San
Francesco (1181-1226) ebbe un grande amore per il nome di Gesù.
Di lui si racconta: "Spesso trovandosi in viaggio, meditando e
cantando Gesù, dimenticava il cammino e si dava a invitare tutte le
creature alla lode di Gesù". Ai confratelli Francesco
consigliava: "Ascoltando il nome di Lui, adoratelo ... proni
verso terra: Signore Gesù Cristo... è il suo nome, che è benedetto
nei secoli". Duecento anni dopo, uno dei suoi frati spirituali,
san Bernardino da Siena (1380-1444), sarebbe diventato un
"portabandiera del nome di Gesù".
Il
sole di San Bernardino
Figlio
di una nobile famiglia toscana, Bernardino rimase presto orfano e
apprese da una zia un profondo amore per Dio e per Maria. Nel 1400,
mentre studiava diritto canonico a Siena, scoppiò in città
un'epidemia di peste. Bernardino aveva vent'anni e decise di prestare
servizio come volontario in ospedale. Fu in quei mesi che si sentì
chiamato a vivere completamente per Dio. Il giovane nobile dal
carattere focoso ebbe un grande ruolo nel movimento di riforma
dell'ordine francescano. A partire dal 1405, per quasi 40 anni,
percorse le città del centro e nord d'Italia come abile predicatore
itinerante e mai portò a termine una missione popolare senza
un'infuocata omelia sul nome di Gesù: "Non è, forse, con lo
splendore e con la dolcezza di questo Nome che Iddio ci ha chiamato
all'ammirabile luce sua? Ma perché questo Nome si possa manifestare
in tutto il suo splendore è necessario predicarlo". In un'epoca
di disfacimento spirituale e morale, con parole semplici ed
entusiasmanti, egli predicò contro le insensate lotte tra fazioni
nelle città, contro lo sfarzo, il vizio del gioco e gli usurai,
riconducendo i cuori a Dio e a un vero amore per il prossimo. Le sue
prediche portarono così tanti effetti benefici che il famoso
francescano venne sempre più invitato di città in città a parlare
in chiese stracolme e nelle piazze dei mercati. Ma, oltre alla forza
delle sue parole, Dio diede in mano a Bernardino un altro miracoloso
"rimedio": il monogramma di Gesù, IHS, di per sé non
nuovo, già conosciuto tanto quanto la venerazione del nome di Gesù,
ma presentato dal predicatore in una nuova e splendida
raffigurazione! Era infatti costituito da lettere dorate su uno
sfondo blu, racchiuse in un cerchio dal quale partivano dodici raggi
dorati simili a fiamme, simbolo dei dodici Apostoli e dei dodici
dogmi del Credo. Questo disegno del sole così fortemente simbolico
era circoscritto tutt'intorno con le parole in latino della Lettera
ai Filippesi: "Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei
cieli, sulla terra e sotto terra". "Così infatti" ,
testimoniò Bernardino, "ho visto il dolce Nome del nostro
Salvatore in una visione". Questo disegno fu per lui un
programma: il sole della salvezza contro ogni debolezza della fede e
contro l'immoralità!
Fu
una geniale ispirazione di Bernardino quella di dipingere egli stesso
questo sole su una tavoletta di legno e portarlo poi sempre con sé
nelle sue prediche, per illustrare al popolo quanto veniva detto a
parole. Per prima cosa egli collocava il sole IHS sull'altare dove
celebrava la Santa Messa. Dopo la predica teneva in alto la tavoletta
e con essa impartiva la benedizione. Un testimone oculare scrisse di
questo momento: "Ardente nell'amore dello Spirito Santo e di
Cristo, Bernardino, accanto ad un doppiere acceso, estrasse la
tavoletta - dell'altezza quasi di un braccio - mentre tutto il popolo
s 'inginocchiò e si scoprì il capo, piangendo e singhiozzando per
la commozione".
Le
missioni popolari di Bernardino culminavano spesso in un avvincente
"spettacolo": profondamente pentiti, disposti a cambiare la
loro vita, i cittadini spontaneamente portavano gioielli, carte da
gioco e altri oggetti collegati ai loro vizi e li bruciavano su un
imponente "falò delle vanità".
