Le
notti angosciose di Gesù che pregava conoscendo l'anima vile dei
nemici e la debolezza e la mancanza di fede degli amici
Dopo
la proclamazione della sua Divinità, Gesù, fattasi sera, se ne andò
sul monte Oliveto per pregare. Egli spargeva così sul mondo quelle
grazie che ardentemente desiderava donare ed effondeva nel Padre il
suo Cuore addolorato.
È
difficile formarsi un concetto anche pallido delle pene interne di
Gesù dinanzi all'incomprensione del popolo e dei suoi medesimi
Apostoli.
Egli
era veramente Dio e sentiva nella sua santissima Umanità la gloria
della sua divina maestà e l'infinita ricchezza delle misericordie
che veniva a spargere sulla terra; stimava da Dio la luce della
verità che donava agli uomini e li vedeva sempre incerti, sospettosi
o addirittura ostili.
Vedeva
nei suoi Apostoli la fede titubante, le aspirazioni ancora materiali,
dopo tanta divina effusione di spiritualità, il carattere tuttora
sospettoso, pronto a svalutare tutto, a vedere oscurità dov'era
luce, a giudicare errato ciò che non intendevano o fallito ciò che
secondo essi non rispondeva alle loro piccole vedute.
Considerava
nella sua profondità la malizia dei suoi nemici, le insidie che gli
tendevano, la doppiezza del loro spirito, la completa assenza, in
loro, di ogni giustizia, la volontaria cecità, il rinnegamento
dell'evidenza, il servilismo del loro animo ad ogni illusione
diabolica e ad ogni sopraffazione dei perversi, purché non
contrastasse i loro interessi materiali e il loro orgoglio, e gemeva
nel suo Cuore.
Egli,
poi, sapeva che essi ormai avevano deciso di sbarazzarsi di Lui ad
ogni costo e che qualunque luce e qualunque manifestazione miracolosa
potesse dare era perfettamente inutile. Questo li metteva nella
necessità pratica o nell'inevitabilità di perdersi, ed Egli, che
infinitamente li amava, ne era desolato, non potendo forzare la loro
volontà, libera com'era, e non potendoli ridurre con manifestazioni
di potenza che li avrebbe resi maggiormente colpevoli. Che cos'erano
le angosciose notti della sua preghiera, agonia del suo Cuore divino!
Che pena era poi, per Lui, vedere nell'ambiente che lo circondava la
sintesi di tutti i secoli e di tutte le ingratitudini umane, che
gravavano fin d'allora sul suo Cuore perché tutto gli era presente!
L'anima nostra si smarrisce in questo profondo mistero di dolore e
non sa misurarlo.
L'adultera
Dopo
la sua orazione notturna, Gesù, di buon mattino, ritornò nuovamente
al Tempio, ossia – come si esprime il testo greco - in uno dei
fabbricati o dei portici che facevano una sola cosa col Tempio
propriamente detto.
Il
Cuore gli ardeva dal desiderio di comunicarsi alle anime perché
voleva salvarle, e andò Egli stesso a trovarle per annunciare loro
le parole dell'eterna Verità e della Vita eterna. Il popolo, che
ancora numeroso affollava la Città Santa e dimorava nelle vicinanze
del Tempio, notò la sua presenza e gli si accalcò d'intorno per
ascoltarlo, nella speranza di assistere anche a qualche prodigio.
Mentre
Gesù parlava, ecco che gli scribi e i farisei gli condussero una
donna sorpresa proprio allora in adulterio, e, postala in mezzo
all'adunanza, gli dissero che secondo la Legge di Mosè doveva essere
lapidata, domandandogli che cosa ne pensasse.
Essi
non erano affatto mossi dallo zelo per la giustizia e per la Legge,
ma speravano di mettere Gesù in imbarazzo e avere occasione di
condannarlo. La Legge (cf. Dt 22,23-24) comandava che venisse
lapidata la fidanzata che avesse mancato di fede al suo promesso
sposo; per la donna già maritata comminava semplicemente la pena di
morte, senza specificare il genere (cf. Lv 20,10). La donna sorpresa
nel peccato, dunque, doveva essere fidanzata. Forse in occasione
delle feste, abitando gli Ebrei sotto capanne improvvisate, si era
trovata esposta alla tentazione e aveva peccato.
