Cos'è l'amore? Non
si tratta di essere sentimentali: bisogna dichiarare guerra al
sentimentalismo così come al razionalismo. Uno dei pregi del canto
gregoriano — a cui sono molto legato — è che mi ha sempre
strappato sia dall'arido razionalismo che dal melenso
sentimentalismo. Ripetere continuamente la parola amore finisce per
diventare un po' stupido e stucchevole.
AMORE = ACCOGLIENZA E
DONO
Comunque mettiate le
cose, l'amore è dono e accoglienza. Il bacio è un bellissimo
simbolo d'amore perché è il segno del dono e dell'accoglienza a un
tempo. Un bacio si da veramente solo se lo si accoglie. Labbra di
marmo, come le labbra di una statua, non possono accogliere un bacio;
è necessario che le labbra siano vive. E labbra vive sono labbra che
accolgono e donano nello stesso tempo. Il bacio è un gesto
bellissimo: proprio per questo non può essere svenduto o dato per
gioco, ma bisogna riservarlo come segno di qualcosa di estremamente
profondo (siamo qui nel cuore di tutto quello che la chiesa pensa in
materia di morale sessuale). Il bacio è lo scambio dei respiri che
significa lo scambio delle nostre profondità: io mi soffio in te, mi
espiro in te e ti aspiro in me in modo tale che io sia in te e che tu
sia in me.
Questo significa che mi
decentro per non essere più centro a me stesso, ma perché ormai il
mio centro sia tu. Sei tu che io amo, il mio centro, io vivo per te e
in forza di te; so che anche tu ti decentri, tu non sei più centro a
te stesso, ma sei centrato su di me. Io sono centrato su di te, vivo
per te. Tu sei centrato su di me, vivi per me ed entrambi viviamo
l'uno per l'altro. Amare significa vivere per l’altro (è il dono)
e vivere in forza dell’altro (è l’accoglienza). Amare significa
rinunciare a vivere in sé, per sé e in forza di sé.
E’ tutto il mistero
della Trinità. Se l'amore è dono e accoglienza, è necessario che
ci siano più persone in Dio. Non ci si dona a se stessi, non ci si
accoglie da soli. La vita di Dio è questa vita di accoglienza e di
dono. Il Padre non è altro che movimento verso il Figlio, egli è
solo in forza del Figlio. Donne, sono i vostri figli che vi fanno
madri; senza di loro non lo sareste. Ora, il Padre non è che
paternità, dunque non è che in grazia del Figlio e per il Figlio.
Il Figlio non è altro che Figlio, dunque non è che per il Padre e
in forza del Padre. E lo Spirito santo è il loro reciproco bacio.
Dal momento che la
vita di Dio è questa vita di accoglienza e di dono, e poiché io
devo diventare ciò che Dio è, non posso volere di essere un uomo
solitario. Se sono un uomo solitario non assomiglio a Dio. E se non
assomiglio a Dio, non potrò condividere eternamente la sua vita.
Questo è ciò che si chiama il peccato: non assomigliare a Dio, non
tendere a diventare ciò che egli è, dono e accoglienza.
Se Dio non è altro
che amore, allora è povero, dipendente, umile. Di primo acchito
questo sembra impossibile e invece c'è una frase di Cristo che
domina tutto e che si deve prendere sul serio! Quando vedo Gesù
inginocchiato ai piedi degli apostoli con un asciugamano che gli
cinge i fianchi, intento a lavare i piedi agli apostoli, proprio in
quel momento lo sento affermare: «Chi vede me, vede il Padre», cioè
«Chi vede me vede Dio» (Gv 14,9). Il paradosso, certo, è molto
forte, e forse potremo sentire la nostra ragione barcollare e
vacillare, ma non posso farci nulla. Dio non si rivela a noi come
l'essere infinito. Il Dio in cui crediamo non è il Dio dei filosofi,
è il Dio rivelato da Gesù Cristo.
Approfondiamo questa
meditazione a partire dalla nostra esperienza umana. Se infatti non
abbiamo nessuna esperienza d'amore non sappiamo quel che diciamo
quando affermiamo che Dio non è altro che amore. Bisogna parlare a
partire dall'esperienza. Altrimenti quello che si afferma rimane
astratto, «paracadutato» dall'alto, e i giovani hanno orrore di ciò
che viene insegnato d'autorità, senza che ci sia un punto di
riferimento nell'esperienza.
POVERTÀ DI DIO
Nella mia esperienza
di uomo vedo che non esiste amore senza povertà. Volete sforzarvi
per qualche istante di immaginare uno sguardo d'amore nel quale non
ci fosse che amore? È molto difficile perché, in ogni sguardo
umano, c'è sempre qualche altra cosa oltre all'amore. Anche nello
sguardo più amorevole c'è sempre uno sguardo su di sé. Io sono
peccatore: questo significa che nel momento stesso in cui ti dico: ti
amo, dovrei aggiungere, se fossi veramente sincero: tuttavia c'è
sempre qualcuno che io preferisco a te; e questo qualcuno sono io.
