Da
dove ha origine la malattia?
❑
La Fede cristiana afferma che
Dio non ha creato la malattia. Essa è entrata nel mondo a causa del
primo peccato, commesso dall'uomo Adamo e dalla donna Eva,
allorquando, tentati dal Diavolo, abusando della loro libertà, hanno
disobbedito a Dio: volevano essere superiori allo stesso Dio e
bramavano di conseguire il loro fine al di fuori di Dio. In seguito i
peccati di ogni singola persona non faranno che accrescere il mondo
delle sofferenze umane.
❑
Dio quindi non vuole la
malattia; non ha creato il male e la morte. Ma, dal momento in cui
queste, a causa del peccato, sono entrate nel mondo, il suo amore è
tutto proteso a risanare l'uomo, a guarirlo dal peccato e da ogni
male e a colmarlo di vita, di pace e di gioia. Per questo ha inviato
il Suo Figlio Gesù, che è morto e risorto per liberare l'uomo dal
peccato e dalle sue conseguenze.
Qual
è il senso della malattia?
❑
La malattia, che tocca prima o
poi tutti e coinvolge la persona a tutti i livelli (da quello fisico
a quello psicologico, spirituale, morale), è e rimane pur sempre un
mistero, un enigma.
❑
La scienza e la tecnica
possono aiutare a trovare una risposta alla malattia. Esse possono
curarla, alleviarla, eliminarla almeno in parte, ma non potranno mai
eliminarla del tutto, e soprattutto non potranno mai dare una
risposta soddisfacente agli interrogativi fondamentali che la
sofferenza, la malattia, la stessa morte suscitano nel cuore
dell'uomo.
❑
Occorre approfondire il senso
della malattia, del dolore, della sofferenza tenendo presenti anche i
loro fondamenti medico-scientifici, storici, filosofici, biblici,
teologici.
❑
È importante in particolare
approfondire i testi della Sacra Scrittura sulla visione della
sofferenza, sul senso della morte.
❑
Il senso ultimo di tali realtà
lo si può scoprire soltanto alla luce della Fede cristiana: "Per
Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte,
che al di fuori del Vangelo ci opprime" (Gaucliwn et spes,
n.22).
❑
Dio infatti non ha risparmiato
la sofferenza e perfino la morte al Suo stesso divin Figlio Gesù, il
quale vince il peccato e gli effetti di questo (la malattia, la
sofferenza, la violenza e la morte) con la Sua morte in croce e
soprattutto con la Sua Risurrezione.
❑
E questa vittoria Cristo la
riporta anzitutto per se stesso, distruggendo la morte con la Sua
Risurrezione, e poi anche per noi. Infatti, mediante il Battesimo da
Lui istituito, ci viene perdonato il peccato originale e risorgiamo
alla vita dei figli di Dio. Durante poi tutto il corso della nostra
vita quaggiù sulla terra, lottando contro il peccato e le sue
conseguenze, riportiamo con Cristo la nostra vittoria, che per ora è
parziale, in attesa di quella definitiva che Cristo attuerà per noi
alla fine di questo mondo, allorquando ogni sofferenza, malattia,
morte saranno da Lui definitivamente distrutte.
❑
Pertanto, la sofferenza può
diventare sereno abbandono alla volontà divina e partecipazione al
sacrificio di Cristo.
Perché
continuano ad esistere la malattia e la sofferenza, nonostante Dio
sia buono, onnipotente, provvidente?
❑
« Sono frequenti e talora
inquietanti tali interrogativi, che in verità sul piano
semplicemente umano non trovano adeguate risposte, poiché il dolore,
la malattia e la morte restano, nel loro significato, insondabili per
la nostra mente. Ci viene però in aiuto la luce della fede. La
Parola di Dio ci svela che anche questi mali sono misteriosamente
"abbracciati" dal disegno divino di salvezza; la fede ci
aiuta a ritenere la vita umana bella e degna di essere vissuta in
pienezza pur quando è fiaccata dal male. Dio ha creato l'uomo per la
felicità e per la vita, mentre la malattia e la morte sono entrate
nel mondo come conseguenza del peccato. Ma il Signore non ci ha
abbandonati a noi stessi; Lui, il Padre della vita, è il medico per
eccellenza dell'uomo e non cessa di chinarsi amorevolmente
sull'umanità sofferente" (BENEDETTO XVI, Omelia, XVII Giornata
mondiale del malato, 11-2-09).
