mercoledì 19 febbraio 2020

Il portabandiera del Nome di Gesù




San Francesco (1181-1226) ebbe un grande amore per il nome di Gesù. Di lui si racconta: "Spesso trovandosi in viaggio, meditando e cantando Gesù, dimenticava il cammino e si dava a invitare tutte le creature alla lode di Gesù". Ai confratelli Francesco consigliava: "Ascoltando il nome di Lui, adoratelo ... proni verso terra: Signore Gesù Cristo... è il suo nome, che è benedetto nei secoli". Duecento anni dopo, uno dei suoi frati spirituali, san Bernardino da Siena (1380-1444), sarebbe diventato un "portabandiera del nome di Gesù".

Il sole di San Bernardino

Figlio di una nobile famiglia toscana, Bernardino rimase presto orfano e apprese da una zia un profondo amore per Dio e per Maria. Nel 1400, mentre studiava diritto canonico a Siena, scoppiò in città un'epidemia di peste. Bernardino aveva vent'anni e decise di prestare servizio come volontario in ospedale. Fu in quei mesi che si sentì chiamato a vivere completamente per Dio. Il giovane nobile dal carattere focoso ebbe un grande ruolo nel movimento di riforma dell'ordine francescano. A partire dal 1405, per quasi 40 anni, percorse le città del centro e nord d'Italia come abile predicatore itinerante e mai portò a termine una missione popolare senza un'infuocata omelia sul nome di Gesù: "Non è, forse, con lo splendore e con la dolcezza di questo Nome che Iddio ci ha chiamato all'ammirabile luce sua? Ma perché questo Nome si possa manifestare in tutto il suo splendore è necessario predicarlo". In un'epoca di disfacimento spirituale e morale, con parole semplici ed entusiasmanti, egli predicò contro le insensate lotte tra fazioni nelle città, contro lo sfarzo, il vizio del gioco e gli usurai, riconducendo i cuori a Dio e a un vero amore per il prossimo. Le sue prediche portarono così tanti effetti benefici che il famoso francescano venne sempre più invitato di città in città a parlare in chiese stracolme e nelle piazze dei mercati. Ma, oltre alla forza delle sue parole, Dio diede in mano a Bernardino un altro miracoloso "rimedio": il monogramma di Gesù, IHS, di per sé non nuovo, già conosciuto tanto quanto la venerazione del nome di Gesù, ma presentato dal predicatore in una nuova e splendida raffigurazione! Era infatti costituito da lettere dorate su uno sfondo blu, racchiuse in un cerchio dal quale partivano dodici raggi dorati simili a fiamme, simbolo dei dodici Apostoli e dei dodici dogmi del Credo. Questo disegno del sole così fortemente simbolico era circoscritto tutt'intorno con le parole in latino della Lettera ai Filippesi: "Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra". "Così infatti" , testimoniò Bernardino, "ho visto il dolce Nome del nostro Salvatore in una visione". Questo disegno fu per lui un programma: il sole della salvezza contro ogni debolezza della fede e contro l'immoralità!

Fu una geniale ispirazione di Bernardino quella di dipingere egli stesso questo sole su una tavoletta di legno e portarlo poi sempre con sé nelle sue prediche, per illustrare al popolo quanto veniva detto a parole. Per prima cosa egli collocava il sole IHS sull'altare dove celebrava la Santa Messa. Dopo la predica teneva in alto la tavoletta e con essa impartiva la benedizione. Un testimone oculare scrisse di questo momento: "Ardente nell'amore dello Spirito Santo e di Cristo, Bernardino, accanto ad un doppiere acceso, estrasse la tavoletta - dell'altezza quasi di un braccio - mentre tutto il popolo s 'inginocchiò e si scoprì il capo, piangendo e singhiozzando per la commozione".

