Durante
questa conversazione cercherò di balbettare qualcosa sulla grandezza
(e sulla fragilità) dell'amore coniugale. Ho detto "balbettare".
L'amore, infatti, in particolare l'amore coniugale è un cosi grande
evento e mistero che di esso si può solo balbettare. Ci faremo
guidare dalla lettera del S. Padre.
Prima,
tuttavia e purtroppo, dobbiamo fare quello che fece Mosé, prima di
avvicinarsi al roveto ardente dove era presente il fuoco della Gloria
di Dio. Egli, su ordine del Signore, si levò i calzari, perché
stava per entrare in un luogo santo. Anche noi stiamo per entrare in
un luogo santo, l'amore coniugale. Anche noi dobbiamo prima toglierci
i calzari, cioè liberarci da tutte le idee sbagliate, i pregiudizi
che oggi circolano sull'amore coniugale e che più o meno tutti
respiriamo.
1.
Il primo pregiudizio, il più tremendo, da cui dobbiamo liberarci se
vogliamo penetrare nel grande mistero dell'amore coniugale, è quello
di pensare che la libertà consista nel non prendere mai impegni
definitivi. È di pensare che essere liberi significa non essere
legati a nessuno. È di pensare che la forza più grande della nostra
libertà consista nel dire "no", piuttosto che nel dire
"sì". Ho detto che questo pregiudizio è tremendo. Non è
una esagerazione. Chi, infatti, si lascia dominare da questo
pregiudizio, può veramente giungere fino alla distruzione spirituale
di se stesso e dell'altra persona. Mi spiego con un esempio.
Quando
noi comperiamo una cosa, normalmente ci viene data con un certo
periodo di garanzia. Che cosa significa "periodo di garanzia"?
significa che tu da subito entri in possesso della cosa, tuttavia non
intendi dare un consenso a tenerla per sempre, se non a condizione
che tutto funzioni bene. Se l'esperimento non ha un buon risultato,
ciascuno si riprende ciò che è suo.
Proviamo
ora a trasferire questo "contratto con garanzia" al
rapporto uomo-donna nel matrimonio. I due non si uniscono se non "a
condizione che" tutto funzioni bene; se il risultato non è
soddisfacente, ciascuno si riprende il suo. Ecco, vedete: si ha qui
una sorta di contratto di uso reciproco, nel quale ciascuno non
intende impegnarsi per sempre. Ciascuno prova ad usare altro. C'è
qualcosa di tremendo in tutto questo, perché si riduce la persona
propria e dell'altro ad una cosa di cui fare uso. "Usa e getta",
dice chi si lascia dominare dal pregiudizio che essere liberi
significhi non assumersi mai impegni definitivi.
Chi
si lascia prendere da questo pregiudizio, solitamente apre il suo
cuore ad un secondo pregiudizio, ugualmente molto pericoloso. Vorrei
spiegarvelo partendo da alcuni esempi molto semplici.
Se
noi in una giornata molto calda passiamo davanti ad un banco di
gelati ed abbiamo molta sete, subito sentiamo un grande desiderio di
comperarne uno e mangiarlo. Se, al contrario, non abbiamo sete, il
gelato non esercita su di noi nessuna attrattiva. Proviamo a
riflettere un poco su questa esperienza. Notiamo subito che l'oggetto
che attira la nostra attenzione, non ha in se stesso un suo proprio
valore: interessa in quanto è capace di spegnere la nostra sete. Se
non ho sete, esso non esercita più nessun interesse. È la mia sete
che rende così interessante il gelato. Vale, insomma, perché ne ho
bisogno.
Ecco,
tenete ben presente nella mente questo esempio. Il secondo
pregiudizio sull'amore coniugale consiste nel confondere l'amore
coll'attrazione, col bisogno che sento di un'altra persona per la mia
felicità. L'altra persona vale perché mi soddisfa, perché ne ho
bisogno. Perché si tratta di una tremenda confusione?
Facciamo
un altro esempio. Sulle case deve essere costruito un tetto:
ovviamente perché non vi piova dentro. Lo stesso problema valeva
anche per la basilica di S.Pietro: quando fu costruita doveva essere
completata col tetto. Era necessario, a questo scopo, perché non
piovesse dentro la basilica, costruire la cupola? Non solo non era
necessario ma era molto più difficile e molto più costoso. Allora
perché Michelangelo volle e costruì la cupola e non un semplice
tetto? Perché la cupola è bella. Essa cioè meritava di essere
voluta (=costruita) a causa della sua intrinseca bellezza. Ecco,
vedete: si può volere una cosa, ed anche una persona, in due modi
profondamente diversi. Puoi volere qualcuno o qualcosa perché ne
senti il bisogno; puoi volere... perché semplicemente merita di
essere voluto, amato. Nel primo caso, è il tuo desiderio che
conferisce valore all'oggetto voluto; nel secondo caso, è l'oggetto
che, a causa del suo valore, suscita in te il desiderio.