Nell'ottava
di Pasqua del 1424 a Bologna i cittadini promisero di non acquistare
più carte da gioco. Allora però i tipografi, che le stampavano e
che con questo si guadagnavano da vivere, si presentarono indignati
da Bernardino. Il monaco, che aveva allora 44 anni ed era ormai quasi
allo stremo delle forze, osservò serio il gruppo infuriato, poi
disegnò per loro il modello di un sole IHS ed ordinò di guadagnarsi
da vivere, da quel momento in poi, con la produzione e la vendita di
quella nuova immagine. E veramente per alcuni anni questi tipografi
esercitarono una fiorente attività con il disegno del sole IHS, dal
momento che non c'era casa, ufficio o negozio, dove alle pareti non
fosse appeso il sole di Bernardino. Altrettanto ispirato il
francescano combatté la piaga delle guerre tra le fazioni di nobili
famiglie nemiche. Dove egli giungeva esortava i capi a rimuovere gli
stemmi, collocati dappertutto alle pareti delle abitazioni e
addirittura delle chiese come simboli del potere; al loro posto
doveva risplendere il sole del nome di Gesù come segno del regno di
pace di Cristo!
In
effetti questo geniale scambio contribuì alla riconciliazione e alla
pace tra le città. Ancora oggi il sole IHS si può trovare in
numerose chiese, municipi e porte dei comuni italiani. Ma il disegno
IHS doveva essere affisso anche su alcuni oggetti del vivere
quotidiano, dal vomere dell'aratro fino alle culle dei bambini - così
promuoveva con zelo il predicatore - questo affinché il benefico
nome di Gesù fosse visibile in ogni momento a tutti. Certamente il
santo sottolineava: "L'iscrizione migliore del Nome di Gesù
è quella nel cuore, poi quella nella parola e infine nel simbolo
dipinto o scolpito. Tutto ciò che Dio ha creato per la salvezza del
mondo è celato nel Nome di Gesù ... Egli ha pronunciato sulla terra
solo poche parole, ma ricche di contenuto, ma soprattutto il Nome di
Gesù affinché piccoli e grandi possano conoscerlo e ricordarlo e in
questo nome trovino la salvezza e la redenzione".
Il
biografo di Bernardino testimoniò: "La predicazione di
Bernardino fece sì che la venerazione del santissimo Nome di Gesù
fiorisse tra il popolo dei credenti in una maniera che non si può
descrivere a parole". Egli stesso aveva spiegato: "Questa è
la mia intenzione: rinnovare e nobilitare il Nome di Gesù così
com'era nei primi giorni della Chiesa".
Nella
potenza del Mio Nome tu vincerai!
Bernardino
e il suo culto del nome di Gesù influenzarono successivamente
un'intera generazione di ...— predicatori francescani, tra i quali
anche san Giovanni da Capestrano (1386-1456). Giovanni, figlio
di un vassallo abruzzese, era eccezionalmente dotato, studiò per
dieci anni presso la famosa facoltà di diritto di Perugia, dove
divenne uno stimato giudice. Subito dopo le nozze con la figlia di un
conte, nel 1415, a ventinove anni, venne catturato durante una
missione di pace portata avanti in una guerra tra due città. Nella
prigionia, per due volte, gli apparve san Francesco, che lo invitò
espressamente ad entrare nel suo ordine religioso. Ma solo dopo una
dura resistenza egli ruppe con il mondo, sciolse il matrimonio non
ancora consumato ed entrò tra i Francescani osservanti di Perugia,
alla cui espansione l'esimio giurista contribuì enormemente.
Bernardino da Siena, suo amico, fece di Giovanni il maggiore
predicatore itinerante del suo tempo. Egli attraversò l'Italia per
40 anni come missionario popolare, paciere e combattente contro le
eresie.