❑
Il CATECHISMO DELLA CHIESA
CATTOLICA così scrive a questo riguardo:
•
"A questo interrogativo
tanto pressante quanto inevitabile, tanto doloroso quanto misterioso,
nessuna risposta immediata potrà bastare. È l'insieme della Fede
cristiana che costituisce la risposta a tale questione: la bontà
della creazione, il dramma del peccato, l'amore paziente di Dio che
viene incontro all'uomo con le sue alleanze, con l'incarnazione
redentrice del suo Figlio, con il dono dello Spirito, con la
convocazione della Chiesa, con la forza dei Sacramenti, con la
vocazione ad una vita felice, alla quale le creature libere sono
invitate a dare il loro consenso, ma alla quale, per un mistero
terribile, possono anche sottrarsi. Non c'è un punto del messaggio
cristiano che non sia, per un certo aspetto, una risposta al problema
del male.
•
Nella sua sapienza e nella sua
bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo in stato
di via verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno
di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri, la scomparsa di
altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le
costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi, insieme con il
bene fisico, esiste anche il male fisico, finché la creazione non
avrà raggiunto la sua perfezione.
•
Così, col tempo, si può
scoprire che Dio, nella sua provvidenza onnipotente, può trarre un
bene dalle conseguenze di un male, anche morale, causato dalle sue
creature. Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il
rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, causati dal peccato di tutti
gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, ha tratto i
più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra redenzione.
Con ciò, però, il male non diventa un bene.
•
Noi crediamo fermamente che
Dio è Signore del mondo e della storia. Ma le vie della sua
provvidenza spesso ci rimangono sconosciute. Solo alla fine, quando
avrà termine la nostra conoscenza imperfetta e vedremo Dio «faccia
a faccia» (1 Co r 13,12), conosceremo pienamente le vie lungo le
quali, anche attraverso i drammi del male e del peccato, Dio avrà
condotto la sua creazione fino al riposo di quel Sabato definitivo,
in vista del quale ha creato il cielo e la terra" (CCC, nn.
309-314).
❑
Non va dimenticato che Dio non
ha risparmiato nemmeno a Suo Figlio, Gesù Cristo, la sofferenza.
Eppure Cristo era ed è, in modo assoluto, il più innocente e il più
meritevole
Come
si è comportato Cristo nei confronti dei malati?
❑
Cristo, nella sua vita
terrena, ha avuto una particolare predilezione verso i malati e i
sofferenti. Infatti:
•
ha prediletto coloro che
soffrono;
•
ha guarito molti ammalati, che
a Lui ricorrevano con fiducia: tali guarigioni mo-strano che Gesù è
veramente 'Dio che salva' ;
•
non è venuto tuttavia per
eliminare tutti i mali quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più
grave delle schiavitù: quella del peccato, che è la causa di tutti
i mali e sofferenze;
•
si è identificato con il
malato: "Ero malato e mi avete visitato"(Mt 25,36); "Egli
ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie"
(Mt 8,17); • ha affidato ai suoi discepoli il ministero della
guarigione, dicendo loro: "Guarite gli infermi" (Mt 10,8);
•
ha istituito in particolare
due Sacra-menti per i malati: l'Eucaristia (in quanto Viatico) e il
Sacramento dell'Unzione dei malati;
•
ha insegnato a quelli che lo
seguivano a trascendere la sofferenza e a darle un significato
salvifico;
•
ha invitato tutti i suoi
seguaci ad essere disposti a soffrire con lui e come lui: "Se
qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua
croce e mi segua" (Mt 16,24);
•
ha assicurato il suo aiuto:
"Ti basta la mia grazia: la mia potenza infatti si manifesta
pienamente nella debolezza" (2 Cor 12,9);
•
continua a essere con noi e
per noi, soprattutto nei nostri momenti di sofferenza.
