Lc 14, 25-33
Interpretazione
comune
Questo
brano di Vangelo viene letto nella ventitreesima domenica del tempo
ordinario dell'anno C. Nelle spiegazioni, o nei commenti che si
sentono durante le omelie, le parabole della costruzione della torre
e della guerra dei re vengono di solito interpretate in questo modo:
Siccome seguire Gesù è una cosa seria, un impegno da non
prendere alla leggera specialmente dopo aver ascoltato le dure parole
relative all'amore del padre, della madre, della moglie… e alla
necessità di portare la croce, allora Egli chiede ai suoi
ascoltatori di non essere precipitosi e superficiali, ma di sedersi
un momento ad esaminare se hanno i mezzi sufficienti per seguirlo
fino alla fine. Così come chi vuole costruire una torre o affrontare
una battaglia deve valutare con intelligenza se ha le risorse
sufficienti per portare a termine l'impresa. Se gli uomini,
giustamente, devono dimostrarsi saggi e prudenti nelle imprese umane,
a maggior ragione devono dimostrarsi tali prima di avventurarsi
nell'impresa di seguire Gesù, perché non accada loro di
incominciare senza riuscire a finire.
L'esito
della verifica secondo questa interpretazione deve approdare a una
delle seguenti conclusioni: io ho i mezzi e le risorse sufficienti
per seguire Gesù fino alla fine, allora lo seguo; oppure: riconosco
di non avere questi mezzi e non lo seguo. Proviamo ad esaminare una
possibile conseguenza di questa seconda conclusione. Se uno decide di
non seguire Gesù, chi seguirà e che cosa farà? Seguirà il proprio
consiglio e potrà tranquillamente dedicarsi alle proprie imprese,
alle proprie battaglie, a curare la propria famiglia ed amare il
padre, la madre, la moglie, i figli, la propria vita… evitando sia
i problemi derivanti dalle idee un po' strane di Gesù sia le rinunce
e i sacrifici richiesti dalla sua folle pretesa di essere amato sopra
ogni cosa. Tutto sommato, risulterebbe più comodo e meno rischioso
non seguire Gesù per evitare la derisione e l'umiliazione nel caso
di un fallimento o di una sconfitta.
Proviamo
ad esaminare adesso l'altra conclusione, quella di chi decide di
seguire Gesù perché ritiene di avere i mezzi sufficienti e le forze
necessarie. Dobbiamo prima di tutto osservare che le parabole si
propongono di suggerire un'analogia in cui l'ascoltatore deve essere
in grado di valutare la realizzazione di un'impresa dal suo inizio al
suo termine perché può ragionevolmente conoscere in anticipo sia le
risorse che ha a disposizione, sia quelle effettivamente richieste
dall'opera che vuole intraprendere. Ma chi vuole seguire Gesù, può
ragionevolmente conoscere in anticipo che cosa gli verrà chiesto
all'inizio, a metà e al termine del cammino? Possiamo rispondere che
sempre gli verrà chiesto di amare Lui più del padre, della madre,
della moglie, dei figli, della vita e di portare la propria croce.
Questo è sicuramente uno degli aspetti che possiamo conoscere in
anticipo, ma rimane da valutare l'altro aspetto, quello di sapere se
noi abbiamo le risorse sufficienti per rispondere correttamente alle
esigenze dell'amore di Cristo quando, in circostanze, tempi e
modalità impossibili da conoscere in anticipo, bisognerà dimostrare
con i fatti di nulla anteporre al suo amore.
Gli
stessi apostoli non riescono a costruire la torre
Ora,
il Vangelo e l'esperienza mostrano chiaramente che quando bisogna
passare dalla teoria alla pratica, proprio coloro che affermano con
maggior sicurezza di poter seguire Gesù ovunque vada, clamorosamente
tradiscono e si rivelano infedeli. Non possiamo non pensare a Pietro
che risolutamente afferma: Se anche dovessi morire con te, non ti
rinnegherò. Ma non solo Pietro, anche gli altri apostoli
dicevano lo stesso. Poi, in quella stessa notte, la notte del
prodigioso duello fra la Vita e la Morte, Pietro per ben tre volte
rinnega il suo Signore e gli altri fuggono: Tutti
allora, abbandonandolo, fuggirono (Mc 14,31; 50).
