mercoledì 4 novembre 2015

Se uno non odia suo padre... le parabole della torre e della guerra dei re - Lc 14, 25-33 - Meditazione di Eugenio Pramotton - Terza versione


Lc 14, 25-33


Interpretazione comune
Questo brano di Vangelo viene letto nella ventitreesima domenica del tempo ordinario dell'anno C. Nelle spiegazioni, o nei commenti che si sentono durante le omelie, le parabole della costruzione della torre e della guerra dei re vengono di solito interpretate in questo modo: Siccome seguire Gesù è una cosa seria, un impegno da non prendere alla leggera specialmente dopo aver ascoltato le dure parole relative all'amore del padre, della madre, della moglie… e alla necessità di portare la croce, allora Egli chiede ai suoi ascoltatori di non essere precipitosi e superficiali, ma di sedersi un momento ad esaminare se hanno i mezzi sufficienti per seguirlo fino alla fine. Così come chi vuole costruire una torre o affrontare una battaglia deve valutare con intelligenza se ha le risorse sufficienti per portare a termine l'impresa. Se gli uomini, giustamente, devono dimostrarsi saggi e prudenti nelle imprese umane, a maggior ragione devono dimostrarsi tali prima di avventurarsi nell'impresa di seguire Gesù, perché non accada loro di incominciare senza riuscire a finire.
L'esito della verifica secondo questa interpretazione deve approdare a una delle seguenti conclusioni: io ho i mezzi e le risorse sufficienti per seguire Gesù fino alla fine, allora lo seguo; oppure: riconosco di non avere questi mezzi e non lo seguo. Proviamo ad esaminare una possibile conseguenza di questa seconda conclusione. Se uno decide di non seguire Gesù, chi seguirà e che cosa farà? Seguirà il proprio consiglio e potrà tranquillamente dedicarsi alle proprie imprese, alle proprie battaglie, a curare la propria famiglia ed amare il padre, la madre, la moglie, i figli, la propria vita… evitando sia i problemi derivanti dalle idee un po' strane di Gesù sia le rinunce e i sacrifici richiesti dalla sua folle pretesa di essere amato sopra ogni cosa. Tutto sommato, risulterebbe più comodo e meno rischioso non seguire Gesù per evitare la derisione e l'umiliazione nel caso di un fallimento o di una sconfitta.
Proviamo ad esaminare adesso l'altra conclusione, quella di chi decide di seguire Gesù perché ritiene di avere i mezzi sufficienti e le forze necessarie. Dobbiamo prima di tutto osservare che le parabole si propongono di suggerire un'analogia in cui l'ascoltatore deve essere in grado di valutare la realizzazione di un'impresa dal suo inizio al suo termine perché può ragionevolmente conoscere in anticipo sia le risorse che ha a disposizione, sia quelle effettivamente richieste dall'opera che vuole intraprendere. Ma chi vuole seguire Gesù, può ragionevolmente conoscere in anticipo che cosa gli verrà chiesto all'inizio, a metà e al termine del cammino? Possiamo rispondere che sempre gli verrà chiesto di amare Lui più del padre, della madre, della moglie, dei figli, della vita e di portare la propria croce. Questo è sicuramente uno degli aspetti che possiamo conoscere in anticipo, ma rimane da valutare l'altro aspetto, quello di sapere se noi abbiamo le risorse sufficienti per rispondere correttamente alle esigenze dell'amore di Cristo quando, in circostanze, tempi e modalità impossibili da conoscere in anticipo, bisognerà dimostrare con i fatti di nulla anteporre al suo amore.
Gli stessi apostoli non riescono a costruire la torre
Ora, il Vangelo e l'esperienza mostrano chiaramente che quando bisogna passare dalla teoria alla pratica, proprio coloro che affermano con maggior sicurezza di poter seguire Gesù ovunque vada, clamorosamente tradiscono e si rivelano infedeli. Non possiamo non pensare a Pietro che risolutamente afferma: Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò. Ma non solo Pietro, anche gli altri apostoli dicevano lo stesso. Poi, in quella stessa notte, la notte del prodigioso duello fra la Vita e la Morte, Pietro per ben tre volte rinnega il suo Signore e gli altri fuggono: Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono (Mc 14,31; 50).
