sabato 15 febbraio 2020

LA MALATTIA: COME AFFRONTARLA CRISTIANAMENTE?



Da dove ha origine la malattia?
La Fede cristiana afferma che Dio non ha creato la malattia. Essa è entrata nel mondo a causa del primo peccato, commesso dall'uomo Adamo e dalla donna Eva, allorquando, tentati dal Diavolo, abusando della loro libertà, hanno disobbedito a Dio: volevano essere superiori allo stesso Dio e bramavano di conseguire il loro fine al di fuori di Dio. In seguito i peccati di ogni singola persona non faranno che accrescere il mondo delle sofferenze umane.
Dio quindi non vuole la malattia; non ha creato il male e la morte. Ma, dal momento in cui queste, a causa del peccato, sono entrate nel mondo, il suo amore è tutto proteso a risanare l'uomo, a guarirlo dal peccato e da ogni male e a colmarlo di vita, di pace e di gioia. Per questo ha inviato il Suo Figlio Gesù, che è morto e risorto per liberare l'uomo dal peccato e dalle sue conseguenze.
Qual è il senso della malattia?
La malattia, che tocca prima o poi tutti e coinvolge la persona a tutti i livelli (da quello fisico a quello psicologico, spirituale, morale), è e rimane pur sempre un mistero, un enigma.
La scienza e la tecnica possono aiutare a trovare una risposta alla malattia. Esse possono curarla, alleviarla, eliminarla almeno in parte, ma non potranno mai eliminarla del tutto, e soprattutto non potranno mai dare una risposta soddisfacente agli interrogativi fondamentali che la sofferenza, la malattia, la stessa morte suscitano nel cuore dell'uomo.
Occorre approfondire il senso della malattia, del dolore, della sofferenza tenendo presenti anche i loro fondamenti medico-scientifici, storici, filosofici, biblici, teologici.
È importante in particolare approfondire i testi della Sacra Scrittura sulla visione della sofferenza, sul senso della morte.
Il senso ultimo di tali realtà lo si può scoprire soltanto alla luce della Fede cristiana: "Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del Vangelo ci opprime" (Gaucliwn et spes, n.22).
Dio infatti non ha risparmiato la sofferenza e perfino la morte al Suo stesso divin Figlio Gesù, il quale vince il peccato e gli effetti di questo (la malattia, la sofferenza, la violenza e la morte) con la Sua morte in croce e soprattutto con la Sua Risurrezione.
E questa vittoria Cristo la riporta anzitutto per se stesso, distruggendo la morte con la Sua Risurrezione, e poi anche per noi. Infatti, mediante il Battesimo da Lui istituito, ci viene perdonato il peccato originale e risorgiamo alla vita dei figli di Dio. Durante poi tutto il corso della nostra vita quaggiù sulla terra, lottando contro il peccato e le sue conseguenze, riportiamo con Cristo la nostra vittoria, che per ora è parziale, in attesa di quella definitiva che Cristo attuerà per noi alla fine di questo mondo, allorquando ogni sofferenza, malattia, morte saranno da Lui definitivamente distrutte.
Pertanto, la sofferenza può diventare sereno abbandono alla volontà divina e partecipazione al sacrificio di Cristo.
Perché continuano ad esistere la malattia e la sofferenza, nonostante Dio sia buono, onnipotente, provvidente?

« Sono frequenti e talora inquietanti tali interrogativi, che in verità sul piano semplicemente umano non trovano adeguate risposte, poiché il dolore, la malattia e la morte restano, nel loro significato, insondabili per la nostra mente. Ci viene però in aiuto la luce della fede. La Parola di Dio ci svela che anche questi mali sono misteriosamente "abbracciati" dal disegno divino di salvezza; la fede ci aiuta a ritenere la vita umana bella e degna di essere vissuta in pienezza pur quando è fiaccata dal male. Dio ha creato l'uomo per la felicità e per la vita, mentre la malattia e la morte sono entrate nel mondo come conseguenza del peccato. Ma il Signore non ci ha abbandonati a noi stessi; Lui, il Padre della vita, è il medico per eccellenza dell'uomo e non cessa di chinarsi amorevolmente sull'umanità sofferente" (BENEDETTO XVI, Omelia, XVII Giornata mondiale del malato, 11-2-09).
