Gv 10, 1-18
Questa similitudine disse loro Gesù, ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
Noi il più delle volte non capiamo le parole di Gesù, perché Gesù ci parla di cose più grandi di noi, perché Gesù con le sue parabole si propone di farci conoscere i misteri del Regno dei Cieli (Mt 13, 11). Noi che siamo più che altro attaccati alle cose della terra e poco familiari con quelle del cielo, facciamo molta fatica a capirLo. E facciamo anche fatica a capirLo perché nella nostra mente c'è poca luce e molta confusione. Allora Gesù, che ci vuole bene, racconta delle storie in cui ci sono cose che riusciamo a capire; queste sono simili ad altre che non riusciamo ancora a capire, ci aiuta così a compiere il passaggio dalle cose che conosciamo a quelle che non conosciamo.
Un altro motivo per cui Gesù parla spesso in parabole è per nascondere i
misteri o i tesori del Regno a coloro che non meritano che vengano loro
manifestati (Mt 13, 13). Così, quelli che dimostreranno buona volontà
nel cercare di comprendere quanto dice il Signore verranno illuminati,
mentre quelli che non si impegnano, non pregano, non vogliono fare
nessuno sforzo per comprendere la Parola di Dio o, peggio ancora,
disprezzano le cose di Dio, rimarranno nelle tenebre.
Rimane il fatto che il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato non è di
facile comprensione. Il rischio di fare un po' di confusione c'è.
Sant'Agostino, un giorno che doveva spiegare alla sua comunità questo
stesso Vangelo, ha sentito il bisogno di rivolgersi ai suoi ascoltatori
più o meno con queste parole: "Quando avrò spiegato, secondo le mie
forze, queste parole, può darsi che non riesca a farmi capire, o perché
il significato di queste parole è ben nascosto, o perché io non ne ho
capito bene il significato, oppure perché non sono capace di spiegare
quello che ho capito, o infine perché qualcuno di voi ha difficoltà a
capire; chi avrà difficoltà a capire non si scoraggi, creda nelle cose
che non capisce, e il Signore al momento opportuno lo illuminerà".
Il buon Pastore viene a cercare le sue pecore
Potremmo tentare di riassumere l'insegnamento principale del Vangelo che abbiamo ascoltato con queste parole: c'è un pastore buono che vuole venire a cercare le sue pecore per portarle al pascolo; per entrare nell'ovile dove le pecore sono radunate deve passare attraverso una porta e questa deve essergli aperta da un guardiano o portinaio. Quando il guardiano apre, le pecore possono sentire la voce del pastore che chiama ognuna di loro per nome; le pecore che ascoltano la voce del pastore escono dall'ovile e lo seguono. Seguendo il buon pastore, troveranno senz'altro di che sfamarsi. Un'altra cosa importante che viene detta a proposito del pastore è il suo grande amore per le pecore. Esso è tanto grande che sarebbe disposto a morire per difenderle dai nemici.
Questa storia, che tutti siamo in grado di capire, è simile ad un'altra
che invece facciamo molta fatica a comprendere. Quest'altra storia è
quella dell'amore di Dio per ognuno di noi. La parabola allora,
incomincia col dirci a parole quello che Gesù sulla croce ci dirà con i
fatti, vale a dire che Dio è disposto a morire Lui perché possiamo
vivere noi...
Secondo le cose appena dette, e tenendo conto di alcune spiegazioni che
ci dà il Signore stesso, potremmo spiegare la parabola in questo modo:
nonostante le apparenze, nonostante le arie che gli uomini si danno, noi
siamo in questo mondo come pecore senza pastore, ossia non sappiamo
bene dove andare per trovare pascolo, non sappiamo dove andare per
trovare qualche cosa che riempia veramente la nostra vita, che la nutra,
che plachi la nostra fame e sete di amore, di giustizia, di sicurezza,
di verità, di gioia. Inoltre, sempre per il fatto di essere pecore senza
pastore, siamo esposti agli assalti dei ladri, dei briganti e dei lupi,
ossia siamo in balia di chi, per il fatto che siamo deboli e indifesi,
al fine di soddisfare i suoi meschini interessi, cerca di approfittare
di noi. Questi nemici sono poi così crudeli che non esiterebbero a farci
morire.
