Elvira Moragas Cantarero nacque l'8
gennaio 1881 da una famiglia profondamente cristiana a San Martino di
Tillo presso Toledo. A quattro anni con la famiglia si trasferì a
Madrid dove il padre continuò a svolgere la sua attività di farmacista
fino al 1909, anno in cui morì; la sorella maggiore di Elvira, Sagrario,
morì ad appena undici anni, nel 1890, fra la costernazione della
famiglia. Elvira ricevette un’educazione e formazione umanistica dal
padre che poi proseguì e perfezionò nella scuola delle Mercedarie di San
Fernando a Madrid."
Frequentò gli studi superiori con ottimi
risultati nell’Istituto Cardenal Cisneros e poi si iscrisse alla
Facoltà di Farmacia dell’Università madrilena. Unica donna fra 80-85
studenti, dal 1900 al 1905 frequentò con profitto gli studi universitari
laureandosi a ventiquattro anni con ottimi voti.
Ottenuta la laurea prese ad aiutare suo
padre nella farmacia ed alla sua morte iniziò a gestirla personalmente,
divenendo quasi sicuramente la seconda donna spagnola titolare di
un’attività farmaceutica. Due anni dopo perse anche la mamma e restò
sola con il fratello Riccardo che restò sempre unito a sua sorella.
Ebbe almeno due pretendenti, cosa
naturale per una ragazza di qualità così fuori del comune. Il primo fu
congedato presto per la sua giovane età. L'altro sentiva per Elvira
molta attrazione e la frequentava piuttosto assiduamente.
Si mostrava corretto, educato e
rispettoso. Però Dio vegliava su questa donna di elezione. Un giorno
ella si accorse della cattiva condotta del giovane e delle sue idee
antireligiose. Immediatamente ruppe con lui, senza far caso a tutte le
sue minacce. Rinunciò per sempre alle idee dell'amore umano e si volse
all'Amore senza limiti.
Elvira che resse la farmacia con
delicatezza e amabilità, stabilì che il sabato fosse il giorno dedicato
all’elemosina ai poveri proprio lì in farmacia e questa consuetudine
durò per molto tempo anche dopo la guerra; ormai era un appuntamento cui
i poveri e bisognosi conoscevano bene e vi si recavano numerosi.
Si diede al lavoro con diligenza. Usava
tutta la sua scienza e la sua competenza professionale per lenire la
sofferenza dei malati. Per tutti aveva la parola giusta, la medicina
desiderata, la comprensione per un dolore.
Frequentava la parrocchia di San Marco e
aiutava nella catechesi. Conobbe don Lope Ballesteros, cui affidò la
direzione della sua anima: Dio la chiamava insistentemente. Questo
sacerdote aveva una sorella carmelitana scalza e questo diede
l'occasione per conoscere il Convento di Santa Ana y San José dove
viveva.
Le domeniche Elvira se ne andava nei
sobborghi, dove si lasciava afferrare dalla sua carità. Portava medicine
e affetto a tanti bisognosi. Quando a volte non aveva tempo di
comprarle, portava loro perfino le coperte del suo letto. Tutto le
sembrava poco per dare gioia a tanti con i quali la vita si mostrava
così ingrata.
Quando il Signore chiamò a sé il suo
confessore, Elvira si rivolse al grande "apostolo di Madrid", P.
Giuseppe Maria Rubio Peralta S.J., beatificato il 6 ottobre 1985 da
Giovanni Paolo II. Un giorno, dopo la consueta lunga attesa per la coda
di penitenti che si formavano al suo confessionale, ascoltò queste
parole: "Dio la vuole per Sé". Già decisa a questo, non ebbe alcun
dubbio: se ne sarebbe andata appena suo fratello avesse finito gli
studi. Mancava ancora poco.
Nell'attesa, si sottoponeva a un regime
di vita anche più austero di quello che già osservava. Passava lunghe
ore in preghiera e praticava severe penitenze. Mentre per suo fratello
preparava i cibi più delicati ed appetitosi, ne preparava per sé di più
semplici e di qualità inferiore. Spesso si privava del dessert e cercava
sempre il modo di soddisfare il bisogno di rinuncia e di dedizione.