Le missioni popolari di Bernardino culminavano spesso in un avvincente "spettacolo": profondamente pentiti, disposti a cambiare la loro vita, i cittadini spontaneamente portavano gioielli, carte da gioco e altri oggetti collegati ai loro vizi e li bruciavano su un imponente "falò delle vanità".
Nell'ottava di Pasqua del 1424 a Bologna i cittadini promisero di non acquistare più carte da gioco. Allora però i tipografi, che le stampavano e che con questo si guadagnavano da vivere, si presentarono indignati da Bernardino. Il monaco, che aveva allora 44 anni ed era ormai quasi allo stremo delle forze, osservò serio il gruppo infuriato, poi disegnò per loro il modello di un sole IHS ed ordinò di guadagnarsi da vivere, da quel momento in poi, con la produzione e la vendita di quella nuova immagine. E veramente per alcuni anni questi tipografi esercitarono una fiorente attività con il disegno del sole IHS, dal momento che non c'era casa, ufficio o negozio, dove alle pareti non fosse appeso il sole di Bernardino. Altrettanto ispirato il francescano combatté la piaga delle guerre tra le fazioni di nobili famiglie nemiche. Dove egli giungeva esortava i capi a rimuovere gli stemmi, collocati dappertutto alle pareti delle abitazioni e addirittura delle chiese come simboli del potere; al loro posto doveva risplendere il sole del nome di Gesù come segno del regno di pace di Cristo!
In effetti questo geniale scambio contribuì alla riconciliazione e alla pace tra le città. Ancora oggi il sole IHS si può trovare in numerose chiese, municipi e porte dei comuni italiani. Ma il disegno IHS doveva essere affisso anche su alcuni oggetti del vivere quotidiano, dal vomere dell'aratro fino alle culle dei bambini - così promuoveva con zelo il predicatore - questo affinché il benefico nome di Gesù fosse visibile in ogni momento a tutti. Certamente il santo sottolineava: "L'iscrizione migliore del Nome di Gesù è quella nel cuore, poi quella nella parola e infine nel simbolo dipinto o scolpito. Tutto ciò che Dio ha creato per la salvezza del mondo è celato nel Nome di Gesù ... Egli ha pronunciato sulla terra solo poche parole, ma ricche di contenuto, ma soprattutto il Nome di Gesù affinché piccoli e grandi possano conoscerlo e ricordarlo e in questo nome trovino la salvezza e la redenzione".
Il biografo di Bernardino testimoniò: "La predicazione di Bernardino fece sì che la venerazione del santissimo Nome di Gesù fiorisse tra il popolo dei credenti in una maniera che non si può descrivere a parole". Egli stesso aveva spiegato: "Questa è la mia intenzione: rinnovare e nobilitare il Nome di Gesù così com'era nei primi giorni della Chiesa".
Nella potenza del Mio Nome tu vincerai!
Bernardino e il suo culto del nome di Gesù influenzarono successivamente un'intera generazione di ...— predicatori francescani, tra i quali anche san Giovanni da Capestrano (1386-1456). Giovanni, figlio di un vassallo abruzzese, era eccezionalmente dotato, studiò per dieci anni presso la famosa facoltà di diritto di Perugia, dove divenne uno stimato giudice. Subito dopo le nozze con la figlia di un conte, nel 1415, a ventinove anni, venne catturato durante una missione di pace portata avanti in una guerra tra due città. Nella prigionia, per due volte, gli apparve san Francesco, che lo invitò espressamente ad entrare nel suo ordine religioso. Ma solo dopo una dura resistenza egli ruppe con il mondo, sciolse il matrimonio non ancora consumato ed entrò tra i Francescani osservanti di Perugia, alla cui espansione l'esimio giurista contribuì enormemente. Bernardino da Siena, suo amico, fece di Giovanni il maggiore predicatore itinerante del suo tempo. Egli attraversò l'Italia per 40 anni come missionario popolare, paciere e combattente contro le eresie.
Da Bernardino Giovanni rilevò il simbolo del sole IHS. Spesso egli accompagnò nei suoi viaggi l'amico più anziano ed essendo giurista divenne per lui un influente difensore: infatti la nuova forma di venerazione del nome di Gesù, tramite la raffigurazione del simbolo IHS, non venne sempre capita; molti se ne scandalizzarono, dal momento che fino ad allora solo la croce era stata il simbolo per eccellenza di Gesù. Nel 1426 Bernardino fu accusato di eresia davanti al Papa! Quando Giovanni lo venne a sapere corse in aiuto dell'amico e riuscì ad ottenere dal Santo Padre che i Francescani potessero difendere, davanti ad una commissione apposita, la questione del monogramma del nome di Gesù. Il Pontefice si convinse della giustezza di quella venerazione, tuttavia saggiamente decise che la H centrale del disegno IHS fosse rappresentata unita ad una croce e questo è quello che conosciamo fino ai giorni nostri. Egli inoltre incaricò Giovanni di organizzare subito a Roma una solenne processione in onore del nome di Gesù, alla quale partecipò personalmente insieme a tutta la curia e durante la quale il frate predicatore esibì lo stendardo con il sole IHS. Così dopo il processo, in molte città italiane questo culto conobbe un tale magnifico sviluppo che Giovanni poté osservare: "Ecco, in Italia ci sono poche chiese, sulle quali non sia apposto il simbolo del Nome di Gesù con i dodici raggi".
