domenica 16 agosto 2015

La vocazione: chiamata alla Santificazione - Lettera n° 4 - Tratta da “Lettere agli amici” su come vivere la fede cristiana di padre Basilio Martin



Cara Francesca, un giorno venisti a trovarmi, accompagnata da tuo papà, perché cercavi di capire cosa Dio volesse da te e per te. Da tempo, con i tuoi amici, ti eri impegnata, oltre nelle attività dell'oratorio cittadino, in quelle dell'organizzazione Mato Grosso per raccogliere fondi a favore delle povere comunità cristiane del Perù, che venivano seguite da alcuni sacerdoti di tua conoscenza. In quel periodo la tua anima si domandava: “Per servire Gesù, occorre farsi suora? Partire per terre lontane ad aiutare i poveri? Consacrarsi per tutta le vita alla causa delle persone malate?”. Domande che tutti indistintamente ci siamo posti all'alba dell’età della consapevolezza.
Chiese una volta il discepolo al suo padre spirituale, Nestorio: -“Abba, qual è l'opera buona gradita a Dio che io posso compiere?”. E l'Abba rispose: -“Non sono forse tutte uguali le opere? La Scrittura dice che Abramo era ospitale (Gn. 18,1 ss), e Dio era con lui; Elia amava la quiete (1 Re 17,5), e Dio era con lui; Davide era umile (1Sm. 18,23), e Dio era con lui. Quel che vedi che la tua anima desidera secondo Dio, fallo, e custodisci il tuo cuore”. Un sacerdote russo affermava: “Ciò che bisogna fare è sforzarsi di raggiungere la pace dell'anima, poiché da questa pace l'anima capisce qual è la sua vocazione”. Io, tempo fa, non vivevo più serenamente a causa del passaggio di pellegrini diretti ad Assisi che continuamente mi importunavano con le richieste più disparate: visitare l'eremo, avere del cibo, dell'acqua, il pernottamento, ecc. Nel pieno dell'esasperazione andai un giorno dal mio confessore a confidargli l'intenzione di lasciare l'eremo, perché esasperato soprattutto dai comportamenti che nulla avevano a che fare con lo spirito francescano del peregrinare. Dopo avermi ascoltato in totale silenzio religioso, mi disse: “La vocazione non sei tu a fartela, ma è Dio che te la dà. Il compito tuo è solo quello di capirla e gestirla”. Ci meditai su, e accantonai la decisione presa in precedenza. Rimasi all'eremo, fissando però delle regole di comportamento da far osservare ai pellegrini, così da salvaguardare la mia scelta di vita eremitica. Capii così quale fosse la mia vocazione, cosa volesse il Signore da me. Fu lecito perciò che tu mi domandasti: questa è la tua vocazione, ma la mia quale sarà? Cara Francesca, san Paolo fa presente che la vocazione cristiana, che può essere vissuta in modo differente da una persona all'altra, ha un unico scopo: servire Gesù Cristo e la sua Chiesa. Il modo poi per giungere a questo scopo, lo stabilisce Gesù attraverso una sua chiamata specifica, rispettando in ognuno di noi le naturali doti umane. Alcuni li chiama a servirlo come apostoli, altri come profeti, altri ancora come maestri, ecc. Tutti -dice san Paolo- facendo parte del Corpo di Cristo, devono agire secondo il dono ricevuto” (cf. 1Cor 12,27-28). Spesso, quando sentiamo nominare la parola “Vocazione”, siamo portati a pensare alla scelta che fanno i religiosi o i sacerdoti. Devi sapere che“Vocazione” è un termine modulato sul verbo latino “vocare”= chiamare, è quanto afferma il biblista G. Ravasi. Pertanto il termine sta ad indicare l'esperienza di una missione voluta da Dio: Dio chiama a compiere una missione nel mondo per la propria e altrui salvezza. E la prima chiamata di Dio per ognuno di noi è la santificazione personale, come ci ricorda san Paolo: “Dio ci ha chiamati alla santità”; “questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione!” (1Ts. 4,7; 4,3). Da questo capisci che la chiamata divina non si riduce a un solo tipo di vocazione. Infatti, una delle prime strade indicate da Dio alla santità è stata quella del matrimonio.