Conoscendo Dio la nostra debolezza e fragilità, conoscendo i pericoli a
cui andiamo incontro, conoscendo la nostra infelicità, decide di venire
in nostro soccorso, e decide di farlo passando attraverso suo Figlio,
passando attraverso l'incarnazione o l'umanità di suo Figlio, per questo
Gesù afferma: Io sono la porta delle pecore. Come se dicesse: - Io sono la porta attraverso la quale Dio passa per venire a salvare le sue pecore -.
Dio si presenta quindi all'uomo per salvare l'uomo con un volto umano,
il volto di Gesù. Il volto di Gesù quando Gesù era su questa terra in
modo visibile, e il volto dei cristiani da quando la sua presenza su
questa terra non è più visibile ma nascosta. Nell'uno e nell'altro caso
però, manca ancora qualche cosa perché l'incontro fra Dio e l'uomo possa
avvenire. Quello che manca è l'opera del guardiano o portinaio.
Il guardiano o portinaio
Qual è il lavoro di un portinaio?... Aprire le porte. Infatti Gesù dice: Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce. Da notare che il Signore non dice: il guardiano apre ed il buon pastore entra, ma dice: il guardiano apre e le pecore ascoltano. Il buon pastore entra quando le pecore ascoltano, se il guardiano non aprisse, le pecore non potrebbero ascoltare la voce del buon pastore. Il guardiano dunque apre la porta attraverso la quale le pecore possono sentire la voce di Dio. Chi è allora questo guardiano?...
Secondo Sant'Agostino questo portinaio è il Signore stesso, e dimostra
la sua affermazione facendo questo ragionamento: se il Signore non ci
avesse detto chi era la porta, noi, con le nostre forze, saremmo
riusciti a capirlo? Quasi certamente no; allora, come un portinaio apre
una porta, così il Signore ci ha aperto il significato della porta,
dicendoci che la porta è Lui stesso; è il Signore che ci ha aperto il
significato, dunque, è il Signore che è anche portinaio, oltre ad essere
porta e pastore.
Possiamo trovare una conferma a quanto dice S. Agostino, anche
esaminando quanto è successo a San Paolo un giorno che predicava ad un
gruppo di donne nei pressi della città di Filippi. Leggiamo infatti
negli Atti degli Apostoli: C'era ad ascoltare, anche una donna di
nome Lidia, commerciante di porpora della città di Tiatira, una credente
in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo (At 16,14). Questa donna si farà poi battezzare e diventerà cristiana.
Vediamo in questo caso come il Signore, aprendo il cuore di Lidia, ha
aperto anche quella porta che le ha permesso di ascoltare la voce di Dio
attraverso la voce di Paolo; se il Signore non le avesse aperto il
cuore, le parole di Paolo sarebbero state per lei semplicemente umane,
non parole di Dio stesso, e l'incontro con Dio non sarebbe avvenuto;
invece, avendole il portinaio aperto la porta, ha potuto ascoltare la
voce del buon pastore che in quel momento chiamava proprio lei.
Da quanto è stato detto si vede che per ascoltare la Parola di Dio come
parola veramente di Dio, ci vuole una doppia azione: una esterna,
l'altra interna. Quella esterna è l'annuncio o la predicazione della
Parola di Dio, quella interna è Dio che, con la sua grazia, ci fa
aderire, o accogliere, o comprendere le cose che sentono le nostre
orecchie.