Dal 1451, su incarico del Papa, Giovanni da Capestrano predicò in Germania, Austria, Ungheria, Boemia e Polonia e anche in queste terre diffuse l'amore per il nome di Gesù.
Giovanni sperimentò la forza di quel nome in condizioni estremamente drammatiche, quando, nel luglio del 1456, la fortezza di Belgrado venne assediata dal gigantesco esercito ottomano del sultano Maometto II. La situazione sembrava disperata e il Papa, fortemente preoccupato, invitò la cristianità a pregare insistentemente e a digiunare. A questo riguardo Giovanni, allora settantenne, ebbe una visione interiore: prima della sua partenza per Belgrado, con una schiera di volontari male armati che aveva radunato durante le sue prediche in Ungheria, mentre celebrava la Santa Messa vide una freccia che dal Cielo volava giù sull'altare e sulla quale era scritto: "Non temere, Giovanni! In forza del mio Nome e della Santa Croce tu vincerai sui Turchi! ".
Così il predicatore si prefisse di preparare i soldati alla battaglia colmandoli di una fiducia incrollabile nel potere del nome di Gesù e fece loro occupare le postazioni di guerra muniti di bandiere sventolanti men-tre gridavano a gran voce "Gesù" . Durante l'attacco dei nemici, Capestrano spesso fece elevare dai difensori questo grido di battaglia: "Gesù, Gesù, Gesù! ", e li motivò con la solida certezza della vittoria perfino quando la città, quasi senza più fortificazioni, sembrava perduta. Essi riuscirono infatti a ricacciare e a vincere gli invasori - e l'Europa allora rimase protetta dall'avanzata degli Ottomani.
Come Giovanni da Capestrano anche il santo Giacomo della Marca (1394-1476) seguì in tutto le orme spirituali di Bernardino. Figlio di semplici contadini delle Marche - da qui deriva infatti il suo nome - era un pastorello analfabeta, fino a che un suo parente prete non ne riconobbe il talento. Studiò giurisprudenza a Perugia come Giovanni e diventò giudice. Il Venerdì Santo del 1416 egli sperimentò profondamente l'amore del Crocifisso e a 22 anni entrò presso i Francescani ad Assisi. Bernardino, che divenne suo amico paterno e maestro, gli confezionò personalmente il primo abito da religioso; l'eccezionale talento di predicatore di Giacomo, che si manifestò subito dopo l'ordinazione sacerdotale, venne ulteriormente perfezionato dalla vivace mimica e dalla tecnica vocale insegnategli dal suo maestro. Così Giacomo divenne un predicatore itinerante eloquente, vigoroso ed elegante allo stesso tempo, e e la forza del nome di Gesù anche nei Balcani, fino alla Bosnia e alla Romania. Più di Bernardino e di Giovanni, Giacomo fu un uomo di grande penitenza, una figura imponente e precocemente invecchiata, ma piena di vigore giovanile e di amore premuroso. Anch'egli, al pari dei suoi due amici, operò come riformatore del suo ordine e come avvocato dei poveri, come consigliere e paciere.
Giacomo non diffuse il monogramma di Gesù nella forma del sole di Bernardino, ma con un timbro di ferro fece stampare su dei biglietti di carta una figura romboidale, che egli chiamò "breve". Ne distribuì migliaia alla gente e li poneva sui sofferenti pregando e benedicendoli. Quanti miracoli si verificarono con la "breve"! Si sono conservati innumerevoli registri di guarigioni da tutte le più svariate malattie, registri anche di conversioni e di esorcismi, che il santo operò unicamente tramite il nome di Gesù, in ogni luogo dove predicava. Bastava solo portare a casa ai malati i biglietti con il nome di Gesù e, se questi li accettavano con fiducia, venivano guariti.
Nel 1468, ad esempio, il santo, in viaggio verso Roma con il fido accompagnatore Venanzio, passò per il paese di Monterotondo. Non appena gli abitanti seppero del suo arrivo, gli portarono tutti i malati, tra i quali anche un giovane diciottenne sordomuto dalla nascita. Con dei gesti Giacomo gli fece capire che doveva estrarre la lingua e la toccò con uno di quei foglietti recanti il nome di Gesù; gli toccò poi anche le orecchie e rivolto al giovane disse: "Dì Gesù! ". Immediatamente il malato esclamò: "Gesù, Maria, Maria! ". Dopo di che il santo rivolto a Venanzio disse: "Che ne dici? Parla meglio di me! ". Non ci meraviglia che Giacomo implorasse la guarigione nel nome di Gesù soprattutto per i bambini malati. Il suo miracolo più famoso è considerato quello di un bambino deceduto, che, in seguito alla sua pre-ghiera, dopo tre giorni ritornò in vita.

