Sin dalle
origini della Chiesa, si incontrano testimonianze che mostrano come
la Celebrazione Eucaristica esiga necessariamente una preparazione
previa, non solo da parte del sacerdote celebrante, bensì di tutto
il popolo fedele (cf. J.A. Jungmann, Missarum sollemnia, p.
227). A questo riguardo, afferma Guardini: «A mio avviso la vita
liturgica inizia con il silenzio. Senza di esso tutto appare inutile
e vano […]. Il tema del silenzio è molto serio, molto importante e
purtroppo molto trascurato. Il silenzio è il primo presupposto di
ogni azione sacra» (Il testamento di Gesù, p. 33).
La Institutio
Generalis Missalis Romani (IGMR) nella editio typica tertia
include per la prima volta al n. 45 un riferimento a ciò che precede
la celebrazione: «Anche prima della stessa celebrazione è bene
osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia e nel luogo dove si
assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano
prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione».
Pertanto,
conviene che tutti osservino il silenzio: sia il celebrante, che in
questo momento preparatorio deve ricordarsi di nuovo che si mette a
disposizione di Colui che «è morto per tutti, perché quelli che
vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e
risorto per loro» (2Cor
5,15); sia i fedeli che, prima che inizi la celebrazione, devono
prepararsi per l’incontro con il loro Signore. Cristo non li
convoca solo per parlare loro della sua futura Passione, morte e
risurrezione; bensì il suo mistero pasquale si fa realmente presente
nella Santa Messa, perché possano partecipare di Lui.
In questa
linea, annota il Catechismo della Chiesa Cattolica: «L’assemblea
deve prepararsi ad incontrare il suo Signore, essere un popolo ben
disposto. Questa preparazione dei cuori è opera comune dello Spirito
Santo e dell’assemblea, in particolare dei suoi ministri. La grazia
dello Spirito Santo cerca di risvegliare la fede, la conversione del
cuore e l’adesione alla volontà del Padre. Queste disposizioni
sono il presupposto per l’accoglienza delle altre grazie offerte
nella celebrazione stessa e per i frutti di vita nuova che essa è
destinata a produrre in seguito» (n. 1098).
In questo
contesto di preparazione alla celebrazione, i ministri hanno un ruolo
imprescindibile ed il silenzio occupa un luogo preminente. Silenzio
che non è una semplice pausa, nella quale ci assalgono mille
pensieri e desideri, bensì quel raccoglimento che ci dà pace
interiore, che ci permette di riprendere respiro e che svela ciò che
è vero. Ma perché il silenzio è parte della celebrazione? In primo
luogo perché esso favorisce il clima di preghiera che deve
caratterizzare qualunque azione liturgica. La celebrazione è
preghiera, dialogo con Dio, e il silenzio è il luogo privilegiato
della rivelazione di Dio. La permanenza nel deserto, ed il silenzio
che spontaneamente viene evocato da questa immagine, segnano tutta la
relazione tra Israele e il suo Signore. La sagrestia e la navata
della chiesa, nei momenti che precedono la celebrazione, dovrebbero
essere quel luogo deserto nel quale Gesù si ritira prima degli
avvenimenti più importanti. Il deserto è il luogo di silenzio,
della solitudine; esso suppone un allontanarsi, l’abbandonare per
un momento le occupazioni quotidiane, il rumore, la superficialità.
Come ricordava
il cardinale Ratzinger, predicando gli esercizi spirituali a Giovanni
Paolo II, «tutte le cose grandi iniziano nel deserto, nel silenzio,
nella povertà. Non si può partecipare alla missione di Gesù, alla
missione del Vangelo, senza partecipazione all’esperienza del
deserto, della sua povertà, della sua fame […]. Chiediamo al
Signore che ci conduca, che ci faccia trovare quel silenzio profondo
in cui abita la sua parola»(Il cammino pasquale, p. 10).
In secondo
luogo, la presenza del silenzio nell’azione liturgica si deve al
fatto che l’incontro con Dio si rende possibile e anche richiede
uno spirito di conversione continua, che deve caratterizzare la vita
di ogni fedele. Il silenzio è perciò l’ambiente adeguato affinché
tale processo di trasformazione abbia luogo. Di fatto, «non ci si
può aspettare una partecipazione attiva alla Liturgia Eucaristica,
se ci si accosta ad essa superficialmente, senza prima interrogarsi
sulla propria vita. Favoriscono tale disposizione interiore, ad
esempio, il raccoglimento ed il silenzio, almeno qualche istante
prima dell’inizio della liturgia, il digiuno e, quando necessario,
la confessione sacramentale. Un cuore riconciliato con Dio abilita
alla vera partecipazione» (Benedetto XVI, Sacramentum
Caritatis, n. 55).
Come sempre,
dobbiamo “specchiarci” in Gesù: Egli cerca il silenzio per
entrare in dialogo con il Padre suo: «Al mattino presto si alzò
quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e
là pregava» (Mc
1,35). Per questo, «dobbiamo confessare che abbiamo tutti bisogno di
questo silenzio carico di presenza adorata» (Giovanni Paolo II,
Orientale
Lumen, n. 16). Ne
ha bisogno ogni individuo, sacerdote o fedele laico, che spesso non
riesce a fare silenzio per paura di incontrare se stesso, di
scoprirsi, di sentire il vuoto che si trasforma in domanda di senso.
Ne ha bisogno anche la comunità riunita, per saper lasciare spazio
alla presenza di Dio, evitando così di celebrare se stessa. In una
società che vive in modo sempre più frenetico, spesso stordita dai
rumori e dispersa nell’effimero, è di vitale importanza riscoprire
il valore del silenzio.
Il sacro
silenzio dovrebbe essere osservato anche al termine della
celebrazione. Come ricorda la IGMR ancora al n. 45, il silenzio dopo
la comunione favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica.
E appare logico che lo stesso silenzio che precede e prepara la Messa
conduca al silenzio che ringrazia e prolunga nelle opere ciò che si
è vissuto in essa. Si comprende allora perché san Josemaría
Escrivá de Balaguer ci ricordi: «L’amore per Cristo, che si offre
per noi, ci fa trovare, al termine della Messa, alcuni minuti per un
ringraziamento personale, intimo, che prolunghi nel silenzio del
cuore l’azione di grazie dell’Eucaristia. [...] Se si vive bene
la Messa, come è possibile poi, per tutto il resto del giorno, non
avere il pensiero in Dio, non aver la voglia di restare alla sua
presenza per lavorare come Egli lavorava e amare come Egli amava?»
(È Gesù che passa, nn. 92 e 154).
Dal
sito http://www.vatican.va/
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