Arrivò il giorno tanto atteso: Riccardo
poté farsi carico della farmacia e così Elvira si sentì libera. Poteva
finalmente compiere i suoi desideri. I due fratelli, sempre tanto uniti,
dovevano separarsi. "Piangemmo molto tutti e due", ricorderà Riccardo.
Ma il Carmelo aspettava Elvira ed ella non si fece attendere: era il 21
dicembre 1915. Elvira aveva 34 anni e si addentrò nella vita carmelitana
cambiando il nome in Maria Sagrario di S. Luigi Gonzaga. La Madonna del
Sagrario nella Cattedrale di Toledo aveva dato un'impronta mariana a
tutta la famiglia.
In convento continuò la sua opera di
beneficenza di farmacista con l’aiuto del fratello Riccardo, divenuto
titolare della farmacia; condusse la sua vita di carmelitana scalza con
grande impegno e con particolare gioia; per il suo spirito di orazione e
il suo amore all’ Eucaristia incarnò perfettamente l'ideale
contemplativo ed ecclesiale del Carmelo Teresiano.
Sempre di buon umore, visse trasmettendo allegria nel servizio a Dio ed agli altri.
Alla sua elevata cultura si dovevano
aggiungere i grandi valori morali che fin dalla infanzia aveva
cominciato a vivere. Ed ecco che ora abbandonava tutti i beni materiali
per vivere volontariamente nella povertà, nella privazione e nella
rinuncia a tante cose. La sua vita spirituale si fondava già su ottime
fondamenta. A lei piaceva tutto: la preghiera, il silenzio, l'austerità
penitenziale, la recita in coro, la gioia. Tutto le dava un piacere
immenso.
La sua Maestra disse di lei: "Aveva un
carattere forte ed energico, capace di portare a termine i più grandi
ideali di santità". La notte di Natale del 1916 fece la sua prima
professione; nell’Epifania del 1920 emise la professione solenne "fino
alla morte".
Nella vita religiosa si mostrava sempre
affabile e semplice. Se le domandavano qualcosa, insegnava tutto quel
che sapeva, con grande misura e spontaneità. Quando le dicevano qualche
cosa a sua lode, cercava con destrezza di cambiare argomento.
Mai cercava di imporre il suo criterio:
cedeva o conservava il silenzio. Un giorno una sua compagna le
rimproverava la sua condotta e lei non rispondeva niente. Una religiosa
che era presente alla scena non si poté trattenere e le disse: "Non
sente ciò che sta dicendo? Perché non dà una spiegazione?". Al che Suor
Sagrario rispose: "Ma ha ogni ragione e sta dicendo la verità".
Nel gennaio 1927, alla morte della
Priora, la Comunità la elesse priora. Era la più giovane delle
capitolari. Lei che aveva sempre cercato di passare nascosta, ignorata,
senza essere notata, abbracciò la croce e si convertì in Madre premurosa
verso tutte le sue figlie. Vedeva che Dio realizza la sua storia della
salvezza attraverso mediazioni umane, che ci manifestano la sua Volontà.
Scaduta da priora le fu dato l'ufficio
di "rotara", cioè di colei che alla porta avrebbe dovuto passare parole e
cose fuori della clausura. Ufficio che esige molta prudenza,
delicatezza e spirito di sacrificio. E così Suor Sagrario fu
l'incaricata di accogliere, ricevere, salutare tutte le persone che si
avvicinavano alla "ruota" a qualsiasi titolo, tanto i familiari delle
religiose che venivano a visitarle, quanto i vari fornitori del
Monastero.
Ella traboccava di carità nel suo nuovo
ufficio, consolando cuori, cercando rimedio ai bisognosi, senza altra
mira e speranza di ricompensa che la promessa dal Signore nel Vangelo.
Alla porta arrivavano notizie ogni volta
più preoccupanti sulla situazione della Spagna. Lei le riceveva serena,
fiduciosa, in paziente e lungo ascolto delle persone per quanto glielo
permettevano i suoi doveri e il tempo della preghiera. Poi davanti al
Tabernacolo, si abbandonava all'Unico che poteva risolvere tutto. Avrà
pensato che forse presto si sarebbero avverati i suoi desideri? È
facile, poiché una religiosa ricorda che, verso questo tempo, parlando
con lei, le manifestava la santa impazienza di versare il suo sangue per
amore a Cristo.