Da
Bernardino Giovanni rilevò il simbolo del sole IHS. Spesso egli
accompagnò nei suoi viaggi l'amico più anziano ed essendo giurista
divenne per lui un influente difensore: infatti la nuova forma di
venerazione del nome di Gesù, tramite la raffigurazione del simbolo
IHS, non venne sempre capita; molti se ne scandalizzarono, dal
momento che fino ad allora solo la croce era stata il simbolo per
eccellenza di Gesù. Nel 1426 Bernardino fu accusato di eresia
davanti al Papa! Quando Giovanni lo venne a sapere corse in aiuto
dell'amico e riuscì ad ottenere dal Santo Padre che i Francescani
potessero difendere, davanti ad una commissione apposita, la
questione del monogramma del nome di Gesù. Il Pontefice si convinse
della giustezza di quella venerazione, tuttavia saggiamente decise
che la H centrale del disegno IHS fosse rappresentata unita ad una
croce e questo è quello che conosciamo fino ai giorni nostri. Egli
inoltre incaricò Giovanni di organizzare subito a Roma una solenne
processione in onore del nome di Gesù, alla quale partecipò
personalmente insieme a tutta la curia e durante la quale il frate
predicatore esibì lo stendardo con il sole IHS. Così dopo il
processo, in molte città italiane questo culto conobbe un tale
magnifico sviluppo che Giovanni poté osservare: "Ecco, in
Italia ci sono poche chiese, sulle quali non sia apposto il simbolo
del Nome di Gesù con i dodici raggi".
Dal
1451, su incarico del Papa, Giovanni da Capestrano predicò in
Germania, Austria, Ungheria, Boemia e Polonia e anche in queste terre
diffuse l'amore per il nome di Gesù.
Giovanni
sperimentò la forza di quel nome in condizioni estremamente
drammatiche, quando, nel luglio del 1456, la fortezza di Belgrado
venne assediata dal gigantesco esercito ottomano del sultano Maometto
II. La situazione sembrava disperata e il Papa, fortemente
preoccupato, invitò la cristianità a pregare insistentemente e a
digiunare. A questo riguardo Giovanni, allora settantenne, ebbe una
visione interiore: prima della sua partenza per Belgrado, con una
schiera di volontari male armati che aveva radunato durante le sue
prediche in Ungheria, mentre celebrava la Santa Messa vide una
freccia che dal Cielo volava giù sull'altare e sulla quale era
scritto: "Non temere, Giovanni! In forza del mio Nome e della
Santa Croce tu vincerai sui Turchi! ".
Così
il predicatore si prefisse di preparare i soldati alla battaglia
colmandoli di una fiducia incrollabile nel potere del nome di Gesù e
fece loro occupare le postazioni di guerra muniti di bandiere
sventolanti men-tre gridavano a gran voce "Gesù" . Durante
l'attacco dei nemici, Capestrano spesso fece elevare dai difensori
questo grido di battaglia: "Gesù, Gesù, Gesù! ", e li
motivò con la solida certezza della vittoria perfino quando la
città, quasi senza più fortificazioni, sembrava perduta. Essi
riuscirono infatti a ricacciare e a vincere gli invasori - e l'Europa
allora rimase protetta dall'avanzata degli Ottomani.
Come
Giovanni da Capestrano anche il santo Giacomo
della Marca (1394-1476) seguì in tutto le orme spirituali
di Bernardino. Figlio di semplici contadini delle Marche - da qui
deriva infatti il suo nome - era un pastorello analfabeta, fino a che
un suo parente prete non ne riconobbe il talento. Studiò
giurisprudenza a Perugia come Giovanni e diventò giudice. Il Venerdì
Santo del 1416 egli sperimentò profondamente l'amore del Crocifisso
e a 22 anni entrò presso i Francescani ad Assisi. Bernardino, che
divenne suo amico paterno e maestro, gli confezionò personalmente il
primo abito da religioso; l'eccezionale talento di predicatore di
Giacomo, che si manifestò subito dopo l'ordinazione sacerdotale,
venne ulteriormente perfezionato dalla vivace mimica e dalla tecnica
vocale insegnategli dal suo maestro. Così Giacomo divenne un
predicatore itinerante eloquente, vigoroso ed elegante allo stesso
tempo, e e la forza del nome di Gesù anche nei Balcani, fino alla
Bosnia e alla Romania. Più di Bernardino e di Giovanni, Giacomo fu
un uomo di grande penitenza, una figura imponente e precocemente
invecchiata, ma piena di vigore giovanile e di amore premuroso.
Anch'egli, al pari dei suoi due amici, operò come riformatore del
suo ordine e come avvocato dei poveri, come consigliere e paciere.
Giacomo
non diffuse il monogramma di Gesù nella forma del sole di
Bernardino, ma con un timbro di ferro fece stampare su dei biglietti
di carta una figura romboidale, che egli chiamò "breve".