Paradossalmente non riescono a costruire la torre e a vincere la guerra proprio coloro che avevano così ben cominciato avendo lasciato il padre, la madre, la moglie, le barche… per seguire Gesù. Quando l'ora della croce si presenta in tempi e modi impossibili da prevedere in anticipo le risorse umane si rivelano assolutamente inadeguate e insufficienti. Allora, pretendere di avere i mezzi per portare a compimento l'impresa di seguire Gesù, è pretendere di riuscire a far meglio degli apostoli, ossia candidarsi allo stesso fallimento. Noi possiamo essere in grado di calcolare i costi e le risorse necessari per portare a compimento un'impresa umana, ma seguire Gesù non è un'impresa umana è un'avventura divina, ed è presunzione e stoltezza affermare di avere i mezzi per portarla a compimento.
L'esperienza insegna poi che quanti seguono il Signore sono condotti, prima o poi, ad attraversare situazioni piuttosto strane e inverosimili. Situazioni che se le conoscessimo in anticipo diremmo: Io di lì non riuscirò mai a passare, non ce la faccio, non ho né le forze, né le capacità, né la volontà, per affrontare simili situazioni.
Secondo l'interpretazione corrente uno scopo delle parabole sarebbe quello di invitare a riflettere sulla serietà delle condizioni richieste per seguire Gesù e mostrare cosa potrebbe accadere a chi imprudentemente decidesse di seguirlo. Ma come invito alla riflessione sulle condizioni per seguire Gesù esse sono perfettamente inutili, perché a suscitare serie riflessioni sulla possibilità e l'opportunità di seguirlo sono più che sufficienti le sconvolgenti parole sugli amori umani e sulla necessità di portare la croce.
Gesù delude le attese della gente
Per meglio comprendere la situazione proviamo ad immaginare lo stato d'animo, i pensieri e le mormorazioni della gente mentre sta ascoltando le parole del Signore. Immaginiamo che Gesù, dopo aver manifestato l'esigenza di essere amato sopra ogni cosa e affermato la necessità di portare la croce, abbia fatto una pausa. Silenzio generale, nei cuori serpeggia la perplessità, la delusione, il timore… qualcuno mormora: Ma chi si crede di essere?!…
La gente Lo aveva seguito affascinata dal suo volto, dalla sua sapienza, dalla potenza dei miracoli che compiva; nel loro cuore erano sorte speranze di riscatto e di liberazione ma ora, tutte le loro attese e le idee che si erano fatte su Gesù subiscono un duro colpo. E poi, quella pretesa di essere amato sopra ogni cosa, non è un po' pericolosa? Non va contro la legge? E le parole dette a proposito della croce, cosa significano? Loro speravano che Gesù li avrebbe guariti da ogni malattia e liberati da ogni oppressione e per questo erano entusiasticamente disposti a farlo re, ma sempre più si rendono conto che le loro attese, più che accolte e incoraggiate vengono respinte e contrastate. Eppure la persona di Gesù emanava fascino: il suo volto, il suo sguardo, la sua bontà, la sua autorevolezza, le sue opere… si trovano così perplessi e divisi, contemporaneamente attratti dal fascino di Gesù e respinti dalla severità delle sue parole.
Dopo un momento di silenzio Gesù riprende a parlare dicendo: Chi di voi, volendo costruire una torre… Quali reazioni immediate o quali pensieri avrà fatto sorgere questa storia? Probabilmente le stesse reazioni e gli stessi pensieri che qualcuno potrebbe avere se durante un'omelia venisse chiesto: Chi di voi, volendo costruire un grattacelo, non siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarlo a compimento? Cosa centra la costruzione di una torre o di un grattacelo con l'amore del padre, della moglie, dei figli e con la croce? Perché questo paragone? Non ci sono tra noi persone così ricche, abbiamo appena quanto basta per vivere dignitosamente, a costruire torri o grattaceli non ci pensiamo proprio e se anche volessimo non ne avremmo i mezzi.
Ci potrebbe tuttavia essere fra gli ascoltatori qualcuno che facendo bene i conti potrebbe rispondere di avere le risorse per costruire una torre o un grattacelo. Ma Gesù propone ancora un'altra parabola in cui parla di un re che corre il rischio di essere stolto se pretendesse di fare la guerra contro un re due volte più forte di lui. Questa nuova storia, che cosa vorrà dire? Non c'erano re fra gli ascoltatori e se qualcuno poteva pensare a una qualche guerra era quella degli Ebrei contro i Romani, ma nessuno poteva in quel momento ragionevolmente pensare di poterli vincere perché, proprio come nella parabola, erano molto più forti di loro. Così, anche l'eventuale ricco era invitato da questa parabola a riconoscere la propria impotenza. E nello stesso senso vanno le parole conclusive di Gesù: Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. Ma se uno rinuncia a tutti i suoi averi vuol dire che diventa povero, e un povero non ha né i mezzi per costruire torri né soldati per andare in guerra. Possiamo allora sospettare che le parabole non siano state raccontate per invitare a dichiarare di avere i mezzi per seguire Gesù, ma per suscitare la consapevolezza di non averli. Se seguire Gesù è come la costruzione di una torre, allora io non ho questi mezzi; se seguire Gesù è come la guerra dei re, allora io non ho queste forze.
