanti, con la testa bassa, il passo pesante, come fosse carico del
peso delle maledizioni di tutti quegli uomini. Viene davanti a me, e
cade in ginocchio, in un silenzio spaventoso. Avevo la gola che mi si
chiudeva; gli dissi penosamente: «Amico, vedi la differenza. Se
avessimo decimato la tua famiglia e se tu tornassi qui da vincitore,
cosa faresti?» Si udì un gemito, poi si fece silenzio. Il vecchio
Wang si era alzato: si chinò tremando sul carnefice dei suoi, lo
alzò fino alla sua altezza e lo abbracciò.
Due
mesi dopo, l'assassino veniva da me: «Reverendo, un tempo, non
capivo la vostra religione. Ora, ho visto. Sono stato veramente
perdonato. Sono un miserabile, ma potrei diventare cristiano
anch'io?» Non è necessario che vi indichi la mia risposta. Allora,
mi disse: «Padre, vorrei chiedere una cosa impossibile. Vorrei che
il vecchio Wang mi facesse da padrino. – Amico, preferisco che
glielo chieda tu stesso». Qualche tempo più tardi, Wang, ormai
senza discendenti, accettava quale figlio spirituale l'assassino
della sua famiglia...».
Un
mondo più umano
Quest'esempio
eroico mostra come, sulla scia del Vangelo, il perdono delle offese e
la misericordia possano cambiare il mondo e renderlo più umano. «Un
mondo dal quale fosse sradicato il perdono, scrive Papa Giovanni
Paolo II, sarebbe soltanto un mondo di giustizia fredda ed
irriverente, in nome della quale
ciascuno
rivendicherebbe i propri diritti di fronte
all'altro;
così, gli egoismi di ogni specie, assopiti nell'uomo, potrebbero
trasformare la vita e la società umana in un sistema di oppressione
dei più deboli da parte dei più forti, o anche in un'arena di lotta
permanente degli uni contro gli altri.
«Per
questo la Chiesa deve considerare come uno dei suoi principali doveri
quello di proclamare e di introdurre nella vita il mistero della
misericordia, rivelato al livello più elevato in Gesù Cristo. Tale
mistero è, non soltanto per la Chiesa medesima, in quanto comunità
di credenti, ma anche, in un certo senso, per tutti gli uomini, fonte
di una vita diversa da quella che è capace di costruire l'uomo,
esposto alle forze tiranniche della triplice concupiscenza che
operano in lui» (DM, 14).
Cristo
sottolinea con insistenza la necessità di perdonare agli altri.
Quando Pietro gli chiede: Signore, se mio fratello pecca contro di
me, quante volte gli dovrò perdonare? Fino a sette volte? Gesù
risponde: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte
sette volte (Matt. 18, 21-22). In ebraico, settanta volte
sette volte ha lo stesso senso di «sempre». «Così Nostro
Signore non limita il perdono ad un numero fisso di volte, ma
dichiara che tale perdono deve essere permanente e totale» (San
Giovanni Crisostomo). Non abbiamo tutti i giorni gravi offese da
perdonare al nostro prossimo. Ma il perdono rimane il nostro pane
quotidiano, perchè , malgrado tutta la fiducia che si può avere
l'uno nell'altro, ci sono sempre parole che feriscono, atteggiamenti
in cui ci si mette in vista, situazioni in cui le suscettibilità si
urtano, il che esige uno sforzo costante ed un perdono reciproco
quotidiano. San Benedetto domanda ai suoi monaci di cantare ogni
giorno il Padrenostro alla fine degli Uffici delle Laudi e del
Vespro, «a causa delle spine di scandalo che si producono
abitualmente, affinchè i fratelli, riunendosi nella promessa che
fanno attraverso questa preghiera, dicendo: Rimetti a noi i nostri
debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, siano in grado
di purificarsi di questo genere di colpe» (Regola, Cap. 13).
