Cara
Francesca, un giorno venisti a trovarmi, accompagnata da tuo papà,
perché cercavi di capire cosa Dio volesse da te e per te. Da tempo,
con i tuoi amici, ti eri impegnata, oltre nelle attività
dell'oratorio cittadino, in quelle dell'organizzazione Mato Grosso
per raccogliere fondi a favore delle povere comunità cristiane del
Perù, che venivano seguite da alcuni sacerdoti di tua conoscenza. In
quel periodo la tua anima si domandava: “Per servire Gesù, occorre
farsi suora? Partire per terre lontane ad aiutare i poveri?
Consacrarsi per tutta le vita alla causa delle persone malate?”.
Domande che tutti indistintamente ci siamo posti all'alba dell’età
della consapevolezza.
Chiese
una volta il discepolo al suo padre spirituale, Nestorio: -“Abba,
qual è l'opera buona gradita a Dio che io posso compiere?”. E
l'Abba rispose: -“Non sono forse tutte uguali le opere? La
Scrittura dice che Abramo era ospitale (Gn. 18,1 ss), e Dio era con
lui; Elia amava la quiete (1 Re 17,5), e Dio era con lui; Davide era
umile (1Sm. 18,23), e Dio era con lui. Quel che vedi che la tua anima
desidera secondo Dio, fallo, e custodisci il tuo cuore”. Un
sacerdote russo affermava: “Ciò che bisogna fare è sforzarsi di
raggiungere la pace dell'anima, poiché da questa pace l'anima
capisce qual è la sua vocazione”. Io, tempo fa, non vivevo più
serenamente a causa del passaggio di pellegrini diretti ad Assisi che
continuamente mi importunavano con le richieste più disparate:
visitare l'eremo, avere del cibo, dell'acqua, il pernottamento, ecc.
Nel pieno dell'esasperazione andai un giorno dal mio confessore a
confidargli l'intenzione di lasciare l'eremo, perché esasperato
soprattutto dai comportamenti che nulla avevano a che fare con lo
spirito francescano del peregrinare. Dopo avermi ascoltato in totale
silenzio religioso, mi disse: “La vocazione non sei tu a fartela,
ma è Dio che te la dà. Il compito tuo è solo quello di capirla e
gestirla”. Ci meditai su, e accantonai la decisione presa in
precedenza. Rimasi all'eremo, fissando però delle regole di
comportamento da far osservare ai pellegrini, così da salvaguardare
la mia scelta di vita eremitica. Capii così quale fosse la mia
vocazione, cosa volesse il Signore da me. Fu lecito perciò che tu mi
domandasti: questa è la tua vocazione, ma la mia quale sarà? Cara
Francesca, san Paolo fa presente che la vocazione cristiana, che può
essere vissuta in modo differente da una persona all'altra, ha un
unico scopo: servire Gesù Cristo e la sua Chiesa. Il modo poi per
giungere a questo scopo, lo stabilisce Gesù attraverso una sua
chiamata specifica, rispettando in ognuno di noi le naturali doti
umane. Alcuni li chiama a servirlo come apostoli, altri come profeti,
altri ancora come maestri, ecc. Tutti -dice san Paolo- facendo parte
del Corpo di Cristo, devono agire secondo il dono ricevuto” (cf.
1Cor 12,27-28). Spesso, quando sentiamo nominare la parola
“Vocazione”, siamo portati a pensare alla scelta che fanno i
religiosi o i sacerdoti. Devi sapere che“Vocazione” è un termine
modulato sul verbo latino “vocare”= chiamare, è quanto afferma
il biblista G. Ravasi. Pertanto il termine sta ad indicare
l'esperienza di una missione voluta da Dio: Dio chiama a compiere una
missione nel mondo per la propria e altrui salvezza. E la prima
chiamata di Dio per ognuno di noi è la santificazione personale,
come ci ricorda san Paolo: “Dio ci ha chiamati alla santità”;
“questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione!” (1Ts.
4,7; 4,3). Da questo capisci che la chiamata divina non si riduce a
un solo tipo di vocazione. Infatti, una delle prime strade indicate
da Dio alla santità è stata quella del matrimonio.
Il
matrimonio
Un
sacramento che, non capisco perché, non venga mai trattato nelle
aule di catechismo, è il matrimonio. L'amore umano che si realizza
tra un uomo e una donna, non viene mai considerato come una
possibilità di santificazione, ma è quell'amore che in fin dei
conti è stato voluto da Dio per proseguire la sua opera creatrice:
“E Dio disse: non è bene che l'uomo sia Solo... e formò la donna
e la condusse all'uomo. E Dio aggiunse: Perciò l'uomo lascerà suo
padre e Sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una
cosa sola” (Gn. 2,18-21). Se leggi la storia del popolo di Israele,
puoi scoprire che il rapporto di comunione che Dio ha voluto
instaurare col suo popolo, si basa sostanzialmente sull'amore
coniugale. Apri ad esempio il capitolo 16 del profeta Ezechiele, che
ha come titolo: “La sposa infedele”, e vedrai se non è vero
quanto ti stia dicendo. Da questo capitolo potrai capire perché Gesù
non ammetta il divorzio, perché per Lui l'amore sponsale rispecchia
l'amore divino nei riguardi delle creature: un amore eterno e non
momentaneo. Per cui, cara Francesca, ci si può santificare benissimo
attraverso il sacramento sponsale.
Paternità
e maternità
Alla
vocazione sponsale segue subito quella della paternità e maternità.
