Caritas
non inflatur....La carità non si gonfia ( 1 Cor 13 , 4)
Chi
ama Gesù Cristo
non s'invanisce de' propri pregi,
ma si umilia e gode di vedersi umiliato
anche dagli altri.
non s'invanisce de' propri pregi,
ma si umilia e gode di vedersi umiliato
anche dagli altri.
Il
superbo è come un pallone di vento che comparisce grande a se
stesso, ma in sostanza tutta la sua grandezza si riduce ad un poco di
vento che, aprendosi il pallone, tutto in un subito svanisce. Chi ama
Dio è vero umile nè si gonfia per vedere in sè qualche pregio;
perchè vede che quanto ha, tutto è dono di Dio, e del suo non ha
altro che il niente ed il peccato; onde nel conoscere i favori
fattigli da Dio più si umilia, vedendosi così indegno e così da
Dio favorito.
Dice
S. Teresa, parlando delle grazie speciali che Dio le facea: «Iddio
fa con me come si fa con una casa che, stando per cadere, si aiuta
con puntelli». Quando un'anima riceve qualche amorosa visita di Dio,
provando in sè un ardore straordinario di amor divino accompagnato
da lagrime o da una gran tenerezza di cuore, si guardi dal pensare
che il Signore la favorisca allora per qualche sua buona opera; ma
allora dee più umiliarsi, pensando che Dio l'accarezza acciocchè
ella non l'abbandoni; altrimenti se per tali doni ne concepisce
qualche vanità, stimandosi più favorita perchè si porta con Dio
più bene degli altri, un tal difetto farà che Dio la privi de' suoi
favori. Per conservar la casa due sono le cose più necessarie, il
fondamento ed il tetto: il fondamento in noi ha da essere l'umiltà,
nel riconoscere che a niente vagliamo e niente possiamo: il tetto poi
è la divina protezione in cui solamente dobbiam confidare.
Allorchè
ci vediamo più favoriti da Dio bisogna che più ci umiliamo. S.
Teresa quando riceveva qualche grazia speciale, allora procurava di
mettersi avanti gli occhi tutte le sue colpe commesse, e così il
Signore più a sè l'univa. Quanto più l'anima si confessa indegna
di grazie, tanto più Iddio di grazie l'arricchisce. Taide, prima
peccatrice e poi santa, si umiliava tanto con Dio che stimavasi
indegna anche di nominarlo; onde non ardiva di dire, «Dio mio», ma
diceva, «Creatore mio, abbi pietà di me: Plasmator meus,
miserere mei». E scrive S. Girolamo che per tale umiltà vide
apparecchiarsele un gran trono in cielo. Si legge similmente di S.
Margherita da Cortona, nella sua vita, che visitandola un giorno il
Signore con maggior tenerezza d'amore, ella esclamando gli disse: «Ma
come, Signore, vi siete scordato di quella ch'io sono stata? come con
tante finezze mi pagate le tante ingiurie che vi ho fatte?» E Dio le
rispose che quando un'anima l'ama e si pente di cuore d'averlo
offeso, egli si scorda di tutte le offese ricevute; come già lo
disse per Ezechiele: Si autem impius egerit poenitentiam... omnium
iniquitatum eius quas operatus est, non recordabor (Ezech. XVIII,
21 et 22). Ed in pruova di ciò le fe' vedere che le aveva
apparecchiato in cielo un gran soglio in mezzo a' serafini. — Oh se
giungessimo ad intendere il valore dell'umiltà! Vale più un atto
d'umiltà che non è l'acquistare tutte le ricchezze del mondo.
Dicea
S. Teresa: «Non credere di aver fatto profitto nella perfezione se
non ti tieni per lo peggiore di tutti, e se non desideri di esser
posposto a tutti». E così facea la santa, e così han fatto tutti i
santi. S. Francesco d'Assisi, S. Maria Maddalena de' Pazzi e gli
altri, si riputavano i maggiori peccatori del mondo, e si ammiravano
come la terra gli sostenesse e non si aprisse loro sotto i piedi; e
ciò lo diceano con vero sentimento. Trovandosi vicino alla morte il
V. Giovanni d'Avila che fin da giovine fece una vita santa, venne un
sacerdote ad assisterlo, e gli dicea cose molto sublimi, trattandolo
da quel gran servo di Dio e gran dotto ch'egli era: ma il P. Avila
gli fe' sentire: «Padre, vi prego a raccomandarmi l'anima, come si
raccomanda l'anima ad un malfattore condannato a morte, perchè tale
son io». Tale è il sentimento che hanno i santi di se stessi in
vita ed in morte.