Le pecore vengono condotte fuori dal recinto
Questa voce o parola del buon pastore, è una voce e una parola che Dio vuole fare ascoltare ad ognuno di noi; così infatti si esprime il Signore: Egli chiama le sue pecore una per una. E chi ascolta questa voce viene condotto fuori. Fuori da dove? Dal recinto. Per andare dove? Dietro al pastore. Un buon pastore, dove conduce le sue pecore? Le conduce al pascolo. Quello che attende chi segue Gesù è dunque una bella camminata e una bella mangiata. Possiamo pensare alla moltiplicazione dei pani... alla parabola dell'invito al banchetto di nozze... al miracolo dell'acqua che si cambia in vino...
Ma che cosa vuol dire uscire dal recinto? Mentre le pecore rimangono nel
recinto, godono di una certa protezione e di una certa tranquillità -
finché hanno la pancia piena -, ma dopo un po' la fame incomincia a
farsi sentire e lo spazio del recinto incomincia a diventare un po'
stretto, non c'è molta possibilità di movimento in un recinto; si
accorgono poi che le sue mura non sono così sicure, ogni tanto ladri e
briganti irrompono nell'ovile, fanno razzie e seminano la paura.
Questa situazione è simile alla nostra vita in questo mondo. Anche a noi
le quattro mura di questo mondo sembrano offrire, in un primo tempo,
una certa protezione e tranquillità, ma col passare del tempo ed il
maturare della coscienza, ci rendiamo conto che ciò che può offrire
questo mondo non riesce veramente a riempirci la vita, non riesce
veramente a soddisfare la nostra fame e la nostra sete. Se siamo onesti
con noi stessi, dobbiamo riconoscere che rimane, nel profondo del nostro
cuore, un qualche senso di vuoto, una certa insoddisfazione, un
desiderio di qualche cosa d'altro, anche se non sappiamo bene di che
cosa abbiamo bisogno.
Ci sono poi le paure e le insicurezze dovute ai ladri e ai briganti,
quelli che rubano e ci fanno del male nelle cose materiali, e quelli,
assai più pericolosi, che fanno male in vario modo alla nostra anima.
Quello che Gesù vuole dirci allora con questa parabola è questo: se non
ascoltiamo la sua voce, non possiamo uscire dal recinto, ma rimanere
prigionieri in questo recinto significa prima o poi morire per mancanza
di cibo, oppure per le angherie dei ladri e dei briganti; per uscire
però, non c'è altra guida che Lui. Chi invece ascolta la sua voce,
passando attraverso di Lui esce verso una meta che non è più di questo
mondo. Seguendo il buon pastore si incamminerà verso un altro mondo,
verso un'altra vita e, al termine del cammino, troverà veramente di che
sfamarsi e di che dissetarsi, così come promette il Signore: Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
Entrare e uscire
Quanto abbiamo appena detto ci aiuta forse a capire quello che Gesù dice al versetto 9: Io sono la porta: se uno entra attraverso me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Queste parole potremmo capirle in questo modo: passare attraverso Gesù significa entrare in un mondo dominato dalla presenza di Dio, ma entrare in un mondo dominato dalla presenza di Dio, significa contemporaneamente uscire da un mondo dominato dalla tristezza per la sua assenza o, più profondamente, dominato dalla presenza nascosta del Principe di questo mondo, vale a dire il demonio, Satana, il lupo.
La nostra salvezza consiste proprio in questo passaggio dalla
ristrettezza delle cose di questo mondo, o di un mondo senza Dio, alla
ricchezza e allo splendore del suo Regno; compiere questo passaggio
significa anche trovare la nostra vera vita in Dio, ossia, secondo la
similitudine di Gesù, trovare pascolo. Passare attraverso la porta, che è
Cristo, significa anche entrare in una nuova luce, che produrrà un
progressivo cambiamento del nostro modo di vedere le cose. Più entreremo
nella luce di Dio più usciremo dal nostro ristretto, debole e incerto
modo di vedere; in questo caso trovare pascolo significherà trovare una
più ampia, più luminosa e più certa, comprensione della realtà.