Ne distribuì migliaia alla gente e li poneva sui sofferenti pregando
e benedicendoli. Quanti miracoli si verificarono con la "breve"!
Si sono conservati innumerevoli registri di guarigioni da tutte le
più svariate malattie, registri anche di conversioni e di esorcismi,
che il santo operò unicamente tramite il nome di Gesù, in ogni
luogo dove predicava. Bastava solo portare a casa ai malati i
biglietti con il nome di Gesù e, se questi li accettavano con
fiducia, venivano guariti.
Nel
1468, ad esempio, il santo, in viaggio verso Roma con il fido
accompagnatore Venanzio, passò per il paese di Monterotondo. Non
appena gli abitanti seppero del suo arrivo, gli portarono tutti i
malati, tra i quali anche un giovane diciottenne sordomuto dalla
nascita. Con dei gesti Giacomo gli fece capire che doveva estrarre la
lingua e la toccò con uno di quei foglietti recanti il nome di Gesù;
gli toccò poi anche le orecchie e rivolto al giovane disse: "Dì
Gesù! ". Immediatamente il malato esclamò: "Gesù, Maria,
Maria! ". Dopo di che il santo rivolto a Venanzio disse: "Che
ne dici? Parla meglio di me! ". Non ci meraviglia che Giacomo
implorasse la guarigione nel nome di Gesù soprattutto per i bambini
malati. Il suo miracolo più famoso è considerato quello di un
bambino deceduto, che, in seguito alla sua pre-ghiera, dopo tre
giorni ritornò in vita.
Il
simbolo del nome di Gesù, IHS, ebbe ampissima diffusione attraverso
s. Ignazio di Loyola (1491-1556) e il suo ordine dei Gesuiti.
Ignazio, che ammirava molto san Bernardino, scelse l'IHS come suo
sigillo personale di generale dell'ordine prima che il sole IHS
divenisse poi simbolo di tutta la Compagnia. Egli stesso ordinò che
il monogramma venisse posto sulle entrate degli edifici e delle
chiese della Compagnia di Gesù e per questo ancora oggi noi lo
possiamo vedere nei collegi o sugli altari dei Gesuiti, sulle
copertine dei libri e sulle intestazioni delle loro lettere.
Lisbona
è salva
Il
domenicano padre Paul O’Sullivan (1871-1958), irlandese, zelante
devoto del nome di Gesù, per 61 anni, attraverso i suoi scritti
esercitò in Portogallo un vasto e fecondo apostolato. Fece anche
accurate ricerche, risalendo ad antiche fonti storiche, sui miracoli
avvenuti durante epidemie di peste.
Nel
1432 a Lisbona, capitale del Portogallo, scoppiò una terribile
epidemia di peste. Tutti gli abitanti che ne avevano la possibilità
si rifugiarono in campagna, ma questo fece sì che il contagio si
diffondesse velocemente fin negli angoli più remoti del paese,
mietendo migliaia di vittime tra uomini, donne e bambini di ogni ceto
sociale. Questa pericolosa epidemia era talmente aggressiva che le
persone, una volta contagiate, ne morivano improvvisamente, ovunque
si trovassero, a tavola, per strada, nelle piazze dei mercati e nelle
chiese. La peste si trasmetteva velocemente da una vittima del
contagio all'altra anche attraverso un mantello, un cappello o un
qualsiasi altro capo di abbigliamento che era stato indossato
dall'appestato. Anche sacerdoti, medici e infermiere vennero colpiti
dalla peste in numero tale che, per mancanza di volontari,
dappertutto sulle strade giacevano corpi privi di vita a cui nessuno
dava sepoltura. Sventurata-mente i cani randagi presero a leccare il
sangue dei morti e a divorare i cadaveri, cosicché questi animali
contaminati contribuirono ad una diffu-sione ancora più rapida
dell'epidemia.
