Prima
della visione del 7-12 va messa quella della seconda moltiplicazione
dei pani, avuta il 28 maggio 1944, col relativo dettato.
7
dicembre 1945.
La
spiaggia di Cafarnao formicola di gente che sbarca da una vera
flottiglia di barche di tutte le dimensioni. E i primi che sbarcano
vanno cercando fra la gente se vedono il Maestro, un apostolo, o
almeno un discepolo. E vanno chiedendo...Un uomo, finalmente,
risponde: «Maestro? Apostoli? No. Sono andati via subito dopo il
sabato e non sono tornati. Ma torneranno perché ci sono i discepoli.
Ho parlato adesso con uno di loro. Deve essere un grande discepolo.
Parla come Giairo! È andato verso quella casa fra i campi, seguendo
il mare». L’uomo che ha interrogato fa correre la voce e tutti si
precipitano verso il luogo indicato. Ma, fatto un duecento metri
sulla riva, incontrano tutto un gruppo di discepoli che vengono verso
Cafarnao gestendo animatamente. Li salutano e chiedono: «Il Maestro
dove è?» I discepoli rispondono: «Nella notte, dopo il miracolo,
se ne è andato coi suoi, colle barche, al di là del mare. Vedemmo
le vele, al candore della luna, andare verso Dalmanuta». «Ah! ecco!
Noi lo cercammo a Magdala presso la casa di Maria e non c’era!
Però... potevano dircelo i pescatori di Magdala!». «Non lo avranno
saputo. Sarà forse andato sui monti d’Arbela in preghiera. Ci fu
già un’altra volta, lo scorso anno avanti Pasqua. Io l’ho
incontrato allora, per somma grazia del Signore al suo povero servo»,
dice Stefano. «Ma non torna qui?». «Certamente tornerà. Ci deve
dare il commiato e gli ordini. Ma che volete?». «Sentirlo ancora.
Seguirlo. Farci suoi». «Adesso va a Gerusalemme. Lo ritroverete là.
E là, nella Casa di Dio, il Signore vi parlerà se per voi è utile
seguirlo. Perché è bene che sappiate che, se Egli non respinge
alcuno, noi abbiamo in noi elementi che sono respingenti la Luce.
Ora, chi ne ha tanti da essere non solo saturo di essi che poco male
sarebbe, perché Egli è Luce e nel divenire lealmente suoi con
volontà decisa la sua Luce ci penetra e vince le tenebre ma da
esserne composto e affezionato ad essi come alla carne della nostra
persona, allora è bene che costui si astenga dal venire, a meno che
non si distrugga per ricrearsi novello. Meditate, dunque, se avete in
voi la forza di assumere un nuovo spirito, un nuovo modo di pensare,
un nuovo modo di volere. Pregate per poter vedere la verità sulla
vostra vocazione. E poi venite, se credete. E voglia l’Altissimo,
che ha guidato Israele nel "passaggio", guidare voi, in
questo "pèsac", a venire sulla scia dell’Agnello, fuori
dai deserti, alla Terra eterna, al Regno di Dio», dice Stefano
parlando per tutti i compagni. «No, no! Subito! Subito! Nessuno fa
ciò che Egli fa. Lo vogliamo seguire», dice la folla in tumulto.
Stefano ha un sorriso di molte espressioni. Apre le braccia e dice:
«Perché vi ha dato il buono e abbondante pane volete venire?
Credete che vi dia in futuro solo questo? Egli promette ai suoi
seguaci ciò che è sua dote: il dolore, la persecuzione, il
martirio. Non rose ma spine, non carezze ma schiaffi, non pane ma
pietre sono pronte per i “cristi”. E così dico senza essere
bestemmiatore, perché i suoi veri fedeli saranno unti coll’olio
santo fatto della sua Grazia e del suo patire; e “unti” noi
saremo per essere le vittime sull’altare e i re nel Cielo».