Poi fu di nuovo eletta Priora ed ancora
una volta obbedì, si donò, si dedicò a servire. Era la sposa di un Dio
Crocifisso e voleva vivere la stessa sua sorte. Presto consumerà il
martirio, che molto prima aveva immaginato nel suo cuore.
Dio senz'altro stava preparando la sua
vittima. Infatti quegli ultimi giorni dovettero essere per lei di grande
purificazione. Si notava in lei un non so che di alto e santo. Viveva
distaccata da sé, a disposizione di tutte. Con frequenza ripeteva:
"L'unica cosa che voglio è fare tutte contente, che tutte siano felici".
Era simile ad una madre che, prossima a partire, dispensa affetto ai
suoi bambini.
Il 18 luglio 1936 scoppiò la Guerra
Civile spagnola, che insanguinò la Nazione dal 1936 al 1939, mietendo
solo fra i religiosi ben 7300 vittime.
La Beata riunì la comunità ed invitò a
tornare in famiglia, perché tutto era assai pericoloso. Nessuna però
volle uscire, vedendo che la Madre non era disposta ad abbandonare il
Monastero.
Le religiose che vissero con lei
raccontarono: "Lo stesso giorno 18 luglio furono prese a sassate le
finestre della Chiesa e del convento, e le religiose si resero ben conto
dell'imminente pericolo. Quello stesso giorno la Comunità cominciò la
sua dolorosa odissea. Il pomeriggio, dopo i vespri, mentre tutte erano
riunite, la Nostra Madre ci disse: 'Va tutto molto male. Si sono
ribellati i militari. Se va avanti così, non so che sarà di noi. Vi
supplico e vi consiglio che chi di voi desidera andarsene in famiglia,
lo dica con ogni libertà...'
I giorni 18 e 19 luglio godemmo di una
relativa calma nel nostro convento, sebbene provassimo una grande
sofferenza morale. Pareva che lo spirito presentisse la grande strage
che stava per succedere nella nostra Patria.
Di continuo vegliavamo il Santissimo,
collocato in un Tabernacolo nella parte interna del luogo destinato alla
comunione delle religiose. I secolari, allarmati al vedere la nostra
comunità in simile congiuntura, non cessavano di spingerci con tutti i
mezzi che venivano loro in mente perchè uscissimo. Ma il coraggio della
Madre sosteneva le figlie, e nessuna chiese di uscire. Però alla fine fu
necessario cedere alle suppliche di alcune famiglie e tre gruppi di
religiose si sentirono in obbligo di separarsi dalle loro sorelle, con
grande pena e con santa invidia per non poter partecipare alle angustie e
condividere la sorte di tutte. Rimanemmo nove religiose e in più la
nostra Priora".
"Durante tutto il giorno 20 luglio il
nostro convento fu crivellato dalle pallottole di fucile. Celebravamo la
festa del nostro Santo Padre Elia. Festa memorabile! Alle cinque del
pomeriggio, la Comunità ridotta, pur prevedendo quello che poteva
accadere, se ne andò in coro a recitare Mattutino. Passati forse
quindici minuti, la suora che in cucina preparava la cena udì forti
colpi e grida alla porta principale e alla ruota. La folla si accingeva
ad assaltare il convento. Avrebbero voluto bruciarlo. Ma i vicini si
opposero, temendo che il fuoco si propagasse alle loro case. Perciò
decisero di sfondare la porta e la ruota, per entrare in clausura.
Intanto la suora corse in coro ad
avvisare le altre di ciò che stava accadendo. Furono momenti di grande
paura e confusione. La Nostra Madre e altre sorelle andarono nell'eremo
dell'orto, mentre le rimanenti salirono a consumare le ostie del
Santissimo Sacramento. In pochi minuti, il nostro chiostro fu invaso da
ogni tipo di gente. Alcuni con il fucile, altri con i bastoni corsero
per tutto il convento, ruppero vetri, calpestarono quadri con orribili
bestemmie e fracassarono a terra quante immagini ed oggetti di culto
trovavano. Le donne badavano a vuotare il convento buttando la roba in
mezzo alla strada, dove fecero uno spaventoso falò con tutto ciò che
tiravano fuori. Il chiasso di tutta la gente armata o meno, le corse
pazzesche insieme con il fracasso che alzavano nel fare a pezzi
immagini, tavoli, ecc., dava l'impressione che nel nostro convento fosse
entrato l'inferno.