❑
Ma Gesù Cristo ha fatto anche
molto di più:
•
ha vissuto, Lui stesso, la
sofferenza, fino alla morte e alla morte di croce;
•
non solo ha dato un senso al
dolore, ma anche gli ha conferito un potere nuovo, una misteriosa
fecondità ;
•
ha vinto, risorgendo, la
sofferenza e la morte, per sé e per noi.
Qual
è il comportamento della Chiesa nei confronti dei malati?
La
Chiesa, nella sua costante sollecitudine per i malati:
•
proclama e testimonia il
Vangelo della sofferenza illuminata dalla Fede;
•
ha sempre accompagnato e
continuerà ad accompagnare la predicazione del Vangelo, con
iniziative di assistenza e di cura a favore di schiere innumerevoli
di sofferenti;
•
offre il proprio contributo
specifico attraverso l'accompagnamento umano e spirituale degli
infermi;
•
invita ad aprirsi al messaggio
dell'amore di Dio, sempre attento alle lacrime di chi si rivolge a
Lui;
•
sostiene l'importanza della
pastorale sanitaria, nella quale ricoprono un ruolo di speciale
rilievo le cappelle ospedaliere, che tanto contribuiscono al bene
spirituale di quanti soggiornano nelle strutture sanitarie;
•
favorisce lo sviluppo di quel
contributo prezioso che è dato dai volontari, che con il loro
servizio danno vita a quella fantasia della carità, che infonde
speranza anche all'umana esperienza della sofferenza. È anche per
mezzo di tali volontari che Gesù può continuare oggi a passare tra
gli uomini, per beneficarli e sanarli.
Qual
è il compito della medicina?
La
medicina (arte, scienza e tecnica ) ha come compito quello di:
❑
Servire sempre la vita:
promuovendola e difendendola dal suo concepimento fino al suo
tramonto naturale. Anche quando sa di non poter debellare una grave
patologia, dedica le proprie capacità a lenirne le sofferenze.
❑
Riconoscere e rispettare (o
almeno non escludere) la dimensione trascendente, morale e spirituale
della vita umana.
❑
Attuare e accrescere la
ricerca e il progresso scientifico:
•
come strumento formidabile per
migliorare le condizioni di vita e di benessere;
•
nel rispetto
dell'intangibilità di ogni singolo essere umano;
•
evitando ogni volontà di
sopraffazione e di dominio.
❑
Fare continuamente un'attenta
riflessione sulla natura stessa dell'uomo, sulla sua dignità di
essere umano creato da Dio a sua immagine e somiglianza. Tale dignità
inviolabile dell'uomo:
•
pone l'uomo al centro e al
vertice di tutto ciò che esiste sulla terra;
•
trova il suo fondamento: - nel
mistero della Creazione, e in quello della Redenzione, operata da
Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio, Verbo della Vita; - nella
destinazione dell'uomo, il quale è chiamato ad essere figlio di Dio
nel Figlio (Gesù Cristo) e tempio vivo dello Spirito Santo, nella
prospettiva dell'eterna vita di comunione beatificante con Dio;
•
va rispettata in qualunque
circostanza o condizione l'uomo si trovi e a qualunque stadio della
sua crescita esso si trovi (embrione, feto, bambino, adulto, anziano
o morente). Neppure la sofferenza, lo stato di incoscienza,
l'imminenza della morte diminuiscono l'intrinseca dignità della
persona.
❑
Ricordare che il servizio
della medicina alla vita e alla salute è sempre e comunque un
servizio che rimanda al senso della sofferenza e della morte.
■
Lasciarsi vivificare
dall'ispirazione cristiana, la quale non toglie nulla all'uomo e alla
ricerca scientifica, ma anzi la sostiene, la illumina e la indirizza
al vero e integrale benessere di ogni persona e di tutta la persona.