Tuttavia,
«è evidente che un'esigenza tanto generosa di perdono, non annulla
le esigenze obiettive della giustizia. La giustizia ben intesa
costituisce per così dire lo scopo del perdono. In nessun brano del
messaggio evangelico, il perdono, e neppure la misericordia che ne è
la sorgente, significano indulgenza nei riguardi del male, dello
scandalo, del torto causato o delle offese» (DM, ibid.). In
ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, l'indennizzo del
danno causato, la soddisfazione dell'offesa, rimangono necessari.
L'amore
gratuito
Ma,
colui che perdona non deve attendere la riparazione per cominciare ad
avere misericordia. Il perdono procede da un amore spontaneo e
gratuito. Il Signore ci chiede di perdonare di tutto cuore a tutti
coloro che ci hanno offesi, a coloro che rendiamo responsabili dei
nostri guai, delle nostre difficoltà, dei nostri scacchi, anche se
le loro disposizioni non fossero conformi alla giustizia. Gesù non
ha aspettato che quelli che lo mettevano a morte si pentissero del
loro peccato prima di perdonar loro. Il perdono è totalmente
giustificato dal desiderio di ubbidire a Dio che ce ne dà l'esempio.
E, come Dio desidera, perdonandoci, giungere ad una perfetta
riconciliazione con noi, così noi dobbiamo fare tutto quel che
possiamo per riconciliarci con i nostri offensori.
Il
perdono, impossibile per le nostre sole forze, è una grazia che Dio
mette a nostra disposizione, perchè possiamo appagarci. Se chiediamo
questa grazia con sincerità, Dio ci accorderà di perdonare di tutto
cuore, come Lui stesso ci perdona. «La certezza di essere esauditi
nelle nostre suppliche è fondata sulla preghiera di Gesù. Se la
nostra preghiera è risolutamente unita alla sua, nella confidenza e
nell'audacia filiale, otteniamo tutto ciò che chiediamo nel suo
Nome» (CCC, 2614, 2741). Infatti, Gesù stesso ci dice:
Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà
aperto. Poichè chiunque chiede, riceve; chi cerca, trova; e a chi
bussa verrà aperto (Matt. 7, 7-8). Queste parole si applicano
prima di tutto alle grazie necessarie alla nostra salvezza, come
quella del perdono. Mettiamoci dunque davanti a Dio per prenderlo a
testimone della nostra volontà di perdonare, indicando quali sono i
nostri offensori, e quel che vogliamo perdonar loro. Deponiamo il
nostro fardello ai piedi della Croce di Gesù e chiediamoGli di
riempire il nostro cuore di fiducia e di pace. Assolviamo così i
nostri offensori dal loro debito nei nostri riguardi e la nostra
propria amarezza sarà dissipata.
Se
rifiutiamo di concedere il perdono ad una persona, la rinchiudiamo
nel suo torto. Il rifiuto di perdonare o la collera, sono un veleno
che ci impedisce di guarire (Sir. 28,3), di pregare e di
lodare Dio. Colui che non perdona, tormenta se stesso. Ma se decide
di farlo, Dio viene a restaurare la carità ed a condurre le due
parti, con delicatezza, verso la riconciliazione. Una volta
cominciato il passo, dobbiamo domandare noi stessi perdono a Dio per
i nostri peccati, dobbiamo perseverare nel perdono, settanta volte
sette volte, dobbiamo dimostrare, infine, concretamente, il
nostro amore per il nostro offensore, quando ciò sarà possibile.