Così
bisogna che facciamo ancor noi se vogliamo salvarci e conservarci in
grazia di Dio sino alla morte, mettendo tutta la nostra confidenza
solamente in Dio. Il superbo confida nelle sue forze e perciò cade;
ma l'umile, perchè solo confida in Dio, benchè sia assalito da
tutte le tentazioni le più veementi, sta forte e non cade, dicendo
sempre: Omnia possum in eo qui me confortat (Phil. IV, 13). Il
demonio ora ci tenta di presunzione, ora di sconfidenza: quando egli
ci dice che per noi non v'è timor di cadere, allora più tremiamo,
perchè se per un momento Iddio non ci assiste colla sua grazia,
siamo perduti. Quando poi ci tenta a sconfidare, allora voltiamoci a
Dio e diciamogli con gran confidenza: In te Domine speravi, non
confundar in aeternum (Ps. XXX, 2): Dio mio, in voi ho poste le
mie speranze, spero di non avermi a veder mai confuso e privo della
vostra grazia. Questi atti di sconfidare di noi e confidare in Dio
dobbiamo esercitarli sino all'ultimo punto della nostra vita,
pregando sempre il Signore che ci dia la santa umiltà.
Ma non basta, ad esser umili, l'aver basso concetto di noi ed il
tenerci per quei miserabili che siamo; il vero umile, dice Tommaso da
Kempis, disprezza sè e desidera essere disprezzato ancora dagli
altri. Questo è quel tanto che ci raccomandò Gesù Cristo a
praticare secondo il suo esempio: Discite a me, quia mitis sum et
humilis corde (Matth. XI, 29). Chi dice di essere il maggior
peccatore del mondo e poi si sdegna cogli altri che lo disprezzano,
dà segno ch'è umile di bocca, ma non di cuore. Scrive S. Tommaso
d'Aquino che quando alcuno, vedendosi disprezzato, si risente,
ancorchè facesse miracoli, si tenga per certo ch'egli è molto
lontano dalla perfezione. La divina Madre mandò S. Ignazio di Loyola
ad istruire nell'umiltà S. Maria Maddalena de' Pazzi, ed ecco
l'insegnamento che il santo le diede: «L'umiltà è un godimento di
tutto ciò che c'induce a disprezzare noi stessi». Si noti, un
godimento: se il senso si risente ne' disprezzi che riceviamo,
almeno collo spirito dobbiamo goderne.
E
come mai un'anima che ama Gesù Cristo, vedendo il suo Dio sopportare
schiaffi e sputi in faccia, come soffrì nella sua Passione, — tunc
exspuerunt in faciem eius et colaphis eum ceciderunt, alii autem
palmas in faciem eius dederunt (Matth. XXVI, 67) — potrà non
amare i disprezzi? A questo fine il Redentore ha voluto che sugli
altari si esponesse la sua immagine, non già in forma di glorioso,
ma di crocifisso, affinchè avessimo sempre avanti gli occhi i suoi
disprezzi, a vista de' quali i santi godono in vedersi vilipesi in
questa terra. E questa fu la domanda che S. Giovanni della Croce fe'
a Gesù Cristo, allorchè gli apparve colla croce sulla spalla:
Domine, pati et contemni pro te: Signore, in vederti così
disprezzato per amor mio, non altro ti cerco, che il farmi patire ed
esser disprezzato per amor tuo.
Dice
S. Francesco di Sales: «Il sopportare gli obbrobri è la pietra di
paragone dell'umiltà e della vera virtù». Se una persona che fa la
spirituale, fa orazione, si comunica spesso, digiuna, si mortifica,
ma poi non può sopportare un affronto, una parola pungente, che
segno è? È segno ch'è canna vacante, senza umiltà e senza virtù.
E che sa fare un'anima che ama Gesù Cristo, se non sa soffrire un
disprezzo per amor di Gesù Cristo che ne ha sofferti tanti per lei?
Scrive il da Kempis nel suo libretto d'oro dell'Imitazione di Gesù
Cristo: «Giacchè tanto abborrisci di esser umiliato, è segno
che non sei morto al mondo, non hai umiltà e non hai Dio avanti gli
occhi. Chi non ha Dio avanti gli occhi si conturba per ogni parola di
biasimo che sente». Tu non puoi sopportare schiaffi e ferite per
Dio: sopporta almeno qualche parola.
Oh
che ammirazione e scandalo dà una persona che si comunica spesso, e
poi si risente ad ogni parola di suo disprezzo! All'incontro, che
bella edificazione dà un'anima che, ricevendo disprezzi, risponde
con qualche parola dolce per placare chi l'ha offesa; o pure non
risponde nè se ne lamenta cogli altri, ma se ne resta con volto
sereno senza dimostrarne amarezza! Dice S. Giovanni Grisostomo che il
mansueto è utile non solo a se stesso, ma anche agli altri col buon
esempio che loro dà di dolcezza nell'esser disprezzato: Mansuetus
utilis sibi et aliis.