■
Non dimenticare mai che "la
misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la
sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la
società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non
è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la
sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una
società crudele e disumana" (BENEDETTO XVI, Spe salvi, n. 38).
Qual
è il compito dei medici?
I
medici hanno il compito di:
❑
Essere i servitori della vita,
che è sempre un bene in se stessa e per se stessa, rispettandola in
qualunque tappa si trovi, ma soprattutto in quelle in cui è più
debole, come quelle iniziali e terminali.
❑
Rispettare i principi etici
che hanno le loro radici nello stesso Giuramento di Ippocrate, il
quale afferma che:
•
non vi sono vite indegne di
essere vissute;
•
non vi sono sofferenze, per
quanto penose, che possano giustificare la soppressione di
un'esistenza;
•
non vi sono ragioni, per
quanto alte, che rendano plausibile la creazione di essere umani
destinati ad essere utilizzati e distrutti.
❑
Contribuire fattivamente ad
eliminare i motivi di sofferenza che umiliano e rattristano l'uomo, e
ad edificare un mondo sempre più rispondente alla dignità
dell'essere umano.
❑
Porsi in ascolto di ogni uomo,
senza distinzione né discriminazione alcuna, ed accogliere tutti per
alleviare le sofferenze di ciascuno. Vedere nel malato non un numero
clinico, ma una persona alla quale avvicinarsi con umanità e
partecipazione: nonostante tutto, il malato resta più grande della
sua malattia e la sua vita più grande di ciò che la minaccia. La
medicina dunque come servizio alla persona e non come potere sulla
persona.
❑
Curare sì la malattia, ma
soprattutto il malato, tenendo presente la complementarietà e
l'interdipendenza di tutte le dimensioni della persona (fisiche,
affettive, morali, spirituali, familiari, sociali...).
❑
Tener presente che la salute è
una realtà che abbraccia la totalità dell'essere, includendo tutti
i suoi dinamismi psicospirituali: perciò la persona sana non è solo
quella in buona salute fisica o psicologica, ma anche quella in buona
salute spirituale.
❑
Raggiungere un giusto
equilibrio tra insistenza e desistenza terapeutica, evitando
l'accanimento terapeutico e lo sperimentalismo.
❑
Andare incontro alle necessità
di tutta la persona, ricordando che l'unica risposta veramente umana,
di fronte alla sofferenza altrui, è l'amore che si prodiga
nell'accompagnamento e nella condivisione.
❑
Aggiungere all'apporto
insostituibile della propria professionalità, il 'cuore', che solo è
in grado di arrivare al 'cuore' dell'ammalato e di umanizzare le
strutture.
❑
Il medico deve operare le sue
scelte tenendo conto anche di un triplice livello di valutazione:
giuridico, deontologico, morale.
❑
Vivere la propria professione
come dono di sé all'ammalato (carità professionale). "La
specifica missione che qualifica la vostra professione medica e
chirurgica è costituita dal perseguimento di alcuni obiettivi:
•
guarire la persona malata o
almeno cercare di incidere in maniera efficace sull'evoluzione della
malattia;
•
alleviare i sintomi dolorosi
che la accompagnano, soprattutto quando è in fase avanzata;
•
prendersi cura della persona
malata in tutte le sue umane aspettative (...);
•
mirare è una vera alleanza
terapeutica col paziente, facendo leva su quella specifica
razionalità clinica che consente al medico di scorgere le modalità
di comunicazione più adeguate al singolo paziente;
•
promuovere un approccio al
malato che giustamente lo consideri non antagonista, ma collaboratore
attivo e responsabile del trattamento terapeutico;
•
rispettare da una parte
l'autodeterminazione del paziente, senza dimenticare però che
l'esaltazione individualistica dell'autonomia finisce per portare ad
una lettura non realistica, e certamente impoverita, della realtà
umana. Dall'altra, la responsabilità professionale del medico deve
portarlo a proporre un trattamento che miri al vero bene del
paziente, nella consapevolezza che la sua specifica competenza lo
mette in grado in genere di valutare la situazione meglio che non il
paziente stesso (...);
•
non estromettere dalla
relazione terapeutica il contesto esistenziale del paziente, in
particolare la sua famiglia. Per questo occorre promuovere il senso
di responsabilità dei familiari nei confronti del loro congiunto"
(BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti a un congresso della Società
Italiana di chirurgia, 20 ottobre 2008).