Proposta di una diversa spiegazione - La costruzione della torre
Giunti a questo punto rimane il compito di proporre una diversa spiegazione. Si tratta del tentativo di mostrare come in realtà le parabole non riguardano solo il momento particolare di qualcuno che deve prendere una decisione importante, ma di come dicono qualcosa sull'intera vita di tutti gli uomini, anche di quelli che non si trovano a confronto con le parole di Gesù. Dicono qualcosa sulla vita intima di ciascuno di noi anche se nessuno di noi è re, né gli è mai passato per la mente di costruire torri o grattaceli.
In realtà, ognuno di noi è impegnato a costruire la propria vita e tutti poniamo le fondamenta di questa costruzione proprio sugli amori umani, ossia sull'amore del padre, della madre, della moglie, dei figli… Quando si è bambini ci si appoggia totalmente sull'amore del padre e della madre e quando si è giovani si va in cerca di uno sposo o di una sposa; ognuno di noi tende inoltre a rifugiarsi in questi amori nei momenti di pericolo, di difficoltà o di sconforto. Così, ogni vita umana si costruisce a partire dall'amore e in vista dell'amore. Tutto questo è così naturale e scontato come è naturale e scontato pensare che sia il sole a girare intorno alla terra. Ma le parole di Gesù, come un terremoto, scuotono le basi di ogni nostra costruzione. Chi può avere il desiderio di seguirlo a queste condizioni? Chi può dichiarare di avere le risorse per seguirlo fino alla fine quando non si hanno nemmeno quelle per iniziare il cammino?
La torre poi, che si slancia verso il cielo, mezzo di difesa, simbolo di potenza e di prestigio, può rappresentare l'esigenza di assoluto che c'è nel cuore dell'uomo. Questa esigenza, consapevolmente o inconsapevolmente, tende ad orientare verso l'alto ogni ricerca di bene e ogni aspirazione umana. Spinge l'uomo ad andare sempre oltre ciò che è riuscito a raggiungere anche se, per quanti sforzi faccia, non riesce mai a trovare qualcosa che sazi veramente il suo cuore. A causa di questa esigenza corriamo sempre il rischio di chiedere agli amori umani ciò che essi non possono dare; gli amori umani infatti non sono la risposta alla sete di assoluto che c'è in noi. I drammi della gelosia e della passione manifestano la gravità di questo errore.
La torre può rappresentare inoltre tutti i mezzi che l'uomo mette in atto per difendersi dagli imprevisti e dalle tribolazioni che minacciano il benessere o la felicità che è riuscito a costruirsi. Infine la torre potrebbe anche rappresentare il prestigio, la fama e la gloria che tanto o poco ognuno di noi tende a cercare. Allora, con questa parabola, il Signore ci invita al coraggio di una verifica proprio sulle risorse e sulla fattibilità di questa impresa in cui ognuno si trova impegnato. L'uomo, ha i mezzi sufficienti per costruirsi il benessere e la felicità a cui aspira? Ha i mezzi sufficienti per difendersi dall'innumerevole varietà di tribolazioni che ogni giorno visitano ora l'uno ora l'altro in ogni periodo della vita e in ogni parte del mondo? Questa è la verifica che, con un minimo di esperienza e di onestà intellettuale, ognuno di noi è in grado di fare in anticipo.
E l'esito della verifica è: No, io non ho i mezzi sufficienti per portare a compimento la costruzione della mia felicità, non ho nemmeno i mezzi per difendere quel poco benessere che sono riuscito a procurarmi, soprattutto, non ho i mezzi per difendermi dalla tribolazione decisiva che si chiama morte. Gli amori umani su cui tanto si è investito non riescono a mantenere le loro promesse, non riescono a colmare e a pacificare fino in fondo il nostro cuore, proprio come una costruzione o un'impresa che non riusciamo a portare a termine. Lo stesso accade per tutti i mezzi che mettiamo in atto per difenderci dalle tribolazioni, la nostra torre rimarrà sempre incompiuta e non riuscirà a proteggerci come vorremmo, dai guai, dall'inevitabile decadenza, dalla malattia e dalla morte.