Paradossalmente
non riescono a costruire la torre e a vincere la guerra proprio
coloro che avevano così ben cominciato avendo lasciato il padre, la
madre, la moglie, le barche… per seguire Gesù. Quando l'ora della
croce si presenta in tempi e modi impossibili da prevedere in
anticipo le risorse umane si rivelano assolutamente inadeguate e
insufficienti. Allora, pretendere di avere i mezzi per portare a
compimento l'impresa di seguire Gesù, è pretendere di riuscire a
far meglio degli apostoli, ossia candidarsi allo stesso fallimento.
Noi possiamo essere in grado di calcolare i costi e le risorse
necessari per portare a compimento un'impresa umana, ma seguire Gesù
non è un'impresa umana è un'avventura divina, ed è presunzione e
stoltezza affermare di avere i mezzi per portarla a compimento.
L'esperienza
insegna poi che quanti seguono il Signore sono condotti, prima o poi,
ad attraversare situazioni piuttosto strane e inverosimili.
Situazioni che se le conoscessimo in anticipo diremmo: Io di lì
non riuscirò mai a passare, non ce la faccio, non ho né le forze,
né le capacità, né la volontà, per affrontare simili situazioni.
Secondo
l'interpretazione corrente uno scopo delle parabole sarebbe quello di
invitare a riflettere sulla serietà delle condizioni richieste per
seguire Gesù e mostrare cosa potrebbe accadere a chi imprudentemente
decidesse di seguirlo. Ma come invito alla riflessione sulle
condizioni per seguire Gesù esse sono perfettamente inutili, perché
a suscitare serie riflessioni sulla possibilità e l'opportunità di
seguirlo sono più che sufficienti le sconvolgenti parole sugli amori
umani e sulla necessità di portare la croce.
Gesù
delude le attese della gente
Per
meglio comprendere la situazione proviamo ad immaginare lo stato
d'animo, i pensieri e le mormorazioni della gente mentre sta
ascoltando le parole del Signore. Immaginiamo che Gesù, dopo aver
manifestato l'esigenza di essere amato sopra ogni cosa e affermato la
necessità di portare la croce, abbia fatto una pausa. Silenzio
generale, nei cuori serpeggia la perplessità, la delusione, il
timore… qualcuno mormora: Ma chi si crede di essere?!…
La
gente Lo aveva seguito affascinata dal suo volto, dalla sua sapienza,
dalla potenza dei miracoli che compiva; nel loro cuore erano sorte
speranze di riscatto e di liberazione ma ora, tutte le loro attese e
le idee che si erano fatte su Gesù subiscono un duro colpo. E poi,
quella pretesa di essere amato sopra ogni cosa, non è un po'
pericolosa? Non va contro la legge? E le parole dette a proposito
della croce, cosa significano? Loro speravano che Gesù li avrebbe
guariti da ogni malattia e liberati da ogni oppressione e per questo
erano entusiasticamente disposti a farlo re, ma sempre più si
rendono conto che le loro attese, più che accolte e incoraggiate
vengono respinte e contrastate. Eppure la persona di Gesù emanava
fascino: il suo volto, il suo sguardo, la sua bontà, la sua
autorevolezza, le sue opere… si trovano così perplessi e divisi,
contemporaneamente attratti dal fascino di Gesù e respinti dalla
severità delle sue parole.
Dopo
un momento di silenzio Gesù riprende a parlare dicendo: Chi di
voi, volendo costruire una torre… Quali reazioni immediate o
quali pensieri avrà fatto sorgere questa storia? Probabilmente le
stesse reazioni e gli stessi pensieri che qualcuno potrebbe avere se
durante un'omelia venisse chiesto: Chi di voi, volendo costruire
un grattacelo, non siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi
per portarlo a compimento? Cosa centra la costruzione di una
torre o di un grattacelo con l'amore del padre, della moglie, dei
figli e con la croce? Perché questo paragone? Non ci sono tra noi
persone così ricche, abbiamo appena quanto basta per vivere
dignitosamente, a costruire torri o grattaceli non ci pensiamo
proprio e se anche volessimo non ne avremmo i mezzi.