Il
da Kempis intorno a questa materia avverte molte cose nelle quali
dobbiamo umiliarci. Dice così: «Si ascolterà quanto dicono gli
altri, e quanto dici tu sarà dispregiato. Dimanderanno gli altri e
riceveranno: dimanderai tu e ti sarà negato. Gli altri saran grandi
nella bocca degli uomini, e di te si tacerà. Agli altri sarà
commessa questa o quella incombenza, ma tu a nulla verrai giudicato
buono. Con queste pruove il servo fedele suole sperimentarsi dal
Signore, come egli sappia reprimersi e quietarsi. Si contristerà
alcuna volta la natura, ma farai gran guadagno se tutto sopporterai
con silenzio».
Dicea
S. Giovanna di Chantal: «Chi è vero umile, venendo umiliato più
s'umilia». Sì, perchè il vero umile non mai crede di esser
umiliato abbastanza quanto merita. Quelli che fanno così son
chiamati beati da Gesù Cristo: non son chiamati beati quei che dal
mondo sono stimati, onorati e lodati per nobili, per dotti, per
potenti; ma quei che sono maledetti dal mondo, perseguitati e
mormorati: perchè a costoro sta preparata, se tutto soffrono con
pazienza, una gran mercede in paradiso: Beati estis cum
maledixerint vobis, et persecuti vos fuerint, et dixerint omne malum
adversum vos mentientes, propter me. Gaudete et exsultate, quoniam
merces vestra copiosa est in caelis (Matth. V, 11 et 12).
Principalmente
poi dobbiamo praticar l'umiltà quando siamo ripresi da' superiori o
da altri di qualche difetto. Taluni fanno come i ricci che quando non
sono toccati paiono tutti placidi e mansueti; ma se poi li tocca un
superiore o un amico ammonendoli di una cosa mal fatta, subito
diventano tutti spine, e rispondono con risentimento che ciò non è
vero o che hanno avuta ragione di farlo, e che non ci capiva
quell'ammonizione; in somma chi li riprende loro diventa nemico,
facendo come coloro che se la pigliano col cerusico perchè gli fa
sentire dolore con medicargli la piaga: Medicanti irascitur,
scrive S. Bernardo. L'uomo santo ed umile, dice S. Gio. Grisostomo,
quando è corretto geme per l'errore commesso; il superbo
all'incontro, quando è corretto anche geme, ma geme perchè vede
scoverto il suo difetto, e perciò si sturba, risponde, e si sdegna
con chi l'avverte. Ecco la bella regola che dava S. Filippo Neri,
quando alcuno si vede incolpato: «Chi vuol farsi veramente santo,
dicea, non dee mai scusarsi, ancorchè sia falso quello di che viene
tacciato». In ciò dee eccettuarsene il solo caso in cui sembrasse
esser necessaria la difesa per togliere lo scandalo. Oh quanto merito
si fa appresso Dio chi è ripreso, benchè a torto, e tace e non si
scusa! Dicea S. Teresa: «Talvolta più si avanza e si perfeziona una
anima con lasciar di scusarsi, che con sentire dieci prediche; poichè
col non iscusarsi comincia ad acquistar la libertà di spirito ed a
non curarsi più se si dice bene o male di lei».
Preghiera
O
Verbo Incarnato, deh vi prego, per li meriti della vostra santa
umiltà che vi fe' abbracciare tante ignominie ed ingiurie per amor
nostro, liberatemi dalla superbia e datemi parte della vostra santa
umiltà. E come mai potrò dolermi io d'ogni obbrobrio che mi sia
fatto, dopo specialmente d'essermi fatto tante volte reo
dell'inferno? Deh, Gesù mio, per lo merito di tanti disprezzi che
soffriste nella vostra Passione, datemi la grazia di vivere e morire
umiliato in questa terra, come voi viveste e moriste umiliato per me.
Io per amor vostro vorrei vedermi disprezzato e abbandonato da tutti,
ma senza voi non posso niente.
V'amo,
mio sommo bene, v'amo, o diletto dell'anima mia: io v'amo, e da voi
spero, come propongo, di soffrir tutto per voi, affronti, tradimenti,
persecuzioni, dolori, aridità, abbandoni; basta che non mi
abbandoniate voi, unico amore dell'anima mia. Non permettete ch'io mi
allontani più da voi.
Datemi
desiderio di darvi gusto. Datemi fervore nell'amarvi. Datemi pace nel
patire. Datemi rassegnazione in tutte le cose contrarie.
Abbiate
pietà di me. Io non merito niente, ma tutto spero da voi che mi
avete comprato col vostro sangue.
E
tutto spero da voi, regina e madre mia Maria, che siete il rifugio
dei peccatori.
Sant'Alfonso
Maria de Liguori – Tratto da “Pratica di amar Gesù Cristo” -
Capitolo IX
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