La guerra dei re
Anche la parabola dei due re racconta la storia di un'impossibile impresa, ed è a tutti evidente che un re con diecimila uomini non può pretendere di fare la guerra e vincere chi gli viene incontro con il doppio delle forze. La parabola suggerisce inoltre che, vista la situazione (visibile solo da chi ha occhi per vedere), è molto più saggio non cercare lo scontro ma piuttosto la pace. Anche in questo caso è opportuno cercare in che senso questa storia tutti ci riguarda, in che senso questa storia è analoga alla nostra storia.
Un re è il capo supremo di tutti i suoi territori, è lui che li governa con le sue leggi, li difende e cerca di espanderli. Così, anche ogni uomo è il capo supremo della propria esistenza e la governa con delle leggi che stabiliscono che cosa è bene e che cosa è male per lui in tutti gli ambiti che gli competono e in tutte le situazioni che deve attraversare. Come un re cerca di espandere i suoi territori, così noi cerchiamo di accrescere il nostro benessere e lo difendiamo dalle circostanze avverse. Come un re riceve onore e tributi dai suoi sudditi, così noi tendiamo a far ruotare ogni cosa intorno alle esigenze del nostro io. E spesso vediamo che questo io si comporta come se fosse al centro dell'universo, anche se questo universo è tanto esteso quanto lo è la propria casa, il proprio ufficio o il proprio villaggio…
Come un re teme e cerca di difendere i suoi territori dall'invasione di altri re, così noi temiamo e ci difendiamo da chi vorrebbe dettar legge in casa nostra scombussolando il quieto procedere dei nostri giorni. Oppure da chi, in vario modo, contesta le nostre idee e i nostri comportamenti; proprio quelle idee e quei comportamenti che stanno alla base e manifestano la nostra concezione della vita. Ora, chi più di ogni altro minaccia il tranquillo procedere della nostra esistenza, chi più di ogni altro contesta le nostre idee, i nostri comportamenti e i nostri progetti, è Dio con le sue idee, le sue leggi e i suoi progetti. Noi assomigliamo quindi ad un re stolto nella misura in cui pretendiamo di governare la nostra vita con delle leggi e dei progetti che sono in contrasto con le leggi e i progetti di Dio.
Questo stato di contrasto è destinato a risolversi in una battaglia finale in cui il re più debole, ossia noi, sarà sicuramente sconfitto. La parabola suggerisce allora che è molto più saggio cercare i termini di un'intesa piuttosto che andare incontro ad una sconfitta certa. Il grande giorno del giudizio ci viene inesorabilmente incontro, se siamo saggi possiamo fare la pace con il Re dei re ed evitare l'umiliazione della sconfitta, ma per fare la pace dobbiamo rinunciare a governare la vita secondo le nostre leggi ed accettare le sue leggi, dobbiamo rinunciare a costruire ponendo le fondamenta sugli amori umani e porre invece l'amore di Gesù come principio e fine di ogni amore. Dobbiamo rinunciare a pretendere che Lui ci liberi da ogni malattia e tribolazione ed accettare, con il suo aiuto, di passare attraverso le tribolazioni la malattia e la morte. Dobbiamo rinunciare a pretendere che Gesù utilizzi il suo potere per realizzare un regno così come lo intendiamo noi; dobbiamo accettare di imparare a dire ogni giorno la tua volontà sia fatta e non la nostra. Dobbiamo rinunciare a sperare in una felicità terrena per acquistare la speranza certa della felicità ultraterrena.
Le parabole allora non descrivono tanto ciò che potrebbe accadere a chi imprudentemente vuole seguire Gesù, ma piuttosto ciò che sicuramente accade a chi non lo vuole seguire. Dicono che noi ci comportiamo come se avessimo i mezzi per costruire la nostra felicità mentre non è vero, dicono che noi ci comportiamo come se fossimo i padroni assoluti della nostra vita mentre il vero padrone è un altro e un giorno ci chiederà conto di come l'avremo gestita. La prima parabola mostra l'impresa in cui ognuno di noi è di fatto impegnato, la seconda mostra la nostra regalità, ossia la nostra libertà e conseguente responsabilità nella gestione di questa impresa.