❑
Ricordarsi che esiste una
relazione direttamente proporzionale tra la capacità di soffrire e
la capacità di aiutare chi soffre: chi è disposto ad accettare e
sopportare con forza interiore e con serenità le proprie sofferenze
è anche la persona più sensibile al dolore altrui e più dedita a
lenire i dolori degli altri.
❑
Attuare la vera compassione,
la quale:
•
promuove ogni ragionevole
sforzo per favorire la guarigione del paziente;
•
accompagna il paziente con
amorevole rispetto e dedizione durante l'intero decorso della sua
malattia, ponendo in atto tutte le azioni e le attenzioni possibili
per diminuirne le sofferenze e favorirne un vissuto per quanto
possibile sereno;
•
ascolta le richieste del
malato, il quale ha sì il diritto di chiedere ad esempio la
sospensione di una cura: non è detto però che il medico debba
accogliere tale richiesta soprattutto quando questa comporterebbe un
atto di eutanasia;
•
stimola la solidarietà e la
condivisione non solo accanto e per chi soffre senza più speranze,
ma anche accanto e per chi vive l'esperienza del dolore di una
persona cara;
•
nello stesso tempo aiuta a
fermarsi quando nessuna azione risulta ormai utile alla guarigione.
Qual
è il compito dei medici cattolici?
Il
medico cattolico ha la missione di:
❑
Attuare gli stessi impegni
sopradescritti comuni a tutti i medici, con maggiore dedizione e
spirito di abnegazione, testimoniando l'amore di Cristo per i malati.
❑ Prestare attenzione alla dimensione spirituale dell'uomo, avendo
ben presente il senso cristiano della vita e della morte, e la
funzione del dolore nella vicenda umana.
❑
Rispettare sempre e Fedelmente
la legge di Dio, attuando se necessario anche l'obiezione di
coscienza nei confronti di leggi fatte dagli uomini che contraddicono
la legge divina.
❑
Saper riconoscere in ogni
ammalato lo stesso Cristo, i lineamenti del Suo Volto divino:
prendendosi cura dell'ammalato, il cristiano sa di prendersi cura di
Cristo stesso (cfr. Mt 25,35-40).
❑
Attingere dalla Fede cristiana
il conforto nella propria sofferenza e la capacità di lenire la
sofferenza altrui.
❑
❑Essere:
•
lo strumento dell'amore
misericordioso di Dio;
•
la trasparenza di Cristo, che,
quale buon Samaritano per eccellenza, si prende cura degli ammalati.
❑
Collaborare con quanti sono
impegnati nella pastorale della sofferenza.
❑
Vivificare il proprio servizio
medico con la preghiera costante a Dio, "amante della vita"
(Sap 11,26), ricordando sempre che la guarigione, in ultima istanza,
viene dall'Altissimo, per l'intercessione particolare anche della
Vergine Maria invocata come Salus infirmorum et Mater Scientiae.
❑
Mettere in atto non solo le
cure mediche, ma anche le cure spirituali, le quali costituiscono non
solo un bisogno sentito, ma addirittura un diritto fondamentale di
ogni malato, con la conseguente responsabilità di coloro che lo
assistono.
❑
Interrogarsi sulla propria
spiritualità, sul sistema di valori che guida la propria esistenza,
sulle risposte che nascono nel cuore agli interrogativi concernenti
il significato della sofferenza e della morte.
■
Portare il conforto cristiano
ai malati e ai loro familiari.
❑
Favorire da parte del malato
la richiesta e l'accoglienza nella Fede, dei Sacramenti che Cristo ha
istituito anche per aiutare spiritualmente l'ammalato: i Sacramenti
della Confessione, dell'Eucaristia (in particolare come Viatico) e
dell'Unzione dei malati.
Quali
aspetti positivi provengono dalla malattia?