Ci
potrebbe tuttavia essere fra gli ascoltatori qualcuno che facendo
bene i conti potrebbe rispondere di avere le risorse per costruire
una torre o un grattacelo. Ma Gesù propone ancora un'altra parabola
in cui parla di un re che corre il rischio di essere stolto se
pretendesse di fare la guerra contro un re due volte più forte di
lui. Questa nuova storia, che cosa vorrà dire? Non c'erano re fra
gli ascoltatori e se qualcuno poteva pensare a una qualche guerra era
quella degli Ebrei contro i Romani, ma nessuno poteva in quel momento
ragionevolmente pensare di poterli vincere perché, proprio come
nella parabola, erano molto più forti di loro. Così, anche
l'eventuale ricco era invitato da questa parabola a riconoscere la
propria impotenza. E nello stesso senso vanno le parole conclusive di
Gesù: Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi,
non può essere mio discepolo. Ma se uno rinuncia a tutti i suoi
averi vuol dire che diventa povero, e un povero non ha né i mezzi
per costruire torri né soldati per andare in guerra. Possiamo allora
sospettare che le parabole non siano state raccontate per invitare a
dichiarare di avere i mezzi per seguire Gesù, ma per suscitare la
consapevolezza di non averli. Se seguire Gesù è come la costruzione
di una torre, allora io non ho questi mezzi; se seguire Gesù è come
la guerra dei re, allora io non ho queste forze.
Proposta
di una diversa spiegazione - La costruzione della torre
Giunti
a questo punto rimane il compito di proporre una diversa spiegazione.
Si tratta del tentativo di mostrare come in realtà le parabole non
riguardano solo il momento particolare di qualcuno che deve prendere
una decisione importante, ma di come dicono qualcosa sull'intera vita
di tutti gli uomini, anche di quelli che non si trovano a confronto
con le parole di Gesù. Dicono qualcosa sulla vita intima di ciascuno
di noi anche se nessuno di noi è re, né gli è mai passato per la
mente di costruire torri o grattaceli.
In
realtà, ognuno di noi è impegnato a costruire la propria vita e
tutti poniamo le fondamenta di questa costruzione proprio sugli amori
umani, ossia sull'amore del padre, della madre, della moglie, dei
figli… Quando si è bambini ci si appoggia totalmente sull'amore
del padre e della madre e quando si è giovani si va in cerca di uno
sposo o di una sposa; ognuno di noi tende inoltre a rifugiarsi in
questi amori nei momenti di pericolo, di difficoltà o di sconforto.
Così, ogni vita umana si costruisce a partire dall'amore e in vista
dell'amore. Tutto questo è così naturale e scontato come è
naturale e scontato pensare che sia il sole a girare intorno alla
terra. Ma le parole di Gesù, come un terremoto, scuotono le basi di
ogni nostra costruzione. Chi può avere il desiderio di seguirlo a
queste condizioni? Chi può dichiarare di avere le risorse per
seguirlo fino alla fine quando non si hanno nemmeno quelle per
iniziare il cammino?
La
torre poi, che si slancia verso il cielo, mezzo di difesa, simbolo di
potenza e di prestigio, può rappresentare l'esigenza di assoluto che
c'è nel cuore dell'uomo. Questa esigenza, consapevolmente o
inconsapevolmente, tende ad orientare verso l'alto ogni ricerca di
bene e ogni aspirazione umana. Spinge l'uomo ad andare sempre oltre
ciò che è riuscito a raggiungere anche se, per quanti sforzi
faccia, non riesce mai a trovare qualcosa che sazi veramente il suo
cuore. A causa di questa esigenza corriamo sempre il rischio di
chiedere agli amori umani ciò che essi non possono dare; gli amori
umani infatti non sono la risposta alla sete di assoluto che c'è in
noi. I drammi della gelosia e della passione manifestano la gravità
di questo errore.