Il CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA così scrive a questo riguardo:
"A questo interrogativo tanto pressante quanto inevitabile, tanto doloroso quanto misterioso, nessuna risposta immediata potrà bastare. È l'insieme della Fede cristiana che costituisce la risposta a tale questione: la bontà della creazione, il dramma del peccato, l'amore paziente di Dio che viene incontro all'uomo con le sue alleanze, con l'incarnazione redentrice del suo Figlio, con il dono dello Spirito, con la convocazione della Chiesa, con la forza dei Sacramenti, con la vocazione ad una vita felice, alla quale le creature libere sono invitate a dare il loro consenso, ma alla quale, per un mistero terribile, possono anche sottrarsi. Non c'è un punto del messaggio cristiano che non sia, per un certo aspetto, una risposta al problema del male.
Nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo in stato di via verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri, la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico, esiste anche il male fisico, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione.
Così, col tempo, si può scoprire che Dio, nella sua provvidenza onnipotente, può trarre un bene dalle conseguenze di un male, anche morale, causato dalle sue creature. Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, causati dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra redenzione. Con ciò, però, il male non diventa un bene.
Noi crediamo fermamente che Dio è Signore del mondo e della storia. Ma le vie della sua provvidenza spesso ci rimangono sconosciute. Solo alla fine, quando avrà termine la nostra conoscenza imperfetta e vedremo Dio «faccia a faccia» (1 Co r 13,12), conosceremo pienamente le vie lungo le quali, anche attraverso i drammi del male e del peccato, Dio avrà condotto la sua creazione fino al riposo di quel Sabato definitivo, in vista del quale ha creato il cielo e la terra" (CCC, nn. 309-314).
Non va dimenticato che Dio non ha risparmiato nemmeno a Suo Figlio, Gesù Cristo, la sofferenza. Eppure Cristo era ed è, in modo assoluto, il più innocente e il più meritevole
Come si è comportato Cristo nei confronti dei malati?
Cristo, nella sua vita terrena, ha avuto una particolare predilezione verso i malati e i sofferenti. Infatti:
ha prediletto coloro che soffrono;
ha guarito molti ammalati, che a Lui ricorrevano con fiducia: tali guarigioni mo-strano che Gesù è veramente 'Dio che salva' ;
non è venuto tuttavia per eliminare tutti i mali quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato, che è la causa di tutti i mali e sofferenze;
si è identificato con il malato: "Ero malato e mi avete visitato"(Mt 25,36); "Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie" (Mt 8,17); • ha affidato ai suoi discepoli il ministero della guarigione, dicendo loro: "Guarite gli infermi" (Mt 10,8);
ha istituito in particolare due Sacra-menti per i malati: l'Eucaristia (in quanto Viatico) e il Sacramento dell'Unzione dei malati;
ha insegnato a quelli che lo seguivano a trascendere la sofferenza e a darle un significato salvifico;
ha invitato tutti i suoi seguaci ad essere disposti a soffrire con lui e come lui: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24);
ha assicurato il suo aiuto: "Ti basta la mia grazia: la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (2 Cor 12,9);
continua a essere con noi e per noi, soprattutto nei nostri momenti di sofferenza.
Ma Gesù Cristo ha fatto anche molto di più:
ha vissuto, Lui stesso, la sofferenza, fino alla morte e alla morte di croce;
non solo ha dato un senso al dolore, ma anche gli ha conferito un potere nuovo, una misteriosa fecondità ;
ha vinto, risorgendo, la sofferenza e la morte, per sé e per noi.
Qual è il comportamento della Chiesa nei confronti dei malati?
La Chiesa, nella sua costante sollecitudine per i malati:
proclama e testimonia il Vangelo della sofferenza illuminata dalla Fede;
ha sempre accompagnato e continuerà ad accompagnare la predicazione del Vangelo, con iniziative di assistenza e di cura a favore di schiere innumerevoli di sofferenti;
offre il proprio contributo specifico attraverso l'accompagnamento umano e spirituale degli infermi;
invita ad aprirsi al messaggio dell'amore di Dio, sempre attento alle lacrime di chi si rivolge a Lui;
sostiene l'importanza della pastorale sanitaria, nella quale ricoprono un ruolo di speciale rilievo le cappelle ospedaliere, che tanto contribuiscono al bene spirituale di quanti soggiornano nelle strutture sanitarie;
favorisce lo sviluppo di quel contributo prezioso che è dato dai volontari, che con il loro servizio danno vita a quella fantasia della carità, che infonde speranza anche all'umana esperienza della sofferenza. È anche per mezzo di tali volontari che Gesù può continuare oggi a passare tra gli uomini, per beneficarli e sanarli.
