domenica 6 aprile 2014

“Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (Gv 11, 21.32). GIOVANNI PAOLO II


Queste parole, che avete sentito leggere nel Vangelo della messa odierna, sono pronunciate prima da Marta, poi da Maria, le due sorelle di Lazzaro, e sono rivolte a Gesù di Nazaret, che era amico loro e del fratello.
L’odierna liturgia presenta alla nostra attenzione il tema della morte. Questa è ormai la quinta domenica di Quaresima e si avvicina il tempo della passione di Cristo. Il tempo della morte e della risurrezione. Oggi guardiamo a questo fatto attraverso la morte e la risurrezione di Lazzaro. Nella missione messianica di Cristo questo evento sconvolgente serve di preparazione alla Settimana santa e alla Pasqua.
2. “. . . mio fratello non sarebbe morto”.
Risuona in queste parole la voce del cuore umano, la voce di un cuore che ama e che dà testimonianza di ciò che è la morte. Continuamente sentiamo parlare di morte e leggiamo notizie circa la morte di diverse persone. Esiste una sistematica informazione su questo tema. Esiste anche la statistica della morte. Sappiamo che la morte è un fenomeno comune e incessante. Se ogni giorno muoiono sul globo terrestre circa 145.000 persone, si può dire che ad ogni istante muoiono delle persone. La morte è un fenomeno universale e un fatto ordinario. L’universalità e la normalità del fatto confermano la realtà della morte, l’inevitabilità della morte, ma, al tempo stesso, cancellano in un certo senso la verità sulla morte, la sua penetrante eloquenza.
Non basta qui il linguaggio delle statistiche. È necessaria la voce del cuore umano: la voce di una sorella, come nell’odierno Vangelo, la voce di una persona che ama. La realtà della morte può essere espressa in tutta la sua verità solo col linguaggio dell’amore.
L’amore infatti resiste alla morte, e desidera la vita . . .
Ognuna delle due sorelle di Lazzaro non dice “mio fratello è morto”, ma dice: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”.
La verità sulla morte può essere espressa solamente a partire da una prospettiva di vita, da un desiderio di vita: cioè dalla permanenza nella comunione amorosa di una persona.
La verità sulla morte viene espressa nell’odierna liturgia in rapporto con la voce del cuore umano.
3. Contemporaneamente essa viene espressa in rapporto con la missione di Cristo, il redentore del mondo.
Gesù di Nazaret era amico di Lazzaro e delle sue sorelle. La morte dell’amico si è fatta sentire anche nel suo cuore con un’eco particolare. Quando giunse a Betania, quando udì il pianto delle sorelle e di altre persone affezionate al defunto, Gesù “si commosse profondamente, si turbò”, e in questa disposizione interiore chiese: “Dove l’avete posto?” (Gv 11, 33).
Gesù di Nazaret è al tempo stesso il Cristo, colui che il Padre ha mandato al mondo: è l’eterno testimone dell’amore del Padre. È il definitivo Portavoce di questo amore di fronte agli uomini. È in un certo senso l’Ostaggio di esso riguardo a ciascuno e a tutti. In lui e per lui l’eterno amore del Padre si conferma e compie nella storia dell’uomo, si conferma e compie in modo sovrabbondante.
E l’amore si oppone alla morte e vuole la vita.
La morte dell’uomo, fin da Adamo, si oppone all’amore: si oppone all’amore del Padre, il Dio della vita.
La radice della morte è il peccato, il quale pure si oppone all’amore del Padre. Nella storia dell’uomo la morte è unita al peccato e come il peccato si oppone all’amore.
4. Gesù Cristo è venuto nel mondo per redimere il peccato dell’uomo; ogni peccato che è radicato nell’uomo. Per questo egli si è posto di fronte alla realtà della morte; la morte infatti è unita al peccato nella storia dell’uomo: è frutto del peccato. Gesù Cristo divenne il redentore dell’uomo mediante la sua morte in croce, la quale è stata il sacrificio che ha riparato ogni peccato.
In questa sua morte Gesù Cristo ha confermato la testimonianza dell’amore del Padre. L’amore che resiste alla morte, e desidera la vita, si è espresso nella risurrezione di Cristo, di colui che, per redimere i peccati del mondo, liberamente accettò la morte sulla croce.
Questo evento si chiama Pasqua: il mistero pasquale. Ogni anno ci prepariamo ad essa mediante la Quaresima, e l’odierna domenica ci mostra ormai da vicino questo mistero, nel quale si sono rivelati l’amore e la potenza di Dio, poiché la vita ha riportato la vittoria sulla morte.
5. Ciò che è avvenuto a Betania presso il sepolcro di Lazzaro, fu quasi l’ultimo annuncio del mistero pasquale.
Gesù di Nazaret si fermò accanto al sepolcro del suo amico Lazzaro, e disse: “Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11, 43). Con queste parole, piene di potenza, Gesù lo risuscitò alla vita e lo fece uscire dalla tomba.
Prima di compiere questo miracolo, Cristo “alzò gli occhi e disse: "Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato"” (Gv 11, 41-42).
Presso il sepolcro di Lazzaro avvenne un particolare confronto della morte con la missione redentrice di Cristo. Cristo era il testimone dell’eterno amore del Padre, di quell’amore che resiste alla morte e desidera la vita. Risuscitando Lazzaro, rese testimonianza a quest’amore. Rese anche testimonianza all’esclusiva potenza di Dio sulla vita e sulla morte.
Al tempo stesso, presso la tomba di Lazzaro, Cristo fu il profeta del suo proprio mistero: del mistero pasquale, nel quale la morte redentrice sulla croce divenne la sorgente della nuova vita nella risurrezione.
GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 8 aprile 1984


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