“E Dio disse -alla prima coppia da Lui unita: Prolificate,
moltiplicatevi, riempite la terra e assoggettatela” (Gn. 1,28). Dio
non chiede alla prima coppia solo di prolificare, ma anche di
“assoggettare”, dominare nel senso di guidare, educare, curare i
doni da Lui ricevuti. E questo avendo sempre presente l'agire paterno
di Dio. Infatti Dio non solo si presenta come creatore del suo
popolo: “Io il Signore che ha creato Israele” (Is. 43, 15; 54,5),
ma si presenta anche come Padre: “Va dal faraone e digli -disse a
Mosè: Così dice il Signore: “Israele è mio figlio, il mio
primogenito. Ora io ti dico: Lascia partire il mio figlio, perché mi
serva” (Es. 4,22-23). Inoltre Egli si presenta come Pastore, guida,
educatore del suo popolo. “Fece partire come gregge il suo popolo e
li guidò come branchi nel deserto. Li condusse sicuri e senza paura
e i loro nemici li sommerse il mare” (Sl. 77,52-53). Affermava papa
Giovanni Paolo II: “I
giovani che si drogano, altro non sono che degli orfani in cerca di
un padre perduto”.
Ti sei mai chiesta, Francesca, perché ci siano tanti figli che
picchiano e uccidono i propri genitori? Forse qualche genitore deve
aver mancato alla chiamata divina della paternità e maternità. Ho
sempre presente il rimprovero che Maria fece a Gesù dodicenne
davanti ai dottori nel Tempio, quando mi trovo davanti a genitori
incapaci di educare i propri figli: “Figlio, perché ti sei fermato
a Gerusalemme a dialogare con i dottori nel Tempio, senza avvisare i
tuoi genitori? Mettendoci in angoscia nel cercarti?” (Lc. 2,48). E
l'Evangelista aggiunge, subito dopo questo rimprovero di Maria al
figlio: “Poi Gesù scese con essi, andò a Nazareth e stava con
loro sottomesso” (vr. 51).
Politico
e amministratore
Prima
di scegliere un re, come guida del suo popolo, Dio aveva scelto dei
giudici. L'ultimo di questi fu Samuele, che governò Israele fino
all'esaurimento delle forze fisiche. Dopo aver consacrato Saul come
re, scelto da DiO a sostituirlo, Samuele radunò tutto il popolo per
lasciarsi giudicare sulla condotta avuta come amministratore: “Eccomi
qua: giudicatemi davanti a Dio. A chi ho portato via il bue? A chi ho
portato via l'asino? A chi ho fatto un torto o usato violenza? Da chi
ho accettato ricompensa per chiudere gli occhi a suo riguardo?
Accusatemi, e io vi risponderò”. Disse il popolo: “Non hai fatto
torto né violenza a nessuno; a nessuno hai tolto qualcosa”. E
Samuele disse: “Dio è testimone che non avete trovato niente nelle
mie mani” (1Sm. 12,3-5). Amministrare il bene comune, praticare la
giustizia, scendere in politica è una vocazione: una chiamata divina
alla santificazione per aiutare il popolo di Dio a divenire santo.
Quanti politici, quanti amministratori della cosa pubblica e della
giustizia che si definiscono cristiani, al termine del loro mandato,
hanno il coraggio di presentarsi davanti ai loro elettori come si è
presentato il giudice Samuele davanti al suo popolo e di chiamare Dio
come testimone del loro onesto agire?
Consacrato
Tra
le tante chiamate divine c'è anche quella di seguire Gesù che
scelse di rinunciare al matrimonio, di vivere distaccato dai beni di
questo mondo e dedicarsi totalmente alla diffusione del Vangelo.
Disse Cristo a Pietro, sulla riva del lago di Tiberiade: “Simone di
Giovanni, mi ami tu più di questi che ora ti circondano? Mi ami tu
più di quanto ami tua moglie, i tuoi figli e i tuoi genitori? Mi ami
tu più della tua vita? Ed egli rispose per la terza volta: “Sì, o
Signore, tu lo sai che io ti amo”. E Gesù gli disse: “Seguimi!”
(Gv 21,1519). La scelta di consacrarsi totalmente alla causa del
Vangelo non è una chiamata che Gesù fa ai primi della classe ma è
da attribuirsi alla fantasia di Dio che San Paolo sottolinea nella
sua lettera ai cristiani di Roma: “Dio sceglie liberamente senza
riguardo alle opere, ma per puro volere di Colui che chiama” (cf.
Rm. 9,11-12). “Gesù non chiama quelli che sono degni, bensì chi
vuole Lui”, è quanto scrisse la piccola Teresa di Lisieux a
riguardo della vocazione dei consacrati sia al sacerdozio come alla
vita religiosa. Nel Vangelo di Marco puoi leggere di un tale
posseduto dal demonio che, dopo essere stato liberato, chiese a Gesù
di poter restare presso di Lui: “Gesù non glielo permise, ma gli
disse: “Va’ a casa tua, presso i tuoi, e annunzia loro quanto ha
fatto il Signore per te, e come ha avuto pietà di te” (Mc.
5,18-19). Vedi, cara Francesca, quante strade Dio, da buon
Architetto, ha saputo creare per venire incontro alle nostre
attitudini e capacità per aiutarci a incontrarlo e servirlo su
questa terra? So che tra le tante chiamate alla santità, alla fine
hai scelto quella del matrimonio. Ringrazia il Signore di questo dono
che ti ha fatto e pregalo, affinché custodisca te e il tuo sposo,
perché possiate giungere uniti al suo cospetto ed essere da Lui
accolti nell'eternità. Ti Saluto.
padre
Basilio Martin
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