Qual è il compito della medicina?
La medicina (arte, scienza e tecnica ) ha come compito quello di:
Servire sempre la vita: promuovendola e difendendola dal suo concepimento fino al suo tramonto naturale. Anche quando sa di non poter debellare una grave patologia, dedica le proprie capacità a lenirne le sofferenze.
Riconoscere e rispettare (o almeno non escludere) la dimensione trascendente, morale e spirituale della vita umana.
Attuare e accrescere la ricerca e il progresso scientifico:
come strumento formidabile per migliorare le condizioni di vita e di benessere;
nel rispetto dell'intangibilità di ogni singolo essere umano;
evitando ogni volontà di sopraffazione e di dominio.
Fare continuamente un'attenta riflessione sulla natura stessa dell'uomo, sulla sua dignità di essere umano creato da Dio a sua immagine e somiglianza. Tale dignità inviolabile dell'uomo:
pone l'uomo al centro e al vertice di tutto ciò che esiste sulla terra;
trova il suo fondamento: - nel mistero della Creazione, e in quello della Redenzione, operata da Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio, Verbo della Vita; - nella destinazione dell'uomo, il quale è chiamato ad essere figlio di Dio nel Figlio (Gesù Cristo) e tempio vivo dello Spirito Santo, nella prospettiva dell'eterna vita di comunione beatificante con Dio;
va rispettata in qualunque circostanza o condizione l'uomo si trovi e a qualunque stadio della sua crescita esso si trovi (embrione, feto, bambino, adulto, anziano o morente). Neppure la sofferenza, lo stato di incoscienza, l'imminenza della morte diminuiscono l'intrinseca dignità della persona.
Ricordare che il servizio della medicina alla vita e alla salute è sempre e comunque un servizio che rimanda al senso della sofferenza e della morte.
Lasciarsi vivificare dall'ispirazione cristiana, la quale non toglie nulla all'uomo e alla ricerca scientifica, ma anzi la sostiene, la illumina e la indirizza al vero e integrale benessere di ogni persona e di tutta la persona.
Non dimenticare mai che "la misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana" (BENEDETTO XVI, Spe salvi, n. 38).
Qual è il compito dei medici?
I medici hanno il compito di:
Essere i servitori della vita, che è sempre un bene in se stessa e per se stessa, rispettandola in qualunque tappa si trovi, ma soprattutto in quelle in cui è più debole, come quelle iniziali e terminali.
Rispettare i principi etici che hanno le loro radici nello stesso Giuramento di Ippocrate, il quale afferma che:
non vi sono vite indegne di essere vissute;
non vi sono sofferenze, per quanto penose, che possano giustificare la soppressione di un'esistenza;
non vi sono ragioni, per quanto alte, che rendano plausibile la creazione di essere umani destinati ad essere utilizzati e distrutti.
Contribuire fattivamente ad eliminare i motivi di sofferenza che umiliano e rattristano l'uomo, e ad edificare un mondo sempre più rispondente alla dignità dell'essere umano.
Porsi in ascolto di ogni uomo, senza distinzione né discriminazione alcuna, ed accogliere tutti per alleviare le sofferenze di ciascuno. Vedere nel malato non un numero clinico, ma una persona alla quale avvicinarsi con umanità e partecipazione: nonostante tutto, il malato resta più grande della sua malattia e la sua vita più grande di ciò che la minaccia. La medicina dunque come servizio alla persona e non come potere sulla persona.
Curare sì la malattia, ma soprattutto il malato, tenendo presente la complementarietà e l'interdipendenza di tutte le dimensioni della persona (fisiche, affettive, morali, spirituali, familiari, sociali...).