Ecco il peccato, qualunque sia la forma di cui si riveste. Il peccato
originale consiste nella mia incapacità di amare in modo puro; è
ciò che fa sì che l'altro non sia tutto per me (tutto in senso
assoluto) ; è ciò che fa sì che io non sia puro movimento verso
l'altro (puro in senso stretto), così come nella Trinità il Padre è
puro movimento verso il Figlio, il Figlio puro movimento verso il
Padre e lo Spirito santo è reciprocità, è il dinamismo stesso di
questo movimento.
C'è tuttavia la
possibilità d'immaginare uno sguardo d'amore in cui ci sia soltanto
amore; penso infatti che, nell'esperienza dell'amore umano (si tratti
di amore coniugale, della simpatia fraterna, dell'amore paterno o
materno, della carità e della dedizione agli altri, ecc.) ci sia
abbastanza amore, anche se impregnato di egoismo, da permetterci
di comprendere cosa sia l'amore quando esso è vissuto in Dio, in
totale purezza e in totale pienezza.
Quando un uomo
guarda la sua donna con questo sguardo d'amore in cui non c'è altro
che amore cosa può dirle? Qual è la frase che può pronunciare per
tradurre in linguaggio questo sguardo d'amore? Io non ne vedo che
una: «Tu sei tutto per me, tu sei tutta la mia gioia». E’ una
parola di povertà: se sei tu a essere tutto, io sono nulla. Al di
fuori di te, io sono povero. La mia ricchezza non sta in me, sta in
te. La mia ricchezza sei tu, e io sono povero.
Se questo è già
vero nell'amore umano, come lo è di più quando si tratta di Dio!
Dio è la povertà assoluta; in lui non c'è traccia di avere, di
possesso. Eternamente il Padre dice al Figlio: tu sei tutto per me.
Il Figlio risponde al Padre: tu sei tutto per me. E lo Spirito santo
è il dinamismo stesso di questa povertà. È Dio il più povero di
tutti gli esseri. Se la vostra ragione vacilla davanti a una simile
prospettiva, dite allora: Dio è ricco, ma aggiungete immediatamente:
ricco in amore e non in avere. Ora, essere ricco in amore ed essere
povero è esattamente la stessa cosa. Dio è un infinito di povertà.
La proprietà è il contrario stesso di Dio.
Certo, nella complessità
delle vicende umane, una certa dose di proprietà è necessaria;
colui che non possiede nulla è il barbone. Il guaio è che, se non
possiede nessun avere, farà molta fatica ad essere, e ciò significa
che, quaggiù, l'essere senza avere è impossibile. Per questo la
chiesa dice che c'è un diritto di proprietà: perché l'essere umano
sia, è necessaria una certa dose di avere. Ma in Dio questo non è
assolutamente vero. E noi entreremo in Dio solo quando ci saremo
spogliati di ogni avere. La povertà materiale di Betlemme e di
Nazaret è solo il segno di una povertà molto più profonda. Povertà
immensa di Dio, infinita, assoluta, senza la quale non possiamo
affermare che Dio è amore.
Come siamo lontani da
certe immagini di Dio! Siamo seri: è qui il nucleo della nostra
fede, non sono battute. Ci sono degli atei che non sono seri, ma ci
sono anche dei cristiani non seri. Se ci si vuol collocare nella
giusta prospettiva bisogna confrontare il cristiano serio e l'ateo
serio. E il cristiano serio è colui che afferma la povertà di Dio.
DIPENDENZA DI DIO
Cerchiamo
ancora di immaginare lo sguardo d'amore di una donna sul suo uomo,
uno sguardo in cui ci sia soltanto amore, e procediamo per assurdo.
Questa donna può dire a suo marito: io ti amo, ma sia chiaro che se
i tuoi impegni ti portano in Madagascar, io rimango in Francia. In
altre parole: nel momento stesso in cui ti esprimo il mio amore, ti
affermo anche la mia indipendenza nei tuoi confronti. È evidente
che un simile atteggiamento è impossibile, impensabile. Amare
significa dipendere: ti amo, ti seguirei fino in capo al mondo,
voglio dipendere da te.
D'altronde, in ogni
comunità umana, c'è implicita questa frase: voglio dipendere da
voi. Perché, oggigiorno, tante comunità fioriscono e appassiscono
così rapidamente? Perché manca questa affermazione di reciproca
dipendenza.
Se nell'amore umano
amare significa voler dipendere, questo è vero a maggior ragione di
Dio, in cui l'amore viene vissuto in pienezza. Non dimentichiamo però
il «non è... che», non usciamo cioè dalla sfera dell'amore. Se
Dio non è altro che amore, egli è il più dipendente degli esseri,
è un infinito di dipendenza. Il padre del figlio prodigo dipende dal
figlio; se il figlio non ritorna, piangerà; se torna, sarà nella
gioia (Lc 15).