La
malattia può:
❑
Aiutare a prendere coscienza
del nostro limite, della nostra umana fragilità, della provvisorietà
del nostro cammino qui sulla terra.
❑
Dare origine a una fitta e
larga rete di solidarietà a livello familiare e sociale
(volontariato). Solo una concezione prettamente utilitaristica induce
a pensare che la malattia di una persona sia sempre e comunque un
deficit a livello personale, familiare e sociale.
❑
Offrire la possibilità di
saper leggere il disegno di Dio nella propria vita. La "chiave"
di tale lettura è costituita dalla Croce di Cristo. Il Verbo
incarnato si è fatto incontro alla nostra debolezza assumendola su
di sé nel mistero della Croce. Chi sa accoglierla nella sua vita
sperimenta come il dolore, illuminato dalla Fede, diventi fonte di
speranza e di salvezza.
❑
Costituire una concreta
possibilità, offerta alla nostra libertà, per decidere quale
compimento scegliere per la nostra esistenza.
❑
Dare l'opportunità ad ognuno
di soffrire con l'altro, unendo la nostra e altrui sofferenza a
quella di Cristo, e offrendola a vantaggio di altri.
■
Avere anche un valore
redentivo per sé e per gli altri. Se la sofferenza è unita a quella
di Cristo, diviene partecipazione all'opera salvifica di Gesù
Cristo, diventa mezzo e offerta vivente per la salvezza del mondo,
può recare benefici morali e spirituali al paziente e all'umanità.
"Io completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di
Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24).
❑
Invitarci a fare nostra
l'affermazione di Giobbe: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non
dovremo accettare il male? (...) Il Signore ha dato, il Signore ha
tolto; sia benedetto il nome del Signore» (Gb 2,10;
1,21
) ,
■
Aiutarci a scoprire il vero
volto di Dio: la realtà del male, delle sofferenze, delle guerre,
non induce a negare Dio, piuttosto "ci aiuta a purificare ogni
falsa concezione di Dio e ci conduce a scoprirne il volto autentico:
il volto di un Dio che, in Cristo, si è caricato delle piaghe
dell'umanità ferita. Il Signore non ha tolto la sofferenza e il male
dal mondo, ma li ha vinti alla radice con la sovrabbondanza della sua
Grazia" (BENEDETTO XVI, Messaggio "Urbi et Orbi",
Pasqua 2007).
Quali
benefici arreca il Sacramento dell'Unzione ai malati?
Tale
Sacramento, istituito da Cristo non per i morti, ma per i vivi, e
cioè per il cristiano che è gravemente ammalato:
❑
Conferisce un dono particolare
dello Spirito Santo: una grazia di conforto, di pace e di coraggio:
•
per affrontare le difficoltà
della malattia; • per unirsi più intimamente alla passione di
Cristo;
•
per contribuire al bene del
Popolo di Dio.
❑
Perdona tutti i peccati, se
non è stato possibile celebrare prima il sacramento della
Confessione.
❑
Favorisce talvolta la
guarigione, se ciò giova alla salvezza spirituale del malato.
❑
Prepara al passaggio alla vita
eterna.
❑
Consente di usufruire della
preghiera di tutta la Chiesa:
•
che intercede per il bene del
malato;
•
che soffre insieme a lui;
•
che si offre, per mezzo di
Cristo, a Dio Padre.
Che
cosa fare nei confronti di un malato terminale?
❑
Tener presente che il Signore
della vita è presente accanto al malato come Colui che vive e dona
la vita, Colui che ha detto: "Sono venuto perché abbiamo la
vita e l'abbiamo in abbondanza" (Gv 10, 10), "Io sono la
Resurrezione e la Vita: chi crede in me, anche se muore vivrà"
(Gv 10, 25) e "Io lo resusciterò nell'ultimo giorno" (Gv
6, 54).
❑
Vedere in una vita che si
spegne una nuova nascita e un'esistenza rinnovata, offerta dal
Risorto a chi non si è volutamente opposto al suo Amore. Con la
morte si conclude l'esperienza terrena, ma attraverso la morte si
apre anche, per ciascuno di noi, al di là del tempo, la vita piena e
definitiva.