«Ebbene? Ne sei geloso forse? Ci sei tu? Ci vogliamo essere noi
pure. Il Maestro è di tutti». «Sta bene. Ve lo dicevo perché vi
amo e voglio che sappiate ciò che è essere “discepoli”, onde
non essere poi dei disertori. Andiamo allora tutti insieme ad
attenderlo alla sua casa. Il tramonto ha inizio ed ha principio il
sabato. Egli verrà per passarlo qui avanti la partenza». E vanno
verso la città, parlando. E molti interrogano Stefano ed Erma, che
li ha raggiunti, i quali, agli occhi degli israeliti, hanno una luce
speciale perché allievi prediletti di Gamaliele. Molti chiedono: «Ma
che dice Gamaliele di Lui?», altri: «Vi ci ha mandati lui?», e
altri ancora: «Non si è doluto di perdervi?», oppure: «E il
Maestro che dice del grande rabbi?». I due rispondono pazienti:
«Gamaliele parla di Gesù di Nazaret come del più grande uomo
d’Israele». «Oh! più grande di Mosè?», dicono quasi
scandalizzati. «Egli dice che Mosè è uno dei tanti precursori del
Cristo. Ma non è che il servo del Cristo». «Allora per Gamaliele
questo è il Cristo? Dice così? Se così dice rabbi Gamaliel, la
cosa è decisa. Egli è il Cristo!». «Non dice ciò. Non riesce
ancora a credere questo, per sua sventura. Ma dice che il Cristo è
sulla Terra perché egli gli ha parlato molti anni fa. Egli e il
saggio Illele. E attende il segno che quel Cristo gli ha promesso per
riconoscerlo», dice Erma. «Ma come ha fatto a credere che quello
era il Cristo? Che faceva quello? Io sono vecchio quanto Gamaliele,
ma non ho mai sentito che da noi fossero fatte le cose che il Maestro
fa. Se non si persuade di questi miracoli, che vide mai di miracoloso
in quel Cristo per potergli credere?». «Lo vide unto della Sapienza
di Dio. Egli dice così», risponde ancora Erma. «E allora cosa è
per Gamaliele questo?». «Il più grande uomo, maestro e precursore
di Israele. Quando potesse dire: “È il Cristo”, sarebbe salva
l’anima sapiente e giusta del mio primo maestro», dice Stefano e
termina: «Ed io prego perché ciò sia, a qualunque costo». «E se
non lo crede il Cristo, perché vi ha mandati?». «Noi volevamo
venirci. Egli ci ha lasciati venire dicendo che era bene». «Forse
per poter sapere e riferire al Sinedrio...», dice insinuando uno.
«Uomo come parli? Gamaliele è un onesto. Non fa la spia a nessuno,
e specie ai nemici di un innocente!», scatta Stefano e pare un
arcangelo tanto è sdegnato e quasi raggiante nel suo sdegno santo.
«Gli sarà spiaciuto perdervi, però», dice un altro. «Sì e no.
Come uomo che ci voleva bene, sì. Come spirito molto retto, no.
Perché ha detto: “Egli è da più di me e di me più giovane.
Perciò io potrò chiudere gli occhi in pace sul vostro futuro
sapendovi del ‘Maestro dei maestri’ ”». «E Gesù di Nazaret
che dice del grande rabbi?». «Oh! non ha che parole elette per
lui!». «Non ne è invidioso?». «Dio non invidia», dice severo
Erma. «Non fare supposizioni sacrileghe». «Ma per voi allora è
Dio? Ne siete certi?». E i due ad una voce: «Come di essere vivi in
questo momento». E Stefano termina: «E vogliate crederlo pure voi
per possedere la vera Vita». Sono da capo sulla spiaggia che si muta
in piazza e la traversano per andare a casa. Sulla soglia è Gesù
che carezza dei bambini. Discepoli e curiosi si affollano chiedendo:
«Maestro, quando sei venuto?». «Da pochi momenti». Il viso di
Gesù ha ancora la maestà solenne, un poco estatica, di quando ha
molto pregato. «Sei stato in orazione, Maestro?» chiede Stefano a
voce bassa per riverenza, così come ha curva la persona per lo
stesso motivo. «Sì. Da che lo comprendi, figlio mio?» dice Gesù
posandogli la mano sui capelli scuri con una dolce carezza. «Dal tuo
volto d’angelo. Sono un povero uomo, ma è tanto limpido il tuo
aspetto che su esso si leggono i palpiti e le azioni del tuo
spirito». «Anche il tuo è limpido. Tu sei uno di quelli che
fanciulli restano...». «E che c’è sul mio viso, Signore?».