Una
lotta interiore
Per
aiutarci a perdonare, Gesù ha voluto essere lui stesso il nostro
modello e la fonte del perdono. Abbandonato sulla Croce, fra le
sofferenze più crudeli, ha pregato suo Padre: Padre, perdona
loro, perchè non sanno quello che fanno (Luca, 23, 34), ed ha
così meritato per noi la grazia del perdono. Tuttavia, malgrado
quest'esempio divino, non ci è facile essere misericordiosi nei
riguardi di coloro che ci fanno soffrire. Nonostante sforzi generosi,
può darsi che sentiamo ancora in noi e pur nostro malgrado,
avversione per la persona che ci ha feriti. La volontà di perdonare
può, infatti, incontrare le reticenze dei sentimenti e delle
emozioni. Pertanto, è necessario distinguere quello che, in noi, è
«sentimento» e quel che è «volontà». Il sentimento di
ribellione, che ci assale alla vista di coloro che ci hanno offesi, è
naturale, e non vi è nessun peccato in questo. Quel che ci è
chiesto, è di fare uno sforzo per non accettare tale sentimento e
soprattutto di non agire secondo esso. Poco importa se la memoria non
può dimenticare l'offesa. Domandiamo a Dio la grazia di poter
perdonare e decidiamo, con il suo aiuto, di perdonare! È una lotta
interiore, di cui ecco un bell'esempio.
Giovanna
Francesca Frémiot, nata a Digione nel 1572, sposa, a vent'anni, il
barone de Chantal. La loro coppia, da cui nascono quattro figli, avrà
otto anni di profonda felicità, che una tragedia interromperà
brutalmente (1600). Il Sig. de Chantal ha accettato di partecipare
con il Sig. d'Anlezy, suo cugino, ad una partita di caccia nei boschi
vicini al suo castello. Porta un vestito di color fulvo. L'amico, che
lo vede attraverso i cespugli, lo prende per una bestia selvatica,
gli spara, e gli rompe la coscia: «Sono morto! grida il Sig. de
Chantal, cadendo; amico, cugino, ti perdono di tutto cuore, hai
commesso questo misfatto per imprudenza». Manda immediatamente un
domestico ad avvertire la Signora de Chantal: «Ma, ahimè, dice, con
le lacrime agli occhi, non dirle che sono ferito a morte; dille
soltanto che sono ferito alla coscia».
«Onoriamo
la divina provvidenza»
La
giovane baronessa, che ha appena partorito il quarto figlio, indovina
tutto, e parte, con il cuore tremante. Non appena la vede
avvicinarsi, il Sig. de Chantal le grida: «Anima mia, la sentenza
celeste è giusta, bisogna accettarla e morire. – Non, risponde
essa, bisogna guarire! – Sarà inutile, dice con dolcezza il ferito
che si sente morire». La Signora de Chantal, sotto l'effetto del
colpo terribile, scoppia in singhiozzi, e grida di rimprovero le
sfuggono dal cuore contro il Sig. d'Anlezy. «Ah! dice il ferito
interrompendola, onoriamo la Divina Provvidenza, guardiamo tutto ciò
da un punto di vista più elevato».
I
medici accorrono da tutte le parti. La baronessa, fra il timore e la
speranza, va dall'uno all'altro: «Bisogna assolutamente che guariate
il Sig. de Chantal», ripete fra le lacrime. Il suo dolore è tale,
che non può decidersi ad accettare la disgrazia. Ad ogni istante,
esce singhiozzando dalla stanza in cui riposa l'ammalato, e, correndo
per i corridoi del castello, grida ad alta voce: «Signore, prendi
tutto quel che ho al mondo, ma lasciami il mio caro marito».
Preghiere tanto ardenti e pure non saranno tuttavia esaudite. Dopo
aver ricevuto i sacramenti con una devozione singolare, il Sig. de
Chantal prega la moglie ed il figlio di non pensar mai a vendicare la
sua morte, dice loro che rinnova il perdono a colui che l'ha
ammazzato senza volerlo, e fa scrivere il suo perdono sui registri
della chiesa. Modello di pazienza in mezzo alle ultime sofferenze, si
spegne a trentacinque anni, otto giorni dopo l'incidente, lasciando
un bell'esempio di misericordia cristiana.