La
torre può rappresentare inoltre tutti i mezzi che l'uomo mette in
atto per difendersi dagli imprevisti e dalle tribolazioni che
minacciano il benessere o la felicità che è riuscito a costruirsi.
Infine la torre potrebbe anche rappresentare il prestigio, la fama e
la gloria che tanto o poco ognuno di noi tende a cercare. Allora, con
questa parabola, il Signore ci invita al coraggio di una verifica
proprio sulle risorse e sulla fattibilità di questa impresa in cui
ognuno si trova impegnato. L'uomo, ha i mezzi sufficienti per
costruirsi il benessere e la felicità a cui aspira? Ha i mezzi
sufficienti per difendersi dall'innumerevole varietà di tribolazioni
che ogni giorno visitano ora l'uno ora l'altro in ogni periodo della
vita e in ogni parte del mondo? Questa è la verifica che, con un
minimo di esperienza e di onestà intellettuale, ognuno di noi è in
grado di fare in anticipo.
E
l'esito della verifica è: No, io non ho i mezzi sufficienti per
portare a compimento la costruzione della mia felicità, non ho
nemmeno i mezzi per difendere quel poco benessere che sono riuscito a
procurarmi, soprattutto, non ho i mezzi per difendermi dalla
tribolazione decisiva che si chiama morte. Gli amori umani su cui
tanto si è investito non riescono a mantenere le loro promesse, non
riescono a colmare e a pacificare fino in fondo il nostro cuore,
proprio come una costruzione o un'impresa che non riusciamo a portare
a termine. Lo stesso accade per tutti i mezzi che mettiamo in atto
per difenderci dalle tribolazioni, la nostra torre rimarrà sempre
incompiuta e non riuscirà a proteggerci come vorremmo, dai guai,
dall'inevitabile decadenza, dalla malattia e dalla morte.
La
guerra dei re
Anche
la parabola dei due re racconta la storia di un'impossibile impresa,
ed è a tutti evidente che un re con diecimila uomini non può
pretendere di fare la guerra e vincere chi gli viene incontro con il
doppio delle forze. La parabola suggerisce inoltre che, vista la
situazione (visibile solo da chi ha occhi per vedere), è molto più
saggio non cercare lo scontro ma piuttosto la pace. Anche in questo
caso è opportuno cercare in che senso questa storia tutti ci
riguarda, in che senso questa storia è analoga alla nostra storia.
Un
re è il capo supremo di tutti i suoi territori, è lui che li
governa con le sue leggi, li difende e cerca di espanderli. Così,
anche ogni uomo è il capo supremo della propria esistenza e la
governa con delle leggi che stabiliscono che cosa è bene e che cosa
è male per lui in tutti gli ambiti che gli competono e in tutte le
situazioni che deve attraversare. Come un re cerca di espandere i
suoi territori, così noi cerchiamo di accrescere il nostro benessere
e lo difendiamo dalle circostanze avverse. Come un re riceve onore e
tributi dai suoi sudditi, così noi tendiamo a far ruotare ogni cosa
intorno alle esigenze del nostro io. E spesso vediamo che questo io
si comporta come se fosse al centro dell'universo, anche se questo
universo è tanto esteso quanto lo è la propria casa, il proprio
ufficio o il proprio villaggio…
Come
un re teme e cerca di difendere i suoi territori dall'invasione di
altri re, così noi temiamo e ci difendiamo da chi vorrebbe dettar
legge in casa nostra scombussolando il quieto procedere dei nostri
giorni. Oppure da chi, in vario modo, contesta le nostre idee e i
nostri comportamenti; proprio quelle idee e quei comportamenti che
stanno alla base e manifestano la nostra concezione della vita. Ora,
chi più di ogni altro minaccia il tranquillo procedere della nostra
esistenza, chi più di ogni altro contesta le nostre idee, i nostri
comportamenti e i nostri progetti, è Dio con le sue idee, le sue
leggi e i suoi progetti. Noi assomigliamo quindi ad un re stolto
nella misura in cui pretendiamo di governare la nostra vita con delle
leggi e dei progetti che sono in contrasto con le leggi e i progetti
di Dio.