«Vieni in disparte e te lo dirò», e lo prende per il polso
portandolo in un corridoio oscuro. «Carità, fede, purezza,
generosità, sapienza; e queste Dio te le ha date, e tu le hai
coltivate e più lo farai. Infine, secondo il tuo nome, hai la
corona: d’oro puro, e con una grande gemma che splende sulla
fronte. Sull’oro e sulla gemma sono incise due parole:
“Predestinazione” e “Primizia”. Sii degno della tua sorte,
Stefano. Va’ in pace con la mia benedizione». E gli posa
nuovamente la mano sui capelli, mentre Stefano si inginocchia per poi
curvarsi a baciargli i piedi. Tornano dagli altri. «Questa gente è
venuta per sentirti...» dice Filippo. «Qui non si può parlare.
Andiamo alla sinagoga. Giairo ne sarà contento». Gesù davanti,
dietro il corteo degli altri, vanno alla bella sinagoga di Cafarnao;
e Gesù, salutato da Giairo, vi entra, ordinando che tutte le porte
restino aperte perché chi non riesce ad entrare possa sentirlo dalla
via e dalla piazza che sono a fianco della sinagoga. Gesù va al suo
posto, in questa sinagoga amica, dalla quale oggi, per buona sorte,
sono assenti i farisei, forse già partiti pomposamente per
Gerusalemme. E inizia a parlare. «In verità vi dico: voi cercate di
Me non per sentirmi e per i miracoli che avete veduto, ma per quel
pane che vi ho dato da mangiare a sazietà e senza spesa. I tre
quarti di voi per questo mi cercava e per curiosità, venendo da ogni
parte della Patria nostra. Manca perciò nella ricerca lo spirito
soprannaturale, e resta dominante lo spirito umano con le sue
curiosità malsane, o per lo meno di una imperfezione infantile, non
perché semplice come quella dei pargoli, ma perché menomata come
l’intelligenza di un ottuso di mente. E con la curiosità resta la
sensualità e il sentimento viziato. La sensualità che si nasconde,
sottile come il demonio di cui è figlia, dietro apparenze e in atti
apparentemente buoni, e il sentimento viziato che è semplicemente
una deviazione morbosa del sentimento e che, come tutto ciò che è
“malattia”, abbisogna e appetisce a droghe che non sono il cibo
semplice, il buon pane, la buona acqua, lo schietto olio, il puro
latte, sufficienti a vivere e a vivere bene. Il sentimento viziato
vuole le cose straordinarie per essere scosso e per provare il
brivido che piace, il brivido malato dei paralizzati, che hanno
bisogno di droghe per provare sensazioni che li illudano di essere
ancora integri e virili. La sensualità che vuole soddisfare senza
fatica la gola, in questo caso, col pane non sudato, avuto per bontà
di Dio. I doni di Dio non sono consuetudine, sono lo straordinario.
Non si possono pretenderli, né impigrirsi dicendo: “Dio me li
darà”. È detto: “Mangerai il pane bagnato col sudore della tua
fronte”, ossia il pane guadagnato col lavoro. Ché se Colui che è
Misericordia ha detto: “Ho compassione di queste turbe, che mi
seguono da tre giorni e non hanno più da mangiare e potrebbero
venire meno per via prima di avere raggiunto Ippo sul lago, o Gamala,
o altre città”, e ha provveduto, non è però detto che Egli debba
essere seguito per questo. Per molto di più di un po’ di pane,
destinato a divenire sterco dopo la digestione, Io vado seguito. Non
per il cibo che empie il ventre ma per quello che nutre l’anima.