È
inutilmente che le castellane vicine e le cugine vengono spesso per
provar a consolare la Signora de Chantal. Ne è commossa e
riconoscente. Ma la sera, quando rientra nella sua stanza: «Ah!,
dice, se soltanto mi lasciassero piangere come voglio! Credono di
darmi sollievo e mi martirizzano». Cade allora in ginocchio
singhiozzando, e passa la notte a piangere... In capo a tre o quattro
mesi, è diventata irriconoscibile, talmente la sua salute si è
deteriorata. Occupandosi dei suoi piccoli, che, senza capire la sua
pena, raddoppiano le carezze, ritrova, a poco a poco, il coraggio di
vivere. Tuttavia, l'omicida di suo marito non ha lasciato la regione.
La vedova inconsolabile non ha il coraggio di rivederlo. Non riesce a
perdonargli. Bisognerà, per questo, che San Francesco di Sales
attraversi la sua vita.
Il
difficile perdono di una santa
Cinque
anni più tardi, il grande santo, che è diventato il suo confessore,
le scrive: «Voi mi chiedete come voglio che vi comportiate in
occasione dell'incontro con colui che ha ucciso Vostro marito... Non
è necessario che fissiate una data, nè le occasioni; ma, se si
presenta, voglio che il Vostro cuore sia dolce, gentile e
compassionevole. So che, probabilmente, il cuore si ribellerà e sarà
sconvolto, che il sangue Vi ribollirà nelle vene; ma che vuol dire?
Anche quello del nostro caro Salvatore ha fatto la stessa cosa alla
vista di Lazzaro morto e della Passione di cui ha la visione. Sì, ma
cosa dice la Sacra Scrittura? Che nell'uno e nell'altro caso, egli
alzò gli occhi al cielo. È così, figlia mia, Dio Vi fa vedere,
attraverso queste emozioni, quanto siamo di carne, d'ossa e di
spirito... Mi sono spiegato abbastanza. Ripeto: non intendo che
dobbiate provocare l'incontro con quel pover'uomo, ma che siate
condiscendente nei riguardi di coloro che vorranno provocarlo...».
La
Signora de Chantal ubbidisce ed accetta di avere un colloquio con il
Sig. d'Anlezy. Si mostra gentile quanto glielo permette il cuore. Ma
tale colloquio è estremamente penoso per lei. La parola perdono che
allora si presenta sulle sue labbra le costa più, si è detto, di
tutti gli altri sforzi di santificazione messi insieme. Per di più,
volendo andare fino in fondo alla sua risoluzione di perdonare,
propone al Sig. d'Anlezy, che ha appena avuto un figlio, di tenere il
neonato a battesimo. Tale fu il perdono perfetto delle offese di
colei che divenne Santa Giovanna de Chantal.
Quando
perdoniamo, la grazia di Dio ci trasforma. A poco a poco, l'amore che
riempie il nostro cuore trabocca e può giungere fino a convertire i
nostri offensori. Siamo diventati buoni conduttori della grazia di
Dio. Tuttavia, perdonando agli altri, non crediamoci migliori di
loro. Sarebbe orgoglio, poichè siamo peccatori, non dimentichiamolo.
Chiedere perdono per i nostri peccati, per le offese fatte a Dio e
agli uomini, perdonare noi stessi ai nostri offensori, ci fa
progredire sulla via dell'eterna felicità. Perciò San Gregorio
Nisseno ha detto: «Se la Sacra Scrittura chiama Dio misericordioso,
se la vera beatitudine è Dio medesimo, è evidente, di conseguenza,
che un uomo che si fa misericordioso diventa degno della beatitudine
divina, poichè è giunto a quel che caratterizza Dio: È clemente
e giusto il Signore, Dio ha pietà di noi (Sal. 114, 5)» (Omelia
sulla 5ª beatitudine).
Chiediamo
alla Santa Vergine, Madre della misericordia ed a San Giuseppe, la
grazia della vita eterna per Lei e per tutti coloro che Le sono cari,
vivi e defunti.
Dom
Antoine Marie osb
"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
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