La similitudine ci mostra ancora la premura e l'attenzione di Gesù per
tutte le sue pecore. L'intenzione sua è di condurre fuori dalle
ristrettezze e dai pericoli di questo mondo ognuno di noi. Lui non si
dimentica di nessuno, e se c'è qualcuno che non sente la sua voce o non
vuole uscire, è probabilmente perché è caduto sotto le grinfie del lupo,
oppure di qualche ladro o brigante, oppure perché il buon Pastore non
gli ha fatto ancora sentire il suo richiamo.
Si potrebbe ancora osservare che questa processione dalla terra al cielo
è appunto una processione, ossia chi vi partecipa non è solo, anche se
uno vivesse in un deserto sa che il Signore, insieme a lui, sta
conducendo una moltitudine di fratelli verso i pascoli eterni, e la
festa del banchetto eterno lo ricompenserà ampiamente di tutte le
fatiche patite durante il viaggio.
Seguire Gesù nella fede
Una volta che le pecore sono state messe in movimento, il Signore cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Le pecore Lo seguono... Questo vuol dire che non sono loro a stabilire quale dovrà essere il percorso, quale l'andatura, quando fare una tappa e quando ripartire. Inoltre, se il pastore cammina davanti e loro lo seguono, significa che non vedono il suo volto mentre camminano, ma solo le sue spalle. Se non vedono il suo volto, hanno però imparato a conoscere la sua voce.
Così è per noi che stiamo camminando da
questo all'altro mondo seguendo Gesù; non vediamo il suo volto ma solo
le sue spalle, ossia camminiamo nella fede e non ancora in visione
(2 Cor 5, 7); È per il dono della fede che siamo in grado di
riconoscere la sua voce, ossia è per la fede che la sua Parola,
ascoltata dalla bocca della Chiesa, diventa il criterio regolatore della
nostra vita. È per la fede che riusciamo a discernere, nel variare
delle situazioni della vita, quando il Signore vuole farci andare a
destra o a sinistra, è per fede che accettiamo quello che ci accade come
espressione della sua volontà sapendo che, in qualunque situazione ci
troviamo, proprio perché stiamo seguendo un pastore buono, il suo aiuto
non ci mancherà. L'occhio di un buon pastore vigila in continuazione
sullo stato delle sue pecore.
Camminando nella fede, essa cresce ed il nostro orecchio diventa sempre
più sensibile alla voce del pastore. Con l'aumentare della capacità di
cogliere la Parola di Dio e di aderirvi, aumenta anche la nostra
capacità di resistere alle voci che non hanno il carattere o il timbro
dei richiami di Dio. Per questo il Signore dice: Un estraneo non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei.
I discepoli di Gesù non vogliono aderire alle voci che non sono secondo
Dio. È poi abbastanza evidente che seguire Gesù è cercare di mettere in
pratica i suoi insegnamenti, ossia comportasi come Lui si è comportato;
dice infatti Gesù: Imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt 11,29).
Il Signore ci chiede soprattutto di essere umili, cioè non orgogliosi,
né arroganti, né prepotenti, e di agire in ogni circostanza con mitezza,
ossia con dolcezza e senza agitazione. Così, tutti i richiami,
esteriori o interiori, che ci invitano a praticare o a crescere nella
virtù dell'umiltà, hanno il timbro o il carattere della voce del buon
Pastore; mentre tutti i richiami, esteriori o interiori, che ci spingono
all'orgoglio, all'arroganza, alla prepotenza, alla cattiveria,
all'agitazione, sono voci estranee, voci che dobbiamo imparare a fuggire
perché non sono secondo Dio. Quanto detto per l'umiltà e la mitezza
vale anche per ogni altra virtù che il Signore ha praticato e ci chiede
di praticare. Secondo queste riflessioni potremmo dire: ogni voce o
richiamo che ci invita alla virtù, o a perfezionarne la pratica, ha il
timbro della voce del buon Pastore; al contrario, ogni voce che ci
distoglie dalla pratica della virtù e ci spinge al vizio, è la voce
degli estranei.