Tener presente che la salute è una realtà che abbraccia la totalità dell'essere, includendo tutti i suoi dinamismi psicospirituali: perciò la persona sana non è solo quella in buona salute fisica o psicologica, ma anche quella in buona salute spirituale.
Raggiungere un giusto equilibrio tra insistenza e desistenza terapeutica, evitando l'accanimento terapeutico e lo sperimentalismo.
Andare incontro alle necessità di tutta la persona, ricordando che l'unica risposta veramente umana, di fronte alla sofferenza altrui, è l'amore che si prodiga nell'accompagnamento e nella condivisione.
Aggiungere all'apporto insostituibile della propria professionalità, il 'cuore', che solo è in grado di arrivare al 'cuore' dell'ammalato e di umanizzare le strutture.
Il medico deve operare le sue scelte tenendo conto anche di un triplice livello di valutazione: giuridico, deontologico, morale.
Vivere la propria professione come dono di sé all'ammalato (carità professionale). "La specifica missione che qualifica la vostra professione medica e chirurgica è costituita dal perseguimento di alcuni obiettivi:
guarire la persona malata o almeno cercare di incidere in maniera efficace sull'evoluzione della malattia;
alleviare i sintomi dolorosi che la accompagnano, soprattutto quando è in fase avanzata;
prendersi cura della persona malata in tutte le sue umane aspettative (...);
mirare è una vera alleanza terapeutica col paziente, facendo leva su quella specifica razionalità clinica che consente al medico di scorgere le modalità di comunicazione più adeguate al singolo paziente;
promuovere un approccio al malato che giustamente lo consideri non antagonista, ma collaboratore attivo e responsabile del trattamento terapeutico;
rispettare da una parte l'autodeterminazione del paziente, senza dimenticare però che l'esaltazione individualistica dell'autonomia finisce per portare ad una lettura non realistica, e certamente impoverita, della realtà umana. Dall'altra, la responsabilità professionale del medico deve portarlo a proporre un trattamento che miri al vero bene del paziente, nella consapevolezza che la sua specifica competenza lo mette in grado in genere di valutare la situazione meglio che non il paziente stesso (...);
non estromettere dalla relazione terapeutica il contesto esistenziale del paziente, in particolare la sua famiglia. Per questo occorre promuovere il senso di responsabilità dei familiari nei confronti del loro congiunto" (BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti a un congresso della Società Italiana di chirurgia, 20 ottobre 2008).
Ricordarsi che esiste una relazione direttamente proporzionale tra la capacità di soffrire e la capacità di aiutare chi soffre: chi è disposto ad accettare e sopportare con forza interiore e con serenità le proprie sofferenze è anche la persona più sensibile al dolore altrui e più dedita a lenire i dolori degli altri.
Attuare la vera compassione, la quale:
promuove ogni ragionevole sforzo per favorire la guarigione del paziente;
accompagna il paziente con amorevole rispetto e dedizione durante l'intero decorso della sua malattia, ponendo in atto tutte le azioni e le attenzioni possibili per diminuirne le sofferenze e favorirne un vissuto per quanto possibile sereno;
ascolta le richieste del malato, il quale ha sì il diritto di chiedere ad esempio la sospensione di una cura: non è detto però che il medico debba accogliere tale richiesta soprattutto quando questa comporterebbe un atto di eutanasia;
stimola la solidarietà e la condivisione non solo accanto e per chi soffre senza più speranze, ma anche accanto e per chi vive l'esperienza del dolore di una persona cara;
nello stesso tempo aiuta a fermarsi quando nessuna azione risulta ormai utile alla guarigione.
Qual è il compito dei medici cattolici?
Il medico cattolico ha la missione di:
Attuare gli stessi impegni sopradescritti comuni a tutti i medici, con maggiore dedizione e spirito di abnegazione, testimoniando l'amore di Cristo per i malati. ❑ Prestare attenzione alla dimensione spirituale dell'uomo, avendo ben presente il senso cristiano della vita e della morte, e la funzione del dolore nella vicenda umana.
Rispettare sempre e Fedelmente la legge di Dio, attuando se necessario anche l'obiezione di coscienza nei confronti di leggi fatte dagli uomini che contraddicono la legge divina.
Saper riconoscere in ogni ammalato lo stesso Cristo, i lineamenti del Suo Volto divino: prendendosi cura dell'ammalato, il cristiano sa di prendersi cura di Cristo stesso (cfr. Mt 25,35-40).