Questo
stato di contrasto è destinato a risolversi in una battaglia finale
in cui il re più debole, ossia noi, sarà sicuramente sconfitto. La
parabola suggerisce allora che è molto più saggio cercare i termini
di un'intesa piuttosto che andare incontro ad una sconfitta certa. Il
grande giorno del giudizio ci viene inesorabilmente incontro, se
siamo saggi possiamo fare la pace con il Re dei re ed evitare
l'umiliazione della sconfitta, ma per fare la pace dobbiamo
rinunciare a governare la vita secondo le nostre leggi ed accettare
le sue leggi, dobbiamo rinunciare a costruire ponendo le fondamenta
sugli amori umani e porre invece l'amore di Gesù come principio e
fine di ogni amore. Dobbiamo rinunciare a pretendere che Lui ci
liberi da ogni malattia e tribolazione ed accettare, con il suo
aiuto, di passare attraverso le tribolazioni la malattia e la morte.
Dobbiamo rinunciare a pretendere che Gesù utilizzi il suo potere per
realizzare un regno così come lo intendiamo noi; dobbiamo accettare
di imparare a dire ogni giorno la tua volontà sia fatta e non
la nostra. Dobbiamo rinunciare a sperare in una felicità terrena per
acquistare la speranza certa della felicità ultraterrena.
Le
parabole allora non descrivono tanto ciò che potrebbe accadere a chi
imprudentemente vuole seguire Gesù, ma piuttosto ciò che
sicuramente accade a chi non lo vuole seguire. Dicono che noi ci
comportiamo come se avessimo i mezzi per costruire la nostra felicità
mentre non è vero, dicono che noi ci comportiamo come se fossimo i
padroni assoluti della nostra vita mentre il vero padrone è un altro
e un giorno ci chiederà conto di come l'avremo gestita. La prima
parabola mostra l'impresa in cui ognuno di noi è di fatto impegnato,
la seconda mostra la nostra regalità, ossia la nostra libertà e
conseguente responsabilità nella gestione di questa impresa.
Descrizione
di un momento critico
Potremmo
anche considerare questo brano di Vangelo come la descrizione di un
momento critico, di scontro fra due diverse concezioni di felicità,
fra due diverse vie per raggiungerla. Il programma presentato dal
Signore scuote e riduce in frantumi i progetti e le attese di quanti
Lo seguono in quanto, puntigliosamente, prende di mira e attacca
tutto ciò che gli uomini hanno di più caro e anche tutto ciò che
si aspettano da lui. Anche di queste parole si può dire: Questo
linguaggio è duro; chi può intenderlo? (Gv 6, 60). Per chi ha
fondato la sua esistenza sugli amori umani è duro sentirsi dire che
bisogna cambiare il fondamento e porlo, non tanto sull'amore di Dio,
ma sull'amore per quell'uomo che hanno di fronte, su Gesù. Per chi
sperava da Lui guarigioni e liberazioni da ogni forma di oppressione
è duro sentirsi dire che la necessità di portare la croce non verrà
eliminata.
La
gente aveva seguito Gesù pensando che Lui era la persona adatta a
realizzare un progetto o un Regno di benessere e di felicità così
come loro intendevano il benessere e la felicità. Ma Gesù con
l'annuncio del suo programma demolisce implacabilmente queste
illusioni. Nessuno a questo punto, così bastonato e disilluso, può
onestamente dire di avere la volontà, le risorse o le forze, non
solo per seguirlo fino alla fine, ma semplicemente per continuare a
seguirlo.