Il simbolo del nome di Gesù, IHS, ebbe ampissima diffusione attraverso s. Ignazio di Loyola (1491-1556) e il suo ordine dei Gesuiti. Ignazio, che ammirava molto san Bernardino, scelse l'IHS come suo sigillo personale di generale dell'ordine prima che il sole IHS divenisse poi simbolo di tutta la Compagnia. Egli stesso ordinò che il monogramma venisse posto sulle entrate degli edifici e delle chiese della Compagnia di Gesù e per questo ancora oggi noi lo possiamo vedere nei collegi o sugli altari dei Gesuiti, sulle copertine dei libri e sulle intestazioni delle loro lettere.
Lisbona è salva
Il domenicano padre Paul O’Sullivan (1871-1958), irlandese, zelante devoto del nome di Gesù, per 61 anni, attraverso i suoi scritti esercitò in Portogallo un vasto e fecondo apostolato. Fece anche accurate ricerche, risalendo ad antiche fonti storiche, sui miracoli avvenuti durante epidemie di peste.
Nel 1432 a Lisbona, capitale del Portogallo, scoppiò una terribile epidemia di peste. Tutti gli abitanti che ne avevano la possibilità si rifugiarono in campagna, ma questo fece sì che il contagio si diffondesse velocemente fin negli angoli più remoti del paese, mietendo migliaia di vittime tra uomini, donne e bambini di ogni ceto sociale. Questa pericolosa epidemia era talmente aggressiva che le persone, una volta contagiate, ne morivano improvvisamente, ovunque si trovassero, a tavola, per strada, nelle piazze dei mercati e nelle chiese. La peste si trasmetteva velocemente da una vittima del contagio all'altra anche attraverso un mantello, un cappello o un qualsiasi altro capo di abbigliamento che era stato indossato dall'appestato. Anche sacerdoti, medici e infermiere vennero colpiti dalla peste in numero tale che, per mancanza di volontari, dappertutto sulle strade giacevano corpi privi di vita a cui nessuno dava sepoltura. Sventurata-mente i cani randagi presero a leccare il sangue dei morti e a divorare i cadaveri, cosicché questi animali contaminati contribuirono ad una diffu-sione ancora più rapida dell'epidemia.
Tra le anime eroiche, che, senza sosta, tra la popolazione si presero cura degli appestati, ci fu il venerabile vescovo Andrès Diaz de Escobar (1366-1488), residente nel convento di san Domenico. Di fronte all'enorme miseria che di giorno in giorno assumeva dimensioni sempre più devastanti e non lasciava speranza in un qualche aiuto umano, questo domenicano iniziò ad esortare gli sventurati abitanti di Lisbona ad invocare il nome di Gesù. Dappertutto, dove la peste infuriava fortissima, Andrès Diaz venne visto incoraggiare e supplicare i malati e i moribondi, come anche chi non era ancora stato colpito dall'epidemia, ad invocare continua-mente: "Gesù, Gesù, Gesù!". Ovunque egli esortava: "Scrivete su dei biglietti il nome di Gesù e portateli sempre con voi! La sera mettete questi biglietti sotto i vostri cuscini, attaccateli alle entrate e sulle porte delle vostre case. Il nome di Gesù deve essere affisso dappertutto. Ma soprattutto invocate incessantemente, con le vostre labbra e nei vostri cuori, il più potente di tutti i nomi!".
Il vescovo Andrès faceva continuamente visita ai malati e ai moribondi infondendo coraggio. I malati di peste, dal canto loro, rafforzati interiormente nella fiducia, iniziarono ad invocare incessantemente il nome di Gesù, mentre si appuntavano al petto questi bigliettini e li infilavano anche nelle loro tasche e nelle loro bisacce. Il vescovo, poi, invitò tutti nella grande chiesa di san Domenico, dove nuovamente parlò del potente nome di Gesù. Benedì l'acqua nel nome di Gesù ed invitò tutti i presenti ad aspergersi e a segnare con l'acqua benedetta il volto degli appestati e dei moribondi. Accaddero molti miracoli: i malati guarirono e i moribondi agonizzanti ripresero vita. Nel giro di pochi giorni Lisbona fu liberata dal più tremendo flagello che mai avesse funestato questa città.
La buona notizia si propagò con velocità fulminea in tutto il paese e ovunque si iniziò ad invocare all'unisono il nome di Gesù. Con incredibile rapidità l'intero Portogallo fu liberato dalla peste. Memore dei miracoli e delle guarigioni ottenuti il popolo grato mantenne il suo amore e la sua fiducia nel nome di Gesù. Da allora in poi, per qualsiasi preoccupazione, pericolo o sciagura incombente, i fedeli implorarono il nome di Gesù, loro Salvatore. In ringraziamento sorsero dappertutto confraternite ed altari in onore di questo nome e ogni mese si svolgevano processioni. Per secoli i portoghesi conservarono una fede viva nella potenza del nome di Gesù sicché, dal Portogallo, la venerazione del nome di Gesù si diffuse anche in Spagna e in Francia.