Perché non siete soltanto animali che devono brucare e ruminare, o
grufolare e ingrassare. Ma anime siete! Questo siete! La carne è la
veste, l’essere è l’anima. È lei che è duratura. La carne,
come ogni veste, si logora e finisce, e non merita curarla come fosse
una perfezione alla quale va data ogni cura. Cercate dunque ciò che
è giusto procurarsi, non ciò che è ingiusto. Cercate di procurarvi
non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna.
Questo, il Figlio dell’uomo ve lo darà sempre, quando voi lo
vogliate. Perché il Figlio dell’uomo ha a sua disposizione tutto
quanto viene da Dio, e può darlo, Egli padrone, e magnanimo padrone,
dei tesori del Padre Dio, che ha impresso su di Lui il suo sigillo
perché gli occhi onesti non siano confusi. E se voi avrete in voi il
cibo che non perisce, potrete fare opere di Dio essendo nutriti del
cibo di Dio». «Che cosa dobbiamo fare per fare le opere di Dio? Noi
osserviamo la Legge e i Profeti. Perciò già siamo nutriti di Dio e
facciamo opere di Dio». «È vero. Voi osservate la Legge. Meglio
ancora: voi “conoscete” la Legge. Ma conoscere non è praticare.
Noi conosciamo, ad esempio, le leggi di Roma, eppure un fedele
israelita non le pratica altro che in quelle formule che sono imposte
dalla sua condizione di suddito. Per il resto noi, parlo dei fedeli
israeliti, non pratichiamo le usanze pagane dei romani pur
conoscendole. La Legge che voi tutti conoscete ed i Profeti
dovrebbero, infatti, nutrirvi di Dio e darvi perciò capacità di
fare opere di Dio. Ma per fare questo dovrebbero essere divenute un
tutt’uno con voi, così come è l’aria che respirate e il cibo
che assimilate, che si mutano entrambi in vita e sangue. Mentre essi
rimangono estranei, pure essendo di casa vostra, così come può
esserlo un oggetto della casa, che vi è noto e utile, ma che, se
venisse a mancare, non vi leva l’esistenza. Mentre... oh! provate
un poco a non respirare per qualche minuto, provate a stare senza
cibo per giorni e giorni... e vedrete che non potete vivere. Così
dovrebbe sentirsi il vostro io nella denutrizione e nell’asfissia
della Legge e dei Profeti, conosciuti ma non assimilati e fatti
tutt’uno con voi. Questo Io sono venuto ad insegnare e a dare: il
succo, l’aria della Legge e dei Profeti, per ridare sangue e
respiro alle vostre anime morenti di inedia e di asfissia. Voi siete
simili a bambini che una malattia rende incapaci di conoscere ciò
che è atto a nutrirli. Avete davanti dovizie di cibi, ma non sapete
che vanno mangiati per mutarsi in cosa vitale, ossia che vanno
veramente fatti nostri, con una fedeltà pura e generosa alla Legge
del Signore che ha parlato a Mosè e ai Profeti per voi tutti. Venire
dunque a Me per avere aria e succo di Vita eterna, è dovere. Ma
questo dovere presuppone una fede in voi. Perché se uno non ha fede,
non può credere alle parole mie, e se non crede non viene a dirmi:
“Dàmmi il vero pane”. E se non ha il vero pane non può fare
opere di Dio, non avendo capacità di farle. Perciò per essere
nutriti di Dio e per fare opere di Dio è necessario che voi facciate
l’opera base, che è questa: credere in Colui che Dio ha mandato».
«Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te
come il Mandato da Dio e perché si possa vedere su Te il sigillo di
Dio? Che fai Tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto
i Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta
tanto, ma per quarant’anni, nutrì di meraviglioso cibo i nostri
padri. Così è scritto: che i nostri padri per quarant’anni
mangiarono la manna del deserto, ed è detto che perciò Mosè diede
loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che poteva». «Siete in
errore. Non Mosè ma il Signore poté fare questo. E nell’Esodo si
legge: “Ecco: Io farò piovere del pane dal cielo. Esca il popolo e
ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così Io provi se il
popolo cammina secondo la mia legge. E il sesto giorno ne raccolga il
doppio per rispetto al settimo dì che è il sabato”. E gli ebrei
videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa
minuta come ciò che è pestato nel mortaio e simile alla brina della
terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon sapore di fior di
farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma Dio provvide
alla manna. Dio che tutto può. Tutto. Punire e benedire. Privare e
concedere. Ed Io ve lo dico, delle due cose preferisce sempre
benedire e concedere a punire e privare. Dio, come dice la Sapienza,
per amore di Mosè detto dall’Ecclesistico “caro a Dio e agli
uomini, di benedetta memoria, fatto da Dio simile ai santi nella
gloria, grande e terribile per i nemici, capace di suscitare e por
fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al
cospetto del popolo, conoscitore della gloria di Dio e della voce
dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e di
scienza” - Dio, dicevo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo
po- polo col pane degli angeli, e dal cielo gli donò un pane bell’e
fatto, senza fatica, contenente in sé ogni delizia ed ogni soavità
di sapore. E ricordate bene ciò che dice la Sapienza e poiché
veniva dal Cielo, da Dio, e mostrava la sua dolcezza ai figli, aveva
per ognuno il sapore che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti
desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora
imperfetto, come all’adulto, dall’appetito e digestione
gagliardi, alla fanciulla delicata come al vecchio cadente. E anche,
per testimoniare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli
elementi, onde resisté al fuoco, esso, il misterioso pane che al
sorgere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco – è
sempre la Sapienza che parla dimenticò la propria natura per
rispetto all’opera di Dio suo Creatore e dei bisogni dei giusti di
Dio, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tormentare, qui
si fece dolce per fare del bene a quelli che confidavano nel Signore.
Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia
del Signore, nutrice di tutti, secondo la volontà di chi pregava
l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il
riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la parola del
Signore quella che con- serva chi crede in Dio. Infatti non consumò,
come poteva, la dolce manna, neppure se la fiamma era alta e potente,
mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli
uomini ricordassero e imparassero che i doni di Dio vanno ricercati
dall’inizio del giorno e della vita, e che per averli occorre
anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora
del mattino. Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed Io ve lo ricordo
perché è dovere che dura e durerà sino alla fine dei secoli.
Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle
tarde ore del giorno e della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che
lo lodi il sorgente sole, e pascetevi della sua parola che conserva e
preserva e conduce alla Vita vera. Non Mosè vi diede il pane del
Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle
verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane
novello, il Pane eterno che dal Cielo discende, il Pane di
misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il
Pane che sazia ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi
lo prende, la Vita eterna e l’eterna gioia». «Dacci, o Signore,
di codesto pane, e noi non morremo più». «Voi morrete come ogni
uomo muore, ma risorgerete a Vita eterna se vi nutrirete santamente
di questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia.
Riguardo a darvelo sarà dato a coloro che lo chiedono al Padre mio
con puro cuore, retta intenzione e santa carità. Per questo ho
insegnato a dire: “Dàcci il pane quotidiano”. Ma coloro che si
nutriranno indegnamente diverranno brulichìo di vermi infernali,
come i gomor di manna conservati contro l’ordine avuto. E questo
Pane di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il
sacrilegio più grande sarà commesso da coloro che metteranno quel
Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno
mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per
loro sarebbe non averlo mai preso!». «Ma dove è questo Pane? Come
lo si trova? Che nome ha?». «Io sono il Pane di Vita. In Me lo si
trova. Il suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà più fame, e
chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si
riverseranno in lui estinguendo ogni materiale ardore. Io ve l’ho
detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non
potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono
tutti i tesori di Dio. E a Me tutto della terra è dato, onde in Me
sono riuniti i gloriosi cieli e la militante terra, e fino la penante
e attendente massa dei trapassati in grazia di Dio sono in Me, perché
in Me e a Me è ogni potere. Ed Io ve lo dico: tutto quanto il Padre
mi dà verrà a Me. Né Io scaccerò chi a Me viene, perché sono
disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che
mi ha mandato. E la volontà del Padre mio, del Padre che mi ha
mandato, è questa: che Io non perda nemmeno uno di quelli che mi ha
dato, ma che Io li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del
Padre che mi ha mandato è che chiunque conosce il Figlio e crede in
Lui abbia la vita Eterna e Io lo possa risuscitare nell’Ultimo
Giorno, vedendolo nutrito della fede in Me e segnato del mio
sigillo». Vi è non poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa
per le nuove e ardite parole del Maestro. E questo, dopo avere per un
momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là
dove più si mormora, e sono precisamente i gruppi in cui sono dei
giudei. Riprende a parlare. «Perché mormorate fra voi? Sì, Io sono
il figlio di Maria di Nazareth figlia di Gioacchino della stirpe di
Davide, vergine consacrata nel Tempio e poi sposata a Giuseppe di
Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi avete conosciuto, in molti, i
giusti che dettero vita a Giuseppe, legnaiolo regale, e a Maria,
vergine erede della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può
costui dirsi disceso dal Cielo?», e il dubbio sorge in voi. Vi
ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo.