Se
Gesù avesse giudicato che doveva essere lapidata, i suoi nemici
speravano di denunciarlo come crudele dinanzi al popolo e come
violatore della legge innanzi ai Romani, i quali non permettevano che
l'adulterio fosse punito di morte e si erano riservati l'esecuzione
delle sentenze capitali. Se non l'avesse condannata, l'avrebbero
accusato come violatore della Legge di Mosè e indirettamente come
favoreggiatore dei Romani, alle cui leggi e disposizioni avrebbe
mostrato di adattarsi.
Gesù
Cristo non rispose, ma chinatosi a terra cominciò a scrivere col
dito sulla polvere del pavimento. Questo era un gesto che i rabbini
solevano
fare quando, interrogati, volevano evitare di rispondere a questioni
moleste; Gesù, però, non scriveva indifferentemente sulla terra, ma
forse o ricordava i principali precetti della Legge trasgrediti dagli
scribi e i farisei o addirittura ricordava i gravissimi peccati da
loro commessi. Egli poi, per grande misericordia, volle sottrarre
quella povera donna alla curiosità e al disprezzo di quanti erano
presenti, attraendo gli sguardi sul pavimento sul quale scriveva e
suscitando in tutti il desiderio di vedere quel che scrivesse.
Gli
scribi e i farisei, vedendo quello che scriveva, si turbarono e, per
impedirgli di continuare, gli fecero premura affinché desse una
risposta sollecitamente. Gesù, perciò, alzandosi, disse, in tono di
grande solennità e penetrandoli con un raggio di luce che scopriva
loro gli orrori della loro coscienza: Chi di voi è senza peccato
scagli per primo la pietra contro di lei. E di nuovo, chinatosi,
continuò a scrivere sulla terra, forse determinando più
specificamente i loro delitti. Si può anche supporre, infatti, che
la prima volta abbia tracciato i precetti della Legge da essi
trasgrediti e la seconda volta abbia determinato, con frasi più
chiare, le loro trasgressioni.
Certo,
gli accusatori, udite le sue parole, se ne andarono uno dopo l'altro,
a cominciare dai più vecchi, sulla cui coscienza pesavano le più
gravi responsabilità. Con quel suo gesto e con quelle Sue parole,
Gesù non volle dare un criterio generale di giudizio per le cause
legali, ma volle ammonire i privati a non presumere di elevarsi a
giudici dei peccatori, essendo anch'essi peccatori. I giudici
applicano la Legge anche se essi sono peccatori, ma chi si trova
dinanzi al prossimo che manca deve considerare prima di tutto i
propri peccati, e invece di giudicarlo severamente deve umiliarsi e
compatirlo, implorando per lui la divina misericordia. Gli scribi e i
farisei si erano arrogati un diritto che non avevano, catturando
quell'infelice, proprio essi la cui vita era piena d'infedeltà e di
adulteri,
e volevano far apparire Gesù come un usurpatore di diritti che
spettavano ai giudici della nazione. Egli era Giudice di tutti, ma
non volle assumere questa qualità pubblicamente, soppiantando i
giudici del popolo, tanto più che nella Sua mortale carriera era
venuto non a giudicare ma a immolarsi, per meritare a tutti il
perdono. Egli, infatti, quando tutti se ne furono andati, si alzò e
domandò alla povera donna: Dove sono coloro che ti accusavano?
Nessuno ti ha condannato? Ella rispose: nessuno, Signore. E Gesù,
effondendo nell'anima di lei la sua misericordia, le disse: neppure
io ti condannerò; vattene e non peccare più.
Evidentemente
la donna era pentita del suo peccato; diversamente, Gesù non le
avrebbe concesso il perdono. Egli, poi, nella sua infinita bontà, le
comunicò interiormente una grazia rinnovatrice che la mutò tutta e
la rese nuova creatura. Scrivendo per terra, Egli compunse il povero
cuore di quell'infelice, ricordandole i precetti di Dio e, mentre i
suoi accusatori si dileguarono, ella sola rimase dinanzi al Giudice
d'amore infinito che la perdonò.
Non
giudicate malignamente il prossimo
Quando
noi giudichiamo malignamente il prossimo per i suoi difetti e i suoi
peccati, rinnoviamo il gesto degli scribi e dei farisei: trasciniamo
quell'anima al giudizio con la nostra mancanza di carità e
pretendiamo di lapidarla con le nostre invettive e le nostre
insinuazioni. Ricordiamoci che siamo peccatori noi per primi e che
non abbiamo davvero il diritto di scagliare per primi le pietre.