Tra
le anime eroiche, che, senza sosta, tra la popolazione si presero
cura degli appestati, ci fu il venerabile vescovo Andrès Diaz de
Escobar (1366-1488), residente nel convento di san Domenico. Di
fronte all'enorme miseria che di giorno in giorno assumeva dimensioni
sempre più devastanti e non lasciava speranza in un qualche aiuto
umano, questo domenicano iniziò ad esortare gli sventurati abitanti
di Lisbona ad invocare il nome di Gesù. Dappertutto, dove la peste
infuriava fortissima, Andrès Diaz venne visto incoraggiare e
supplicare i malati e i moribondi, come anche chi non era ancora
stato colpito dall'epidemia, ad invocare continua-mente: "Gesù,
Gesù, Gesù!". Ovunque egli esortava: "Scrivete su
dei biglietti il nome di Gesù e portateli sempre con voi! La sera
mettete questi biglietti sotto i vostri cuscini, attaccateli alle
entrate e sulle porte delle vostre case. Il nome di Gesù deve essere
affisso dappertutto. Ma soprattutto invocate incessantemente,
con le vostre labbra e nei vostri cuori, il più potente di tutti i
nomi!".
Il
vescovo Andrès faceva continuamente visita ai malati e ai moribondi
infondendo coraggio. I malati di peste, dal canto loro, rafforzati
interiormente nella fiducia, iniziarono ad invocare incessantemente
il nome di Gesù, mentre si appuntavano al petto questi bigliettini e
li infilavano anche nelle loro tasche e nelle loro bisacce. Il
vescovo, poi, invitò tutti nella grande chiesa di san Domenico, dove
nuovamente parlò del potente nome di Gesù. Benedì l'acqua nel nome
di Gesù ed invitò tutti i presenti ad aspergersi e a segnare con
l'acqua benedetta il volto degli appestati e dei moribondi. Accaddero
molti miracoli: i malati guarirono e i moribondi agonizzanti
ripresero vita. Nel giro di pochi giorni Lisbona fu liberata dal più
tremendo flagello che mai avesse funestato questa città.
La
buona notizia si propagò con velocità fulminea in tutto il paese e
ovunque si iniziò ad invocare all'unisono il nome di Gesù. Con
incredibile rapidità l'intero Portogallo fu liberato dalla peste.
Memore dei miracoli e delle guarigioni ottenuti il popolo grato
mantenne il suo amore e la sua fiducia nel nome di Gesù. Da allora
in poi, per qualsiasi preoccupazione, pericolo o sciagura incombente,
i fedeli implorarono il nome di Gesù, loro Salvatore. In
ringraziamento sorsero dappertutto confraternite ed altari in onore
di questo nome e ogni mese si svolgevano processioni. Per secoli i
portoghesi conservarono una fede viva nella potenza del nome di Gesù
sicché, dal Portogallo, la venerazione del nome di Gesù si diffuse
anche in Spagna e in Francia.
Padre
Niklaus Wolf
Se
parliamo del nome di Gesù, non possiamo non citare la figura di un
amabile padre di famiglia morto in odore di santità, originario di
Rippertschwand, nella pittoresca Svizzera centrale. Egli tuttora ha
molto da dirci. Nelle pagine che seguono lasciamo perciò ampio
spazio a questo taumaturgo e apostolo del nome di Gesù.
Fino
ai 12 anni Niklaus Wolf (1756-1832) crebbe nel grande podere
agricolo di Unterlinding, nel comune di Neuenkirch, vicino al
meraviglioso lago di Sempach e alle Alpi innevate; con i genitori, i
fratelli e la servitù si trasferì poi a Lucerna, a Rippertschwand,
nell'imponente fattoria tuttora esistente. Nella tranquillità della
sua famiglia profondamente religiosa, imparò a leggere, a scrivere e
a far di conto, cosa a quei tempi non affatto scontata. Quando era
molto anziano definì il pellegrinaggio a Roma, fatto nel 1775, il
momento culmine della sua giovinezza, un viaggio che lasciò nel
giovane Niklaus, allora diciannovenne, ricordi indelebili e contribuì
molto a sviluppare in lui un grande amore e una grande fedeltà per
la Chiesa. Tornato a casa nella sua fattoria, il giovane contadino,
desideroso di apprendere, soprattutto nel periodo invernale
utilizzava ogni ora libera per leggere instancabilmente. Lo
affascinarono e lo formarono particolarmente libri di contenuto
religioso e storico.