Noi per alcuni momenti riparammo nell'
eremo ma, udendo suonare tutte le campane e campanelle e non sapendo che
cosa sarebbe stato delle sorelle che mancavano nel nostro gruppo,
decidemmo di tornare in convento. La Nostra Madre fu la prima a
presentarsi agli aggressori e solamente quando l'assicurarono che non ci
avrebbero fatto nessun male, ci chiamò e ci accingemmo ad uscire.
Certune di noi, protette e rasserenate da alcuni di loro che mostravano
migliori sentimenti, potemmo ritirarci per indossare vestiti secolari.
Altre uscirono con l'abito, tra gli insulti e lo schiamazzo della folla
che in gran numero occupava le strade e contemplava lo spettacolo. Lì ci
misero in fila vicino al muro. La Madre, pensando che fosse per
ammazzarci, disse: ' Preparatevi, ché ci stanno per uccidere '. E
aggiunse: 'Viva Cristo Re!'.
In quel momento arrivò un taxi per
portarci via. La Nostra Madre si rifiutò di entrare perché temeva di
esporre le sue figlie al pericolo di qualcosa di peggio; perciò disse
che era preferibile che ci ammazzassero lì. Non ce lo accordarono...
Alla fine la pattuglia diede l'ordine di
partenza e l'automobile prese ad andare senza che sapessimo dove ci
portava. Ma avevamo il nostro cuore gonfio di gioia vedendoci
perseguitate per il fatto che professavamo il nostro titolo di Spose di
Gesù. Cominciammo a pregare in coro: la nostra Madre intonò con tutto il
fervore il 'Te Deum', la 'Salve' e alcuni salmi a voce alta, senza
timore per le guardie che ci sorvegliavano e, attraverso i finestrini,
ci guardavano con disprezzo e ci irridevano. Arrivammo alla Centrale
della Polizia: ci fecero scendere dall'automobile, ci condussero sotto
una scala e, andandosene, ci lasciarono lì, senza render conto o dar
ordini a nessuno. Vedevamo la Nostra Madre tranquilla e forte con la sua
pace abituale. Ci diceva: '... Se io vi avessi obbligate ad uscire dal
convento... Sono io la colpevole di tutto!'. Una delle nostre sorelle le
disse: ' No, Madre, la colpa l'abbiamo noi, che abbiamo voluto restare
nel nostro convento, seguendo la nostra vocazione fino all'ultimo
momento, fin quando non ci hanno cacciate '. Allora la Madre disse in
tono riconoscente e soddisfatto: 'Bene!' e non tornò più su questo
argomento.
Alla Centrale di Polizia c'era grande
movimento. Era piena di guardie armate e, dopo quanto era successo con i
franchisti alla caserma della Montagna, si vedeva un continuo salire e
scendere di gente che verificava negli uffici il domicilio dei
rispettivi familiari. Noi continuammo a stare sotto la scala, senza che
nessuno si preoccupasse della nostra sorte, finché un impiegato pieno di
meraviglia ci domandò il motivo di così lunga attesa. Gli raccontammo
la nostra storia e con grande cura riferì ad un capoccia ciò ch'era
successo e quello diede ordine di portarci in automobile alle nostre
case.
Tutte ci abbracciammo e ci demmo
l'arrivederci finché il Signore avesse voluto. Incominciammo allora a
sentire in cuore la tristezza. Come sarebbe finito tutto? Quando saremmo
tornate a vederci nel nostro convento? La Nostra Madre ci incoraggiò
con parole affettuose e ci separammo.