Padre Niklaus Wolf


Se parliamo del nome di Gesù, non possiamo non citare la figura di un amabile padre di famiglia morto in odore di santità, originario di Rippertschwand, nella pittoresca Svizzera centrale. Egli tuttora ha molto da dirci. Nelle pagine che seguono lasciamo perciò ampio spazio a questo taumaturgo e apostolo del nome di Gesù.
Fino ai 12 anni Niklaus Wolf (1756-1832) crebbe nel grande podere agricolo di Unterlinding, nel comune di Neuenkirch, vicino al meraviglioso lago di Sempach e alle Alpi innevate; con i genitori, i fratelli e la servitù si trasferì poi a Lucerna, a Rippertschwand, nell'imponente fattoria tuttora esistente. Nella tranquillità della sua famiglia profondamente religiosa, imparò a leggere, a scrivere e a far di conto, cosa a quei tempi non affatto scontata. Quando era molto anziano definì il pellegrinaggio a Roma, fatto nel 1775, il momento culmine della sua giovinezza, un viaggio che lasciò nel giovane Niklaus, allora diciannovenne, ricordi indelebili e contribuì molto a sviluppare in lui un grande amore e una grande fedeltà per la Chiesa. Tornato a casa nella sua fattoria, il giovane contadino, desideroso di apprendere, soprattutto nel periodo invernale utilizzava ogni ora libera per leggere instancabilmente. Lo affascinarono e lo formarono particolarmente libri di contenuto religioso e storico.
Portando avanti da solo studi di agricoltura, sulla coltivazione degli alberi da frutta e sull'apicoltura, il suo argomento preferito, Niklaus acquisì nozioni tecniche così profonde che la fattoria paterna presto si trasformò in un'azienda modello, conosciuta ovunque. Molti contadini dei dintorni, pieni di interesse, cercavano i consigli affidabili del moderno agricoltore di Rippertschwand. Niklaus si sposò a 23 anni e con la sua Barbara visse un matrimonio felice, benedetto dalla nascita di nove figli. La coppia Wolf condusse una vita di famiglia completamente improntata alla fede: ogni sera Niklaus recitava il rosario con la servitù e con i figli che lui stesso istruiva, facendo seguire una lettura spirituale. Non rinunciava nemmeno alla Santa Messa quotidiana ed era solito dire: "Se ogni giorno uno potesse andare in chiesa a prendere una somma di denaro, seppur piccola, non sarebbe mai troppo pigro per non farlo. Ma il tesoro spirituale del Sacrificio eucaristico non vale forse molto più di un mucchio di soldi?". Per questo egli si preparava bene alla Messa e sostava a lungo in ringraziamento.
Niklaus si occupò diffusamente anche delle correnti spirituali del suo tempo. Come tutta l'Europa, anche la Svizzera viveva allora una forte contrapposizione tra le nuove idee illuministiche della rivoluzione francese e i principi cristiani.
A 42 anni l'onesto contadino, per amor di patria, divenne rappresentante popolare nell’Assemblea nazionale e cinque anni dopo (nel 1803) accettò, anche se non molto volentieri, l’elezione nel Gran Consiglio. Nonostante l'impegno politico, rimase convinto che le decisioni più importanti non sono prese da governanti illuminati, ma si sviluppano nei cuori degli oranti, perché su ogni popolo infuria un combattimento interiore. Per questo ogni notte, in completo ritiro, egli pregava tre ore per la Chiesa e per le necessità del suo tempo, per la patria e per sventare le intenzioni dei nemici di Dio. In gran silenzio inoltre, ogni lunedì e venerdì, Niklaus riunì persone come lui a pregare per queste intenzioni nella fattoria di Rippertschwand, o in altri salotti o in cappelle lontane o nei numerosi gruppi di preghiera, nati nel corso di 25 anni, e si formò così un vero esercito orante.