Portando
avanti da solo studi di agricoltura, sulla coltivazione degli alberi
da frutta e sull'apicoltura, il suo argomento preferito, Niklaus
acquisì nozioni tecniche così profonde che la fattoria paterna
presto si trasformò in un'azienda modello, conosciuta ovunque. Molti
contadini dei dintorni, pieni di interesse, cercavano i consigli
affidabili del moderno agricoltore di Rippertschwand. Niklaus si
sposò a 23 anni e con la sua Barbara visse un matrimonio felice,
benedetto dalla nascita di nove figli. La coppia Wolf condusse una
vita di famiglia completamente improntata alla fede: ogni sera
Niklaus recitava il rosario con la servitù e con i figli che lui
stesso istruiva, facendo seguire una lettura spirituale. Non
rinunciava nemmeno alla Santa Messa quotidiana ed era solito dire:
"Se ogni giorno uno potesse andare in chiesa a prendere una
somma di denaro, seppur piccola, non sarebbe mai troppo pigro per non
farlo. Ma il tesoro spirituale del Sacrificio eucaristico non vale
forse molto più di un mucchio di soldi?". Per questo
egli si preparava bene alla Messa e sostava a lungo in
ringraziamento.
Niklaus
si occupò diffusamente anche delle correnti spirituali del suo
tempo. Come tutta l'Europa, anche la Svizzera viveva allora una forte
contrapposizione tra le nuove idee illuministiche della rivoluzione
francese e i principi cristiani.
A
42 anni l'onesto contadino, per amor di patria, divenne
rappresentante popolare nell’Assemblea nazionale e cinque anni dopo
(nel 1803) accettò, anche se non molto volentieri, l’elezione nel
Gran Consiglio. Nonostante l'impegno politico, rimase convinto che le
decisioni più importanti non sono prese da governanti illuminati, ma
si sviluppano nei cuori degli oranti, perché su ogni popolo infuria
un combattimento interiore. Per questo ogni notte, in completo
ritiro, egli pregava tre ore per la Chiesa e per le necessità del
suo tempo, per la patria e per sventare le intenzioni dei nemici di
Dio. In gran silenzio inoltre, ogni lunedì e venerdì, Niklaus riunì
persone come lui a pregare per queste intenzioni nella fattoria di
Rippertschwand, o in altri salotti o in cappelle lontane o nei
numerosi gruppi di preghiera, nati nel corso di 25 anni, e si formò
così un vero esercito orante.
La
scoperta del carisma di guarigione
Fu
forse nel 1801 o nel 1802 che il vigoroso contadino per la prima
volta poté sperimentare di persona la potenza del nome di Gesù. Lo
raccontò al parroco Ackermann, suo biografo e amico: "Per un
anno intero avevo sofferto di così forti dolori allo stomaco e al
cuore, da non poter più tollerare quasi nessun alimento... Avevo
utilizzato ininterrottamente rimedi medici contro questo disturbo, ma
inutilmente. Per timore, a quel tempo, mi tenevo ancora lontano dalla
“medicina spirituale” . Una sera però, durante la quale avevo
nuovamente e fortemente parlato con un mio parente sacerdote della
preghiera nel nome di Gesù e poi mi ero coricato, spinto dai dolori
che provavo, ancora con un certo timore, invocai il santo nome di
Gesù ... e subito fui liberato da ogni sofferenza e sensazione di
male, e così sono rimasto".
Questa
esperienza rafforzò immensamente la convinzione di Niklaus sulla
potenza della preghiera nel nome di Gesù; ad essa contribuirono
anche alcune conversazioni con sacerdoti e gli scritti del parroco
Johann Gassner, della diocesi di Ratisbona, che aveva operato molte
inspiegabili guarigioni di malati invocando il nome del Salvatore.
Inoltre l'avveduto contadino meditava continuamente nella preghiera
alcuni passi della Sacra Scrittura, in particolare quelli dove per
esempio è scritto: "Questi saranno i segni che
accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni,
parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno
qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati
e questi guariranno", oppure: "In verità, in verità
io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve
la darà".