Volendo fare ancora alcuni esempi potremmo dire: in un mondo in cui più
che gli onesti hanno successo i disonesti e gli imbroglioni, ogni buon
esempio, ogni buona parola che incoraggi a praticare l'onestà e la
rettitudine in ogni circostanza, è una voce che, accolta nella fede,
diventa la voce di Gesù stesso. In un mondo in cui si trova spesso poca
comprensione verso chi sbaglia o ha sbagliato gravemente, ogni
atteggiamento di comprensione e di misericordia, ogni mano tesa verso
chi è oppresso dalle conseguenze dei propri misfatti, è come un riflesso
degli atteggiamenti e della voce del buon Pastore… Sbagliare, e
sbagliare gravemente, è tipico dell'uomo, chinarsi con misericordia
sull'uomo per curarne le ferite è tipico di Dio e di coloro che sono
abitati dal suo Spirito.
A proposito di queste ultime riflessioni, conviene ancora osservare che
non possiamo mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù o comportarci
come Lui si è comportato, se non conosciamo i suoi insegnamenti e i suoi
comportamenti, e questi li possiamo imparare sia leggendo o ascoltando
il Vangelo, sia dal buon esempio di coloro che cercano con onestà e
impegno di viverlo ogni giorno. Così, conoscendo i suoi insegnamenti ed i
suoi esempi, anche di noi il Signore potrà dire: Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.
La perfezione con la quale Gesù ci ama
La frase di Gesù continua in questo modo: Come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. Queste parole ci fanno intravedere la perfezione e l'intensità dell'amore di Dio per noi. Dio non può che operare in modo divino, vale a dire, Dio conosce come solo un Dio conosce, Dio ama come solo un Dio ama, e qui Gesù ci dice che la stessa perfezione di conoscenza e di amore che c'è all'interno della Trinità fra il Padre e il Figlio, fra il Figlio e il Padre, questa stessa perfezione Gesù la applica per amare noi; e una delle caratteristiche dell'amore, di quello vero, è che colui che ama alla persona amata vuole donare tutto; tutte le sue ricchezze ma soprattutto tutto se stesso, per questo Gesù dice: E offro la vita per le pecore.
Questa dichiarazione d'amore di Dio per noi è magnifica, ma è anche
estremamente pericolosa. Pericolosa sia per Lui che per noi. Il pericolo
deriva da questa proprietà del vero amore: un amore che dona tutto,
chiede anche tutto. In altre parole si può dire: all'amore bisogna
rispondere con l'amore, a un amore totale bisogna rispondere con un
amore totale. Quando questo accade si realizza lo splendore dell'amore,
lo splendore della vita, lo splendore della gioia e della pace; ma se
questo non accade si ha allora la crocifissione dell'amore, Gesù sulla
croce, l'Amore crocifisso. Le parole di Gesù: E offro la vita per le pecore,
alludono anche o preannunciano già la sua crocifissione, ossia, fin
dove arriva il suo amore per noi e fin dove arriva il nostro non amore
per Lui. Ed allora la croce è l'estremo tentativo di convertirci
all'amore. Come se Gesù ci dicesse: - Vedi fin dove arriva il mio amore
per te?... Vedi che cosa tremenda succede se anche tu non mi ami?...
Vedi quanto ho sete, sete del tuo amore... sete della tua salvezza, sete
della tua gioia... -.
Il rischio che corriamo è quindi quello di far soffrire Gesù che ci ama,
e lo facciamo soffrire se trascuriamo le iniziative del suo amore, o
troppo a lungo vi resistiamo. Se poi lo rifiutiamo in maniera definitiva
lo facciamo morire, ma se Lui muore nel nostro cuore, prima o poi
moriremo anche noi, e resteremo morti per sempre, mentre Lui risorgerà
perché la morte non può vincere il Signore della vita.