La scoperta del carisma di guarigione 
 
Fu forse nel 1801 o nel 1802 che il vigoroso contadino per la prima volta poté sperimentare di persona la potenza del nome di Gesù. Lo raccontò al parroco Ackermann, suo biografo e amico: "Per un anno intero avevo sofferto di così forti dolori allo stomaco e al cuore, da non poter più tollerare quasi nessun alimento... Avevo utilizzato ininterrottamente rimedi medici contro questo disturbo, ma inutilmente. Per timore, a quel tempo, mi tenevo ancora lontano dalla “medicina spirituale” . Una sera però, durante la quale avevo nuovamente e fortemente parlato con un mio parente sacerdote della preghiera nel nome di Gesù e poi mi ero coricato, spinto dai dolori che provavo, ancora con un certo timore, invocai il santo nome di Gesù ... e subito fui liberato da ogni sofferenza e sensazione di male, e così sono rimasto".
Questa esperienza rafforzò immensamente la convinzione di Niklaus sulla potenza della preghiera nel nome di Gesù; ad essa contribuirono anche alcune conversazioni con sacerdoti e gli scritti del parroco Johann Gassner, della diocesi di Ratisbona, che aveva operato molte inspiegabili guarigioni di malati invocando il nome del Salvatore. Inoltre l'avveduto contadino meditava continuamente nella preghiera alcuni passi della Sacra Scrittura, in particolare quelli dove per esempio è scritto: "Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno", oppure: "In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà".
Verso la fine della sua carica di consigliere, nel 1804, Niklaus Wolf sperimentò una seconda improvvisa guarigione. In quel caso, a causa di un insopportabile dolore ai piedi, fu costretto ad abbandonare la sala delle sedute a Lucerna e iniziare un faticoso viaggio di ritorno di due ore. "Presi coraggio e provai una fiducia onnipotente nel nome di Gesù; lo invocai contro il mio malessere ed improvvisamente questo si allontanò con tutti i suoi effetti collaterali. In quel momento un fuoco attraversò la mia anima ed io non potevo abbastanza ringraziare, benedire e stupirmi. Nel mio cuore fui felicemente commosso, fino a casa, e rimasi in questo stato per giorni e settimane". Questa fu una vera esperienza vocazionale che diede una nuova svolta alla vita del contadino! "Essendone stracolmo - io mi arrischiai a parlare del nome di Gesù, della fede e della fiducia in Lui; quando in casa, tra i miei parenti o tra i vicini, c'era una sofferenza o una necessità chiedevo aiuto nel nome di Gesù... e quel che chiedevo al Padre nei cieli nel nome di Gesù lo ottenevo. Come potevo ancora dubitare? Nessuna preghiera al Padre fu vana!".
Rapidamente si diffuse la voce che a Rippertschwand, da "padre Wolf', come lo si chiamava con rispetto, si poteva ottenere aiuto. A frotte arrivarono da lui malati e sofferenti e mai invano!