Finalmente,
possiamo ora dire brevemente in che cosa consiste il secondo
pregiudizio sull'amore coniugale: confondere l'amore coniugale
coll'attrazione, col bisogno che sento di possedere l'altra persona
per la mia felicità.
Potete
anche vedere facilmente come questi due pregiudizi sono legati fra
loro. Se vuoi una persona per il bisogno che ne senti, la vuoi solo
se e solo fino a quando ella è in grado di soddisfare il tuo
desiderio di essa. L'amore coniugale diventa un contratto a rischio.
Esiste,
infine, un terzo pregiudizio sul quale vorrei attirare la vostra
attenzione. È il pregiudizio che sia possibile un amore vero senza
una profonda unità spirituale, che cioè l'amore si possa ridurre ad
un'unione fisica-sessuale. Come vedremo, l'amore coniugale è anche
profonda intimità sessuale. Il pregiudizio oggi molto diffuso è che
sia possibile separare la sessualità dall'amore; che "amare"
significhi semplicemente "avere rapporti sessuali". In una
parola: ridurre il rapporto uomo-donna alla sessualità, separandola
dall'unione spirituale e chiamare questo "amore".
Sono
tre pregiudizi. Di essi dobbiamo completamente liberarci, se vogliamo
comprendere il mistero dell'amore coniugale. Essi infatti, riducono
ed impoveriscono la nostra libertà, e l'amore coniugale è la
suprema manifestazione della libertà. Riducono ed impoveriscono la
nostra capacità di desiderare, e l'amore coniugale è la suprema
manifestazione della capacità del dono. Riducono ed impoveriscono la
sessualità umana, e l'amore coniugale è la rivelazione della
ricchezza integrale della sessualità umana.
2.
Se ci siamo liberati da questi pregiudizi, se ci siamo levati come
Mosé i calzari, possiamo ora entrare nel mistero dell'amore
coniugale.
La
caratteristica con cui immediatamente ci si presenta l'amore
coniugale è che esso esiste solamente fra un uomo e una donna e non
può esistere fra persone dello stesso sesso (come altre forme di
amore). Se consideriamo la differenza fra l'uomo e la donna, una
differenza puramente biologica, siamo dei superficiali. Partiamo,
dunque, dalla riflessione su questo punto: è la porta d'ingresso nel
mistero dell'amore coniugale. Vi ricordate come la S. Scrittura
racconta la creazione dell'uomo e della donna?
L'uomo
(maschio) si sente solo ed in questa solitudine soffre. Mentre dopo
che il Signore, creato ogni cosa, vedeva che tutto era ben fatto, ora
vedendo l'uomo in questa condizione, dice: "Non è bene che
l'uomo sia solo". Non è bene: l'uomo in questa condizione di
solitudine, non ha raggiunto la pienezza del suo essere umano. In
realtà, sembrava che l'uomo non fosse solo: c'erano gli animali e le
piante. Ma essi non erano persone: erano qualcosa, non qualcuno. Ora,
che cosa fa il Signore? crea un altro uomo? crea la donna. Nella
comunione reciproca fra l'uomo e la donna, la persona raggiunge la
sua pienezza. Ed Adamo canta la sua prima canzone di amore: "questa
sì che è carne della mia carne...".
Le
ricchezze delle differenze.
Ecco
abbiamo pronunciato la parola "chiave" che ci apre il
mistero dell'amore coniugale: comunione inter-personale. Che cosa è?
Quando noi siamo di fronte ad una persona possiamo avere tre
attitudini fondamentali. Possiamo pensare (e dire): "come è
utile che tu esista!". È l'attitudine di chi guarda l'altra
persona, pensando quali vantaggi eventualmente possono derivargli
dalla sua conoscenza, dalla sua amicizia. È l'attitudine
utilitarista. Possiamo pensare (e dire): "come mi piace che tu
esista!". È l'attitudine di chi guarda l'altra persona come
fonte possibile di piacere, come qualcosa che può procurargli
piacere. È l'attitudine edonista. Possiamo pensare (e dire): "come
è bello che tu esista". È l'attitudine di chi guarda l'altra
persona vedendone la sua dignità, la sua preziosità che la rende
degna di esistere, il suo valore in se stessa e per se stessa. È
l'attitudine amorosa: è l'amore.