L'unità di coloro che sono in cammino verso il Cielo
E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Quando Gesù pronunciava queste parole era visto ed ascoltato solo dalla gente di Israele, tuttavia Lui non era venuto solo per Israele, ma per tutti gli uomini. Tutti gli uomini Lui vuole condurre fuori dall'ovile, tutti gli uomini vuole condurre dalla terra al cielo. Allora, anche se gli uomini non godono più della sua presenza visibile, sempre Lui è presente ed operante nelle parole e nelle opere di coloro che annunciano e vivono il suo Vangelo; così che, mediante l'opera esterna di coloro che annunciano, e l'opera interna di Lui che apre ed illumina i cuori, anche noi, che non Lo abbiamo visto con i nostri occhi, possiamo ascoltare la sua voce.
Questa voce crea una nuova unità nel genere umano, non più l'unità di
chi parla la stessa lingua, di chi appartiene ad una stessa regione o a
una stessa nazione, ma l'unità di chi, avendo ascoltato ed accolto Gesù,
è uscito con il suo cuore dalle ristrettezze di questo mondo e si è
incamminato, dietro a Lui, verso i pascoli del Cielo. E come unica è la
voce, unica la dottrina, unica la meta, unico colui che conduce alla
meta, così unico deve essere il rappresentante visibile del buon
pastore. Chi vuole ubbidire sia alla voce interiore che a quella
esteriore dell'unico pastore, camminerà sicuro e giungerà alla meta,
mentre chi non vuole ascoltare la sua voce rimarrà chiuso nel recinto e
subirà le razzie dei ladri e dei briganti, perché la scarsa protezione
che può avere dai mercenari non sarà sufficiente a preservargli la vita,
soprattutto se è minacciata dal sopraggiungere del lupo.
I nemici
Parlando dei ladri, dei briganti e del lupo, Gesù vuol farci riflettere sui nemici delle pecore, ossia sui nostri nemici. Dice che il comportamento caratteristico dei ladri e dei briganti consiste nello scavalcare i muri, ma se scavalcano i muri non entrano per la porta. Questa similitudine offre alle pecore un criterio per distinguere un ladro o un brigante dal buon Pastore.
Così, chiunque si presenti come guida o salvatore dell'uomo promettendo:
felicità, benessere spirituale, accrescimento delle facoltà mentali,
esperienze non comuni, estasi di vario genere, nuove vie, nuovi mondi,
nuove ere, ordini sociali finalmente caratterizzati da giustizia e
rettitudine…, se costoro, nel promettere queste cose non passano per
Gesù Cristo e non vogliono far passare per Gesù Cristo, sicuramente non
cercano il bene degli uomini ma, come ladri, agiscono in modo illecito
per accrescere le loro ricchezze derubando chi incautamente li ascolta; e
rubano il loro tempo, risorse materiali e spirituali, la vita stessa.
Chi li ascolta e li segue andrà in rovina.
Di questi il Signore afferma: Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti.
Se fossero venuti passando attraverso di Lui e con l'intenzione di far
passare gli uomini attraverso di Lui, il Signore non li avrebbe
qualificati come ladri e briganti. Con altre parole potremmo dire: gli
uomini non incontrano veramente chi li liberi e li salvi se non
incontrano Gesù Cristo. Tutti i liberatori e tutti i salvatori che
incontrano prima di incontrare Gesù non hanno il potere di liberarli e
di salvarli veramente, hanno solo il disonesto potere di rubare la loro
fiducia per condurli alla rovina. San Pietro afferma con forza che Gesù è
l'unico Salvatore dicendo: Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (At 4,12).