Stiamo attenti ad
un'ambiguità da chiarire ed eliminare, perché ci sono due tipi di
dipendenza: è il bambino che dipende dalla mamma o è la mamma che
dipende dal bambino? Sul piano dell'essere e della vita è il bambino
che dipende dalla madre ma, sul piano dell'amore, non è forse la
madre che dipende dal bambino? La dipendenza del bambino dalla madre
è estranea all'amore, alla libertà. Se la mamma non è presente per
dargli il seno avrà fame, naturalmente. Ma, nell'amore, è la madre
che dipende dal suo bambino a cui dice: tu sei tutta la mia gioia. E
se il piccolo respira male, se è malato, se il medico è
preoccupato, la mamma non vive più, tanto dipende da suo figlio. Dio
è il più dipendente di tutti gli esseri, dipendenza nell'amore, non
nell'essere.
UMILTÀ DI DIO
Dio è umile, il più
umile di tutti gli esseri. E non è umile solo Gesù a cui diciamo:
«Gesù, mite e umile di cuore, rendi il mio cuore simile al tuo»;
lo è anche Dio, nella sua profondità. Prevengo subito un
fraintendimento: Dio non è umile nel senso che sarebbe bisognoso o
debole. Noi invece siamo umili riconoscendo di essere poveri uomini.
Ma non è assolutamente in questo senso che Dio è umile; lo è
invece nel senso che l'amore non può guardare dall'alto in basso.
Anche qui partiamo
dall'esperienza dell'amore umano. Credete che sia possibile che un
uomo, nell'atto stesso di amare, dica alla sua donna: «Ti amo, ma
non dimenticare che sono superiore a te, sono cattedratico di
filosofia e di scienze, mentre tu non sei che una piccola sartina con
il suo diplomino di scuola media»? Credete che questo sia ancora
amore? uno sguardo fatto cadere dall'alto può essere uno sguardo
d'amore? Certamente no. Bisogna riflettere su questo, e ci vuole
tempo, ci vuole tutta una vita per capire soltanto un po' cosa sia
l'amore; ed è proprio questa la vita cristiana.
Quando Gesù lava i
piedi agli apostoli la sera del giovedì santo, li guarda dal basso
in alto; e proprio in quel momento ci dice di essere Dio. Noi
cerchiamo Dio nella luna quando invece sta lavandoci i piedi. La
lavanda dei piedi è una lezione d'amore fraterno, certo, ma più
profondamente è una rivelazione, uno svelamento di ciò che Dio è.
Dio non può che mettersi in basso; altrimenti non possiamo dire che
Dio è amore. Girate le cose come volete: non ne uscirete. L'umiltà
di Dio è la profondità stessa di Dio.
Mi direte: ma
insomma. Dio è più grande di noi! Certo, più grande in amore,
poiché egli non è altro che amore. Quindi, in umiltà Dio è più
grande di noi: noi non riusciremo mai ad essere umili come lo è Dio.
Il Dio in cui crediamo è infinitamente umile; in altre parole si è
spogliato di qualsiasi prestigio. Il prestigio costituisce sempre
l'inessenziale. C'è in noi un certo bisogno di prestigio, di
lustrini, di artificioso che non esiste in Dio. Dio è la pienezza
dell'umiltà.
Sento tutti questi
giovani che fanno fatica a sopportare le parole della liturgia: «Tuo
è il regno, la potenza e la gloria», e li capisco bene. Io non dico
che bisogna sopprimere queste parole: esse infatti fanno parte della
tradizione e hanno un loro significato. Ma bisogna capire che il
cuore della gloria è l'umiltà, senza la quale l’amore non è vero
amore. L'amore che è solo amore non cade mai dall'alto. Non esiste
sguardo d'amore che sia uno sguardo dall'alto in basso. Chinarsi sul
popolo non significa amare il popolo. Chinarsi su un bambino non vuol
dire amare un bambino. Dio non si china dall'alto.
Nel cuore stesso di
Dio esiste una potenza di nascondimento di sé. Secondo voi ci vuole
più potenza per mettersi in evidenza o per nascondersi? La mia
esperienza personale mi dice che ci vuole molta più potenza per
nascondersi. Ora, se Dio è onnipotente e se io posso capire qualcosa
di questa potenza solo a partire dalla mia esperienza, posso
concludere che Dio è un'infinita potenza di nascondimento di sé.
Vedete allora cosa
diventa l'adorazione! Vi lascio su questa immagine: pensate a una
ragazzina semplice, una contadina di quindici anni. Immaginate un don
Giovanni che la vede, la trova bella e vuole sedurla. Viene a sapere
che si chiama Maria e che abita a Nazaret. Più le si avvicina, e più
avverte che da lei emana una maestà contro cui si sbriciolano tutti
i tentativi di seduzione. E’ una maestà davanti alla quale non si
può fare altro che inchinarsi; e il seduttore cade in ginocchio
davanti alla maestosa umiltà di questa ragazzina con lo scialletto
di lana. Per sapere chi è Dio vado avanti nella stessa direzione e,
a quel punto, arrivo a Dio: come siamo lontani da Giove, dal
paternalismo e dal trionfalismo! È questo il Dio che Gesù Cristo ci
rivela.
da GIOIA
DI CREDERE di (François Varillon)
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