P.
Giuseppe Tissot
PARTE PRIMA
CAPO
I
NON MERAVIGLIARSI
DELLE PROPRIE COLPE
1. - Miserie umane.
Finché porteremo noi stessi non porteremo nulla che abbia gran
valore.
Il non potersi assuefare
alla propria miseria è, per l'uomo decaduto, un onore e assieme un
tormento. Principe spodestato e rovinato per colpa dei progenitori,
egli conserva sempre, in fondo al cuore, il sentimento della nobiltà
nativa e dell'innocenza che doveva essere suo retaggio; e per questo,
ad ogni caduta stenta a trattenere un grido di sorpresa, come se una
grave disgrazia l'avesse colpito.
Sembra Sansone che ha
perduta la sua forza, perché una mano traditrice gli ha mozzato la
chioma. Alzati! - gli si grida - i Filistei ti sono
addosso! Ed egli si leva in piedi, immaginando di terrorizzare
come sempre i nemici, inconscio d'aver perduto l'antica forza (1).
Per quanto nobili siano
le radici di questo pronto risentimento, i suoi frutti sono troppo
funesti per non essere subito pronti a reprimerlo; perché, come
vedremo, lo scoraggiamento che è la rovina di tante anime, si apre
il passo placidamente attraverso questa specie di smarrimento che
segue la caduta. Perciò S. Francesco di Sales ci premunirà subito
contro tale pericolo.
Sull'esempio dei più
eminenti dottori e illuminati sapienti, il santo Vescovo manifesta
sempre una grande compassione verso la fragilità dell'uomo: “O
miseria umana, miseria umana! - andava ripetendo - da quante
infermità siamo noi circondati!... E che altro possiam far da noi se
non dei peccati?” (2). Si sente in queste parole, come in tutti i
suoi scritti, che l'altezza della perfezione da lui raggiunta l'aveva
messo in grado di spingere uno sguardo più profondo nell'abisso di
miseria e d'infermità scavato in noi dal peccato originale.
Egli teneva presente
questa cosa con tutte le anime che doveva dirigere e non si stancava
di ricordare la triste realtà della nostra condizione decaduta: “Voi
mi dite - scriveva a una signora - che vivete fra mille imperfezioni.
E' vero, mia buona sorella, ma forse che non vi sforzate anche per
farle morire di giorno in giorno? Del resto è pur sempre vero che
fin tanto che resteremo sulla terra, in un corpo pesante e
corruttibile, ci mancherà sempre qualche cosa” (3).
“Vi lamentate - dice
altrove - perché nonostante il desiderio che avete di perfezionarvi
e purificarvi nell'amor di Dio, si frammischiano sempre nella vita
imperfezioni e difetti. Vi rispondo che non sarà mai possibile
rinnegar completamente noi stessi, finché ci troviamo sulla terra.
E’ necessario che sopportiam noi stessi fin tanto che a Dio piacerà
chiamarci in Cielo; e finché trasciniam noi stessi, non porterem
nulla di veramente pregevole... (4). Ed è principio universale che,
in questa vita, nessuno sarà così santo, da non andar soggetto a
imperfezioni” (5).
2. - Senza uno
speciale privilegio è impossibile evitare tutti i peccati veniali.
Anche la fede ci insegna
che le cattive inclinazioni restano in noi, almeno in germe, fino
alla morte e che nessuno può, senza un privilegio speciale quale la
Chiesa riconosce in Maria Vergine, evitare tutti i peccati veniali,
almeno indeliberati. Troppo spesso dimentichiamo in pratica questa
duplice verità e gioverà sentire come la sviluppa il nostro Santo
col suo linguaggio inimitabile: “Non crediamo di poter vivere senza
imperfezioni, finché restiamo su questa terra; perché, superiori o
inferiori, tutti siamo uomini e tutti dobbiam quindi essere ben
persuasi di questa verità, per non meravigliarci quando ci
accorgeremo di andar soggetti a imperfezioni. E’ il divin Maestro
che ci ha comandato di ripetere ogni giorno queste parole del
"Pater": Rimetti a noi i nostri debiti come noi li
rimettiamo ai nostri debitori; e il comando non ammette
eccezioni, perché tutti ci troviamo nella necessità di praticarlo”
(6).