E vi ricordo come, più per noi israeliti che per qualsiasi altro
popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse
darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta
per giunta. Il Pu- rissimo, l’Increato, se si è mortificato a
farsi Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di
Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.
Il pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto
nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio, vegliata dai
cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la Parola di
Dio. E giusto era che ciò fosse, perché sommo rispetto va dato ai
doni di Dio e alle tavole della sua Ss. Parola. Ma che allora sarà
stato preparato da Dio per la sua stessa Parola e per il Pane vero
che è venuto dal Cielo? Un’arca più inviolata e preziosa
dell’arca d’oro, coperta dal prezioso propiziatorio della sua
pura volontà di immolazione, vegliata dai cherubini di Dio, velata
dal ve- lo di un candore verginale, di una umiltà perfetta, di una
carità sublime e di tutte le virtù più sante. E allora? Non capite
ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò Io di là
vengo? Sì, Io sono disceso dal Cielo per compiere il decreto del
Padre mio, il decreto di salvazione degli uomini secondo quanto
promise al momento stesso della condanna e ripeté ai Patriarchi e ai
Profeti. Ma questo è fede. E la fede viene data da Dio a chi ha
l’animo di buona volontà. Perciò nessuno può venire a Me se non
lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente
desideroso di luce. È scritto nei Profeti: “Saranno tutti
ammaestrati da Dio”. Ecco. È detto: È Dio che li istruisce dove
andare per essere istruiti di Dio. Chiunque, dunque, ha udito in
fondo al suo spirito retto parlare Iddio, ha imparato dal Padre a
venire a Me». «E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo
Volto?» chiedono in diversi che cominciano a mostrare segni di
irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un
illuso». «Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da Dio;
questo ha veduto il Padre. E questo Io sono.
Ed
ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si
può salvare. In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha
la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che Io sono il Pane
della Vita eterna.
I
vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la
manna era un cibo santo ma temporaneo, e dava vita per quanto
necessitava a giungere alla terra promessa da Dio al suo popolo. Ma
la Manna che Io sono non avrà limitazione di tempo e di potere. È
non solo celeste, ma è divina, e produce ciò che è divino:
l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto Dio ha creato a sua
immagine e somiglianza. Essa non durerà quaranta giorni, quaranta
mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma durerà finché durerà il
tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e
gradita al Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini
per cui si è incarnato, onde abbiamo la Vita che non muore. Io posso
darmi, Io posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il pane
divenga Carne e la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli
uomini, che senza questo Cibo mori- rebbero di fame e di malattie
spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà
in eterno. Il pane che Io darò sarà la mia Carne immolata per la
vita del mondo, sarà il mio amore sparso nelle case di Dio, perché
alla mensa del Signore vengano tutti coloro che sono amorosi o
infelici e trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a Dio e di
trovare sollievo al loro penare». «Ma come può darci da mangiare
la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per
selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto». «In
verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una
belva, e che il peccato fa più che selvaggi, che l’orgoglio dà
sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e
il delitto. E anche in futuro l’uomo tale sarà, perché Satana, il
senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E perciò con maggior bisogno
che mai dovete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili
con l’infusione del Santo. In verità, in verità vi dico che se
non mangerete la Carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo
Sangue, non avrete in voi la Vita. Chi mangia degnamente la mia carne
e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed Io lo risusciterò
all’Ultimo Giorno. Perché la mia Carne è veramente Cibo e il mio
Sangue è veramente Bevanda. Chi mangia la mia Carne e beve il mio
Sangue rimane in Me ed Io in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed
Io vivo per il Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli per Me e
anderà dove lo mando, e farà ciò che Io voglio, e vivrà austero
come uomo e ardente come serafino, e sarà santo, perché per potersi
cibare della mia Carne e del mio Sangue si interdirà le colpe e
vivrà ascendendo per finire la sua ascesa ai piedi dell’Eterno.»
«Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra
religione è solo il sacerdote che deve essere purificato per offrire
la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua
follia. Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è
troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare?» sussurrano i
presenti, e molti sono discepoli già riputati tali. La gente sfolla
commentando. E molto assottigliate appaiono le file dei discepoli
quando restano solo nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. Io non
li conto, ma dico che, ad occhio e croce, sì e no si arriva a cento.
Perciò ci deve essere stata una bella defezione anche nelle schiere
dei vecchi discepoli ormai al servizio di Dio. Fra i rimasti sono gli
apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma,
Timoteo, Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di
Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim col suo amico Samuele,
Elia (quello che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù),
Filippo di Arsela, Aser e Ismaele di Nazareth, più altri che non
conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra loro commentando la
defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le
braccia conserte appoggiato ad un alto leggìo. «E vi scandalizzate
di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio
dell’uomo ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del
Padre? E che avete capito, assorbito, creduto fino ad ora? E con che
avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spi- rito
quello che vivifica e ha valore. La carne non giova a niente. Le mie
parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo spirito per
averne vita. Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito
perché è senza fede. Molti di voi non credono con verità. E
inutilmente stanno presso Me. Non ne avranno Vita ma Morte. Perché
vi stanno, come ho detto in principio, o per curiosità, o per umano
diletto, o, peggio, per fini ancora più indegni. Non sono portati
qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da Satana.
Nessuno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal
Padre mio. Andate pure, voi che vi trattenete a fatica perché vi
vergognate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora maggior
vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”.
Andate. Meglio lontani che qui per nuocere». E molti si ritraggono
di fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il
geraseno indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I
discepoli buoni si consultano e corrono dietro a questi fedifraghi
tentando di fermarli. Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e
gli apostoli... Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in
un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?». Lo dice senza
acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà. Pietro, con impeto
doloroso, gli dice: «Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu
sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita
eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il Cristo, Figlio di Dio.
Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure...
neppure se Tu non ci amassi più...», e Pietro piange senza rumore,
con grandi lacrimoni... Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo,
piangono apertamente, e gli altri, pallidi o rossi per l’emozione,
non piangono, ma soffrono palesemente. «Perché vi dovrei cacciare?
Non sono stato Io che ho eletto voi dodici?...». Giairo,
prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare
o redarguire i suoi apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa
ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivelazione che fa
gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco
come è, disgu- stato, addolorato: «Eppure uno di voi è un
demonio». La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale
è solo allegra la luce delle molte lampade... e nessuno osa dire
nulla. Ma si guardano l’un con l’altro con pauroso ribrezzo e
angosciosa indagine e, con una ancor più angosciosa e intima
domanda, ognuno esamina se stesso... Nessuno si muove per qualche
tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui
ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono
già un lebbroso! O mi credete tale?...». Allora Giovanni corre
avanti e gli si avviticchia al collo dicendo: «Con Te, allora, nella
lebbra, mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se
credi che ciò ti attenda...»; e Pietro striscia ai suoi piedi e li
prende e se li mette sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi,
calpesta! Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone». Gli
altri, vedendo che Gesù carezza i due primi, si fanno avanti e
baciano Gesù sulle vesti, sulle mani, sui capelli... Solo
l’Iscariota osa baciarlo sul viso. Gesù si alza di scatto, e quasi
lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice:
«Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per
Ippo».
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