Descrizione di un momento critico
Potremmo anche considerare questo brano di Vangelo come la descrizione di un momento critico, di scontro fra due diverse concezioni di felicità, fra due diverse vie per raggiungerla. Il programma presentato dal Signore scuote e riduce in frantumi i progetti e le attese di quanti Lo seguono in quanto, puntigliosamente, prende di mira e attacca tutto ciò che gli uomini hanno di più caro e anche tutto ciò che si aspettano da lui. Anche di queste parole si può dire: Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? (Gv 6, 60). Per chi ha fondato la sua esistenza sugli amori umani è duro sentirsi dire che bisogna cambiare il fondamento e porlo, non tanto sull'amore di Dio, ma sull'amore per quell'uomo che hanno di fronte, su Gesù. Per chi sperava da Lui guarigioni e liberazioni da ogni forma di oppressione è duro sentirsi dire che la necessità di portare la croce non verrà eliminata.
La gente aveva seguito Gesù pensando che Lui era la persona adatta a realizzare un progetto o un Regno di benessere e di felicità così come loro intendevano il benessere e la felicità. Ma Gesù con l'annuncio del suo programma demolisce implacabilmente queste illusioni. Nessuno a questo punto, così bastonato e disilluso, può onestamente dire di avere la volontà, le risorse o le forze, non solo per seguirlo fino alla fine, ma semplicemente per continuare a seguirlo.
E le parabole che seguono, a prima vista, non sembrano molto incoraggianti, anzi confermano l'impossibilità dell'impresa. Seguire Gesù a quelle condizioni è tanto impossibile come per la gente che lo ascolta costruire una torre o per un parrocchiano costruire un grattacelo, o per un re con diecimila uomini sconfiggere un re che ne ha ventimila. Se poi si cerca di approfondire il significato delle parabole per scoprire la loro analogia con la nostra vita, si è condotti a riconoscere altre impossibilità: l'impossibilità di costruire la propria felicità sugli amori umani, l'impossibilità di vincere le tribolazioni e la morte, l'impossibilità di far prevalere la nostra volontà sulla volontà di Dio.
A questo punto, chi ha orecchi per intendere, chi non vuole barare o illudersi, deve riconoscere la propria impotenza, la propria povertà, il proprio nulla. Impossibile seguire Gesù e impossibile costruire alcunché senza Gesù. Ma a questo punto si corre anche il rischio di scoprire un segreto, di scoprire che in fondo l'unica condizione per seguire Gesù è proprio il riconoscimento e l'accettazione della propria povertà: Chiunque rinunzia a tutti i suoi averi, questi può essere mio discepolo. Ha guardato la povertà della sua serva ci assicura il modello di ogni discepolo. E la prima beatitudine conferma: Beati voi, poveri. Santa teresina di Lisieux, Dottore della Chiesa, ci incoraggia in questi termini: La perfezione mi sembra facile: basta riconoscere il proprio nulla e abbandonarsi come un bambino nelle braccia di Dio.
Questo momento critico è simile al momento critico provocato dal discorso di Gesù sulla necessità di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue. San Pietro ci suggerisce l'atteggiamento corretto da assumere in questi casi: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna (Gv 6, 68). Abbandonare Gesù perché le sue parole sono dure è stoltezza, ma ugualmente stolto è pensare di andare a Lui presumendo di comprendere le sue parole con la nostra intelligenza o di riuscire ad attuare il suo programma con le nostre forze. Si va da Gesù non perché si hanno i mezzi per seguirlo fino alla fine, ma perché si è consapevoli di non avere questi mezzi. Si va da Gesù perché ci arrendiamo e accettiamo di rinunciare al nostro progetto di felicità basato sugli amori umani, sull'amore del proprio io, sull'eliminazione di ogni sofferenza ed accettiamo il suo progetto che purtroppo, nella fase terrena, prevede degli aggiustamenti nel nostro modo di vivere gli amori umani e l'accettazione delle sofferenze connesse a questi aggiustamenti. Prevede l'accettazione delle sofferenze connesse al nostro stato di peccatori solidali con un'umanità molto peccatrice. Il nostro sguardo, normalmente centrato sulle esigenze dell'io, deve volgersi sempre più verso le esigenze dell'amore di Dio.
La condizione per seguire Gesù non è di dichiarare in partenza, con uno sforzo di generosità, di essere capaci di amare Lui più di quanto si ami il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita e di essere capaci di portare la croce, ma di fidarsi di Lui ed accettare che il programma sia quello stabilito da Lui e non quello che desidereremmo noi. La condizione richiesta è la fiducia in Gesù e l'accettazione del suo programma, non la nostra capacità di attuarlo. Ma per accettare quel programma dobbiamo diventare poveri, ossia accettare di riconoscere che i nostri progetti sono destinati a rimanere incompiuti e a deluderci e le nostre forze sono insufficienti per affrontare i paradossi, le sfide e le opportunità che il misterioso disegno di Dio ci propone.