“L'amor proprio può
essere mortificato, ma non ucciso; e di tanto in tanto, secondo
l'occasione, getta fuori i suoi polloni, i quali provano che la
pianta, sebbene tagliata al piede, non fu però sradicata del
tutto... Non c'è da meravigliarsi se ritroviam sempre l'amor
proprio, perché esso non se ne va mai... Alle volte fa come la volpe
che finge di dormire e poi s'avventa tutto d'un tratto sulle galline;
onde è necessario sorvegliarlo costantemente e difendersi dai suoi
assalti con pazienza e dolcezza. Se poi qualche volta ci ferisce,
basterà disdire quel che ci ha fatto dire e disapprovare quel che ci
ha fatto fare, e ne saremo guariti...” (7) guariti, sì, ma solo
per un certo tempo, finché non si manifestino nuove infermità,
perché, aggiunge il nostro Santo (8), “non ne guariremo mai
perfettamente se non in Paradiso” e durante questa vita, per quanto
sia la nostra buona volontà, “bisogna rassegnarsi ad appartenere
alla natura umana e non all'angelica” (9) e a vivere, secondo
l'espressione di un illustre asceta, da spirituali incurabili...
(10).
3. - Il progresso
nella perfezione è lento e disseminato di cadute.
S. Francesco di Sales
inculca la conoscenza pratica delle proprie debolezze specialmente
alle anime che muovono i primi passi nella via della perfezione
interiore, per il motivo che la loro inesperienza le rende più
soggette a scoraggiarsi dopo le cadute, e a subirne le tristi
conseguenze. “Turbarsi, scoraggiarsi quando si è caduti in
peccato, dice l'autore citato, significa non conoscere se stesso”
(11).
Ascoltiamo con quanta
finezza e bontà il nostro santo Dottore riprende e istruisce queste
anime: “Voi mi dite di risentirvi ancora vivamente delle ingiurie.
Ma, figlia mia, che cosa intendete dire con la parola ancora? Ne
avete proprio già sconfitti tanti di questi nemici?” (12). “ E’
impossibile che restiate così presto padrona della vostra anima e
che riusciate a dominarla al primo tentativo. Accontentatevi di
riportare di tanto in tanto qualche piccola vittoria sulla passione,
vostra nemica” (13).
“Le imperfezioni ci
accompagneranno fino alla tomba. Non si può camminare senza toccar
terra, e se da una parte non dobbiamo sederci a terra, per non
infangarci, dall'altra, non dobbiamo neppur pretendere di volare,
essendo dei pulcini ancora implumi” (14).
“I lampi che guizzano
in pieno giorno (Sal 90, 6) son figura delle varie speranze e
pretensioni che le anime desiderose di perfezione hanno di giungere
subito alla santità. Alle volte vi son di quelle che pretendono
addirittura di essere in breve tempo, delle Madri Terese, delle
Caterine da Siena o da Genova. Questa è certamente una buona cosa;
ma, dite un po', in quanto tempo fate conto di giungere a tal grado
di santità? - In tre mesi, se si può. - Fate bene a dire: se si
può; perché diversamente potreste benissimo ingannarvi” (15).
4. - Le malattie del
cuore, come quelle del corpo, vengono a cavallo e di carriera, e se
ne vanno a piedi.
“S. Paolo fu
perfettamente convertito e purificato in un solo istante, e così
pure S. Caterina da Genova, S. Pelagia e alcune altre anime. Ma
questo genere di purificazione è, nell'ordine della grazia,
miracoloso e straordinario, come la risurrezione dei morti
nell'ordine della natura; sicché non dobbiamo pretenderla. La
purificazione ordinaria, sia del corpo che dello spirito, non si
compie che a poco a poco, avanzando di grado in grado, con fatica e
impiego di tempo.
“Gli Angeli visti in
sogno da Giacobbe avevan le ali, eppur non volavano; ma scendevano e
salivano per la scala in modo ordinario, di scalino in scalino.