Quanti peccati abbiamo fatto e quante responsabilità pesano sulla
nostra coscienza! Umiliamoci, e invece di accusare il prossimo
accusiamoci noi dinanzi al sacerdote, affinché siamo perdonati dalla
misericordia di Dio.
Quando
giudichiamo il prossimo, Gesù si curva sulla nostra miseria e scrive
sulla terra della nostra fragile creta, ricordandoci le nostre
iniquità. Abbiamo tutto l'interesse che Egli le cancelli, perciò
abituiamoci a compatire le debolezze altrui e a meritarci
misericordia, usando misericordia.
Gesù
Cristo luce del mondo e l'aberrazione moderna che lo rinnega per
assuefarsi alle tenebre del mondo
In
occasione della festa dei Tabernacoli si faceva una grande
illuminazione negli atri del Tempio, e il popolo vi accorreva
con torce accese. Forse c'erano ancora le vestigia di questa
illuminazione e non si erano ancora tolte le lampade sospese da ogni
parte, quando Gesù, alzando la voce, si proclamò Luce e Guida del
mondo, esclamando: Io sono la luce del mondo, chi mi segue non
camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita. In mezzo a
tanto sfoggio di luce che gli Ebrei facevano nelle solennità, in
realtà rimanevano nelle tenebre dello spirito e non sapevano come
volgere i loro passi alla Vita eterna. Ciechi e guide di ciechi, non
vedevano neppure nella loro storia e nei loro Profeti, non sapevano
discernere l'avverarsi delle divine promesse e si abbrutivano
miseramente in una vita tutta materiale.
Gesù
si dichiarò non solo la loro Luce, ma la Luce del mondo, cioè di
tutte le età e di tutte le nazioni. Luce intellettuale per la
rivelazione dell'eterna Verità; Luce del cuore per la guida sicura
che Egli dona alle eterne aspirazioni; Luce della vera scienza perché
la orienta e le impedisce ogni traviamento; Luce della storia perché
la riempie di sé e la spiega; Luce delle arti perché dona ad esse
l'ispirazione sublime.
Senza
di Lui c'è la barbarie e, rinnegandolo, le nazioni più civili vi
ricadono, come si vede e si tocca con mano ogni giorno. Le nazioni
che eclissarono semplicemente la sua luce con la nebbia fitta degli
errori, delle eresie e dello scisma, decaddero e decadono
precipitosamente nell'abisso e, se non giungono ancora nel fondo, è
per quel residuo di cristianesimo che ancora le pervade, quasi
crepuscolo del giorno già tramontato.
Gesù
Cristo c'insegna e ci indica il valore vero della nostra vita; senza
di Lui e senza la sua Croce, essa è quella che hanno concepito o gli
epicurei abbrutiti o i fanatici impazziti o i pessimisti disperati.
Per
Gesù e con Gesù la vita fiorisce soprannaturalmente, l'orrido
spineto lasciatoci dal peccato, innestandosi a Lui, rivive
fruttifica. Lavorare, rinnegarsi e portare la croce per meritare un
felicità eterna è un ideale che alletta, mentre agitarsi in una
lotta continua, con la sola certezza di morire, è disperante.
Brancolare
nel
labirinto delle idee umane, senza sapere né da dove si venga né
dove si vada, è lo stesso che essere preda di una furiosa tempesta
che ci sommerge; navigare, invece, nella nave magnifica del
Redentore, cioè nella Chiesa, è lo stesso che drizzare la prua al
eterni lidi.
La
Chiesa! Quale oasi di pace e di splendori nella storia turbinosa del
mondo, quale asilo di sicurezza per l'umana ragione l'umana libertà,
quale inesauribile miniera di gioie profonde per Gesù Cristo e in
Gesù Cristo!
I
richiami del mondo e i richiami della Chiesa
Venne
una volta, sui giornali nel 1914, la continua e chiassosa propaganda
di una lampada chiamata “plurivalente” che doveva sostituire
tutte le lampade e tutte le luci. Era riprodotta in effigi circondata
da fasci di luce vivissima e, dato il prezzo economico invogliava a
comprarla. Che cos'era in realtà? Un misero disco di stagno spalmato
di una materia debolmente fosforescente!