Possiamo osservare in questo brano ciò che normalmente accade quando Dio propone qualcosa all'uomo. Dio parla e l'uomo rimane sconvolto. Dio manifesta un suo progetto e l'uomo deve ammettere che è assolutamente incapace di realizzarlo; se però accetta di fidarsi di Dio e di accogliere quanto gli viene proposto, l'avventura comincia e, traballando e barcollando, l'uomo impara che senza il Signore non può far nulla, ma che nulla è impossibile a Dio.
Signore, da chi andremo? Tu solo puoi farci riuscire nell'impossibile impresa in cui ci hai coinvolto.
Appendice: il sale che diventa insipido - vv 34-35 || Mt 5,13 || Mc 9,50
Alle due parabole seguono i versetti: Il sale è buono, ma se anche il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si salerà? Non serve né per la terra né per il concime e così lo buttano via. Chi ha orecchi per intendere, intenda. Questo detto sembra messo lì senza avere una particolare relazione con quanto lo precede e con quanto lo segue; infatti in Matteo e Marco, con qualche variante, è situato in contesti diversi. Ma, secondo il pensiero di don Divo Barsotti, quando di un episodio o di alcuni versetti non capiamo bene perché si trovino in un certo posto, dobbiamo pensare che lo Spirito Santo ha vigilato e stabilito che dovevano trovarsi bene proprio in quel posto.
Proviamo allora a cercare di comprendere che significato possono avere queste parole piuttosto misteriose e se hanno un legame con le precedenti riflessioni. Conviene incominciare considerando che il sale viene utilizzato per dare gusto alle vivande e per la conservazione degli alimenti. Così ognuno di noi, giustamente, cerca di dare gusto e senso alla propria vita a partire dagli amori umani e dai progetti che si fanno intorno a questi amori. Ma il Signore con questo detto sembra suggerirci che, nonostante le promesse, gli amori e i progetti umani, col tempo, sono come del sale che diventa insipido e perde il potere di dare gusto e senso alla vita. Allora, con che cosa lo si salerà? Con che cosa daremo senso e gusto alla nostra vita? Paradossalmente, proprio rinunciando a porre il fondamento e il fine della vita negli amori umani e nei progetti che da essi scaturiscono, per accogliere invece le esigenze dell'amore di Dio e il progetto, molto più grandioso, che Lui ha pensato per noi.
Accogliere o non accogliere queste esigenze e questo progetto non è senza conseguenze. Se non li accogliamo il Signore ci avverte che inevitabilmente, prima o poi, tutto nella vita è destinato a diventare senza gusto, senza senso, senza valore, inutile agitazione, apatia che spegne ogni vitalità. Tutto diventerà come sale insipido che non serve né per la terra né per il concime e allora lo si getta via. Don Divo Barsotti in un suo diario così si esprime: Tutte le cose belle e buone e la stessa vita terrena perdono il loro valore e la loro bellezza se divengono il fine.
Allora la torre che non riusciamo a costruire, la guerra che non riusciamo a vincere, il sale che perde il suo sapore, sono tutte immagini che ci suggeriscono in fondo la stessa cosa: l'uomo che pensa la sua vita, il suo benessere, i suoi amori, in termini terreni, è destinato a fallire, a essere sconfitto, a perdere ogni significato, perché, secondo il progetto di Dio, egli è stato pensato per partecipare allo splendore e alla gloria del Cielo. Ma la strada che conduce al Cielo passa per la rinunzia a tutti i propri averi, ossia alla presa di coscienza e all'accettazione della nostra povertà. Chi non vuole essere povero, chi fugge da questa presa di coscienza, chi pensa di riuscire a cavarsela da solo senza diventare discepolo di Gesù, andrà inevitabilmente incontro al fallimento, alla sconfitta, alla perdita di ogni gusto e senso della vita. Chi invece accetta di seguire Gesù, chi accetta le sue esigenze anche se per il momento non è in grado di praticarle, giungerà un giorno nel Regno della Luce, dell'Amore, della Vita; solo lì gusterà la pace e la beatitudine senza ombre e senza fine.
Che il Signore ci doni orecchie per intendere.

Eugenio Pramotton - Tratto dal libro "Alla ricerca dell'acqua viva" dall'editore Parva.



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