L'anima che sale dal peccato alla divozione è simile all'aurora che,
avanzando, non fuga le tenebre in un istante, ma a poco a poco. La
guarigione che si opera lentamente è, secondo l'aforisma, sempre più
sicura, e sia le malattie del cuore che quelle del corpo vengono a
cavallo di carriera ma se ne vanno a piedi e con passo lento” (16).
“Bisogna quindi aver
pazienza e non pensare di poter guarire in un sol giorno dalle tante
cattive abitudini contratte per la nostra poca sollecitudine nel
conservar la salute spirituale” (17).
Perciò il Santo
conclude che “non dobbiamo stupirci neppure se, a causa della
nostra infermità, cadiamo ancora in molti falli” (18).
5. - Per stabilirsi
perfettamente in Dio sono necessarie due cose.
Egli voleva. che
nessun'anima, per quanto perfetta, si meravigliasse di se stessa dopo
una caduta, e alle sue religiose più ferventi ripeteva: “Ma c'è
forse da far le meraviglie se qualche volta incespichiamo?” (19).
“La festa della
Purificazione non ha ottava. Tutti dobbiam fare questi due propositi
di uguale importanza: di rassegnarci a veder crescere cattive erbe
nel nostro giardino, e di avere il coraggio di vederle strappare, o
meglio, di strapparle noi stessi: poiché sono frutti del nostro amor
proprio, il quale non morrà finché saremo vivi noi” (20).
“Vedo le lacrime della
povera Suor N... ma mi sembra che tutte le nostre querele procedano
unicamente dalla dimenticanza dell'avvertimento dei Santi, i quali ci
dicono che ogni giorno dobbiam far conto di dover cominciare da capo
il nostro avanzamento nella perfezione. Se pensassimo bene a questo,
non ci meraviglieremmo affatto di incontrare in noi delle miserie e
dei difetti da correggere” (21).
“Mi domandate come
fare a stabilire talmente la vostra anima in Dio, da non poterla più
staccare e ritirare. Sono necessarie due cose: morire e salvarsi.
Solo dopo questo non vi sarà più separazione e la vostra anima sarà
indissolubilmente attaccata e unita a Dio” (22).
6. - I più santi non
sono i meno difettosi, ma i più coraggiosi.
Nulla è più consolante
di questi consigli, specialmente per quelle anime che desiderano
seriamente di piacere a Dio e legarsi a lui senza riserva e coi
vincoli più stretti. Facilmente esse si credono meno scusabili degli
altri nelle infedeltà che loro sfuggono, ma che sembrano più che
sufficienti per cagionar stupore. Non è questo il pensiero dei
maestri di spirito: “Le cadute - dice il P. Grou - sovente
avvengono per la rapidità della corsa e per l'ardore che trascina e
non permette di prendere le debite precauzioni. Le anime timide e
troppo circospette, che vogliono sempre guardare dove posano i piedi,
che ogni momento si girano e rigirano per evitar passi falsi, che han
tanto paura di infangarsi, non progrediscono così speditamente come
altre e spesso finiscono coll'essere sorprese dalla morte a metà
corsa. Non è vero che i più santi siano coloro che commettono meno
mancanze, ma sono invece quelli che hanno più coraggio, più
generosità e amore; quelli che si sforzano di più, che non stanno
in continua apprensione di inciampare e che, pur d'andar avanti, non
han paura di cadere e imbrattarsi un poco, ma soprattutto badano ad
avanzare” (23).
S. Giovanni Crisostomo
diceva la stessa cosa con altre parole: “Finché un soldato resta
nella mischia, nessuno, per quanto rigido o ignorante di cose
militari, potrà imputargli a delitto se resta ferito e qualche volta
cede un poco; perché solo chi non va a combattere non resta ferito,
mentre è facile che resti ferito chi si butta con ardore contro il
nemico” (24).
7.
- Una caduta, anche grave, non deve recarci meraviglia.