Tutte
le luci del mondo, senza Gesù Cristo e senza la sua Chiesa, questo
sono: miserissime lampade plurivalenti e un'ancor più misera
turlupinatura! Sapere di poter essere certi, certissimi di quello che
si crede, di quello che si spera e di quello che si ama e si attende è
una tale felicità che basterebbe da sola a colmare di luce il
nostro povero esilio.
Avere
certamente con noi il Signore, sebbene celato dai veli eucaristici, è
una tale sorgente di vita che basta questo solo mutare la valle di
lacrime in un'aiuola di profumi e in un campo il balsamo dissetante.
Basterebbe notare la semplice differenza che passa tra i richiami del
mondo e quelli della Chiesa, per vedere dove sta la luce, la
consolazione e la pace: il mondo ha i cannoni, la Chiesa le campane;
il mondo lancia dalle bocche infernali la morte, la Chiesa diffonde
dai campanili osannanti il placido suono che invoglia alla vita, alla
vera vita; il cannone forma intorno a se, nel suo raggio di azione,
la devastazione, il campanile, invece, raggruppa intorno a sé le
case e domina con voci d'amore la vita placida dei campi e la vita
tranquilla e laboriosa delle famiglie.
Luce
di Gesù Cristo, grida la Chiesa nel Sabato Santo: lumen
Christi, e avanza verso l'altare, per ricordare che alla luce
di Gesù Cristo noi avanziamo verso l'eterna Meta, che è la felicità
eterna.
Le
tenebre di oggi anche fra i cattolici
Ecco,
noi viviamo in un'epoca di tenebre fitte, in un momento di frenesia
collettiva che ci fa correre verso la catastrofe; si affondano le
navi, si distruggono immani ricchezze, si corre come esercito
mobilitato verso la morte, e perché? Perché manca la luce di Gesù
Cristo che è Lume di vita! Si assiste al miserando spettacolo della
creazione di nuove fedi fondate sull'ignoranza, di nuove religioni
fondate su idoli scelleratissimi, carichi di delitti, e persino di
nuovi misticismi che mostrano come simboli e oggetto di
contemplazione la rivoltella, il pugnale, la bomba a mano e il
teschio di morte, non per considerare la morte in ordine alla Vita
eterna ma per darla spietatamente o incontrarla disperatamente.
Gli
uomini sembrano impazziti, impazziti fino al delirio; coinvolgono
tutto per creare, secondo loro, un ordine nuovo, e fanno rovinare
tutto, travolgendo tutto nell'immane cataclisma delle rivoluzioni e
delle guerre. Si presta una fede cieca ai corifei dell'empietà, fino
a considerarli come dèi, e si nega l'assenso nobilissimo
dell'intelletto e del cuore a Gesù Cristo.
È
una cosa penosissima! È necessario spegnere le false luci del mondo
e riaccendere la luce di Gesù Cristo, non solo nelle nazioni ma
anche tra i medesimi cattolici.
Ci
sono infatti, fra essi, gravi sintomi di assideramento e di
disorientamento; serpeggiano fra loro a man salva errori funestissimi
e pochi se ne accorgono, assorbendone il veleno nella vita. C'è una
forte infiltrazione di razionalismo, di materialismo e di naturalismo
nelle anime, un aborrimento del soprannaturale, una forzata paralisi
degli slanci dell'anima verso vette più alte, un subcosciente
disprezzo di tutto quello che è vita interiore e vita di santità e,
soprattutto, un rispetto umano spinto fino a ostentare rispetto e
simpatia per gli eretici e i perversi e disprezzo e noncuranza per
tutto quello che può far temere l'accusa di piccolezza d'animo o di
pietà da donnette. Citiamo, a questo proposito, un tratto del Faber
, perché è troppo importante che si riaccenda in pieno la luce che
ci ha dato Gesù Cristo tra i fedeli e – bisogna dirlo – tra
quelli stessi che li guidano, perché il disorientamento è anche tra
le anime consacrate a Dio. “Vi
sono molti, ai nostri tempi, i quali non dicono di non essere
cristiani, ma pure scrivono e parlano come se fossero fuori e come se
fossero, allo stesso tempo, cristiani e non cristiani. Essi non si
diedero pena di formulare una miscredenza positiva, ma non
comprendono come mai il progresso, la perfettibilità e le scoperte
moderne. possano
conciliarsi
con quella collezione di antichi dogmi che costituiscono la religione
cristiana, e inclinerebbero a rinunciare ai dogmi piuttosto che alle
scoperte e invenzioni. Tali persone mettono la dignità umana fra le
considerazioni di prim'ordine, mentre, secondo loro, l'assenso
dell'uomo alle dottrine e alle pratiche della Chiesa è tanto
degradante alla sua nobiltà intellettuale, quanto la sua obbedienza
alle medesime è superstiziosa e umiliante. Papa e teologia, Madonna
e Santi, grazie e Sacramenti, penitenza e Purgatorio, scapolari e
rosari, ascetismo e misticismo, combinandosi per formare un carattere
perfettamente distinto e riconoscibile, arrecano un tono alla mente e
un fare alla condotta che non lasciano dubbio, e che difficilmente si
sbaglia a riconoscerli. Le persone delle quali ora parliamo sono ben
lontane dal nutrire stima per un tale carattere. Ai loro occhi è un
carattere piccolo, debole, spregevole, codardo, gretto, pusillanime.