Sia lungo la storia, sia ai nostri giorni, molti sono i drammi nella
società e nelle famiglie, provocati dagli eretici, dai capi di varie
sette, da maghi e maghe, da imbroglioni senza scrupoli, da agitatori
sociali… A proposito degli eretici, degli aderenti a certe sette, e a
volte anche dei maghi, nei loro confronti si potrebbe in un primo tempo
essere incerti; l'incertezza è dovuta al fatto che nei loro discorsi
sembrano parlare con convinzione di Dio e di Gesù Cristo, ma parlare di
Dio e di Gesù Cristo non basta, bisogna parlarne correttamente e secondo
verità. Ne parla secondo verità chi ha l'approvazione delle autorità
ecclesiastiche, dove non c'è questa approvazione, c'è qualcuno che non
sta passando per la Porta ma sta scavalcando i muri.
Il Signore continua dicendo: Ma le pecore non li hanno ascoltati.
Chi conserva nel cuore un autentico desiderio della vera salvezza,
della vera liberazione, della vera vita, ha in sé qualche cosa che gli
impedisce di dare ascolto, di aderire e di seguire chi si presenta nelle
vesti di pastore o di salvatore, ma in realtà è un ladro e un brigante:
Coloro nei quali questi desideri si affievoliscono o si corrompono
rischiano invece di cadere vittime di cattivi pastori, di falsi
salvatori o di mercanti di sogni e illusioni; la cosa più grave che può
capitare loro è diventare incapaci di riconoscere la voce ed i richiami
dell'unico e vero buon Pastore, rischiano così di trasformarsi in
incorreggibili caproni e di venire esclusi dal Regno di Dio.
Il lupo
Un altro nemico di cui parla il Signore è il lupo. In questa parabola il lupo rappresenta il più terribile nemico che le pecore possano incontrare. Viene anche detto che il suo modo di agire consiste nel rapire e nel disperdere; stranamente non viene detto che il lupo uccide o sbrana le pecore, ma solo che le rapisce e le disperde. La ragione è forse perché questo lupo è figura di qualcun altro, di qualcuno che di fatto lotta con la forza e la ferocia del lupo, ma la sua ferocia è piuttosto nascosta e non immediatamente riconoscibile, è un lupo travestito da agnello.
Così, gli uomini che sono in cammino da questo all'altro mondo, che ne
siano consapevoli o no, hanno bisogno di difendersi e di venir difesi da
un nemico più forte di loro. L'intenzione di questo nemico è di
impedire il loro arrivo nella patria celeste; colui che lotta con
accanimento perché gli uomini non raggiungano il Paradiso è il diavolo,
il più terribile nemico dell'uomo.
Il fatto che questo nemico sia più forte di noi è, come vedremo,
piuttosto un vantaggio che uno svantaggio. Ci viene intanto detto che la
sua strategia è di rapire e di disperdere. La strategia del demonio
infatti è quella di rapire, con svariati mezzi, la nostra attenzione da
tutto ciò che ci orienta e ci conduce verso il cielo, o verso il nostro
vero bene, o verso la nostra vera felicità. Si propone in questo modo di
distoglierci dal fine ultimo e definitivo della nostra vita, se vi
riesce, la nostra esistenza viene privata del suo fondamentale punto di
riferimento; di conseguenza, tutte le nostre forze vengono disperse
nella confusa ricerca di qualche cosa che, in fondo, ci lascerà
insoddisfatti.
Che poi il demonio sia più forte perché molto più intelligente di noi,
torna a nostro vantaggio in quanto contribuisce a toglierci l'illusione
di potercela fare da soli a trovare e percorrere la via che conduce alla
felicità. Sapere che qualcuno ha il potere di farci del male fino a
rovinarci per sempre, ci spinge a cercare rifugio e protezione presso
chi è venuto proprio per distruggere le opere del maligno, Gesù, il buon
Pastore che, per difenderci dal Demonio, offre la vita per noi. Così,
se vogliamo camminare da soli, è più forte il Demonio, se invece
ascoltiamo la voce del buon Pastore e gli andiamo dietro siamo più forti
noi, e il demonio non può farci proprio niente di male. Il Signore ci
difenderà dandoci forza e sapienza per non cedere ai suoi inganni.