Con il bastone da viandante e il rosario in mano

Padre Wolf, ormai verso la cinquantina, nei successivi 28 anni, ben oltre la regione di Lucerna, svolse un apostolato unico per i suoi effetti benefici, seguendo il motto: "In onore del santissimo nome di Gesù, per la salvezza degli uomini e la caduta dell'inferno. Il nome di Gesù è sufficientemente ricco per tutti coloro che lo invocano".
Sempre più spesso cedette l'aratro a suo figlio e seguì disinteressatamente la sua vocazione: "Cosa posso farci se Dio mi ha aiutato così palesemente? Questo è divenuto ben presto il mio compito quotidiano... e dove mi chiamavano andavo nel nome di Dio". Con la pioggia e la neve, con il vento e i temporali, Niklaus attraversava a piedi la regione con il rosario in mano, la sua pipa in bocca, appoggiato al bastone da viandante oppure a cavallo o con il calesse.
"Oh, quante persone per anni languiscono inermi sul capezzale ... Non sono forse debitore agli altri di un aiuto? Perché Dio mi ha dato segni così manifesti? Posso essere indifferente? Dove sarebbe l'amore per Dio e per il prossimo se io non fossi di aiuto? Non è proprio con ciò che noi rendiamo onore al nome di Gesù?".
Padre Wolf non accettò mai del denaro. Nelle guarigioni operate non faceva uso di cerimonie o pratiche speciali, né di piante medicinali. Pregava intensamente con i sofferenti e per i sofferenti, anche per quelli di religione protestante; rafforzò la loro fiducia nel nome di. Gesù e risvegliò la loro fede.