...Madre Maria Sagrario finì con il
rifugiarsi con una suora nella casa dei genitori di questa, dove rimase
fino all'imprigionamento, occupandosi delle sue religiose e
fortificandole con i suoi affettuosi consigli. Suo fratello don Riccardo
Moragas la visitò varie volte, manifestandole il desiderio che andasse
con lui a Pinto, dove viveva con i suoi. La Madre non acconsentì a
quanto le proponeva il fratello, perchè, diceva: ' devo vegliare su
tutte le mie sorelle '.
"Riservava speciale attenzione per
quelle sue figlie che, appartenendo a famiglie più umili e bisognose,
necessitavano di aiuto. Ad una di loro, mandandole un poco di quel
denaro che aveva potuto prendere partendo dal convento, le diceva in una
lettera: 'Quanto stiamo soffrendo tutte! Non avrei mai creduto
d'arrivare a tanto. Benedetto sia Dio che ci dà queste sofferenze per
offrirgliele come amore a Lui...."
Il 14 agosto come tutti gli altri giorni
la Madre Sagrario fece l'orazione e tutte le preghiere quasi si
trovasse in convento, e alle quattro circa del pomeriggio, dopo la Via
Crucis, cominciò a recitare l'Ufficio dell'Assunzione di Maria. Ma
dovette interromperlo perché a quell'ora si presentarono nella casa dove
stava dei miliziani che domandarono di suor Sagrario, esibendo dei dati
precisi come gente ben informata sulla preda da prendere. Quando la
Madre venne a sapere ciò che succedeva, si presentò subito, dicendo che
era lei. La arrestarono sul momento e la condussero, insieme alla
religiosa con cui viveva, nella prigione repubblicana di via Marqués del
Riscal, famosa per le crudeltà che si facevano. Lì si trovarono con
altre tre religiose della Comunità.
Appena arrivata, la isolarono così che
le sue figlie non poterono dirle nulla. Ma poterono osservare il suo
atteggiamento di persona raccolta e assorta nelle varie occasioni in cui
passando da una stanza all'altra quando erano chiamate per
l'interrogatorio, la incrociavano mentre era sola, con il rosario in
mano e una grandissima pace sul volto, senza che badasse a niente o si
preoccupasse di quanto succedeva intorno, come chi già non appartiene a
questo mondo.
Non sappiamo quello che soffrì né i modi
brutali che dovette sopportare durante le poche ore della sua
prigionia. A notte già inoltrata, una nostra religiosa vide che la
conducevano in una stanza vicina alla sua, e vide anche che la volevano
obbligare a scrivere su un foglio. La Madre si rifiutava. Alla fine, si
mise in ginocchio e, dopo alcuni istanti di preghiera, si alzò decisa e
si mise a scrivere un attimo. Che avrà scritto? Propendiamo per una sua
professione di fede, forse l’espressione dei martiri di quell’epoca
insanguinata: “Viva Cristo Re”, poiché quando finì di scrivere la
portarono via tra insulti e bestemmie".
Durante la notte fu trasportata nella
Padrera de San Isidro e nelle prime ore del mattino venne fucilata. Era
il 15 agosto del 1936, giorno dell’Assunzione di Maria; aveva 45 anni.
Non si sa cosa disse in quei momenti, comunque tanto attesi, ma vi sono
due foto scattate dopo la sua morte, dove è visibile la serenità del
viso, senza smorfie di dolore, con gli occhi aperti pieni di una santa
rassegnazione.
La sua morte, considerata un martirio,
fece avviare i processi per la sua beatificazione dall’arcivescovo di
Madrid nel 1962, che si sono conclusi con la solenne proclamazione da
parte di Papa Giovanni Paolo II in Piazza S. Pietro a Roma il 10 maggio
1998.
Nell’arazzo per la cerimonia Madre
Sagrario è raffigurata con la palma del martirio, vicino ai suoi piedi
vi sono alcuni vasi e strumenti da farmacista, sul fondo il convento
carmelitano e l’eremo di S. Isidro dove fu fucilata.
In lei i farmacisti di Spagna e del
mondo hanno trovato una celeste patrona, che ha saputo stare con
competenza e bontà nel laboratorio e nella farmacia, ma con dignità ed
eroismo anche davanti alla morte..
Dal sito http://ocarm.org/it/
Nessun commento:
Posta un commento