Il matrimonio
Un sacramento che, non capisco perché, non venga mai trattato nelle aule di catechismo, è il matrimonio. L'amore umano che si realizza tra un uomo e una donna, non viene mai considerato come una possibilità di santificazione, ma è quell'amore che in fin dei conti è stato voluto da Dio per proseguire la sua opera creatrice: “E Dio disse: non è bene che l'uomo sia Solo... e formò la donna e la condusse all'uomo. E Dio aggiunse: Perciò l'uomo lascerà suo padre e Sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una cosa sola” (Gn. 2,18-21). Se leggi la storia del popolo di Israele, puoi scoprire che il rapporto di comunione che Dio ha voluto instaurare col suo popolo, si basa sostanzialmente sull'amore coniugale. Apri ad esempio il capitolo 16 del profeta Ezechiele, che ha come titolo: “La sposa infedele”, e vedrai se non è vero quanto ti stia dicendo. Da questo capitolo potrai capire perché Gesù non ammetta il divorzio, perché per Lui l'amore sponsale rispecchia l'amore divino nei riguardi delle creature: un amore eterno e non momentaneo. Per cui, cara Francesca, ci si può santificare benissimo attraverso il sacramento sponsale.
Paternità e maternità
Alla vocazione sponsale segue subito quella della paternità e maternità. “E Dio disse -alla prima coppia da Lui unita: Prolificate, moltiplicatevi, riempite la terra e assoggettatela” (Gn. 1,28). Dio non chiede alla prima coppia solo di prolificare, ma anche di “assoggettare”, dominare nel senso di guidare, educare, curare i doni da Lui ricevuti. E questo avendo sempre presente l'agire paterno di Dio. Infatti Dio non solo si presenta come creatore del suo popolo: “Io il Signore che ha creato Israele” (Is. 43, 15; 54,5), ma si presenta anche come Padre: “Va dal faraone e digli -disse a Mosè: Così dice il Signore: “Israele è mio figlio, il mio primogenito. Ora io ti dico: Lascia partire il mio figlio, perché mi serva” (Es. 4,22-23). Inoltre Egli si presenta come Pastore, guida, educatore del suo popolo. “Fece partire come gregge il suo popolo e li guidò come branchi nel deserto. Li condusse sicuri e senza paura e i loro nemici li sommerse il mare” (Sl. 77,52-53). Affermava papa Giovanni Paolo II: “I giovani che si drogano, altro non sono che degli orfani in cerca di un padre perduto”. Ti sei mai chiesta, Francesca, perché ci siano tanti figli che picchiano e uccidono i propri genitori? Forse qualche genitore deve aver mancato alla chiamata divina della paternità e maternità. Ho sempre presente il rimprovero che Maria fece a Gesù dodicenne davanti ai dottori nel Tempio, quando mi trovo davanti a genitori incapaci di educare i propri figli: “Figlio, perché ti sei fermato a Gerusalemme a dialogare con i dottori nel Tempio, senza avvisare i tuoi genitori? Mettendoci in angoscia nel cercarti?” (Lc. 2,48). E l'Evangelista aggiunge, subito dopo questo rimprovero di Maria al figlio: “Poi Gesù scese con essi, andò a Nazareth e stava con loro sottomesso” (vr. 51).
Politico e amministratore
Prima di scegliere un re, come guida del suo popolo, Dio aveva scelto dei giudici. L'ultimo di questi fu Samuele, che governò Israele fino all'esaurimento delle forze fisiche. Dopo aver consacrato Saul come re, scelto da DiO a sostituirlo, Samuele radunò tutto il popolo per lasciarsi giudicare sulla condotta avuta come amministratore: “Eccomi qua: giudicatemi davanti a Dio. A chi ho portato via il bue? A chi ho portato via l'asino? A chi ho fatto un torto o usato violenza? Da chi ho accettato ricompensa per chiudere gli occhi a suo riguardo? Accusatemi, e io vi risponderò”. Disse il popolo: “Non hai fatto torto né violenza a nessuno; a nessuno hai tolto qualcosa”. E Samuele disse: “Dio è testimone che non avete trovato niente nelle mie mani” (1Sm. 12,3-5). Amministrare il bene comune, praticare la giustizia, scendere in politica è una vocazione: una chiamata divina alla santificazione per aiutare il popolo di Dio a divenire santo. Quanti politici, quanti amministratori della cosa pubblica e della giustizia che si definiscono cristiani, al termine del loro mandato, hanno il coraggio di presentarsi davanti ai loro elettori come si è presentato il giudice Samuele davanti al suo popolo e di chiamare Dio come testimone del loro onesto agire?
Consacrato
Tra le tante chiamate divine c'è anche quella di seguire Gesù che scelse di rinunciare al matrimonio, di vivere distaccato dai beni di questo mondo e dedicarsi totalmente alla diffusione del Vangelo. Disse Cristo a Pietro, sulla riva del lago di Tiberiade: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di questi che ora ti circondano? Mi ami tu più di quanto ami tua moglie, i tuoi figli e i tuoi genitori? Mi ami tu più della tua vita? Ed egli rispose per la terza volta: “Sì, o Signore, tu lo sai che io ti amo”. E Gesù gli disse: “Seguimi!” (Gv 21,1519). La scelta di consacrarsi totalmente alla causa del Vangelo non è una chiamata che Gesù fa ai primi della classe ma è da attribuirsi alla fantasia di Dio che San Paolo sottolinea nella sua lettera ai cristiani di Roma: “Dio sceglie liberamente senza riguardo alle opere, ma per puro volere di Colui che chiama” (cf. Rm. 9,11-12). “Gesù non chiama quelli che sono degni, bensì chi vuole Lui”, è quanto scrisse la piccola Teresa di Lisieux a riguardo della vocazione dei consacrati sia al sacerdozio come alla vita religiosa. Nel Vangelo di Marco puoi leggere di un tale posseduto dal demonio che, dopo essere stato liberato, chiese a Gesù di poter restare presso di Lui: “Gesù non glielo permise, ma gli disse: “Va’ a casa tua, presso i tuoi, e annunzia loro quanto ha fatto il Signore per te, e come ha avuto pietà di te” (Mc. 5,18-19). Vedi, cara Francesca, quante strade Dio, da buon Architetto, ha saputo creare per venire incontro alle nostre attitudini e capacità per aiutarci a incontrarlo e servirlo su questa terra? So che tra le tante chiamate alla santità, alla fine hai scelto quella del matrimonio. Ringrazia il Signore di questo dono che ti ha fatto e pregalo, affinché custodisca te e il tuo sposo, perché possiate giungere uniti al suo cospetto ed essere da Lui accolti nell'eternità. Ti Saluto.
padre Basilio Martin





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