I contrasti e gli amici sacerdoti

Il carisma di guarigione, con il quale Niklaus operava nel nome di Gesù, suscitò le più diverse reazioni: in alcuni ammirazione, in altri ironia e scetticismo come anche un'accanita ostilità. "Ebbi da ogni parte forti opposizioni. Mi rimproverarono di praticare la superstizione, la magia e cose simili, di iniziare qualcosa di nuovo e di non sacro... ma non è forse sacro cercare di glorificare il santo e adorabile nome di Gesù con ogni forza e questo particolarmente in un periodo nel quale esso viene solo schernito, deriso e di cui ci si vergogna? ... Io ero l'oggetto delle conversazioni in tutti le riunioni dei chierici. La maggior parte di loro mal considerava la cosa... La mia questione veniva presentata addirittura dall'ambone e durante il catechismo e le persone venivano messe in guardia da me... nonostante nel bisogno cercassero semplicemente rifugio in Colui che può aiutare: in Gesù. Di tanto in tanto - ma raramente - un sacerdote si prendeva cura di me, in particolare il mio padre spirituale di allora, il parroco Schniepers".
Quando però alcuni sacerdoti iniziarono a conoscere personalmente l'assoluta onestà di Wolf, la sua sana devozione e i segni evidenti che Dio gli aveva dato, allora molti di loro divennero subito suoi amici, difensori e imitatori, come il giovane parroco Schiffmann, che inizialmente non aveva visto di buon occhio il fatto che nel 1814 padre Wolf si recasse ad Altishofen dai malati della sua parrocchia. Ordinò così che alla visita successiva Niklaus fosse condotto da lui. A tal riguardo fu scritto: "Poco dopo arriva un contadino semplice, abbigliato in costume tradizionale, che, con i suoi modi gioviali e tranquilli, si presenta come un uomo di preghiera e di miracoli. L'interrogatorio risultò molto soddisfacente. Da allora in poi i due divennero buoni amici e Schiffinann stesso perseverò nella cura degli oppressi nel corpo e nell'anima con amore e zelo. L'affluenza di persone bisognose durò fino alla sua morte". Un altro, il cappellano Josef Anton Fruenz, di Hellbilhl, in odore di santità, soffriva spesso di disturbi fisici. Padre Wolf gli consigliò di invocare il nome di Gesù contro i suoi mali. Egli lo fece e ne fu subito guarito. Da allora con beneficio utilizzò questi rimedi spirituali anche presso il popolo dei suoi fedeli. Da lui, a sua volta, il cappellano Peyer che operava a Kehrsiten, sul Lago dei Quattro Cantoni, apprese la guarigione spirituale. Il 26 maggio 1808 trenta navi attraversarono il lago; circa 400 persone attesero la preghiera nel nome di Gesù del cappellano Peyer e la benedizione sacerdotale. Egli scrisse ad un confratello: "Vorrei che lei fosse stato testimone oculare delle cose miracolose che sono accadute con la forza e nella forza del santo nome di Gesù".
Dapprima furono questi sacerdoti ad essere sottoposti al divieto ecclesiastico di operare nel nome di Gesù, poi nell'agosto del 1815 questo interessò anche padre Wolf. Egli ubbidì senza recriminare, ma confessò: "Spesso mi piangeva il cuore quando vedevo le necessità e non mi era permesso aiutare". Le suppliche degli amici sacerdoti e le insistenti pressioni dei malati indussero infine il vicario generale Góldlin ad effettuare un'inchiesta ecclesiastica e a sospendere il divieto dopo quasi più di dieci mesi. Padre Wolf disse: "Lo pregai come un bambino ed insistentemente che mi lasciasse al mio vecchio lavoro di agricoltore, ma egli replicò che non spettava a lui bloccare questa fonte di grazia per i malati". Così nel luglio del 1816 egli diede a padre Wolf, che aveva allora 60 anni, come "missio canonica" l'incarico scritto e ufficiale di riprendere il suo consueto operato, cosa che egli fece fedelmente nei restanti 16 anni di vita. Il suo biografo, il sacerdote Erni, addirittura racconta che questo apostolo del nome di Gesù negli ultimi mesi di vita - aveva già 76 anni - raramente trascorreva la notte a casa a Rippertschwand tanto era impegnato con i malati! Viveva completamente convinto di questo: "Se, mediante la guarigione dei malati Dio e il santissimo nome di Gesù vengono glorificati, perché ciò non deve accadere? Gesù non ha detto ai malati che si recavano da lui: 'Soffrite pazientemente', ma li ha guariti affinché il Padre suo venga glorificato ed Egli attraverso il Padre".
"L'importanza di Niklaus Wolf è grande anche in epoca odierna", ci scrive Stefan Tschudi, vice postulatore per la causa di beatificazione. "Fedeli in pellegrinaggio accorrono ogni giorno alla sua tomba che si trova nella cripta della Chiesa di Neuenkirch, fino a 600 persone al mese. Qui la gente è continuamente rafforzata nella fede dalle preghiere esaudite. Nel dicembre del 2015; a Niklaus Wolf è stato conferito ufficialmente dalla Chiesa il riconoscimento delle virtù eroiche ed è stato dichiarato venerabile. Al momento è in esame l'ultimo passo verso la beatificazione, un miracolo avvenuto nel 2006".

Come aveva predetto, Niklaus morì nel convento di Sant'Urbano dove nel settembre del 1832, in compagnia della moglie, era accorso per portare aiuto ad un ammalato grave.

Tratto dalla rivista “ Il Trionfo del Cuore” - Gennaio/Febbraio 2020


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