martedì 2 luglio 2019

Beati Lucchese e Buonadonna - Sposi - Terziari francescani




Con la benedizione del matrimonio, si riceve la forza per amarsi ed essere fedeli l'uno all'altra e in quanto sacramento, la grazia di portare su di sé i limiti e gli errori dell'altro come fossero i propri. Qualsiasi marito e qualsiasi moglie sbaglia a volte così come ogni madre a volte sbaglia col figlio. Non siamo onniscienti e onnipotenti: non vediamo tutti gli elementi, non possiamo controllare nemmeno quelli che vediamo e l'egoismo umano a volte gioca brutti scherzi inconsci anche nel cuore più adorabile. In altre parole, non siamo Dio e guai a chi venera idoli anche all'interno del matrimonio. Ma una volta che ci si rende conto di questo, una volta che Dio è messo sul trono, nel matrimonio entra un enorme potere, per cui gli errori e i peccati dei due che sono stati fatti uno, possono servire per la reciproca santificazione.

(Gilbert Keith Chesterton)

Lucchese o Lucesio o Lucchesio nacque verso il 1180 a Gaggiano di Cedde, un piccolo paese a pochi chilometri da Poggibonsi, da famiglia contadina. Sposò Buona (o Buonadonna), giovane di una ricca famiglia di Borgo Marturi, dalla quale ebbe due figli. Si interessò di affari e di politica. Alcuni nemici lo avversarono tenacemente fino a costringerlo a lasciare Gaggiano. Si trasferì allora con la famiglia a Poggibonsi. Egli fu un uomo giovane, di bell’aspetto, buon parlatore con una gran voglia di entrare nella cerchia della gente che contava nella nuova cittadina. Gli furono d’ostacolo la sua origine rurale e il fatto di essere uno “straniero”, arrivato cioè da poco in città. Ma non si diede per vinto. Come un certo Bernardone di Assisi, volle anche lui arricchirsi nel più breve tempo possibile, e si gettò a capofitto negli affari.
Divenne commerciante di generi alimentari e praticò il cambio di valuta: Poggibonsi è sulla via Cassia, una delle strade più battute nel Medioevo da “romei” (i pellegrini diretti a Roma) e commercianti, e vi circolavano varie monete, in particolare senesi, pisane e fiorentine. Non soddisfatto, tentò nuove vie. Investì gran parte dei beni di famiglia nell’acquisto di derrate alimentari. Diventò grossista di grano e di biade, ne ammassò grandi quantitativi per dominare la piazza e poter speculare sui prezzi nei frequenti momenti di carestia. Lucchese diventò un uomo maturo. Si arricchì e la scalata sociale sembra riuscirgli. Fu a questo punto che nella sua vita intervenne qualcosa di nuovo. La mano di Dio lo raggiunse forse attraverso nuovi contrasti o dispiaceri. In spazi sempre più ampi di silenzio e di solitudine, cercò un nuovo senso da dare alla vita che corre via veloce.
Gli affari non gli bastavano più e lentamente diede ad essi meno importanza.
Come aveva fatto qualche anno prima un suo coetaneo di Assisi, “da quell’ora smise di adorare se stesso, e persero via via di fascino le cose che prima amava... Svincolandosi man mano dalla superficialità, si appassionava a custodire Cristo nell’intimo del cuore” (Tre Compagni, III, 8 FF 1403).
Lucchese verso i 30 anni si liberò di tutte le ricchezze accumulate come mercante e scelse di fare la carità. Una volta la moglie stava rimproverando il marito perché, per la sua mania di regalare pane a tutti, la madia era rimasta vuota. Ma aprendola di nuovo la trovò piena di pane fresco. Dopo questo miracolo anch’essa decise di seguire il marito. Perduti i due figli in tenera età, gli sposi si dedicarono a Dio e al prossimo.S.Francesco stava percorrendo le campagne italiane e molti laici gli chiedevano di seguirlo. Anche Lucchese avrebbe voluto farsi frate e Bona unirsi a S. Chiara nel convento di S. Damiano, ma Francesco, incontratili, disse: “Siete sposati e dovete continuare a vivere insieme. Vi darò una regola di vita perché possiate diventare perfetti. Voi vivrete nel mondo come Frati Penitenti, ma non apparterrete al mondo: farete opere pie, digiunerete, predicherete la pace”.
Li vestì lui stesso della tunica color cenere e li cinse col cordone a più nodi facendone i primi terziari francescani
Venduta nel 1227 anche la casa della moglie e consegnato il denaro all’ospedale di S. Giovanni, i due sposi ora avevano solo un misero alloggio vicino ad un campicello che Lucchese coltivava con le proprie mani, destinando i prodotti al nutrimento dei poveri. Una volta un prete che passava di lì gli chiese delle cipolle e Lucchese gliene diede così tante che gliene rimasero pochissime. Siccome il prete glielo fece osservare, Lucchese gli chiese di benedire ciò che era rimasto e l’indomani il misero mucchietto si era moltiplicato. Spesso Lucchese andava a raccogliere gli ammalati e li portava dove potevano essere curati. Una volta stava trasportando sulle proprie spalle un infermo, quando un giovane lo derise. Lucchese disse: “ Porto su di me Cristo sofferente” Per punizione divina il giovane divenne muto, ma Lucchese si mise a pregare per lui e la parola gli fu restituita. Lucchese e Buona giunsero sin verso i 70 anni. Un mattino Buona non riusciva ad alzarsi da letto. Anche Lucchese stava male ma andò ugualmente a chiamare padre Ildebrando, il guardiano del convento francescano di Poggibonsi.
Ricevettero insieme l’Unzione dei malati ed il Viatico: per l’ultima volta il Signore venne da loro, che così spesso erano andati a Lui nella persona dei miseri. Fu Buona a spirare per prima, con accanto il marito che la confortava e la teneva per mano. Nello stesso giorno si spense in pace anche Lucchese. Era il 28 aprile del 1250.
Vissero insieme in una comunione di spirito che li ha visti uniti nello stesso cammino di sequela radicale del Signore sulla scia di Francesco, questi due sposi hanno avuto la grazia di entrare insieme nella sala del banchetto di nozze dell’Agnello. Al funerale avvenne un miracolo perché, nonostante il violento acquazzone, la pioggia non bagnò né le bare, né la gente. Nel 1581, durante i lavori di riparazione del pavimento del coro, furono ritrovate le ossa di Lucchese, il corpo fu ricomposto e deposto in un’urna sopra l’altare. Ogni anno il 28 aprile a Poggibonsi si fa una festa religiosa e popolare, la città viene benedetta dall’alto col corpo del santo patrono e la reliquia della moglie durante una processione. Le spoglie mortali dei due santi coniugi riposano in una graziosa cappella nel transetto sinistro della grande chiesa che la città di Poggibonsi ha innalzato in onore di Lucchese già sul finire del secolo XIII. Di stile francescano (unica grande navata, con ampio transetto), è in bella posizione su di un colle appena fuori Poggibonsi ed è meta di numerosi pellegrinaggi.



O gloriosi Santi Coniugi Lucchese e Buonadonna, che, praticando l’ideale francescano di preghiera, di distacco dai beni terreni e di generosa carità verso i poveri, gli ammalati e gli infelici, raggiungeste con il più perfetto amore di Dio l’unione più profonda del vostro amore coniugale, donate alle nostre famiglie l’amore serafico che unisca nella concordia e nella pace.Per Cristo nostro Signore.



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