Difetta di quell'espansione e ardire della grandezza morale, secondo
il loro modo di misurare la grandezza. Queste persone tracciarono dei
limiti al servizio di Dio, cercarono con lui un compromesso, lo
ridussero da Creatore ad un ente che può imporre tasse e tributi e
nulla più,
perché
Egli è un monarca costituzionale e non dispotico, ed essi si
formarono della perfezione un'opinione sfavorevole, come di
un'aggressione incostituzionale per parte di Dio e del suo
esecutivo”.
Noi
non ci accorgiamo che Gesù Cristo non è più considerato come luce
del mondo e che alla Chiesa stessa si tende a dare una fisionomia che
non discordi troppo o dal mondo o dalle pompose esibizioni di
sapienza, di equilibrio e di serietà delle sette. Quasi quasi ci
piace quell'ipocrita austerità di riti senz'anima e senza slanci,
quel bando dato a tutto quello che riscalda il cuore e lo muta in un
vibrante motore spirituale che porta l'anima nei voli dell'amore. Ci
mostriamo disgustati dalle pose dei Santi che ci sembrano esagerate e
tendiamo sempre più a vestirci dello smoking del mondo, per
mostrarci a nostro modo seri ed equilibrati, rinnegando così la
divina stoltezza della Croce.
Crediamo
quasi indecoroso che un cardinale si mostri con la corona in mano o
che baci un'immagine sacra; ci abituiamo troppo a confondere la
luminosa maestà dell'anima che crede, spera e ama, con la boria di
una serietà mondana, più ridicola di quella di un pagliaccio.
Siamo
come schiavi, incatenati dalla miscredenza e dagli errori altrui,
tremanti a ogni cenno del loro disprezzo per quello che è frutto di
devozione e di pietà cristiana, premurosi di toglierci ogni segno di
riconoscimento cristiano, rinnegatori della nostra divina
nazionalità, diremmo snobisti di satana e di quello che satana ha
prodotto per renderci come stranieri e forestieri nella stessa
Chiesa, simili a quegli Zulù africani che passano dal loro deserto
ardente in una delle nostre rumorose piazze, smarriti nello splendore
della civiltà e desiderosi del covo delle loro montagne.
Non
abbiamo bisogno di pseudo-cristi e pseudo-profeti
Lumen
Christi, lumen Christi, luce di Gesù Cristo: gridiamolo con la
Chiesa e invochiamo quest'unica luce senza farci affascinare da
quelli che corrono da pazzi con le loro fiaccole fumogene annebbiando
il limpido cielo dell'anima. Luce di Gesù Cristo pieno, nel mondo,
affinché il mondo ritrovi la vita. Non abbiamo bisogno di
pseudo-cristi o pseudo-profeti, anzi, ne abbiamo abbastanza e vediamo
già le disastrose conseguenze delle tenebre che hanno diffuso nel
mondo. Basta! Non ci serve più un uomo qualunque esso sia, che
rinnovi le gesta di Maometto e pretenda di dare un corano nuovo alla
nazione e al mondo; abbiamo bisogno solo della luce di Gesù Cristo e
del suo rinnovato fulgore nelle anime nostre!
Sac.
Dolindo Ruotolo
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