E
le parabole che seguono, a prima vista, non sembrano molto
incoraggianti, anzi confermano l'impossibilità dell'impresa. Seguire
Gesù a quelle condizioni è tanto impossibile come per la gente che
lo ascolta costruire una torre o per un parrocchiano costruire un
grattacelo, o per un re con diecimila uomini sconfiggere un re che ne
ha ventimila. Se poi si cerca di approfondire il significato delle
parabole per scoprire la loro analogia con la nostra vita, si è
condotti a riconoscere altre impossibilità: l'impossibilità di
costruire la propria felicità sugli amori umani, l'impossibilità di
vincere le tribolazioni e la morte, l'impossibilità di far prevalere
la nostra volontà sulla volontà di Dio.
A
questo punto, chi ha orecchi per intendere, chi non vuole barare o
illudersi, deve riconoscere la propria impotenza, la propria povertà,
il proprio nulla. Impossibile seguire Gesù e impossibile costruire
alcunché senza Gesù. Ma a questo punto si corre anche il rischio di
scoprire un segreto, di scoprire che in fondo l'unica condizione per
seguire Gesù è proprio il riconoscimento e l'accettazione della
propria povertà: Chiunque rinunzia a tutti i suoi averi, questi
può essere mio discepolo. Ha guardato la povertà della sua serva
ci assicura il modello di ogni discepolo. E la prima beatitudine
conferma: Beati voi, poveri. Santa teresina di Lisieux,
Dottore della Chiesa, ci incoraggia in questi termini: La
perfezione mi sembra facile: basta riconoscere il proprio nulla e
abbandonarsi come un bambino nelle braccia di Dio.
Questo
momento critico è simile al momento critico provocato dal discorso
di Gesù sulla necessità di mangiare la sua carne e di bere il suo
sangue. San Pietro ci suggerisce l'atteggiamento corretto da assumere
in questi casi: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita
eterna (Gv 6, 68). Abbandonare Gesù perché le sue parole sono
dure è stoltezza, ma ugualmente stolto è pensare di andare a Lui
presumendo di comprendere le sue parole con la nostra intelligenza o
di riuscire ad attuare il suo programma con le nostre forze. Si va da
Gesù non perché si hanno i mezzi per seguirlo fino alla fine, ma
perché si è consapevoli di non avere questi mezzi. Si va da Gesù
perché ci arrendiamo e accettiamo di rinunciare al nostro progetto
di felicità basato sugli amori umani, sull'amore del proprio io,
sull'eliminazione di ogni sofferenza ed accettiamo il suo progetto
che purtroppo, nella fase terrena, prevede degli aggiustamenti nel
nostro modo di vivere gli amori umani e l'accettazione delle
sofferenze connesse a questi aggiustamenti. Prevede l'accettazione
delle sofferenze connesse al nostro stato di peccatori solidali con
un'umanità molto peccatrice. Il nostro sguardo, normalmente centrato
sulle esigenze dell'io, deve volgersi sempre più verso le esigenze
dell'amore di Dio.
La
condizione per seguire Gesù non è di dichiarare in partenza, con
uno sforzo di generosità, di essere capaci di amare Lui più di
quanto si ami il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le
sorelle e persino la propria vita e di essere capaci di portare la
croce, ma di fidarsi di Lui ed accettare che il programma sia quello
stabilito da Lui e non quello che desidereremmo noi. La condizione
richiesta è la fiducia in Gesù e l'accettazione del suo programma,
non la nostra capacità di attuarlo. Ma per accettare quel programma
dobbiamo diventare poveri, ossia accettare di riconoscere che i
nostri progetti sono destinati a rimanere incompiuti e a deluderci e
le nostre forze sono insufficienti per affrontare i paradossi, le
sfide e le opportunità che il misterioso disegno di Dio ci propone.
Possiamo
osservare in questo brano ciò che normalmente accade quando Dio
propone qualcosa all'uomo. Dio parla e l'uomo rimane sconvolto. Dio
manifesta un suo progetto e l'uomo deve ammettere che è
assolutamente incapace di realizzarlo; se però accetta di fidarsi di
Dio e di accogliere quanto gli viene proposto, l'avventura comincia
e, traballando e barcollando, l'uomo impara che senza il Signore
non può far nulla, ma che nulla è impossibile a Dio.