Bisognerà applicare le
stesse riflessioni al peccato mortale e dire alle anime colpevoli che
non si meraviglino delle cadute che privano della grazia di Dio? S.
Francesco di Sales userà con loro lo stesso linguaggio usato con le
anime generose, alle quali si è rivolto fin qui? Ascoltiamo: “O
mio caro Teotimo, i cieli stupiscono, le loro porte fremono e gli
Angeli piangono amaramente sull'abisso di miserie del cuore umano che
lascia il più amabile dei beni per attaccarsi a cose tanto
spregevoli. Avete mai osservato un piccolo e meraviglioso fenomeno
che ognuno conosce, ma di cui non tutti san darsi ragione? Quando si
spilla una botte ben piena, il vino non esce, se prima non si fa
entrare aria dal di sopra; se invece la botte non è piena, il vino
zampilla non appena si apre. In questa vita, per quanto le anime
nostre siano ripiene d'amor di Dio, non saranno mai così ricolme da
non lasciarne svanire un po' al sopraggiungere della tentazione; ma
in Cielo, quando la soavità della divina bellezza occuperà tutto il
nostro intelletto e le delizie della sua bontà colmeranno il nostro
volere, in modo che nulla rimanga che non sia ricolmo del divino
amore, allora nessun oggetto, per quanto attraente, farà versare o
perdere una sola goccia del prezioso liquore che è l'amore celeste.
E sarà inutile dar aria dal di sopra, ossia cercare di deviare o
sorprendere l'intelletto, perché esso sarà irremovibile dal
godimento della suprema verità” (25).
Abbiamo inteso: una
caduta nel peccato, anche grave, potrebbe recar meraviglia solo in
Cielo, dove la cosa è impossibile. Ma quaggiù non c'è da
meravigliarsene più di quando si vede un liquido uscir da un vaso
aperto.
8. -
Dopo una caduta non dobbiamo restar sorpresi, ma subito rialzarci.
Oh, come saremmo più
indulgenti coi nostri fratelli se meditassimo bene questi pensieri!
Come ci sforzeremmo di imitare l'imperturbabile pazienza di Colui
che, prima di investire gli Apostoli del potere di rimettere i
peccati, raccomandò loro di perdonare non sette volte, ma settanta
volte sette!
Evidentemente però,
quest'indulgenza per le nostre e l'altrui mancanze non deve spingersi
fino a farcele guardare con occhio indifferente, perché altro è non
meravigliarsene e altro non detestarle e non ripararle. Così il
contadino, non si stupisce se nel suo campo vede crescere delle erbe
cattive, ma è forse per questo meno diligente a strapparle? Quindi
dopo aver detto che “se commettete delle mancanze, non dovete
meravigliarvi in nessun modo” (26), anche se si trattasse di
peccati mortali, e che “se sapessimo bene quel che siamo, anziché
stupire di vederci a terra, ci meraviglieremmo del come possiamo star
ancora in piedi” (27), S. Francesco di Sales ci raccomanda subito
di “non adagiarci o rotolarci nel fango in cui siam caduti”, e
aggiunge “che se la tempesta ci sconvolge lo stomaco o dà
capogiro, non dobbiamo fermarci nello stupore, ma subito riprendere
lena e animarci a far meglio” (28).
“Quando dunque il
vostro cuore sbaglierà, rianimatelo dolcemente, umiliandovi davanti
a Dio per la vostra miseria, senza però stupirvi della caduta;
perché non è il caso di meravigliarsi che l'infermità sia inferma,
la debolezza debole e miserabile la miseria. Nondimeno detestate con
tutte le forze l'offesa che Dio ha ricevuto da voi e, con coraggio e
fiducia nella sua misericordia, rimettetevi sul sentiero della virtù
che avevate abbandonato ” (29).
Quest'ultimo tratto
insinua abbastanza chiaramente quale salutarissima disposizione debba
subentrare allo stupore, dopo la caduta. Ne riparleremo più a lungo
nella seconda parte di quest'opera. Adesso, dopo aver stabilito che
la vista delle nostre mancanze non deve meravigliarci, dimostreremo
che non deve nemmeno turbarci.
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