Attingere dalla Fede cristiana il conforto nella propria sofferenza e la capacità di lenire la sofferenza altrui.
❑ ❑Essere:
lo strumento dell'amore misericordioso di Dio;
la trasparenza di Cristo, che, quale buon Samaritano per eccellenza, si prende cura degli ammalati.
Collaborare con quanti sono impegnati nella pastorale della sofferenza.
Vivificare il proprio servizio medico con la preghiera costante a Dio, "amante della vita" (Sap 11,26), ricordando sempre che la guarigione, in ultima istanza, viene dall'Altissimo, per l'intercessione particolare anche della Vergine Maria invocata come Salus infirmorum et Mater Scientiae.
Mettere in atto non solo le cure mediche, ma anche le cure spirituali, le quali costituiscono non solo un bisogno sentito, ma addirittura un diritto fondamentale di ogni malato, con la conseguente responsabilità di coloro che lo assistono.
Interrogarsi sulla propria spiritualità, sul sistema di valori che guida la propria esistenza, sulle risposte che nascono nel cuore agli interrogativi concernenti il significato della sofferenza e della morte.
Portare il conforto cristiano ai malati e ai loro familiari.
Favorire da parte del malato la richiesta e l'accoglienza nella Fede, dei Sacramenti che Cristo ha istituito anche per aiutare spiritualmente l'ammalato: i Sacramenti della Confessione, dell'Eucaristia (in particolare come Viatico) e dell'Unzione dei malati.
Quali aspetti positivi provengono dalla malattia?
La malattia può:
Aiutare a prendere coscienza del nostro limite, della nostra umana fragilità, della provvisorietà del nostro cammino qui sulla terra.
Dare origine a una fitta e larga rete di solidarietà a livello familiare e sociale (volontariato). Solo una concezione prettamente utilitaristica induce a pensare che la malattia di una persona sia sempre e comunque un deficit a livello personale, familiare e sociale.
Offrire la possibilità di saper leggere il disegno di Dio nella propria vita. La "chiave" di tale lettura è costituita dalla Croce di Cristo. Il Verbo incarnato si è fatto incontro alla nostra debolezza assumendola su di sé nel mistero della Croce. Chi sa accoglierla nella sua vita sperimenta come il dolore, illuminato dalla Fede, diventi fonte di speranza e di salvezza.
Costituire una concreta possibilità, offerta alla nostra libertà, per decidere quale compimento scegliere per la nostra esistenza.
Dare l'opportunità ad ognuno di soffrire con l'altro, unendo la nostra e altrui sofferenza a quella di Cristo, e offrendola a vantaggio di altri.
Avere anche un valore redentivo per sé e per gli altri. Se la sofferenza è unita a quella di Cristo, diviene partecipazione all'opera salvifica di Gesù Cristo, diventa mezzo e offerta vivente per la salvezza del mondo, può recare benefici morali e spirituali al paziente e all'umanità. "Io completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24).
Invitarci a fare nostra l'affermazione di Giobbe: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male? (...) Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore» (Gb 2,10;
1,21 ) ,
Aiutarci a scoprire il vero volto di Dio: la realtà del male, delle sofferenze, delle guerre, non induce a negare Dio, piuttosto "ci aiuta a purificare ogni falsa concezione di Dio e ci conduce a scoprirne il volto autentico: il volto di un Dio che, in Cristo, si è caricato delle piaghe dell'umanità ferita. Il Signore non ha tolto la sofferenza e il male dal mondo, ma li ha vinti alla radice con la sovrabbondanza della sua Grazia" (BENEDETTO XVI, Messaggio "Urbi et Orbi", Pasqua 2007).
Quali benefici arreca il Sacramento dell'Unzione ai malati?
Tale Sacramento, istituito da Cristo non per i morti, ma per i vivi, e cioè per il cristiano che è gravemente ammalato:
Conferisce un dono particolare dello Spirito Santo: una grazia di conforto, di pace e di coraggio:
per affrontare le difficoltà della malattia; • per unirsi più intimamente alla passione di Cristo;
per contribuire al bene del Popolo di Dio.
Perdona tutti i peccati, se non è stato possibile celebrare prima il sacramento della Confessione.