■
Assicurare ad ogni persona il
sostegno necessario attraverso terapie e interventi medici adeguati,
individuati e gestiti secondo i criteri della proporzionalità
medica, sempre tenendo conto del dovere morale di somministrare (da
parte del medico) e di accogliere (da parte del paziente) quei mezzi
di preservazione della vita che, nella situazione concreta, risultino
"ordinari". Per quanto riguarda, invece, le terapie
significativamente rischiose o che fossero prudentemente da giudicare
"straordinarie", il ricorso ad esse sarà da considerare
moralmente lecito ma facoltativo.
■
Preparare il malato
inguaribile alla morte, dicendogli la verità seppure con gradualità,
scegliendo il momento e il linguaggio adatto, evitando qualsiasi
congiura del silenzio, e soprattutto annunciandogli dove è possibile
la "vita che non muore".
■
Assicurare ad ogni persona le
cure mediche necessarie e dovute, e soprattutto il sostegno
psicologico e affettivo. "Se anche la guarigione non è più
prospettabile, si può ancora fare molto per il malato: se ne può
alleviare la sofferenza, soprattutto lo si può accompagnare nel suo
cammino, migliorandone in quanto possibile la qualità di vita. Non è
cosa da sottovalutare, perché ogni singolo paziente, anche quello
inguaribile, porta con sé un valore incondizionato, una dignità da
onorare, che costituisce il fondamento ineludibile di ogni agire
medico" (BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti a un congresso
della società italiana di chirurgia, 20 ottobre 2008).
■
Garantire il debito sostegno
alle famiglie che intendono impegnarsi ad accudire in casa, per
periodi talora lunghi, malati afflitti da patologie degenerative
(tumorali, neurodegenerative, ecc.) o bisognosi di un'assistenza
particolarmente impegnativa.
■
Riconoscere, anche sul
versante della regolamentazione del lavoro, ai parenti stretti del
malato terminale, quei medesimi diritti che solitamente si
riconoscono ai familiari al momento di una nascita.
■
Evitare ogni forma di
eutanasia (cfr. BENEDETTO XVI, Discorso all'assemblea della
Pontificia Accademia per la Vita, 25 febbraio 2008).
Qual
è la concezione cristiana circa le cure palliative?
La
Fede cristiana:
❑
Riconosce la liceità e la
necessità in taluni casi delle cure palliative, le quali sono
"destinate a rendere più sopportabile la sofferenza nella fase
finale della malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un
adeguato accompagnamento" ( GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae,
n. 65). Esse infatti mirano a lenire, specialmente nel paziente
terminale, una vasta gamma di sintomi di sofferenza fisica, psichica
e mentale, e richiedono perciò l'intervento di un'équipe di
specialisti con competenza medica, psicologica e religiosa, tra loro
affiatati per sostenere il paziente nella fase critica. Afferma nello
stesso tempo la necessità di rispettare la libertà dei pazienti, i
quali devono essere posti in grado, nella misura del possibile, "di
soddisfare ai loro obblighi morali e familiari e soprattutto devono
potersi preparare con piena coscienza all'incontro definitivo con
Dio" (op. cit., n. 65).
❑
Raccomanda che la
somministrazione degli analgesici sia effettivamente proporzionata
all'intensità e alla cura del dolore, evitando ogni forma di
eutanasia quale si avrebbe somministrando ingenti dosi di analgesici
proprio con lo scopo di provocare la morte.
❑
Ricorda la teoria del
cosiddetto duplice effetto legato all'uso di tali farmaci: essi
infatti se da una parte sicuramente attenuano il dolore, dall'altra
possono indurre dipendenza o addirittura accelerare l'effetto letale
della malattia.
❑
Incoraggia la formazione di
specialisti delle cure palliative, in particolare con la creazione
sia di strutture didattiche alle quali possono essere interessati
anche psicologi e operatori della pastorale, sia di case di
accoglienza per i malati terminali, ricordando che già nel primo
secolo, al tempo del Papa San Cleto — terzo successore di S. Pietro
— la Chiesa aveva provveduto alla loro costruzione.