Verso
la fine della sua carica di consigliere, nel 1804, Niklaus Wolf
sperimentò una seconda improvvisa guarigione. In quel caso, a causa
di un insopportabile dolore ai piedi, fu costretto ad abbandonare la
sala delle sedute a Lucerna e iniziare un faticoso viaggio di ritorno
di due ore. "Presi coraggio e provai una fiducia onnipotente nel
nome di Gesù; lo invocai contro il mio malessere ed improvvisamente
questo si allontanò con tutti i suoi effetti collaterali. In quel
momento un fuoco attraversò la mia anima ed io non potevo abbastanza
ringraziare, benedire e stupirmi. Nel mio cuore fui felicemente
commosso, fino a casa, e rimasi in questo stato per giorni e
settimane". Questa fu una vera esperienza vocazionale che diede
una nuova svolta alla vita del contadino! "Essendone stracolmo -
io mi arrischiai a parlare del nome di Gesù, della fede e della
fiducia in Lui; quando in casa, tra i miei parenti o tra i vicini,
c'era una sofferenza o una necessità chiedevo aiuto nel nome di
Gesù... e quel che chiedevo al Padre nei cieli nel nome di Gesù lo
ottenevo. Come potevo ancora dubitare? Nessuna preghiera al Padre fu
vana!".
Rapidamente
si diffuse la voce che a Rippertschwand, da "padre Wolf', come
lo si chiamava con rispetto, si poteva ottenere aiuto. A frotte
arrivarono da lui malati e sofferenti e mai invano!
Con
il bastone da viandante e il rosario in mano
Padre
Wolf, ormai verso la cinquantina, nei successivi 28 anni, ben oltre
la regione di Lucerna, svolse un apostolato unico per i suoi effetti
benefici, seguendo il motto: "In onore del santissimo nome di
Gesù, per la salvezza degli uomini e la caduta dell'inferno. Il nome
di Gesù è sufficientemente ricco per tutti coloro che lo invocano".
Sempre
più spesso cedette l'aratro a suo figlio e seguì
disinteressatamente la sua vocazione: "Cosa posso farci se Dio
mi ha aiutato così palesemente? Questo è divenuto ben presto il mio
compito quotidiano... e dove mi chiamavano andavo nel nome di Dio".
Con la pioggia e la neve, con il vento e i temporali, Niklaus
attraversava a piedi la regione con il rosario in mano, la sua pipa
in bocca, appoggiato al bastone da viandante oppure a cavallo o con
il calesse.
"Oh,
quante persone per anni languiscono inermi sul capezzale ... Non sono
forse debitore agli altri di un aiuto? Perché Dio mi ha dato segni
così manifesti? Posso essere indifferente? Dove sarebbe l'amore per
Dio e per il prossimo se io non fossi di aiuto? Non è proprio con
ciò che noi rendiamo onore al nome di Gesù?".
Padre
Wolf non accettò mai del denaro. Nelle guarigioni operate non faceva
uso di cerimonie o pratiche speciali, né di piante medicinali.
Pregava intensamente con i sofferenti e per i sofferenti, anche per
quelli di religione protestante; rafforzò la loro fiducia nel nome
di. Gesù e risvegliò la loro fede.
I
contrasti e gli amici sacerdoti
Il
carisma di guarigione, con il quale Niklaus operava nel nome di Gesù,
suscitò le più diverse reazioni: in alcuni ammirazione, in altri
ironia e scetticismo come anche un'accanita ostilità. "Ebbi da
ogni parte forti opposizioni. Mi rimproverarono di praticare la
superstizione, la magia e cose simili, di iniziare qualcosa di nuovo
e di non sacro... ma non è forse sacro cercare di glorificare il
santo e adorabile nome di Gesù con ogni forza e questo
particolarmente in un periodo nel quale esso viene solo schernito,
deriso e di cui ci si vergogna? ... Io ero l'oggetto delle
conversazioni in tutti le riunioni dei chierici. La maggior parte di
loro mal considerava la cosa... La mia questione veniva presentata
addirittura dall'ambone e durante il catechismo e le persone venivano
messe in guardia da me... nonostante nel bisogno cercassero
semplicemente rifugio in Colui che può aiutare: in Gesù. Di tanto
in tanto - ma raramente - un sacerdote si prendeva cura di me, in
particolare il mio padre spirituale di allora, il parroco
Schniepers".
Quando
però alcuni sacerdoti iniziarono a conoscere personalmente
l'assoluta onestà di Wolf, la sua sana devozione e i segni evidenti
che Dio gli aveva dato, allora molti di loro divennero subito suoi
amici, difensori e imitatori, come il giovane parroco Schiffmann, che
inizialmente non aveva visto di buon occhio il fatto che nel 1814
padre Wolf si recasse ad Altishofen dai malati della sua parrocchia.