Signore,
da chi andremo? Tu solo puoi farci riuscire nell'impossibile impresa
in cui ci hai coinvolto.
Appendice:
il sale che diventa insipido - vv 34-35 || Mt 5,13 || Mc 9,50
Alle
due parabole seguono i versetti: Il sale è buono, ma se anche il
sale perdesse il sapore, con che cosa lo si salerà? Non serve né
per la terra né per il concime e così lo buttano via. Chi ha
orecchi per intendere, intenda. Questo detto sembra messo lì
senza avere una particolare relazione con quanto lo precede e con
quanto lo segue; infatti in Matteo e Marco, con qualche variante, è
situato in contesti diversi. Ma, secondo il pensiero di don Divo
Barsotti, quando di un episodio o di alcuni versetti non capiamo bene
perché si trovino in un certo posto, dobbiamo pensare che lo Spirito
Santo ha vigilato e stabilito che dovevano trovarsi bene proprio in
quel posto.
Proviamo
allora a cercare di comprendere che significato possono avere queste
parole piuttosto misteriose e se hanno un legame con le precedenti
riflessioni. Conviene incominciare considerando che il sale viene
utilizzato per dare gusto alle vivande e per la conservazione degli
alimenti. Così ognuno di noi, giustamente, cerca di dare gusto e
senso alla propria vita a partire dagli amori umani e dai progetti
che si fanno intorno a questi amori. Ma il Signore con questo detto
sembra suggerirci che, nonostante le promesse, gli amori e i progetti
umani, col tempo, sono come del sale che diventa insipido e perde il
potere di dare gusto e senso alla vita. Allora, con che cosa lo si
salerà? Con che cosa daremo senso e gusto alla nostra vita?
Paradossalmente, proprio rinunciando a porre il fondamento e il fine
della vita negli amori umani e nei progetti che da essi scaturiscono,
per accogliere invece le esigenze dell'amore di Dio e il progetto,
molto più grandioso, che Lui ha pensato per noi.
Accogliere
o non accogliere queste esigenze e questo progetto non è senza
conseguenze. Se non li accogliamo il Signore ci avverte che
inevitabilmente, prima o poi, tutto nella vita è destinato a
diventare senza gusto, senza senso, senza valore, inutile agitazione,
apatia che spegne ogni vitalità. Tutto diventerà come sale insipido
che non serve né per la terra né per il concime e allora lo si
getta via. Don Divo Barsotti in un suo diario così si esprime: Tutte
le cose belle e buone e la stessa vita terrena perdono il loro valore
e la loro bellezza se divengono il fine.
Allora
la torre che non riusciamo a costruire, la guerra che non riusciamo a
vincere, il sale che perde il suo sapore, sono tutte immagini che ci
suggeriscono in fondo la stessa cosa: l'uomo che pensa la sua vita,
il suo benessere, i suoi amori, in termini terreni, è destinato a
fallire, a essere sconfitto, a perdere ogni significato, perché,
secondo il progetto di Dio, egli è stato pensato per partecipare
allo splendore e alla gloria del Cielo. Ma la strada che conduce al
Cielo passa per la rinunzia a tutti i propri averi, ossia alla
presa di coscienza e all'accettazione della nostra povertà. Chi non
vuole essere povero, chi fugge da questa presa di coscienza, chi
pensa di riuscire a cavarsela da solo senza diventare discepolo di
Gesù, andrà inevitabilmente incontro al fallimento, alla sconfitta,
alla perdita di ogni gusto e senso della vita. Chi invece accetta di
seguire Gesù, chi accetta le sue esigenze anche se per il momento
non è in grado di praticarle, giungerà un giorno nel Regno della
Luce, dell'Amore, della Vita; solo lì gusterà la pace e la
beatitudine senza ombre e senza fine.
Che
il Signore ci doni orecchie per intendere.
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