Favorisce talvolta la guarigione, se ciò giova alla salvezza spirituale del malato.
Prepara al passaggio alla vita eterna.
Consente di usufruire della preghiera di tutta la Chiesa:
che intercede per il bene del malato;
che soffre insieme a lui;
che si offre, per mezzo di Cristo, a Dio Padre.
Che cosa fare nei confronti di un malato terminale?
Tener presente che il Signore della vita è presente accanto al malato come Colui che vive e dona la vita, Colui che ha detto: "Sono venuto perché abbiamo la vita e l'abbiamo in abbondanza" (Gv 10, 10), "Io sono la Resurrezione e la Vita: chi crede in me, anche se muore vivrà" (Gv 10, 25) e "Io lo resusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6, 54).
Vedere in una vita che si spegne una nuova nascita e un'esistenza rinnovata, offerta dal Risorto a chi non si è volutamente opposto al suo Amore. Con la morte si conclude l'esperienza terrena, ma attraverso la morte si apre anche, per ciascuno di noi, al di là del tempo, la vita piena e definitiva.
Assicurare ad ogni persona il sostegno necessario attraverso terapie e interventi medici adeguati, individuati e gestiti secondo i criteri della proporzionalità medica, sempre tenendo conto del dovere morale di somministrare (da parte del medico) e di accogliere (da parte del paziente) quei mezzi di preservazione della vita che, nella situazione concreta, risultino "ordinari". Per quanto riguarda, invece, le terapie significativamente rischiose o che fossero prudentemente da giudicare "straordinarie", il ricorso ad esse sarà da considerare moralmente lecito ma facoltativo.
Preparare il malato inguaribile alla morte, dicendogli la verità seppure con gradualità, scegliendo il momento e il linguaggio adatto, evitando qualsiasi congiura del silenzio, e soprattutto annunciandogli dove è possibile la "vita che non muore".
Assicurare ad ogni persona le cure mediche necessarie e dovute, e soprattutto il sostegno psicologico e affettivo. "Se anche la guarigione non è più prospettabile, si può ancora fare molto per il malato: se ne può alleviare la sofferenza, soprattutto lo si può accompagnare nel suo cammino, migliorandone in quanto possibile la qualità di vita. Non è cosa da sottovalutare, perché ogni singolo paziente, anche quello inguaribile, porta con sé un valore incondizionato, una dignità da onorare, che costituisce il fondamento ineludibile di ogni agire medico" (BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti a un congresso della società italiana di chirurgia, 20 ottobre 2008).
Garantire il debito sostegno alle famiglie che intendono impegnarsi ad accudire in casa, per periodi talora lunghi, malati afflitti da patologie degenerative (tumorali, neurodegenerative, ecc.) o bisognosi di un'assistenza particolarmente impegnativa.
Riconoscere, anche sul versante della regolamentazione del lavoro, ai parenti stretti del malato terminale, quei medesimi diritti che solitamente si riconoscono ai familiari al momento di una nascita.
Evitare ogni forma di eutanasia (cfr. BENEDETTO XVI, Discorso all'assemblea della Pontificia Accademia per la Vita, 25 febbraio 2008).
Qual è la concezione cristiana circa le cure palliative?
La Fede cristiana:
Riconosce la liceità e la necessità in taluni casi delle cure palliative, le quali sono "destinate a rendere più sopportabile la sofferenza nella fase finale della malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento" ( GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, n. 65). Esse infatti mirano a lenire, specialmente nel paziente terminale, una vasta gamma di sintomi di sofferenza fisica, psichica e mentale, e richiedono perciò l'intervento di un'équipe di specialisti con competenza medica, psicologica e religiosa, tra loro affiatati per sostenere il paziente nella fase critica. Afferma nello stesso tempo la necessità di rispettare la libertà dei pazienti, i quali devono essere posti in grado, nella misura del possibile, "di soddisfare ai loro obblighi morali e familiari e soprattutto devono potersi preparare con piena coscienza all'incontro definitivo con Dio" (op. cit., n. 65).
Raccomanda che la somministrazione degli analgesici sia effettivamente proporzionata all'intensità e alla cura del dolore, evitando ogni forma di eutanasia quale si avrebbe somministrando ingenti dosi di analgesici proprio con lo scopo di provocare la morte.