Ordinò così che alla visita successiva Niklaus fosse condotto da
lui. A tal riguardo fu scritto: "Poco dopo arriva un contadino
semplice, abbigliato in costume tradizionale, che, con i suoi modi
gioviali e tranquilli, si presenta come un uomo di preghiera e di
miracoli. L'interrogatorio risultò molto soddisfacente. Da allora in
poi i due divennero buoni amici e Schiffinann stesso perseverò nella
cura degli oppressi nel corpo e nell'anima con amore e zelo.
L'affluenza di persone bisognose durò fino alla sua morte". Un
altro, il cappellano Josef Anton Fruenz, di Hellbilhl, in odore di
santità, soffriva spesso di disturbi fisici. Padre Wolf gli
consigliò di invocare il nome di Gesù contro i suoi mali. Egli lo
fece e ne fu subito guarito. Da allora con beneficio utilizzò questi
rimedi spirituali anche presso il popolo dei suoi fedeli. Da lui, a
sua volta, il cappellano Peyer che operava a Kehrsiten, sul Lago dei
Quattro Cantoni, apprese la guarigione spirituale. Il 26 maggio 1808
trenta navi attraversarono il lago; circa 400 persone attesero la
preghiera nel nome di Gesù del cappellano Peyer e la benedizione
sacerdotale. Egli scrisse ad un confratello: "Vorrei che lei
fosse stato testimone oculare delle cose miracolose che sono accadute
con la forza e nella forza del santo nome di Gesù".
Dapprima
furono questi sacerdoti ad essere sottoposti al divieto ecclesiastico
di operare nel nome di Gesù, poi nell'agosto del 1815 questo
interessò anche padre Wolf. Egli ubbidì senza recriminare, ma
confessò: "Spesso mi piangeva il cuore quando vedevo le
necessità e non mi era permesso aiutare". Le suppliche degli
amici sacerdoti e le insistenti pressioni dei malati indussero infine
il vicario generale Góldlin ad effettuare un'inchiesta ecclesiastica
e a sospendere il divieto dopo quasi più di dieci mesi. Padre Wolf
disse: "Lo pregai come un bambino ed insistentemente che mi
lasciasse al mio vecchio lavoro di agricoltore, ma egli replicò che
non spettava a lui bloccare questa fonte di grazia per i malati".
Così nel luglio del 1816 egli diede a padre Wolf, che aveva allora
60 anni, come "missio canonica" l'incarico scritto e
ufficiale di riprendere il suo consueto operato, cosa che egli fece
fedelmente nei restanti 16 anni di vita. Il suo biografo, il
sacerdote Erni, addirittura racconta che questo apostolo del nome di
Gesù negli ultimi mesi di vita - aveva già 76 anni - raramente
trascorreva la notte a casa a Rippertschwand tanto era impegnato con
i malati! Viveva completamente convinto di questo: "Se, mediante
la guarigione dei malati Dio e il santissimo nome di Gesù vengono
glorificati, perché ciò non deve accadere? Gesù non ha detto ai
malati che si recavano da lui: 'Soffrite pazientemente', ma li ha
guariti affinché il Padre suo venga glorificato ed Egli attraverso
il Padre".
"L'importanza
di Niklaus Wolf è grande anche in epoca odierna", ci scrive
Stefan Tschudi, vice postulatore per la causa di beatificazione.
"Fedeli in pellegrinaggio accorrono ogni giorno alla sua tomba
che si trova nella cripta della Chiesa di Neuenkirch, fino a 600
persone al mese. Qui la gente è continuamente rafforzata nella fede
dalle preghiere esaudite. Nel dicembre del 2015; a Niklaus Wolf è
stato conferito ufficialmente dalla Chiesa il riconoscimento delle
virtù eroiche ed è stato dichiarato venerabile. Al momento è in
esame l'ultimo passo verso la beatificazione, un miracolo avvenuto
nel 2006".
Come
aveva predetto, Niklaus morì nel convento di Sant'Urbano dove nel
settembre del 1832, in compagnia della moglie, era accorso per
portare aiuto ad un ammalato grave.
Tratto
dalla rivista “ Il Trionfo del Cuore” - Gennaio/Febbraio 2020
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