Il mercenario
Non così il mercenario che, quando vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge. Il mercenario è comunque qualcuno che è stato chiamato a custodire le pecore. In parte compie il suo lavoro, ma solo fino a quando le cose procedono senza pericoli, fino a quando non ci sono nemici all'orizzonte, ma appena questi si presentano e lui dovrebbe faticare, lottare, pagare di persona per difendere le pecore, fugge e si sottrae al suo dovere.
Potremmo vedere in questo mercenario una figura di tutti coloro che sono
stati chiamati, in vario modo, a governare piccole o grandi comunità
umane e svolgono in maniera insufficiente il loro compito. Così, dal
capo di una famiglia, al capo di un comune, di una regione o di una
nazione, o in campo ecclesiastico da chi governa una parrocchia, o una
diocesi, o la Chiesa intera: tutte queste persone, nell'esercitare la
loro funzione di governo, a seconda del loro comportamento, possono
assomigliare al buon Pastore oppure al mercenario. E se chi governa
dovrebbe prendere Gesù come modello, i sudditi dovrebbero pregare il
padrone della messe perché mandi veri operai nella sua messe, e nella
società civile governanti onesti e competenti. Così, sia il buon
andamento della società civile che di quella religiosa dipendono, in
varia misura, da chi governa e da chi è governato.
Io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo
Gesù si avvia al termine del suo discorso con queste parole: Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Le parole: Io offro la mia vita, significano che Gesù andrà volontariamente a morire per noi, non costretto cioè da nessuno se non dal desiderio di compiere il comando del Padre suo. Questo comando era che Gesù venisse a salvarci pagando Lui il nostro debito d'amore nei confronti del Padre, manifestando così fino a che punto giunge sia l'atrocità del nostro peccato, sia l'amore di Dio per noi.
Queste parole mostrano ancora che cosa dobbiamo fare per essere amati da
Dio. Per essere amati da Dio dobbiamo amare come Gesù ha amato, amare
Dio e gli uomini come Lui li ha amati. E Gesù fa vedere come continua ad
amare anche quando gli uomini, in cambio dell'amore da Lui offerto,
rispondono con indifferenza, ostilità e odio. Odio che giunge
all'accecamento estremo e alla tragedia estrema di uccidere Colui che
era venuto per donarci la sua vita e il suo amore. A noi che, senza di
Lui, non possiamo né vivere, né trovare amore, né dare amore. Gesù ci fa
vedere che continua ad amare il Padre anche quando, nel momento
estremo, nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno di aiuto, il Padre
non risponde alla sua preghiera e sembra lasciarLo morire
nell'abbandono più totale. Per questa sua fedeltà eroica all'amore, il
Padre lo ama.
Ma le parole: Io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo
non ci parlano solo della sua morte, ma anche della sua risurrezione. Se
Gesù non fosse morto per noi amando e perdonando, non potremmo capire
fino a che punto Dio ci ami. Se però Gesù fosse morto, ma non fosse
risorto, noi cadremmo nella disperazione, perché l'indifferenza, la
stoltezza, l'odio, la morte, avrebbero avuto ragione dell'amore, della
sapienza, della bontà, della vita. Gesù invece, con l'annuncio della sua
risurrezione, oltre ad affermare la sua assoluta signoria sulla vita e
sulla morte, annuncia anche che, nonostante le apparenze, se saremo
fedeli fino alla fine, vedremo l'amore vincere l'odio, la bontà vincere
la cattiveria, la sapienza vincere la stoltezza, la luce vincere le
tenebre, la vita vincere la morte.
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