Ricorda la teoria del cosiddetto duplice effetto legato all'uso di tali farmaci: essi infatti se da una parte sicuramente attenuano il dolore, dall'altra possono indurre dipendenza o addirittura accelerare l'effetto letale della malattia.
Incoraggia la formazione di specialisti delle cure palliative, in particolare con la creazione sia di strutture didattiche alle quali possono essere interessati anche psicologi e operatori della pastorale, sia di case di accoglienza per i malati terminali, ricordando che già nel primo secolo, al tempo del Papa San Cleto — terzo successore di S. Pietro — la Chiesa aveva provveduto alla loro costruzione.
Che cosa dice la Fede cristiana circa l'accanimento terapeutico?
La Fede cristiana afferma che:
Il rifiuto dell'accanimento terapeutico non è un rifiuto del paziente e della sua vita.
L'oggetto della deliberazione sull'opportunità di iniziare o continuare una pratica terapeutica non è il valore della vita del paziente, ma il valore dell'intervento medico sul paziente.
L'eventuale decisione di non intraprendere o di interrompere una terapia è da ritenersi eticamente corretta quando questa risulti inefficace o chiaramente sproporzionata ai fini del sostegno della vita o del recupero della salute del paziente.
Il rifiuto dell'accanimento terapeutico pertanto è espressione del rispetto che in ogni istante si deve al paziente.
Non è accanimento terapeutico assicurare all'ammalato, se disponibili, alcune cure quali: il ricambio metabolico, l'alimentazione e l'idratazione, la terapia del dolore
Il sì detto alla vita richiede pertanto anche il rifiuto sia dell'accanimento terapeutico e sia della eutanasia. E questo vale per tutte e due le dimensioni:
Questo vale per l'accanimento terapeutico, che vuole dire: ho il potere di allontanare la morte;
vale per l'eutanasia che vuol dire: ho il potere di anticipare la morte. Nessuno di questi due entra in una logica corretta, perché tutti e due entrano nella prospettiva del "io possiedo la vita e sono io che decido quando comincia, quanto dura, quando finisce...".
Pertanto ogni persona di buona volontà dovrebbe dire:
TRE SI' : - alla vita - alle cure palliative - all'adeguata assistenza agli ammalati e agli anziani.
TRE NO: - all'eutanasia - all'accanimento terapeutico - all'abbandono di chi è più fragile.
L'alimentazione e l'idratazione artificiali sono da considerarsi accanimento terapeutico?
No.
"La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l'idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si evitano le sofferenze e la morte dovute all'inanizione e alla disidratazione". Tali "cure ordinarie e proporzionate" sono dovute anche a un paziente in "stato vegetativo permanente" ( e cioè anche quando medici competenti giudicano con certezza morale che il paziente non recupererà mai la coscienza) (CDF, Risposte a quesiti della Conferenza Episcopale Statunitense circa l'alimentazione e l'idratazione
Non va inoltre dimenticato che:
Nessun esperto potrebbe, allo stato attuale, dichiarare l'irreversibilità della condizione di stato vegetativo, se non in base ad una scelta puramente soggettiva;
La dichiarazione di un momento non può evidentemente essere presa a parametro per presumere la volontà di una persona riguardo a scelte come quelle che riguardano la contrarietà o meno ad un trattamento che fra l'altro si pone al limite fra terapia e nutrizione.
Quando avranno fine la malattia, la sofferenza e la morte? Esse avranno fine allorquando Cristo Signore ritornerà alla fine dei tempi, per liberare l'universo dalla corruzione e dalla morte e per rinnovarlo con "i nuovi cieli e una terra nuova" (2 Pt 3,13).



NB: Per approfondire l'argomento, si leggano i seguenti documenti pontifici:
* CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (CCC), nn. 309-314; 1499-1525;
* COMPENDIO del CCC, nn. 57-58; 313-320;
* GIOVANNI PAOLO II: - Salvifici doloris, 1984 - Evangelium vitae, 1995;
* CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE (CDF): - Donum vitae, 1987 - Risposte a quesiti della Conferenza Episcopale Statunitense circa l'alimentazione e l'idratazione artificiali, 1 agosto 2007.



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