Che
cosa dice la Fede cristiana circa l'accanimento terapeutico?
❑
La Fede cristiana afferma che:
•
Il rifiuto dell'accanimento
terapeutico non è un rifiuto del paziente e della sua vita.
•
L'oggetto della deliberazione
sull'opportunità di iniziare o continuare una pratica terapeutica
non è il valore della vita del paziente, ma il valore
dell'intervento medico sul paziente.
•
L'eventuale decisione di non
intraprendere o di interrompere una terapia è da ritenersi
eticamente corretta quando questa risulti inefficace o chiaramente
sproporzionata ai fini del sostegno della vita o del recupero della
salute del paziente.
•Il
rifiuto dell'accanimento terapeutico pertanto è espressione del
rispetto che in ogni istante si deve al paziente.
•
Non è accanimento terapeutico
assicurare all'ammalato, se disponibili, alcune cure quali: il
ricambio metabolico, l'alimentazione e l'idratazione, la terapia del
dolore
■
Il sì detto alla vita
richiede pertanto anche il rifiuto sia dell'accanimento terapeutico e
sia della eutanasia. E questo vale per tutte e due le dimensioni:
•
Questo vale per l'accanimento
terapeutico, che vuole dire: ho il potere di allontanare la morte;
•
vale per l'eutanasia che vuol
dire: ho il potere di anticipare la morte. Nessuno di questi due
entra in una logica corretta, perché tutti e due entrano nella
prospettiva del "io possiedo la vita e sono io che decido quando
comincia, quanto dura, quando finisce...".
■
Pertanto ogni persona di buona
volontà dovrebbe dire:
•
TRE SI' : - alla vita - alle
cure palliative - all'adeguata assistenza agli ammalati e agli
anziani.
•
TRE NO: - all'eutanasia -
all'accanimento terapeutico - all'abbandono di chi è più fragile.
L'alimentazione
e l'idratazione artificiali sono da considerarsi accanimento
terapeutico?
No.
❑
"La somministrazione di
cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un
mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è
quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di
raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare
l'idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si evitano le
sofferenze e la morte dovute all'inanizione e alla disidratazione".
Tali "cure ordinarie e proporzionate" sono dovute anche a
un paziente in "stato vegetativo permanente" ( e cioè
anche quando medici competenti giudicano con certezza morale che il
paziente non recupererà mai la coscienza) (CDF, Risposte a quesiti
della Conferenza Episcopale Statunitense circa l'alimentazione e
l'idratazione
❑
Non va inoltre dimenticato
che:
•
Nessun esperto potrebbe, allo
stato attuale, dichiarare l'irreversibilità della condizione di
stato vegetativo, se non in base ad una scelta puramente soggettiva;
•
La dichiarazione di un momento
non può evidentemente essere presa a parametro per presumere la
volontà di una persona riguardo a scelte come quelle che riguardano
la contrarietà o meno ad un trattamento che fra l'altro si pone al
limite fra terapia e nutrizione.
Quando
avranno fine la malattia, la sofferenza e la morte? Esse avranno fine
allorquando Cristo Signore ritornerà alla fine dei tempi, per
liberare l'universo dalla corruzione e dalla morte e per rinnovarlo
con "i nuovi cieli e una terra nuova" (2 Pt 3,13).
NB:
Per approfondire l'argomento, si leggano i seguenti documenti
pontifici:
*
CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (CCC), nn. 309-314; 1499-1525;
*
COMPENDIO del CCC, nn. 57-58; 313-320;
*
GIOVANNI PAOLO II: - Salvifici doloris, 1984 - Evangelium vitae,
1995;
*
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE (CDF): - Donum vitae, 1987 -
Risposte a quesiti della Conferenza Episcopale Statunitense circa
l'alimentazione e l'idratazione artificiali, 1 agosto 2007.
Tratto
dal sito http://www.diocesifrascati.it/
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