Facciamo
ora un passo avanti, nella scoperta dell'amore coniugale. Questa
terza attitudine è propria dell'amore come tale, non solo dell'amore
coniugale. Come è presente nell'amore coniugale? Approfondiamo
quell'attitudine amorosa.
L'amore
che vede la dignità, la preziosità infinita della persona suscita
un sentimento di venerazione per essa che prende corpo nel desiderio
di dono all'altro. Ora possiamo donare all'altro ciò che possediamo,
ciò che abbiamo: il nostro tempo, per esempio, il nostro denaro,
l'esercizio della propria professione. Oppure possiamo donare se
stessi, la propria persona: semplicemente non il nostro avere, ma il
nostro essere. C'è una diversità fra i due doni? Una diversità
abissale.
Il
dono di ciò che hai, può essere misurato: ...; il dono di te stesso
non può essere misurato; o è totale o non esiste per niente. Il
dono di ciò che hai può essere misurato nel tempo: ...; il dono di
se stesso, proprio perché totale, non può essere limitato nel
tempo: è definitivo, è eternamente fedele. L'amore coniugale è
dono totale, definitivo di se stesso all'altra persona, perché si è
vista in essa una tale preziosità da non meritare niente di meno che
non la propria persona. Fra le migliaia di persone che ha visto,
questa è stata vista in una luce assolutamente singolare. "Questa
è unica e merita il dono totale e definitivo non di tutto ciò che
ho, ma di ciò che sono: di me stesso": dice l'amore coniugale.
Ecco perché, quando questo dono è accaduto, la persona non
appartiene più a se stessa: si è donata per sempre.
Ma
questo non è tutto il mistero dell'amore coniugale. Dobbiamo ora
chiederci: come accade questo dono?
Esso
avviene, nella sua forma più alta, attraverso l'atto con cui i due
sposi diventano fisicamente e spiritualmente una sola persona. La
sessualità coniugale è il linguaggio dell'amore coniugale: è la
sua realizzazione più alta.
Vi
ricordate che avevamo detto: la comunione inter-personale è
l'essenza stessa dell'amore coniugale. E ci siamo chiesti: ma in che
cosa consiste? È la comunione che consiste nel dono di se stessi che
reciprocamente gli sposi si fanno, un dono totale e definitivo, che
si realizza e si esprime nella sua forma più alta nel divenire una
sola carne nell'unione sessuale.
In
conseguenza di questo dono, essi si appartengono reciprocamente per
sempre.
3.
Abbiamo parlato della grandezza dell'amore coniugale. Ma come ogni
realtà grande, esso è anche molto fragile. Esso può essere
rovinato, anche dagli sposi stessi. Dunque, ci sono pericoli. Quali
sono, oggi, i più gravi, da cui guardarsi?
Il
primo, il più grave di tutti è l'egoismo: è l'antitesi del dono di
sé, e quindi dell'amore... la persona è se stessa solo nella misura
in cui si dona.
E
qui entriamo nella considerazione di un altro pericolo: concepire la
propria libertà come autonomia, come affermazione di se stessi
contro l'altro. La libertà non può essere intesa come facoltà di
fare qualsiasi cosa: essa significa dono di sé. Quando lo sposo ha
detto: "io prendo te come mia legittima...", ha detto: da
ora in poi tutta la mia libertà consisterà nel dimenticare me
stesso per essere un puro dono fatto alla tua persona.
Egoismo
e libertà male intesa generano nel cuore degli sposi un'altra
malattia del loro amore coniugale: l'individualismo (cfr. Lettera
alle famiglie, pag.47). (pag.49).
CONCLUSIONE
Permettetemi
di concludere con un piccolo racconto. C'era una volta una persona
che era talmente stolta che, quando si alzava alla mattina, non
riusciva mai a ritrovare i suoi vestiti. Alla sera, non si decideva
mai ad andare a dormire sapendo che poi al mattino avrebbe fatto
fatica a ritrovare i suoi vestiti. Finalmente una sera trovò la
soluzione: prese penna e carta e annotò il luogo dove deponeva il
vestito. La mattina tirò fuori allegramente il suo taccuino e lesse:
"la camicia", eccola e se la infilò e così via, fino a
che ebbe indossato tutto. "Si, ma io dove sono?" si chiese
allora ansiosamente. Invano cercò, cercò e non riuscì a trovarsi.
Il
Concilio Vaticano II ha detto una grande cosa: l'uomo ritrova se
stesso solo attraverso il dono di sé.
L'uomo
oggi sa tutto sui suoi vestiti, cioè su ciò che è più esterno al
suo mistero. E su se stesso?
Card.
Carlo Caffarra
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